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Il dio di Massimo Cacciari
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Nientificazione come salvezza: il messia atteso da Massimo Cacciari è il filius perditionis, ovvero l'Anticristo

Il filosofo (e sindaco) veneziano, da tempo è invitato a convegni ecclesiali (oltre che del centro-destra), gode la stima di vescovi, è ben accolto da celebri cardinali. Ciò è comprensibile: Cacciari è versato nelle Scritture, scrive di Angeli, molti dei suoi libri hanno al centro una sorta di spiritualismo super-cristiano. E’ probabile che vescovi e cardinali non abbiano mai letto la più importante opera teologica di Cacciari, «Dell’Inizio», pubblicata nel 1990 da Adelphi.

E’ un tomo di quasi settecento pagine, e i cardinali, si sa, sono sempre molto occupati. E’ un peccato: perché in quest’opera alta e complessa, sottile e a tratti oscura, troverebbero esposte - come pistis cacciariana, l’insieme delle sue convinzioni teologiche - non solo un sapere esoterico, interno al potente gruppo d’opinione di cui Cacciari fa parte e perciò stesso del più alto interesse culturale e politico, ma dottrine ricorrenti nei secoli, e da secoli note alla Chiesa.

Il mondo come caduta

Come questa, che Cacciari mutua dall’Eriugena a da Schelling, e a cui sembra aderire appassionato: «Essere-creato è simultaneamente peccare [...] ed è perciò che nell’uomo appena creato Dio punisce il peccare, ab initio» (pagina 515).

Ma non solo: «La caduta degli Angeli è simultanea alla creazione, la catastrofe celeste è tutt’uno con la katabolé-ktisis per cui qualcosa ek-siste» (pagina 5l6).

Cacciari è troppo avvertito per non sapere che queste frasi formulano ciò che Samek Lodovici ha chiamato «la prima e fondamentale» tesi del pensiero gnostico: che «il mondo, e l’uomo nel mondo, sono frutto di una caduta, di una frattura; l’intera realtà in cui ci troviamo è una realtà d’esilio» (1).

Giovanni Paolo II sapeva che questa tesi era contraria alla dottrina cattolica: «Per il cristianesimo non ha senso parlare del mondo come di un male ‘radicale’, perché all’inizio del sue cammino si trova Dio Creatore che ama la propria creatura» (2).

Lo sapranno di certo i cardinali ed i cattolici che frequentano Cacciari: sicché potranno ammirarne il rigore con cui egli abbraccia l’altra grande tesi gnostica, intimamente connessa con quella: Dio ha creato l’uomo (o più precisamente lo ha emanato) non per amore, ma per ignoranza. Il Dio di Cacciari è radicalmente inconscio.
 
«La ‘regio umbrae mortis’ che abitiamo è immagine soltanto [..] di quella tenebra in cui è Dio nei confronti di sé, della conoscenza di sé [...] Dio riflette la propria incatturabilità: non può vedersi. Ma nell’istante in cui cosi si ‘riflette’, egli crea l’immagine stessa della creatura, la sua immagine. Il sapersi come tenebra da parte di Dio (cioè: l’attingere il fondo della propria ignoranza) è l’uomo» (pagina 517).

  Nientificazione come salvezza

Poiché la creazione intera è l’errore di un Dio oscuro a se stesso (il cattivo Demiurgo gnostico), il «futuro Regno» promesso da Cristo «equivale al suo [dell’uomo] nientificarsi: la nuova creazione è in realtà de-creazione». La Dissoluzione come salvezza.

Per Cacciari, fu questo il senso autentico (esoterico) della Buona Novella di Gesù: «Sembrava citare Ezechiele, ma in realtà diceva: io sono la porta attraverso cui dovrete uscire dal recinto - voi mi seguirete fuori dall’ovile e questo sarà il vostro esodo vero» (pagina 534).

In realtà, Gesù pone l’accento non sull’uscire, ma sull’entrare nell’ovile: «Io sono la Porta; chi entrerà attraverso di me sarà salvo» (Giovanni 10,9). Ma secondo la tradizione gnostica più rigorosa, Cacciari ha in mente soprattutto l’«esodo dal Nomos», ossia la Liberazione da ogni legge.

Aspirare alla Dissoluzione di ogni forma conduce infatti lo gnostico - come ha ricordato Samek Lodovici - a «un disprezzo profondo per il diritto e le forme istituzionali in genere, e per la legge morale in particolare» (3). Le leggi infatti, anche interiorizzate, «non sono che necessarie conseguenze di un’essenza incompiuta», diceva Novalis, e lo gnostico aspira ad un potere totale di sé su sé, senza alcuno sopra di sé.

Evidentemente risuona nelle sue orecchie la promessa del serpente antico: «Sarete come Dèi», e non tollera nulla di meno. Egli vuol nientificarsi nel pleroma originario, dissolversi nell’apeiron primordiale, nel senza-limiti e nell’informe (4).

Miseria di Cristo

Ma chi vuole questa smisurata liberazione, non sa che farsene della salvezza annunciata da Cristo, che vede misera e incompiuta. E infatti Cacciari: «Come dobbiamo pensare l’Età del Figlio, se in essa durano Nicodemo e Pilato?» (pagina 545), se dopo Cristo vigono ancora la Legge ebraica e lo jus romanum, la Legge sacra e quella civile, la Chiesa e i codici penali?

Gesù non ha riscattato l’uomo dalla «ontologica miseria della Legge per cui essa è si contro il peccato, ma ne è sempre anche una sua conseguenza, per cui essa è costretta a riconoscere la prepotenza del peccato» (pagina 565).

Ciò equivale a rimproverare a Cristo di non aver riscattato l’uomo dal dovere.

«Qui caritas è mandatum e cammino, non ancora riposo» (pagina 566), «l’agape dell’Età del Figlio è agape dell’ascolto, non ancora della visione».

Più a fondo, il rimprovero a Cristo è di aver rivelato la Sua salvezza non già come nullificazione, ma come suo contrario: come Incarnazione e come Resurrezione del Corpo: e il suo Corpo risorto è «semplice vita», capace di «mangiare»!

Anche per gli gnostici antichi, si sa, il synolon di anima-e-corpo era abominevole, quanto di più lontano da quella che intendevano come Liberazione.

Cacciari insinua che la caritas di Cristo non è «la Pace che davvero ama, ma la sua promessa soltanto». Cristo stesso ne è consapevole, e «ciò determina il carattere sofferente e paziente che essa ancora rivela» (pagina 567): quando infatti dice «Amatevi come Lui vi ha amato [...] afferma, al presente, l’impossibile. La pienezza del comandamento è oltre ogni misura di quanto è realizzabile in questa Età» (pagina 568).

Quando dice: «Amate i vostri nemici [...] il nudo fatto, che si dà [ancora] nemico, è pre-potente rispetto all’amore […] puoi anche amare il tuo nemico, mai annullarlo» (pagina 585). Ma soprattutto, il Figlio ha detto che «nessuno, nel Presente, può dirsi buono, che non possono esservi, in esso, ‘teleioi’ [ossia gnosticamente ‘perfetti’] cosi radicalmente che neppure il Figlio si chiama ‘buono’ » (pagina 576).

Insomma: ciò che Cristo ci ha lasciato è una «fede radicalmente infirma […] che non può eliminare la struttura di peccato, la fede di chi non è ‘giusto’» (pagina 577). La stessa Parola di Gesù dunque rimanderebbe a una rivelazione ulteriore, definitiva e perfetta, che Cacciari chiama «il tempo dell’Ultimo» (pagina 568).

Tempo escatologico, di apocalisse, di cui Gesù è il mero annunciatore: «perché il vero scandalo [...] è [...] che l’apocalisse del Figlio non abbia assunto in sé, nel suo stesso kairòs, l’apocalisse dei figli» (pagina 621): che Cristo non ci abbia «rivelati a noi stessi» (tale è il senso di «apocalypsis»)
«nella nostra natura di figli», ossia di assolti da ogni Legge.

Non ci ha salvati Gesù. Dobbiamo aspettare un altro, Ultimo Liberatore.

Il Ni-ente liberatore

Fin qui, il sentiero gnostico ha portato Cacciari al traguardo dell’eresia gioachimita: all’Età del Padre è succeduta l’Età del Figlio, che è solo un annuncio di liberazione. Si potrebbe pensare, banalmente, che il filosofo voglia invitarci ad attendere l’Età dello Spirito.

Ma il vero punto è un altro: Cacciari, con una lettura forzosa dei testi, è convinto di poter rivelare la vera natura di questo Spirito Liberatore: natura sconvolgente, sconosciuta a Cristo, a Paolo, alla Chiesa, e che invece lo gnostico - solo - ha compreso.

Come diverrà comprensibile, Cacciari deve annunciare il Liberatore con cautela. Come un angelo tentatore, ci porta nelle estreme zone delle Scritture, nelle zone in cui si allude agli ultimi tempi, per mostrarci parousia dello Sconosciuto.

Al limitare di questa zona estrema c’è la domanda angosciosa di Cristo: «Ma tuttavia il Figlio dell’Uomo, venendo, troverà la fede sulla terra?» (Luca, 18,8).

Per la dottrina cristiana, la domanda allude all’apostasia generale e finale: il secondo avvento di Cristo sarà in un mondo che non l’attende più, un mondo che ha un falso dio, un potere mondano che si pretende «sacro», l’Anticristo.

Per Cacciari, la domanda di Gesù lancia invece un ponte positivo, verso la possibilità della vera liberazione. Essa per lui significa: «Saprete, disciolti da ogni religio, accogliere la grazia che vi si dona, di poter conferire al volto Futuro del tempo [...] il senso della fede?» (pagina 620).

Ci avvertirebbe insomma, il Cristo, che negli ultimi tempi dovremo abbandonare ciò che la religione c’insegna a proposito dei tempi ultimi e delle sue rovine e tradimenti; la sua ansia sarebbe sulla nostra capacità, nonostante e contro la «religio», di «conferire il senso della fede» al volto del Futuro. Perché, cristiani che siamo, potremmo ritrarci di fronte a questo volto in cui Cacciari invece figge impavido gli occhi: perché è il volto del Ni-ente.

«Il Non della fede è Ni-ente [...] Se alla parousia non corrisponde l’Amen della fede, vi corrisponde il Ni-ente» (pagina 621). E voi siete tentati di ritrarvi di fronte al Ni-ente, al non-essere.

Errore: si tratta appunto di superare la fede nel Dio del solo vivente (pagina 621); questa è la vera liberazione, la dissoluzione nel Nulla.

Ma perché dunque Gesù pare angosciato quando pone quella domanda, se la perdita della fede è la condizione per la liberazione?

Risponde Cacciari: perché Gesù è egli stesso tutto contenuto nell’Età del Figlio, non sa andare oltre. Egli è venuto ad annunciare la Vita, non la non-Vita liberatrice.

«Il Figlio non sa quale sarà il volto dell’éschaton. [...]», ci assicura (pagina 620). E aggiunge: «Lo sa il Padre? La domanda è oziosa poiché, comunque, ciò che il Padre sa dell’éschaton non può essere rivelato nemmeno alla Rivelazione per antonomasia, al Figlio» (ivi).

O bella, e perché?, vi domanderete.

«Non può essere detto, espresso, manifestato, perché contiene in sé la possibilità che radicalmente contrasta col senso della Rivelazione - o meglio, il suo polo opposto» (ivi).

La natura del nuovo dio

Cominciate a capire, uomini carnali? E voi cardinali e cattolici troppo occupati? La salvezza che lo spirituale Massimo vi annuncia sta «al polo opposto» della Rivelazione di Cristo.

E se ancora non volete capire, Massimo vi porta avanti, in una zona ancora più estrema delle Scritture apocalittiche (ossia rivelatrici): a quel passo della Lettera ai Tessalonicesi in cui Paolo annuncia la parousia dell’Iniquo che deve precedere «il giorno del Signore».

Paolo si scaglia contro coloro che vanno «calcolando» l’avvento del giorno del Signore. «Si tratta di ben altro - chiosa Cacciari - che del semplice bisogno di fronteggiare le impazienze apocalittiche delle prime comunità [...] si tratta di salvare l’incalcolabilità dell’éschaton, e dunque [...] della Vita intradivina, dalla sua riduzione a forme secolarizzate di messianismo» (pagina 622).

E - inaudito - ciò che Paolo dice del filius perditionis, dell’«Uomo dell’anomia», dell’apostasia, della «defezione totale da Dio», non è cosi brutto come appare. Infatti «viene l’antikeimenos, lo spirito della separazione: separazione dalla Legge [...] Ma il suo contrapporsi e separare, il suo dia-bàllein (egli viene infatti secundum operationem Satanae, potenza che separa) [...] non si configura affatto come un semplice ‘distruggere’ Dio. Egli non proclama affatto che ‘Dio è morto’, ma mostra se stesso come Dio» (ivi).

A dire il vero, il testo paolino allude a un Iniquo che «dichiara se stesso Dio» opponendosi e innalzandosi su «tutto ciò che è chiamato Dio»: un potere radicalmente irreligioso che tuttavia si pretende l’ultima istanza. Cacciari forza il testo.

Ma facciamola breve, perché a Cacciari bruciano le labbra dalla voglia di enunciare il nome di questo messia che attende: «Il filius perditionis si manifesta come colui che ‘libera’ Dìo da ogni nascondimento, che ne ‘colma’ l’abissalità, che ne dis-vela l’essenza...»

Egli (l’Anticristo, che Cacciari chiamerà di qui in poi - significativamente - l’Anomos) seduce con un «discorso che appare non soltanto estremamente prossimo al vero Annuncio, ma, addirittura, sua piena esplicazione. Egli predica, infatti, la libertà dalla Legge come libertà assoluta» (ivi).

Una dottrina interna

L’Anomos, il Filius Perditionis, è dunque il messia atteso da Cacciari: ulteriore e superiore a Cristo, perché egli e non Cristo compirà la Liberazione, rivelerà l’essenza divina come «pleroma dell’abbandono» (pagina 644), come Ni-ente.

Opposto a Cristo anche se «quel polo opposto alla Croce, la sua pura possibilità [...], è indicato dalla Croce stessa» (pagina 642), perché «se il Figlio ‘libera’, libera anche questa possibilità: la radicale negazione di sé è a priori possibile per il pieno erede» (pagina 643).

Cacciari vuole stupire, e «rivela» di più, come vedremo: che la Chiesa è incapace di capire questa verità esoterica nascosta nella Buona Novella, e combatte l’Anticristo non accettandolo come il vero Paraclito annunciato da Cristo.

Noi non ci stupiamo però. Non solo perché qui si rimaneggia la dottrina degli antichi Ofiti e degli Osceni, rammodernata da Jung (secondo cui la natura totale di Dio comprende la sua umbra satanica, il Male e il Bene); ma perché altrove (5) abbiamo mostrato come questa stessa dottrina fosse bandita dal «cattolico» Leon Bloy nel suo «Dagli ebrei la salvezza».

Anche Bloy attendeva «l’avvento della terza figura divina, il Paracleto», che egli chiamava «il Liberatore vagabondo». E anch’egli sosteneva che il Paraclito sarebbe venuto a dissolvere ogni ordine cristiano, a rovesciare ogni valore cui i cristiani hanno creduto: il male, nell’ora della Liberazione, sarà bene, e il bene male.

Anche per Bloy «I cristiani saranno prodighi verso il Paraclito di ciò che è al di là dell’odio: egli è talmente il Nemico, talmente l’identico a quel LUCIFERO che fu chiamato Principe delle Tenebre, che è quasi impossibile separarli: ‘Chi può comprendere comprenda’».

Roberto Calasso, il capo della casa editrice Adelphi che Cacciari frequenta e presso cui ha pubblicato suoi libri, nutre un’acuta simpatia per la dottrina luciferiana di Bloy, di cui proprio lui ha riedito «Dagli Ebrei la salvezza» nel 1994.

Altrove abbiamo già illustrato come la stessa tesi anticristica sia stata fatta propria dal «cattolico» Sergio Quinzio, altro autore dell’Adelphi, che l’ha proclamata nel suo «Mysterium Iniquitatis» (1995).

Dunque, le pagine di Cacciari ci forniscono una versione più profonda e completa di quella che pare essere la dottrina «interna» della cerchia (esoterica?) che fa capo alla casa editrice Adelphi. E come vedremo, questa dottrina non è un puro esercizio: essa ispira azioni pratiche - morali e politiche - che cercheremo di chiarire.




1) Emanuele Samek Lodovici, «Metamorfosi della Gnosi», Ares, Milano, 1991 (2a Ediziome), pagina 8.
2) Giovanni Paolo II, «Varcare la soglia della speranza», Mondadori, 1994, pagina 98.
3) Opera citata pagina 11. Dal disprezzo del diritto, aggiunge Samek, «deriva un dualismo sociologico» assai interessante, se si pensa a Cacciari nella doppia veste di filosofo della
dissoluzione e di sindaco: «Da una parte coloro, gli illuminati, che possono compiere indenni ogni esperienza, anche aberrante; dall’altra gli altri uomini, che sono tenuti ad una regola di vita precisa». Lo gnostico può essere un riformista moderato e illuminato nella polis, e un dissoluto in proprio.
4) Emanuele Samek Lodovici, opera citata, pagina 10. Per significare la tensione verso l’informe, la perdita di limite, è significativo sapere che per lo più le sette gnostiche fecero del sesso aberrante la loro tecnica «ascetica»: «Attraverso l’unione erotica si elimina, con la polarità sessuale, la sofferenza e la finitezza. I soggetti si riassorbono in un omogeneo universale e disintegrandosi perdono la loro individualità».
5) Maurizio Blondet, «Gli Adelphi della Dissoluzione», Ares, pagina 208.


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