>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
TUTTI |0-9 |A |B |C |D |E |F |G |H |I |J |K |L |M |N |O |P |Q |R |S |T |U |V |W |X |Y |Z

Archivio Articoli FREE

assisi.jpg
La grande alienazione ecumenista
Stampa
  Text size
Alla ricerca di un termine che possa descrivere il dramma presente delle anime come del mondo, non potevo che cercarlo nel rapporto del pensiero umano con la Parola divina, origine di ogni senso ontologico, logico e religioso, anche delle parole comuni.
In tal modo pure un termine come «alienazione», caro alle ideologie materialiste per seminare ateismo, può, nell’ottica cristiana, fare luce sull’attuale condizione umana sia religiosa che politica, sia filosofica che scientifica e perciò, sia nella storia universale che in quella delle minacce presenti.
L’articolo del 28/05/2007, «Le alienazioni alla base dell’‘Einstein pensiero’ e della ‘relatività conciliare’», tratta del miglior modo di definire il termine «alienazione» (da «alter», farsi altro), senza scartare, anzi, traendo spunti dal senso usato da Karl Marx nei suoi famosi studi sul capitale.
Rivediamo quel ragionamento sul termine «alienazione».

Per la cosiddetta filosofia moderna esso è «termine che si usa soprattutto in riferimento a Hegel e a Marx e indica lo stato di estraniazione dello spirito da se stesso. Tale estraniazione si verifica, per Hegel, in quanto la realtà spirituale si pone come oggetto, dando origine alla natura. Tale oggettività della natura, va però superata dialetticamente dall’attività con cui lo spirito si appropria del mondo, sia praticamente (con il lavoro) sia teoricamente (con le attività spirituali come arte, religione, filosofia)».
Feuerbach e Marx hanno poi modificato l’uso hegeliano del termine.
Per Feuerbach, alienazione è l’atto con cui l’uomo si crea una divinità perfetta e le si sottomette, risolvendo così illusoriamente i conflitti e i limiti della propria condizione.
Marx a sua volta ritiene che l’alienazione non riguardi qualunque processo d’oggettivazione dello spirito in una realtà esterna e materiale, ma avviene in speciale nel quadro dei rapporti capitalistici di lavoro e produzione.
In tale situazione, il mondo degli oggetti prodotti dall’uomo tende a costituirsi come mondo di merci, che non ha più la sua ragion d’essere nel soddisfare i bisogni dei produttori, ma si sviluppa secondo leggi proprie, estranee se non contrarie a questi bisogni (il valore di scambio che si sostituisce al valore d’uso).
E non si può negare che l’uomo ha un compulsivo bisogno di cambiare la finalità delle cose per affermare se stesso. Per esempio, mentre la natura provvede la madre di mammelle per nutrire il neonato - cosa ben necessaria -, l’uomo ha inventato giocattoli più o meno complessi come il trenino elettrico, che dovrebbe servire a divertire il bimbo - cosa abbastanza superflua -, ma poiché di fatto si tratta di artifizi la cui fruizione richiede uno sviluppo da adulto; sarà piuttosto il papà a giocarci.

L’alienazione definita in funzione del lavoro

Dalla legittima reazione all’abuso di alienare l’uomo dal congruo guadagno per quel che produce col suo lavoro, trae troppo spesso vantaggio l’aggressiva dialettica rivoluzionaria che non solo non ha affatto a cuore le reali condizioni del lavoratore, ma ne alimenta ed accresce diabolicamente il risentimento per condurlo all’invidia sociale, all’odio, ad una sete di vendetta che essa intende usare come strumento di rivoluzione.
A sua volta, tale dialettica, quale che sia la misura del suo assorbimento, aliena il lavoratore dallo scopo integrale di quanto fa, proiettato nel corso della sua vita; non limitatatamente alla pensione, ma al fine della sua esistenza terrena, cioè lo aliena sempre più dal suo fine ultimo.
Infatti, concentrare comunque la preoccupazione del lavoratore sul conflitto capitale-lavoro come argomento principale, significa rendere ipertrofiche le questioni legate al lavoro in sé e al bisogno materiale immediato, a detrimento dell’essenziale nella vita umana.
Liberi di considerare che lo scopo di tale lotta sia una «liberazione», non si è liberi di invertire il senso riduttivo di tale alienazione, che comporta scambiare il più con il meno, il fine con il mezzo, la vita con l’alimento e l’uomo completo con quello materiale, con le conseguenze del caso, ossia dell’uomo spirituale ingaggiato corpo e anima (si fa per dire) nella lotta per i bisogni materiali dell’uomo sindacalizzato.
Il pensiero marxista contemporaneo ha per lo più mantenuto la sua nozione di alienazione all’opposto di questa scaletta di valori, ma alcuni pensatori marxisti, come Althusser, in quanto scorgono in essa residui del senso tradizionale, dunque un cedimento di Marx all’umanesimo e all’idealismo [sindacale] - hanno però rifiutata questa nozione. (confronta Enciclopedia Tematica di Filosofia, L’Universale, Garzantine, Milano, 2003, pagina 19).

Si può dire, quindi, che fu la filosofia hegeliana ad appropriarsi del termine «alienazione», che poi con Feuerbach ha avuto il suo significato adattato ad un pronunciamento a favore della nuova mentalità per la cancellazione dell’idea di Dio (nel ridicolo): «l’atto con cui l’uomo si crea una divinità perfetta e le si sottomette, risolvendo così illusoriamente i conflitti e i limiti della propria condizione».
Come si vede tale «sparata filosofica» non usa il senso convenzionato del termine, ma lo adatta al significato che serve alle proprie idee.
Si tratta dell’adattamento semantico che sarà utilizzato da Karl Marx per operare la «liberazione» umana di creature irretite da una visione del lavoro che le impedisce di alzare il volo prometeico della felicità nel mondo materiale, non solo lavorativo ma politico!
A questo proposito è interessante considerare il pensiero di Marx espresso nel suo epitaffio: «I filosofi, finora, hanno solo interpretato il mondo secondo vari modi; ora si tratta di trasformarlo».
Quindi, il trasformare deve superare perfino la visione della realtà: importa trasformare!
E’ il germe della rivoluzione nella rivoluzione; la mutazione strada facendo, magari tagliando un po’ di teste.
Ciò che è una delle tesi di Marx su Feuerbach, rappresenta in pieno lo spirito rivoluzionario nel senso del «superamento» dello «stato di estraniazione» insito nell’idea di un ordine creato da Dio: «l’uomo» che «si crea una divinità perfetta e le si sottomette», risolverebbe ora questa sua condizione atavica seguendo senza remore una sua interpretazione di una sua presunta auto-evoluzione culturale.
Sarà la via di Gramsci.
 
Ecco il punto d’incontro di tutte le rivoluzioni: il messianismo gnostico dell’autoprogresso illimitato; il «sistema» pensato «non per interpretare il mondo reale, ma per trasformarlo»... un «esistenzialismo laburista» pensato, non secondo l’ordine preesistente, ma di un nuovo ordine fondato su idee soggettive nei vari campi, che quando causano disastri, come è accaduto, si tramutano in altri utopismi: importa cambiare!
Qui si pone la domanda: tali utopie materialiste, che riducono l’uomo spirituale a servizio di quello materiale, possono farlo con la scusa di amore per l’essere umano, o sono scelte già intrinsicamente alienanti?
La risposta dipende interamente dalla definizione dei valori spirituali che danno senso alla vita della persona umana.
Il marxismo ignora la risposta.
Resta, però, che anche per Marx alienazione significa scambiare il più con il meno, il fine con il mezzo, la vita con l’alimento, la virtù con l’avidità, l’uomo completo con quello parziale; concetti piuttosto indefinibili dal «pensiero materialista».
Per non rimanere sul vago, affrontiamo ora le questioni del lavoro, della politica, dell’economia, della filosofia, della storia, della conoscenza e della religione, per considerarle nell’evolversi dell’umana alienazione.

L’alienazione nel campo dell’attività umana

Per Marx, alienazione nel campo dei rapporti dei lavoratori con il prodotto del loro lavoro e con le istituzioni, significa un rapporto umano che rende gli uomini oggetti più che soggetti.
Il termine stabilisce un rapporto gerarchico; il prodotto e le istituzioni sono per l'uomo e non il contrario.
Nello stesso modo il valore d’uso di un prodotto non va mai superato dal suo valore di scambio, lo ricorda giustamente Marx.
Il ragionamento sarebbe sano se portasse alla logica dell’uso delle cose da parte dell’uomo fino al suo termine finale: del fine della vita stessa. Insomma, non l’uomo è fatto per il lavoro, ma questo per la vita.
Il lavoro deve precedere la cosa, come la vita il denaro, il reale il virtuale e così via, ma secondo un ordine di valori ascendenti.
Se in questa equazione manca il fine della vita dell’uomo spirituale e della sua società, tale mancanza la rende più che erronea, insolubile.
Quindi, la vera alienazione consiste, non tanto nell’alienare l’uomo dal congruo guadagno di quel che produce col suo lavoro, ma dallo scopo integrale di quanto fa, proiettato nel corso della sua vita integrale.
Cioè del vero fine di ogni cosa che fa nel tempo della sua esistenza terrena, una vita non riducibile al semplice lavorare.
Sotto questa luce, ridurre l’uomo e il suo lavoro al bisogno materiale, immediato, significa alienarlo dal principale.
Liberi di considerarlo «liberazione», con tutte le conseguenze che tale riduzione comporta, ma non di invertire il senso di alienazione, del più al meno, del fine al mezzo, dalla vita completa a quella materiale.
Tutto come se all’uomo spirituale fosse imposto non solo di servire quello carnale e non il contrario, ma di canalizzare tutte le sue capacità intellettuali nella lotta per un’affermazione materialista!
Tale asservimento dello spirituale al potere del nuovo ordine sociale, non è forse un processo alienante?

L’alienazione nel mondo della politica

In questo campo la visione sul lavoro umano è essenziale e proprio per questo si applica quanto detto sopra.
Ma il contrasto è ancora più evidente quando si considera il senso dell’intera vita sociale.
Si tratta di stabilire l’ordine, di creare benessere, di espandere la vita dei popoli, di creare sicurezza per il futuro.
Ma quale cultura e quale futuro può essere definito solo dal pensiero materialista.
Si vive forse per mangiare e sopravvivere?
La ricerca del benessere materiale basta a dar senso alla vita?
La ricchezza materiale può da sé soddisfare uomini e popoli?
Scriveva Marx: «Il denaro è il legame che mi unisce alla vita umana, alla società, alla natura ed ai miei simili: non è dunque il legame dei legami?» (1).
Aggiunge Auriti: «La moneta è per la società quello che il sangue è per il corpo umano».
Giusto, ma né la società né il corpo sono termini finali per l’anima umana.
Quindi, condizionarla alla ricchezza o ai piaceri del corpo è riduttivo: ecco l’alienazione.
La storia umana, che implica la visione di una vita che trascende quella di ognuno, rivela il contrario.
Infatti, ogni civiltà deriva da un’idea sull’uomo; su di essa e in vista di quel che si pensa e si crede nel piano trascendente il materiale, sull’idea di durata riguardo al tempo, si organizza la vita sociale.
Le piramidi e i grandi monumenti lo riflettono.
Ma è riguardo l’ordine nell’uso della libera volontà umana nelle società che si presenta la necessità delle leggi e della politica per non lasciar prevalere i moti disordinati dei più forti sui più deboli.
Ciò sarebbe l’alienazione dell’interesse generale a favore della concupiscenza personale triplice, del dominio, del possesso, della carne. Sulle due prime abbondano tanto le leggi quanto le infrazioni e gli inganni.
Ma è sull’avidità della carne, cioè del sesso, che la società moderna presenta la più anomala inversione che alla luce della logica, della morale e della legge naturale è la più subdola e devastante alienazione.
In breve: tra le funzioni del corpo, l’unica non ordinata all’individuo, come respirare, bere o nutrirsi, ma ordinata alla società, è quella della riproduzione.
Eppure, oggi essa è considerata affare personale!
Le civiltà religiose, antiche o moderne, hanno tessuto intorno ai disordini di natura sessuale delle robuste reti di protezione.
Ma oggi, proprio queste sono considerate in Occidente dei tabù, con tutte le tremende conseguenze che ne derivano.

Ecco il dilemma: se il fine prioritario del sesso umano è alienato dal bene della continuazione della specie al piano del piacere o passatempo casuale degli individui, e ciò sotto il patrocinio di leggi «sociali», siamo o no di fronte ad una grave alienazione d’ordine culturale, politica e quindi legislativa?
Ciò non determinerà un’inaudita visione culturale sulla vita umana, che può ben essere vista come la deleteria «cultura dell’aborto»?
In tal modo, nella società che mirava al valore della fertilità, passa a dominare il «bene» dell’infertilità programmata; un evidente degrado dell’ordine vitale che è un’oggettiva alienazione nell’ordine politico.
Oggi le società occidentali «avanzate» già cominciano a vederne le nefaste conseguenze di cui sono esentate in parte solo le società dette «arretrate», che avanzano chiaramente nel piano vitale.
Dunque, siamo ad un’obiettiva alienazione culturale e politica.

L’alienazione nel campo dell’economia globale

Questa parte si rifà agli acuti commenti sull’attuale economia fatti da Maurizio Blondet.
Vediamo di riassumere l’esito della fiaba fondata sulla speranza di un progresso continuo, oggi tramutato in paura.
Sì perché i prezzi, a cominciare quello del denaro stesso, e poi degli alimentari, delle merci, delle case, del trasporto salgono invece di scendere. E’ questo il progresso?
Si rischia veramente di scambiare il benessere e l’indipendenza, che i soldi potevano offrire, con una nuova forma di schiavitù ideata dalle banche col beneplacito dei governi?
E in compenso essere attirati subliminalmente da oscuri centri di potere al consumo del superfluo e anche dal lusso che condizionano i prezzi?
Ma se tale superfluo viene dunque a costare assurdamente meno del necessario, non siamo ad una alienazione delle ragioni economiche?
Chi la può volere se non poteri occulti internazionali che, in nome della libertà, a questo fine non esitano di scatenare guerre e colpi di Stato?
La stessa «cultura illuminista» che invitava all’indipendenza del pensare e all’autonomia del vivere, oggi inneggia al liberismo che condiziona, non solo i meno abbienti, ma tutti, alle decisioni di poteri invisibili, di cui il mondo occidentale è succube senza nemmeno accorgersene.
E questi poteri presentano ora i conti, che vanno nel senso contrario delle soluzioni, per la ragione che sarà la natura, sia quella del ritmo della vita umana, personale e sociale, sia quella dell’ambiente a dover pagare le bollette.
E ciò si traduce in inevitabili rotture dell’equilibrio dei prezzi dovuti alla globalizzazione, che si sente sempre più, tanto in Cina come in Europa, tanto nelle Americhe come in Africa.
E sarebbe solo l’inizio.

Perché la globalizzazione sta per presentare quei conti coperti delle crisi finanziarie e ambientali.
Tutto all’insegna di una devastazione continua della natura e di uno spreco infinito di risorse, che scatena il moto opposto: la lotta per il controllo delle aree della terra o dei mari dove si trovano le risorse essenziali e strategiche.
E dire che fino a ieri si attaccava il principio difeso dalla Chiesa della proprietà privata, finalizzato all‘autonomia e prosperità delle famiglie!
La garantita sicurezza nel benessere prospettata dalla globalizzazione si sta oggi trasmutando in acuta insicurezza personale, familiare e sociale, con la pesante aggravante del sospetto che sia crisi provocata a tavolino
dai centri segreti del potere internazionale, fautori dell’idea di alienare ogni ordine precedente a favore dell’utopico nuovo ordine mondiale.

L’alienazione nella sfera filosofica

In vista delle questioni sopra menzionate, che sono conseguenza di un decadente modo di pensare, ovvero del filosofare moderno, la caratteristica più evidente di quest’ultimo è di esser passato dalla visione centrata sulla realtà dell’essere, a quella vagante intorno a delle idee; da quanto è oggettivo al soggettivo, dall’ontologia all’idealismo.
Si è visto altrove questa tendenza nel pensiero anglosassone, ma principalmente con Emmanuele Kant e successori.
Ora, il primo, il pensiero fondato sulla filosofia dell’essere, è per definizione universale; si referisce ad una realtà che si può comprendere bene o male, ma trascende e precede l’osservatore; è uguale per tutti in ogni tempo.
Il secondo, lo si può anche chiamare trascendentale, ma dipende dal soggetto che lo esprime: è soggettivo e cambia secondo la visione e umore dell’osservatore.
Qui, riferendoci ad alienazioni, interessa sapere che valore si da a quei pensieri che hanno un senso universale perché ordinati al vero e al bene in ogni tempo e luogo.
Sono essi superiori a quelli di ogni epoca?
Inutile dire che, anche se la realtà si conosce nel particolare, essa non muta secondo visioni immanenti del soggetto che nel tempo della sua esistenza contingente la osserva; se la realtà della vita umana si traduce nell’esistenza di un corpo animato da un’anima spirituale, tale visione reale appare
in modo uguale a tutti; è un’esistenza riproponibile sempre, trascendente ogni condizione, conoscibile in modo universale.

Lo scientismo attuale, rappresentato dall’intelligenza di Galileo, Descartes, Einstein e altri, disconosce la saggezza a favore dell’esperienza.
Così, l’archetipo di intelligentone per ogni tempo, Einstein, si permette delle trovate nel campo della religione lodando il Buddhismo come la sola religione scientifica; ammette che ci dev’essere un Dio, ma impersonale.
Ma allora dovrebbe dimostrare cosa nell’universo è superiore alla «persona»; quale forma d’energia, di massa, di vento cosmico, o quant’altro, esista superiore alla sostanza individuale di natura razionale, insomma all’essere autonomo di dimensione divina che definisce la «persona».
Quindi l’Einstein-pensiero aliena la Persona divina a favore di qualche supernova impersonale e contingente!
In tal modo trionfano le elucubrazioni contrarie alla persona a scapito della verità sulla dignità umana, indispensabile per l’armoniosa convivenza terrena.

Oggi s’insegna a filosofare complicando all’infinito la differenza tra soggettivo e oggettivo, scambiata per la distinzione immanente-trascendente.
Eppure, poche nozioni sono così alla portata di tutti, lasciando chiaro che passare dal pensiero oggettivo al soggettivo è riduttivo, comporta una perdita dell’universale nella visione del reale.
Ma chi può voler mutilare la filosofia ordinata alla conoscenza con quest’alienazione filosofica, che prende sempre più piede nella storia del filosofare?
Solo chi censura la realtà della decadenza umana originale, insegnata dalla religione.
Non è forse questo lo scopo delle divagazioni filosofiche moderne che vedono la religione como oppio dei popoli?
Per queste, indagare sull’esistenza dell’anima spirituale, del fine ultimo dell’uomo e perciò un giudizio finale delle anime, temi esclusi dal campo investigativo dello scientismo, sarebbe alienante!
In verità, proprio il contrario è stato sempre creduto e considerato razionale dai popoli di ogni tempo e luogo.
Preoccuparsi con questioni che implicano a fondo le responsabilità personali, è l’esatto contrario dell’estraniarsi dalla vita pratica; è il fulcro d’ogni convivenza civile.
E perciò, la sana filosofia aveva in vista la conoscenza della natura dell’uomo, che è a un tempo materiale e spirituale, per ispirare una politica ordinata al bene sociale secondo questa natura «responsabile».
Infatti, solo la certezza di un giudizio finale divino può ristabilire la giustizia, tanto precaria e cieca in questo mondo; solo allora il rapporto misterioso tra talenti dati e fatti fruttare; tra il ricevere e il rispondere avrà senso in eterno, ma a partire del decorso della precaria vita terrena.
Può il filosofare determinante di politiche che sovrappongono l’ordine materiale a quello spirituale nella vita dell’uomo, falsando nelle coscienze il senso di responsabilità e di perfetto rendiconto finale, non essere l’emblema di una demenziale alienazione?

L’alienazione nella visione della storia

La questione di fondo per la visione moderna della storia era ed è il tentativo di sostituire la «presenza divina» con il progresso umano, anche se ciò comporta proiettare «il Cristo verso un punto omega della storia», come voleva quello strano prete che fu Teilhard de Chardin.
Comunque, fu la concezione agostiniana della storia a rispecchiare meglio la visione cattolica e quando essa fu attaccata dai liberi pensatori del deismo e dell’illuminismo, il vescovo Bossuet elaborò il suo «Discours sur l’histoire universelle», in forma di lezioni di storia al Delfino di Francia, per dimostrare il dominio della Divina Provvidenza sulle alterne vicende degli eventi umani.
Ma, da buon francese e a differenza di Sant’Agostino, Bossuet mette in rilievo le concatenazioni concrete dei fatti secondo cause ed effetti in una sequenza ascendente della storia centrata nel regno di Francia.
Contro tale visione della storia si è rivolta l’opera disgregatrice dell’illuminismo e filosofismo francese, da Voltaire fino a Comte, per restituire l’uomo alla sua libertà!
Ma il cristiano sa che: «Se la storia non avesse alcun significato, l’intera umanità, la presenza dell’uomo nel mondo, si ridurrebbe a un assurdo e vano agitarsi di larve; ma se la storia, come crediamo, ha un senso, allora è essa medesima linguaggio, è parola; e il suo significato non può identificarsi con lo stesso accadere e susseguirsi degli eventi» («Il Tempio del Cristianesimo», Attilio Mordini, Settecolori, 1979, pagina 9).
Il senso della storia è oggettivo e non dipende dal soggettivismo umano, tutto il resto è da riferirsi all’inesistente progresso filosofico moderno.
Esso serve in sostanza a dimostrare che, scartata la nozione cristiana della storia, gli autori girano e rigirano per arrivare solo alla negazione stessa di un senso della storia umana, con lo storicismo!
Secondo l’Enciclopedia Cattolica (pagine 1382 e seguenti) la concezione moderna della filosofia della storia «è una conquista del pensiero moderno in quanto ha rivendicato lo sviluppo della storia all’espansione della libertà dell’uomo, svincolato da ogni dipendenza esteriore (fisica o teologica).
L’avvento della filodofia della storia coincide quindi con la laicizzazione della cultura occidentale e ne segna le tappe con l’illuminismo, il romanticismo idealista e lo storicismo.
Da questa concezione moderna della storia è sorto un illuminismo teologico il cui contributo è dato specialmente da una critica alla storia biblica spogliata d’ogni carattere soprannaturale, la negazione del carattere storico della Risurrezione
di Cristo, e ogni potere taumaturgico e profetico del cristianesimo, nonché l’incommensurabilità assoluta fra storia e dogma, fra tempo ed eternità, che rientra nel problema umano di libertà di una ‘scelta’ di portata eterna... finisce per auspicare un cristianesimo etico, ma senza dogmi» (insomma un alienato modernismo).

Storia e storicismo

Così come nulla differisce di più dal pensiero cristiano che tale «lavorìo filosofico», intendendo per filosofico quello spirito che sussistendo in seno alla società cristiana, sistematicamente prescinde, quando non avversa, dall’ordine soprannaturale cristiano, parimenti nulla differisce più dal senso cristiano della storia che quello razionalista dello storicismo.
A questo proposito ci sono le ragioni del filosofo Karl Popper autore di «The Poverty of Historicism» (Harper, New York, 1964).
Senza confutare totalmente lo storicismo questo autore aveva in vista la nefasta influenza di quest’idea nella vita dei popoli attraverso il naturalismo e l’utopismo, matrici dell’inquinamento del dire:
«Ho dimostrato che, per ragioni strettamente logiche, ci è impossibile predire il corso futuro della storia».
Infatti la previsione di questo corso dipende da una conoscenza umana, il cui sviluppo a sua volta è incerto.
Popper pensiero operato dal marxismo e dal nazismo.
Como si vede, anche per via razionale si comprende che l’uomo non essendo l’autore di se stesso non può essere l’autore della storia universale. Se aliena l’idea dell’Autore, aliena la vera visione storica.
Allora la storia rimane solo come alibi per alcuni atei consolati della loro «eternità nella storia»!
      
L’alienazione nell’orizzonte della conoscenza

L’enigma appena esposto è legato alla ricerca della conoscenza.
Ora, è evidente che non vi è chi non cerchi di conoscere di più e meglio.
In questo senso, in rapporto alla conoscenza, sembrerebbe che tutti la pensino in modo uguale: tutti la cercano.
Ma ciò è vero soltanto quanto all’oggetto; falso quanto al modo.
In ogni tempo l’uomo fu cosciente che la scienza umana non può risolvere da sé le questioni sull’origine, stato attuale e fine ultimo dell’essere umano, che dovrebbe essere l’aspirazione massima della conoscenza per l’uomo.
Eppure, mai come oggi si diffonde l’idea che l’uomo possa farne a meno, o giungere alla conoscenza riguardante la sua vita, la sua società e il futuro con una sua scienza empirica.
Per rendere credibile tale idea di conoscenza di natura autonoma, tale metodo scientifico offre niente altro che ipotesi personali, svelando la sua estraneità al reale, ovvero una alienazione nell’ambito universale.
Adesso, nella scia dei sommi filosofi cristiani, vogliamo evocare, per rispondere alla triplice domanda sull’origine, stato terreno e fine ultimo dell’essere umano, l’analogia con la Trinità divina.
Il cristiano lo può fare, certo che alienare questa visione della Trascendenza, del Vero, del Buono e del Bello, significa alienare la Conoscenza stessa.
Infatti s‘è visto che, all’impossibilità di risposta del filosofare ateo o agnostico moderno a queste domande fondamentali sulla vita umana, il tutto si è risolto in un modo che dire miserabile è poco.
Eccolo: poiché non si può rispondere alla questione dell’origine e fine della vita umana, vuol dire che esso non si pone, anzi, nemmeno la questione sulla finalità o fine delle cose si pone e tanto meno come principi di causa sufficiente o di finalità.

Quindi le quattro cause aristoteliche e ogni teleologia va buttata a mare; all’uomo moderno deve bastare la conoscenza diretta che ha di ogni microbo, virus o larva che può trovare e vedere.
Il resto, l’origine, il senso e il fine della vita umana, dato che sono questioni che vanno oltre la ragione empirica, le si lascia alla curiosità morbosa di creduloni o ignoranti o superstiziosi.
Non riguarda la vita sociale!
Quanto a quello che trascende il pensiero, la questione andrebbe risolta attraverso lo studio delle funzioni sconosciute del cervello!
L’origine e fine di tali funzioni?
Niente, saranno prodotti di miliardi di anni di una continua evoluzione!
Ecco come è spesso liquidata la questione delle cause e degli effetti, vero metro per le intelligenze: non si pone!
A questo punto lasciamo questa «scienza» supina di fronte all’idea del «caso» e del «caos», per fare un salto verso un’armonia del conoscere che coinvolge sia l’anima che la mente.

Veniamo alla questione precisa che può sembrare oggi astratta ma riguarda in pieno il raggiungimento della conoscenza secondo la filosofia cristiana: i trascendentali Vero, Buono e Bello (verum, bonum, pulchrum).
Dato che l’obiettivo della conoscenza è la verità, quale può essere il principio dell’apprendimento se non l’amorevole sottomissione alla Verità?
Un rapporto stabilito in una dimensione «personale»: di attrazione e amore verso la conoscenza.
Nel De Trinitate della Summa, San Tommaso illustra la dottrina sulla bellezza, il cui splendore attira alla perfezione d’integrità e proporzione che appaga.
Che c’entra ciò con la conoscenza, chiederà lo scienziato moderno?
Ebbene, c’entra con la saggezza, da cui la conoscenza e la scienza umana sono ancille.
Ciò presenta una somiglianza analogica con la proprietà personale del Figlio, Verbo che ha in sé la natura del Padre in modo integrale e perfetto e suscita la caritas del Paraclito, lo Spirito Santo rivelato dal Padre e inviato in terra dal Figlio (Giovanni 24, 49), di modo che procede dal Padre e dal Figlio (a Patre Filioque procedit).
E’ la luce in cui sia Sant’Agostino che San Tommaso videro la conoscenza del Vero, del Buono e del Bello: riflesso nell’Amore della Santissima Trinità, origine d’ogni conoscenza.
Sarebbe astratto o, al contrario, vitale tale aspetto della questione umana?
Ebbene, poiché la conoscenza della verità non deriva da creative ipotesi personali, ma dalla partecipazione dell’uomo all’Essere, alla Causa, secondo gli elementi determinanti per ogni visione del reale, soggetta a sua volta agli altri trascendentali del verum, del bonum e del pulchrum, descritti dal res, unum, aliquid, basta prendere la nozione di verità una, da cui si ha anche l’unica, l’unio e la communio, per capire che senza unità e comunione nell’Essere non vi è alcuna valida conoscenza.
Gesù si è dichiarato Via, Verità e Vita; la Luce che dissipa le tenebre dell’ignoranza (2).
Al contrario, un processo di conoscenza, come quello del filosofo moderno, che intende prescindere dalle nozioni di verità integrale unica, che trascende il tempo e la volontà umana, è fallito in partenza, perché le cose create sono per forza idee del Creatore.
Quando la creatura Lo ignora, aliena non solo il vero delle cose, ma il bello che trascende i gusti a favore di una bellezza divenuta deperibile ritrovato umano!
E’ così che la conoscenza fondata sull’elevazione verso lo splendore della Verità passa, armi e bagagli, all’orrore della didattica ideata per sollecitare impulsi e istinti di ribellione.

Un esempio si può trovare nella pedagogia rivoluzionaria del brasiliano Paulo Freire che, a partire della campagna per alfabetizzare gli adulti in Brasile, ha fatto scuola nel mondo attuale.
In cosa consiste tale metodo?
Nell’attirare le menti alle questioni della vita sociale immediata in modo da stimolare reazioni finalizzate all’adesione ad una nuova politica.
Per evitare che qualcuno si «perda» nell’attesa di sublimi paradisi lontani, si suscitano aspetti crudi della dannata vita corrente che attirano perché toccano problematiche immediate, come sono le reazioni armate a governi e a padroni locali.
Allora sì, la parola «fucile» s’impara in un baleno e il «verbo sparare» assume un significato vivo, come sono indimenticabili le parolacce «proibite» imparate subito e per sempre dai vivaci ragazzini di ogni tempo.
Ma dal «volgare» che aiuta a conoscere l’alfabeto nel piano inferiore, non si passa senza sforzo al grande volo della conoscenza di se stessi e del mondo nel piano superiore.
Tale «sforzo virtuoso», tale elevazione dello spirito, va nel senso opposto a questo metodo, come la Liturgia tradizionale edifica l’anima nel senso opposto a quella nuova.
Questa banalizza il sacro con l’introduzione di una parola come «lavoro umano».
Quasi si volesse valorizzare la fatica dell’uomo nell’offerta del Sacrificio divino (confronta Malachia 1,10-13).
Roba da protesta, da rivendicazione delle trimurti sindacali!

L’alienazione nell’universo religioso

Per la religione cattolica il termine alienazione, come è stato fin qui definito, è fondamentale per descrive la prima e l’ultima fase della storia dell’essere umano spirituale, come Dio lo ha creato.
Tutto è cominciato con la Caduta, il peccato originale per cui Adamo ed Eva hanno alienato la Parola divina sul pericolo mortale di voler rapinare l’albero della conoscenza del bene e del male.
Lo hanno fatto sotto l’illusione ispirata dal nemico, del «fai-da-te» del bene e del male, per essere come dèi, che non sarebbero morti.
E d’allora si muore, e cominciò una storia di guerre e massacri.
E che dire del popolo eletto per ricevere il Salvatore dalla morte eterna, che Lo ha crocifisso e i cui capi hanno adottato come ideali le Sue tentazioni nel deserto, per poi passare dalla rivelazione della Torah alle idee del Talmud?
Non alienò così la sua elezione?
Ecco due chiavi della storia che finirà quando l’uomo, detto civilizzato, fiero delle sue enormi scoperte scientifiche in ogni campo tecnologico, si crederà autonomo, apostatando dalla fede in Dio Padre e respingendo la Rivelazione.
Può tale scelta non chiamarsi alienazione religiosa finale?
Così le alienazioni religiose sono una costante nella storia dell’uomo, perché figlie dell’ «alienazione madre» del Peccato originale, il fatto più scientificamente dimostrato in ogni campo, logico e psicologico.
Ma sarebbe troppo semplice e sommario pensare che l’uomo moderno possa arrivare all’alienazione diretta della Parola divina senza prima elaborare le sue trovate religiose nel senso di adattarla ad una super religione per tutti i gusti, che sarebbe per le credenze quello che l’ONU è per le nazioni: la tacita negazione internazionale dell’autorità di Dio.
Siamo così arrivati all’operazione ecumenista che rivendica la rappresentanza della parola e della volontà di Dio stesso, a servizio di idee nate nel segno del pacifismo religioso per un nuovo ordine mondiale. Il Cielo non vorrebbe più, né le divisione tra uomini a causa della fede, né i limiti angusti di una sola religione coi suoi dogmi, con la sua piccola morale e disciplina ecclesiastica; vorrebbe un cielo aperto ad ogni religiosità e sentimento spirituale del mondo moderno, aperto all’evoluzione globale, magari ad un demiurgo all’insegna di Cristo come punto omega della storia scritta dall’uomo, centro dell’universo.
Dunque molte religioni unite, con una religiosità fatta da sentimenti religiosi umanitari, una fede senza il «pregiudizio» d’essere una e unica religione di Dio.
Ecco il progresso che il mondo moderno avrebbe acquisito e ora deve estendere anche alla tardiva sfera religiosa.
Come giudicare tale idee e le iniziative religiose che suscita, come l’URI (United religions initiative)?
In fondo, ad esse si inneggiò anche dal Vaticano II e da capi conciliari, come Giovanni Paolo II.
Per giudicare tali iniziative ecumeniste si deve ritornare alle ragioni della fede cattolica insegnate dalla Chiesa, quindi alla filosofia perenne, che ordina il retto pensiero alla Verità una e unica, dell’unio e della communio, che ci trascende, e quando è accolta con amore ci redime.

Torniamo ai valori trascendentali Verum, Bonum, Pulchrum e ai suoi trascendentali ens, unum, res, aliquid.
Il «filosofo moderno», se vuole disgiungere il campo dell’essere, per cui omne ens est unum, verum, bonum, dalla Religione vera, deve per forza negare questi valori.
Solo allora l’unica religione dell’Essere sarebbe superabile da molte religioni con visioni diverse di vero, di buono, di bello, «secondo i bisogni dei tempi», delle misere elucubrazioni del modernismo ecumenista.
Dal punto di vista logico, pare inaudito che qualcuno possa immaginare che diverse nozioni di vero e di buono, anche contraddittorie, possano arricchire l’unica Verità e bontà rivelata dal Dio Uno e Trino, la cui natura, essenza, sostanza, riassume il Trascendente.
Insomma, che molte religioni, suscitate da diverse esperienze di religiosità umana, possano associarsi per erigere la super religione che supera quella rivelata che è, naturalmente, una ed unica.
Sarebbe questa più povera perché legata ad una ed unica verità?
Non rappresenterebbe tale idea omologante un’alienazione globale, civile e religiosa?
Eppure l’operazione ecumenista vuole superare il cattolicesimo col pluralismo religioso che implica il pluralismo della rivelazione; Dio avrebbe rivelato ad ogni religione una parola diversa, per una fede diversa in chiese diverse!
E oggi tutte queste potrebbero, in virtù del progresso dell’umana conoscenza, riunirsi per finalmente edificare un gran consiglio dove gli uomini saranno liberi di proclamare il bene e il male, secondo le proprie credenze religiose, anche in nome di Dio!
Ciò non significherebbe ritenersi come dèi, conoscendo da se stessi il bene e il male?
Sarà questa la chiusura storica del ciclo della grande alienazione, ma stavolta fatta in nome della religione universale e dell’autorità di Cristo, venuto proprio per redimerci da tale alienazione della Parola di Dio?
Il fatto storico certo è che dagli anni del Vaticano II, la vita della Chiesa cattolica fu rivoluzionata da cima a fondo in questo senso, con innovazioni conciliari ed ecumeniste inaudite e devastanti.
Non è tutto questo aspirare al mondo, questo mettere l’umanità sugli altari precisamente un volgersi via da Dio e rivolgersi alle creature, cioè precisamente una aversio a Deo et conversio ad creaturas, che è la definizione stessa del peccato?

La moltitudine dei chierici e fedeli nemmeno si rende conto di vivere una rottura senza precedenti, apocalittica, a cui aderirono festosi.
E il risultato è che oggi credere nell’esistenza di Dio, dell’anima, del giudizio, dell’Inferno e del Paradiso, è pensiero interamente e concordemente escluso dalle leggi di quasi tutti i popoli, detti civilizzati.
A questo pensiero è stato sovrapposto quello del diritto di godere al massimo in questo mondo poiché la vita eterna non è mai stata dimostrata nei laboratori.
Rimarrebbe perciò solo la certezza che ogni lasciata è persa; quindi carpe diem!
In tal modo fu alienato il pensiero del fine della vita spirituale umana, del fine dell’intelligenza e della volontà di conoscere e lodare il Vero, il Bene, il Bello, che è Dio.
Quanto all’alienazione ecumenista della fede: «in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo» (Papa Pio XI).
Ma se in quei giorni il Papa accusava la riunione delle «religioni cristiane» per giungere al bene di una nuova religione unita, ma falsa, che dire della riunione di Assisi del 1986, che riuniva le grandi religioni del mondo per giungere al bene di una pace aliena a Dio vero?
Non è siffatto tentativo la somma alienazione, quella «cattolica»?
Se ciò non è la somma alienazione, quella «cattolica»!
Ecco la Grande Apostasia vista dal Profeta Geremia: «Cose spaventose e strane sono successe in terra: i profeti profetavano menzogne e i sacerdoti li applaudivano con le loro mani; e il mio popolo ha amato queste cose. Che castigo non seguirà queste cose?» (Geremia 5, 30-31).

Volevano la prova tangibile di quest’alienazione storica?
Essa arriva al galoppo: è il degrado inarrestabile del livello della vita umana morale e mentale ovunque.
«Tolto ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell’abisso dal quale vide San Giovanni salire tal fumo, che oscurato ne rimase il sole, uscendone innumerabili locuste a disertare la terra» (Enciclica «Mirari vos», Gregorio XVI, 15/8/1832, contro il delirio delle libertà e dell’indifferentismo in materia di religione, cioè il delirio ecumenista).
E nella profonda crisi del mondo contemporaneo, in cui declina il senso del male, si smarrisce la capacità di avvertire la desolazione universale che incombe.
Si cercano i valori che dovrebbero reggere un ordine mondiale, ma non ci si accorge della scalata di nuovi mali travestiti da valori che, svincolati dai veri princìpi, sono locuste di sventure.
Intanto non ci sono più profeti o voci o poteri umani capaci di contenere disordini nazionali e massacri internazionali.
Quando Dio non c’è, tutto è permesso - e l’essere umano, ignaro del rapporto causa-effetto tra fede e ordine sociale è alienato dal Principio del bene e rende mendace il proprio discernimento tra bene e male; è irretito, volente o nolente, in un generale disordine morale d’ordine universale e metafisico.

Ecco gli estremi della dimostrata alienazione presente, che appare insolubile perché viene considerata progresso.
Al nominare «nuovo ordine» il disordine globale, si chiama male il bene dell’ordine cristiano e bene il male delle «irreversibili» alienazioni rivoluzionarie!
Perciò esse appaiono umanamente terminali.
Che il Signore abbia pietà di noi.


Arai Daniele



1) Citato in: Giovanni Giovannelli (a cura di), «Segui il denaro», Associazione Culturale Mimesis, 2003, pagina 15.
2) Enciclica «In praeclara», Papa Benedetto XV, 30.04.1921.


Home  >  Filosofia                                                                                            Back to top


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità