«Cristo non ci ha salvati» - Pagina 2
01 Gennaio 2008
Mi spiace non aver preso appunti, in altre faccende affaccendato mentre su RAI3 veniva intervistato Enzo Bianchi, il sedicente «abate» della comunità di Bose.
La trasmissione si chiama credo «uomini e profeti», e l'intervistatrice in ginocchio trattava Bianchi come fosse il vero Papa.
E' noto infatti che il laicismo corrente chiama Bianchi quando c'è da dar sulla voce a Benedetto XVI.
E lui si presta.
Esprime «disagio e sofferenza all'interno della Chiesa di Dio che è in Italia nei rapporti fra cristiani e società civile».
Si è lamentato che il Pontefice abbia parlato (in «Sacramentum Caritatis», e sortazione apostolica) di «valori non negoziabili» per i cristiani (1).
«Quante durezze in nome di 'valori non negoziabili' che fanno trasparire nello stesso linguaggio usato un approccio 'mercantile' ai fondamenti etici del bene comune!».
Per Bianchi, «Il fatto stesso che ci siano dei non credenti è una grazia che ricorda che la fede cristiana non è totalitaria, non è impositiva. La fede si colloca nel registro della libertà, non della necessità».
Com'è aperto, com'è tollerante e moderno, sospirano le signore, mica come il Papa che se la prende col relativismo.
Aperto, ma non verso tutti.
Bianchi.
Anzi, esige che «una parola ferma di contrasto venga rivolta non tanto a chi non crede o a chi crede a un altro Dio ma ai neospiritualismi, gli irrazionalismi e i sincretismi vari che testimoniano il rinato bisogno del sacro che si manifesta anche nella Chiesa», nella «sete di prodigioso, di miracolistico, di taumaturgico, di esperienze visionarie».
Insomma è aperto verso i laicisti, ma non verso i tradizionalisti cattolici, e anche verso i fedeli di padre Pio, i «miracolisti».
Lì, nessuna tolleranza.
La loro è una falsa religione.
Ma non è tutto.
In un suo testo cita un noto costituzionalista ebreo, Zagrebelsky, che ha detto a proposito di questo Papa conservatore: «Questo è un tempo triste per chi non possiede la verità e crede nel dialogo e nella libertà».
Bianchi va oltre: «Io aggiungerei che è un tempo triste anche per molti cattolici che certo non pensano di possedere la verità ma, pur mettendo la loro fede in Dio e in Gesù Cristo che lo ha narrato, sanno che la verità eccede sempre i credenti: questi la ricercano con una conoscenza sempre limitata, relativa, provvisoria, in attesa che si manifesti pienamente con la Venuta del Signore».
Peccato non aver preso appunti.
Perché a Rai3 Bianchi, trattando con sufficienza una Chiesa per lui troppo legalista, prescrittiva e imperativa, adombrava una Chiesa ulteriore, perfetta e tutta spirituale.
Per ora appunto i cattolici vivono in una conoscenza «limitata, relativa e provvisoria», ma altra sarà la verità che «si manifesterà pienamente alla venuta del Signore».
Nel futuro di cui «l'abate» è il profeta.
Niente più leggi, niente più costrizioni, niente più dogmi; solo l'Amore regnerà nella libertà.
Secondo me, queste frasi contengono una convinzione che non si dichiara apertamente, ma che rode all'interno: l'idea che la rivelazione di Gesù sia imperfetta e che debba essere perfezionata da un nuovo Inviato.
E' un'idea non nuova, che si situa nella linea di Giachino da Fiore.
Costui parlava di tre età.
All'Età del Padre, l'imperfetta religione ebraica, è succeduta l'età del Figlio.
Ma anch'essa è insufficiente: si attende l'età della Spirito Santo, quello che ci darà la legge perfetta dell'Amore.
La chiesa del Figlio (o di Pietro) sarà allora abolita, come Cristo abolì la fede in YHVH.
Non ci sarà più Chiesa.
E nemmeno leggi.
Le leggi, le norme e i comandamenti obbliganti valgono per i servi, non per i figli; e Cristo ci ha reso servi, non ancora figli.
Non so quanto consapevolmente Bianchi si situa nella linea della «posterità spirituale di Giachino da Fiore»; so che questa linea attrae vescovi e teologi.
E molti cattolici «aperti» e «adulti».
L'esposizione più esplicita di questa gnosi si trova in Massimo Cacciari, tanto spesso invitato a convegni ecclesiali.
Lo ritrovo en raccourci nell'intervista di Cacciari alla Stampa del 31 dicembre.
La Binetti «è la riduzione legalistico-eticista del cristianesimo».
La Chiesa si occupa troppo di «preservativi, omosessuali, anziché del dramma del nostro tempo: la morte di dio (minuscolo).
La Chiesa «copre il suo vero dramma. Dovrebbe spiegare che in termini teologici è venuto meno l'ordo amoris, e questo riguarda anche i laici, perché è venuta meno ogni gerarchia dei valori e degli amori. E' rimasto solo l'amore per l'equivalente di tutto: il denaro».
Non sembra il grido di un vero, spirituale credente, più credente della Binetti e dei miracolisti di Padre Pio?
Eppure qui è l'insidia: l'idea che la Chiesa va «superata», che sta per giungere il nuovo Salvatore, definitivo.
Quest'idea, Cacciari l'ha svolta compiutamente nel suo più importante saggio teologico, «Dell'Inizio», Adelphi 1990.
E' un tomo di quasi settecento pagine, e i cardinali sono sempre molto occupati.
E' un peccato: perché in quest'opera alta e complessa, sottile e a tratti oscura, troverebbero esposta - proprio come pistis cacciariana, l'insieme delle sue convinzioni teologiche - non solo un sapere esoterico interno al potente gruppo di cui Cacciari fa parte e perciò del massimo interesse politico- culturale, ma dottrine ricorrenti nei secoli, da cui la Chiesa deve averli messi in guardia fin da quando erano seminaristi.
Io ne ho parlato in alcuni articoli usciti nel 1996 su una mia rivista, «Il silenzio di Sparta», anno II, n. 2.
Ne riporto qui a puntate una parte.
Il mondo come caduta
Ecco dunque la dottrina cui Cacciari sembra aderire appassionatamente: «Essere creato è simultaneamente peccare […] ed è perciò che nell'uomo appena creato Dio punisce il peccare, ab initio» (pagina 515). E non solo: «La caduta degli Angeli è simultanea alla creazione, la catastrofe celeste è tutt'uno con la katabolé-ktisis [«caduta-separazione»] per cui qualcosa ex-siste» (516).
Forse i cardinali non lo sanno, ma Cacciari è troppo avvertito per non sapere, che questa asserzione costituisce quella che Samek Ludovici ha chiamato la tesi «prima e fondamentale» del pensiero gnostico: che «il mondo, e l'uomo nel mondo, sono frutto di una caduta, di una frattura; l'intera realtà in cui ci troviamo è una realtà d'esilio». (2)
Giovanni Paolo II ha ritenuto doveroso ricordare che questa tesi è contraria alla dottrina cattolica: «Per il cristianesimo non ha senso parlare del mondo come di un male 'radicale', perché all'inizio del suo cammino si trova Dio Creatore che ama la propria creatura» (3).
Così avvertiti, i cardinali che invitano e frequentano Cacciari potranno ammirarne il rigore con cui abbraccia l'altra grande tesi gnostica, intimamente connessa con quella: Dio ha creato il mondo e l'uomo (o più precisamente lo ha emanato) non per amore, ma per ignoranza. Il Dio di Cacciari è radicalmente inconscio.
Pagina 517: «La 'regio umbrae mortis' che abitiamo è immagine soltanto […] di quella tenebra in cui è Dio nei confronti di sé […]. Dio riflette la propria incatturabilità: non può vedersi. Ma nell'istante in cui così si 'riflette', egli crea l'immagine stessa della creatura, la sua immagine. Il sapersi come tenebra da parte di Dio (cioè: l'attingere al fondo della propria ignoranza) è l'uomo».
Nel niente la salvezza
Poiché la creazione intera è l'errore di un Dio oscuro a se stesso (ecco il cattivo Demiurgo gnostico) il «futuro Regno» promesso da Cristo «equivale al suo [dell'uomo] nientificarsi: la nuova creazione è in realtà de-creazione».
La dissoluzione come salvezza. Per Cacciari, perfetto plagiario di gnostici famosi, fu questo il senso autentico (esoterico) della Buona Novella di Gesù: «Sembrava citare Ezechiele, ma in realtà diceva: io sono la porta attraverso cui dovrete uscire dal recinto - voi mi seguirete fuori dall'ovile e questo sarà il vostro esodo vero» (p. 534).
In realtà, Gesù pone l'accento non sull'uscire, ma sull' entrare nell'ovile: «Io sono la Porta; chi entrerà attraverso dime sarà salvo» (Giov. 10,9).
Ma secondo la tradizione gnostica più rigorosa, Cacciari ha in mente soprattutto l'«esodo dal Nomos», ossia la Liberazione da ogni legge.
Il fatto è che le leggi sono il segno della nostra soggezione a un ordine, della nostra dipendenza.
Anche se accettate interiormente, dice Novalis, le leggi «non sono che le necessarie conseguenze di un'essenza incompiuta». Ecco perché ogni gnostico, come ha ricordato Samek Ludovici (4) è indotto a «un disprezzo profondo per il diritto e le forme istituzionali in genere, e per la legge morale in particolare».
E' lo stesso motivo per cui lo gnostico considera manchevole la promessa di Cristo, e vuole superarla con la dissoluzione di ogni forma: egli aspira a un potere totale di sé su di sé, senza alcun Signore o Legislatore sopra di sé. Evidentemente risuona nelle sue orecchie la sirena del serpente antico: «Voi sarete come dèi», e non tollera nulla di meno.
Egli vuole nientificarsi nel pleroma originario, dissolversi nell'apeiron primordiale, nel senza-limiti e nell'informe. (5)
Miseria di Cristo
Chi vuole questa smisurata liberazione, non sa che farsene della salvezza offerta da Cristo, che vede misera e incompleta.
E difatti Cacciari: «Come dobbiamo pensare l'Età del Figlio, se in essa durano Nicodemo e Pilato?» (p. 545), se Cristo non ha abolito la legge ebraica e lo jus romanum, la Legge sacra e quella civile, la Chiesa e i codici penali?
Gesù non ha riscattato l'uomo dalla «ontologica miseria della Legge per cui essa è sì contro il peccato, ma ne è sempre anche una sua conseguenza, per cui essa è costretta a ri-conoscere la presenza del peccato» (p.565).
Ciò equivale rimproverare a Cristo di non aver riscattato l'uomo dal dovere.
«Qui caritas è mandatum e cammino, non ancora riposo» (p.565), «l'agape dell'Età del Figlio è agape dell'ascolto, non ancora della visione».
L'accusa anzi è più grave. Anziché rivelare la sua salvezza come nientificazione-identificazione con il Nulla primordiale, Cristo l'ha rivelata come Incarnazione, e peggio come Resurrezione del Corpo.
E il suo Corpo risorto è «semplice vita», perfino capace di «mangiare», denuncia con scandalo Cacciari, vero spiritualista. Anche gli antichi gnostici, si sa, giudicavano abominevole il synolon anima-corpo, e la corporeità come quanto di più lontano dalla Liberazione.
Perciò alcuni di loro vietavano i matrimoni e la prole, la sessualità feconda (invece l'accettavano contra naturam) e praticavano suicidi rituali.
Cacciari insinua dunque che la caritas di Cristo «non è la Pace che davvero ama, ma la sua promessa soltanto» Cristo stesso ne sarebbe consapevole, e «ciò determina il carattere sofferente e paziente che essa ancora rivela» (p.567): quando infatti dice «Amatevi come Lui vi ha amato […] afferma, al presente, l'impossibile. La pienezza del comandamento è oltre ogni misura di quanto è realizzabile in questa Età» (p.568).
Soprattutto, il Figlio ha detto che «nessuno, nel Presente, può dirsi buono», che non possono esservi in esso (nel nostro aldiquà) dei 'tleioi' [ossia gnosticamente «perfetti»].
E ciò tanto «radicalmente, che neppure il Figlio chiama se stesso «buono» (p.576).
Insomma, conclude Cacciari: ciò che Cristo ci ha lasciato è «una fede radicalmente 'infirma' [….] la fede di chi non è 'giusto'».
La stessa Parola di Gesù rimanderebbe dunque ad una rivelazione ulteriore, definitiva e perfetta, che Cacciari chiama «il tempo dell'Ultimo» (p.568).
Tempo escatologico, di apocalisse-rivelazione, di cui Gesù non è che l'annunciatore: «perché il vero scandalo […] è […] che l'apocalisse del Figlio non abbia assunto in sé […] l'apocalisse dei figli» (p.621): ossia che non ci abbia rivelati a noi stessi «nella nostra natura di figli», ossia di non più soggetti alla Legge morale.
Gesù dunque non ci ha salvati. Dobbiamo aspettare un altro, ultimo Liberatore.
(Qui finisce la prima parte. Il tema è complesso, converrà che i lettori interessati si stampino questo testo, troppo difficile da leggere sul video. La prossima puntata riguarderà la natura del «Liberatore» che Cacciari ci annuncia).
1) «Il culto gradito a Dio non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici…».
2) Emanuele Samek Lodovici, «Metamofrosi della gnosi». Milano 1991, pagina 8.
3) Giovanni Paolo II, «Varcare la soglia della speranza», Milano 1994, p.98.
4) Emanuele Samek Lodovici scrive che dal disprezzo del diritto – tipico degli gnostici – «deriva un dualismo sociologico» assai interessante: «da una parte coloro, gli illuminati, che possono compiere indenni ogni esperienza, anche aberrante;dall'altra gli altri uomini, che sono tenuti ad una regola di vita precisa». Anche nella nostra società, i laicisti si considerano liberi di provare ogni esperienza, ma vietano ai cattolici anche di votare contro l'aborto in obbedienza alla loro coscienza. Essi promuovono la trasgressione infinita, ma guai se un credente critica le «leggi dello Stato». La legislazione vigente è permissiva per l'omicidio e depenalizza ogni trasgressione, ma impone un tabù penale su certe cose: la Shoah, gli omosessuali….
5) Emanuele Samek Lodovici, opera citata, p. 10 nota.Per significare la tensione verso l'informe e la perdita del limite, le sette gnostiche adottarono la sessualità aberrante come tecnica ascteca: «Attraverso l'unione erotica si elimina la sofferenza e la finitezza. I soggetti si riassorbono in un omogeneo universale e disintegrandosi perdono la loro individualità». S'intende che il sesso doveva essere infruttuoso, contra naturam, perché dare esistenza è male.
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