|
|
|
|
... E Goldman Sachs torna in Grecia
14 Aprile 2014
Il Governo greco è «tornato sui mercati», ossia ha offerto in vendita i suoi BTP a 5 anni, e i «mercati» si sono buttati a comprare; si sono strappati di mano l’un l’altro i buoni di debito pubblico ellenico al 4.75% . Atene ne ha chiesti 3 miliardi, e tutti volevano dargliene 20: «Un trionfo», ha scritto la BBC. I compratori sono Goldman Sachs e fondi speculativi vari (hedge funds). I media, su istruzioni di Berlino, dicono che questa è la prova che l’economia greca sta risalendo la china, che c’è una ripresina... (1). Ripresa? Guardatevi la tabella qui sotto: l’andamento del Pil greco. E ciò, con disoccupazione al 27% (59% fra i giovani), e un debito pubblico che è ancora al 178%.
Perché Goldman Sachs & Complici investano sul debito pubblico di un Paese in macerie e senza prospettive di rinascita, i giornali non lo dicono chiaro. Il motivo è quello evidente: cosa c’è in giro nel mondo che renda quasi il 5% a chi ha troppo denaro (stampato dalla FED) e non sa come investirlo? C’è un oceano di liquidità, ma nessuno la chiede, perché c’è la recessione mondiale, i consumi calano in tutt’Europa e nell’Est, i BRICS sono in declino e tirano i remi in barca, in Cina si aspetta l’esplosione di una o un’altra delle immense bolle create dalla «crescita» drogata da credito facile. Nessuno offre interessi grassi per indebitarsi e investire (o consumare). Goldman Sachs lo sa benissimo. Successe anche tanti anni fa, quando l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro per «stabilizzarla» – come le chiedevano i creditori, che volevano interessi in moneta forte – e si dissanguò, offrendo tassi d’interesse semplicemente insostenibili. Alla fine Buenos Aires rinunciò, si sganciò dal dollaro, svalutò la moneta, e cessò di pagare il debito, non solo gli interessi, ma anche il capitale. Pensate che Goldman Sachs e complici ci abbiano perso? Così raccontavano i loro media, specie il Wall Street Journal, strillando nei commenti di prima pagina; commossa dagli strilli degli investitori presuntamente rovinati, Anne Krueger (così si chiamava allora la capessa del Fondo Monetario Internazionale) minacciava l’Argentina di «gravissime conseguenze» se non riprendeva a pagare il debito. Però, in un articoletto a parte, di quelli tecnici, che leggono solo gli operatori, il WSJ si rincresceva: l’Argentina «è stata una delle poche opzioni di investimento con buon rendimento nel 2002», confessava. Avevano fatto un sacco di soldi a Wall Street, prestando allo stato sudamericano all’8%. Del resto, sono pronti a spiegarvi alla Bocconi, gli investitori esigono interessi così alti per compensare il rischio-Paese. Ah sì..., giusto: i capitalisti «rischiano», hanno gli spiriti animali, sono capitano coraggiosi... Difatti l’Argentina ha fatto default, e c’è chi è rimasto con i bond argentini in mano ormai carta straccia. Sì, è vero: ci sono rimaste vedove e vecchiette italiane, ingannate dalle banche italiote. Goldman Sachs e JP Morgan s’erano sbarazzate del «rischio» in tempo, sbolognandolo alle vecchiette, alle vedove e agli orfani. Come mai? Superiore sagacia finanziaria? Intelligenze strategiche eccezionali, là a Goldman Sachs? Macché. Come diranno altri articoli rivolti ai tecnici, il FMI aveva avuto il merito di «far procedere il collasso al rallentatore», dando all’Argentina nuovi prestiti-ponte anche quando ormai era chiaro che era prossima al fallimento. Insomma: se l’Argentina avesse fatto default subito e d’improvviso, Goldman e Morgan ci avrebbero davvero lasciato le penne; ma Buenos Aires si lasciò convincere a prolungare la propria agonia accettando i celebri «aiuti del Fondo Monetario»: centinaia di milioni di dollari che nemmeno entravano in Argentina – andavano direttamente ai creditori, a Wall Street – e su cui il Paese debitore doveva pagare altri (ed alti) interessi. In compenso, lo Stato indebitato deve applicare le «ricette di risanamento del FMI»: austerità, taglio delle paghe, smantellamento delle spese sociali — tutto deve andare a pagare il debito. Il prolungamento dell’agonia di un Paese fu il «rallentatore» che consentì a Goldman e Morgan di sbolognare ad altri il debito. «Alti rendimenti e non c’è rischio, non vedete che è intervenuto il FMI? L’Argentina, sotto le sue cure, si sta risanando...». È così che funziona la finanza globale. È da qui che trae i suoi profitti. È così che l’1% ha risucchiato tutta la ricchezza prodotta dal restante 99%, lasciando al 99% le ossa spolpate. Quello della Grecia è un caso di scuola: un Paese ridotto alla fame, con un terzo di cittadini senza lavoro, pagherà a Goldman Sachs & Co. interessi del 5% per cinque anni. Non ci sono in giro molte occasioni di “investimento” così succose, e se le sono accaparrate lorsignori. Il rischio? Niente paura, la BCE sorveglia, darà «aiuti», prestiti-ponte, farà in modo che la Grecia paghi tutto. E altrimenti, ci sarà un «bailout», e pagheranno i contribuenti europei. La BCE ha già un colossale “Fondo Salva-Stati” a cui noi italiani contribuiamo per 125 miliardi in 5 anni (tanto, nuotiamo nei miliardi in patria). Se fossero onesti, lo chiamerebbero “Fondo Salva-Goldman”. Del resto, c’è un ex dirigente Goldman alla BCE, quindi stanno sicuri. È il sistema per cui i poveri già alla fame sono messi alla catena per fare arricchire gli straricchi. Qui, con un effetto maligno in più: che queste iniezioni di liquidità duramente pagate, non servono ad alimentare investimenti nell’economia reale, né dunque ad innescare una qualunque ripresa in Grecia. Sono 3 miliardi che Atene prende per la spesa pubblica, sono buoni del Tesoro garantiti. Anche in questo senso la finanza globale non corre alcun rischio. Da quei 3 miliardi non nascerà un solo albergo nuovo nelle incantevoli isole, non un ristoratore, non un imprenditore ellenico ne trarrà beneficio per ampliare la sua attività e mettersi, poniamo, ad esportare. Lascerà il povero Paese più povero di prima. È un investimento assolutamente sterile e garantito dallo Stato e dalla BCE: i preferiti, come rischio, dalla speculazione mondiale. Dai capitani coraggiosi che hanno nel sangue il piacere del rischio... Titoli di Stato. Eccolo, il loro coraggio. Sui media vi spiegano: Atene ha raggiunto l’avanzo primario, il suo deficit è mutato in attivo: esporta di più e importa di meno. In realtà, non esporta nulla. Soltanto importa di meno, e per forza: con 27% di disoccupati che non possono permettersi di spendere niente; con il Pil crollato del 26% (significa la paralisi dell’economia reale), le aziende greche non importano materie prime né merci di nessun genere. Non è difficile ottenere questo bel risultato di tagliare il deficit commerciale Ciò però significa che se appena ci fosse davvero una vera ripresina, con un assorbimento anche minimo di quella immane disoccupazione, il deficit greco risalirebbe alle stelle. E questa è un’altra caratteristica del capitalismo terminale: è capace di leggere gli indicatori negativi, anzi, tragici come segnali positivi (ciò fa salire le quotazioni nelle Borse). È come se il medico dicesse: « Il paziente è morto. Ottimo, è la migliore prevenzione dal cancro». E da ogni altra malattia, se è per questo. «La Grecia è stata sacrificata alla causa dell’euro come i 300 spartani alle Termopili», scrive Evans Pritchard, ed elenca: «Le politiche imposte ai greci violavano le stesse regole del FMI e non avevano senso: servivano solo a comprare tempo all’eurozona per scongiurare il contagio» di un default immediato». «I costi stimati dell’austerity imposta erano totalmente sbagliati: l’effetto demoltiplicatore non era 0,5% come dissero le autorità UE, ma 2,0»: errore compiuto – vi piacerà saperlo – dal competentissimo tecnico Pier Carlo Padoan, adesso Ministro delle Finanze italiano». «Hanno continuamente incolpati il Governo greco di non fare abbastanza rapidamente le privatizzazioni, quando gli era impossibile vendere qualunque attivo, dato il collasso del mercato mobiliare e immobiliare, mentre Olande, Germania, Austria e Finlandia dicevano ad alta voce che bisognava espellere la Grecia dall’euro». «Hanno continuato ad accusare i greci di non centrare i targets di deficit, quando la causa prima era il taglio del bilancio pubblico imposto dell’Europa, tagli da terra bruciata, pro-ciclici, ferocissimi che hanno causato il collasso del gettito fiscale». «La Grecia sarebbe uscita meglio e senza devastare una generazione, se avesse abbandonato l’euro immediatamente», conclude Evans-Pritchard. Il Paese non è in ripresa, e non lo sarà: col debito al 178% del Pil, e impossibilitato a svalutare o inflazionare, bloccato dall’austerità ad un qualunque rilancio, è votato al default di nuovo — dopo altri anni di trattamento criminale dei suoi cittadini, qualcosa che ha già varcato i limiti del crimine contro l’umanità. «Gli hedge funds che hanno comprato il debito credono che saranno abbastanza agili da prevedere l’arrivo della bufera in tempo per scaricare i loro bond greci a qualche fondo-pensione addormentato, tipo il mio e il vostro», scrive l’inglese veritiero. E anche voi, non credete che si tratti dei greci. De te fabula narratur, italiota.
1) Degno di nota l’elenco dei «consulenti» che il Governo greco ha dovuto assoldare (e pagare) per esitare sui mercati i suoi bond: Bank of America Merrill Lynch, Deutsche Bank, Goldman Sachs International, HSBC, JP Morgan e Morgan Stanley. Insomma la vecchia banda che l’ha rovinata. Ineffabile il ritorno di Deutsche Bank.
|
L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright. |
|
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento
|
|
|
|
|
Libreria Ritorno al Reale
EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.
|
|
|
|
|
|
Servizi online EFFEDIEFFE.com
|
Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com
|
Contatta EFFEDIEFFE : Come raggiungerci e come contattarci per telefono e email.
|
RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds
|
|
|
|
|
|
Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità
|
|
|