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I due falliti politici. Anzi, tre.
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«Nessuno dei sei referendum proposti dai radicali, e sostenuti dal Pdl, ha ottenuto le 500 mila firme necessarie», ha detto l’altra sera il telegiornale. E ha mostrato le immagini di qualche mese fa – credo fosse a fine agosto: il Cavaliere col parrucchino dipinto sul cranio seduto al banchetto con a fianco Pannella, il decrepito in coda di cavallo di vituperosa canizie, che anche lì parlava e parlava, sovrastando con la sua irrefrenabile logorrea il suo «amico», gongolante del suo calcolo astutissimo: «Adesso arriva questo, e mi porta un mare di firme dei suoi elettori». Macché. Nemmeno il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, il più «berlusconiano», ha superato le 420 mila firme.

Che falliti. Se sarà fondata un giorno un’alta scuola di metodo politico, bisognerà mostrare agli studenti queste immagini due pirlaccioni, come esempio di inconcludenza comica e tragica. Di nullità politiche. Berlusconi ha avuto quindici o vent’anni di potere legale, datogli dagli italiani con maggioranze schiaccianti; ha creato governi suoi, questo «uomo del fare», per cambiare le leggi per rimettere in linea con la civiltà la magistratura italiana e, allo stesso tempo, salvare se stesso: ebbene, s’è ridotto ad aggrapparsi ai referendum pannelliani tre mesi fa quando ormai aveva sul collo il fiato dell’interdizione e della decadenza da senatore. E non è stato nemmeno capace di mobilitare il suo fantasmagorico esercito di fedelissimi per firmare i referendum di Pannella che, da sé ormai da decenni non riesce a raccogliere le firme (eppure insiste, insiste...)



Mi par di ricordare, anzi, che anni fa, quando per l’ennesima volta i radicali lanciarono i soliti referendum, Berlusconi disse ai suoi elettori: «Non andate a votare. Le riforme le faremo noi perché è giusto intervenire sulla legge elettorale, sulla responsabilità civile dei magistrati, sulla separazione delle carriere, sul finanziamento pubblico dei partiti, è giusto tutto. Ci penso io: appena prendo la maggioranza, queste riforme le farò io». Ovviamente, mandato al governo dalla schiacciante maggioranza degli italiani, nulla ha fatto. Gliel’ha sempre impedito Fini, Bossi, qualcun altro, mai lui.

Eppure era quello il momento di saltare sul carro dei referendum, allora sì avrebbe convogliato milioni di voti, e allora sì, ai magistrati in rivolta sediziosa e al Quirinale e ai partiti delle Caste, avrebbe potuto rispondere: «Non faccio che dare attuazione alla volontà popolare espressa con legittimo referendum».

Un giorno, nell’alta scuola di politica che ho in mente, si dovrebbe studiare il caso come esempio di occasione perduta nel modo più stupido, di insipienza politica imperdonabile; e studiare come in questo fallimento entrassero, a pari dosi, la bassa furbizia e la disonestà. Infatti, perché Berlusconi silurò allora quei referendum (che avrebbero salvato anche lui) e disse «le riforme le faccio io»? Per avere margini di manovra nel negoziare le «riforme», con la magistratura militante, col PD, un po’ di do ut des, qualche vantaggio ben modulato per sé in cambio di qualche modulato potere d’arbitrio ai giudici... insomma lo stesso tipo di «difesa» che nelle aule giudiziarie ha tentato, scegliendosi avvocati come Ghedini: avvocati da ladri di polli, invece che da statista in lotta contro l’Ingiustizia. Magari, trattando – gli avrà detto Ghedini – si può trovare una via d’uscita, oppure: tiriamo in lungo che arriva la prescrizione. Ma non è colpa di Ghedini, è colpa di chi se l’è scelto come difensore. Facendolo pure votare dagli italiani.

Disonesto, e insieme incapace nell’attuazione dei suoi disonesti propositi: c’è qualcosa di peggio, che un disonesto fallito in disonestà? L’ultimo Berlusconi s’è ridotto ad implorare a Napolitano una qualche grazia per sé, un salvacondotto che non è legalmente nemmeno possibile: mettendosi in mano a un avversario politico storico, molto più sagace ed esperto di lui. dopo aver tuonato per decenni, e raccolto voti «contro i comunisti», andreste a piatire la salvezza vostra a quello là? Senza aver nulla da dare in cambio? Veramente aveva dato tutto, aveva consegnato a lui tutte le carte che ancora aveva in mano: Berlusconi s’è spogliato del potere che il popolo gli aveva dato, ha accettato di fare la politica dettata dalla Merkel, dalla Bce, appoggiare Monti e poi Letta, tutto tutto, basta che mi salviate...e non s’è salvato. Per forza. E alla fine: «Napolitano mi dia la grazia senza che io debba chiederla»: roba da ricovero al neurodeliri. L’unica salvezza, la seminfermità mentale.

Il vero problema è: come mai in Italia l’elettorato fa emergere e dà forza a fenomeni di insipienza, e di squilibrio, di queste dimensioni? Bisognerebbe fare lezioni di ABC politico fin dalle elementari forse, per insegnare all’elettorato a riconoscere i sintomi della inconcludenza del politico a cui danno voti, sprecandovi entusiasmo e forza sociale.

Come sapete, la statura del politico si manifesta nella sua capacità di «cogliere il kairos», nell’intuire il passaggio dell’occasione irripetibile, e saltarci sopra, con audacia, magari rovesciando la sorte. Tipico caso, il Putin di questi ultimi mesi: ha sventato l’attacco occidentale alla Siria, ha rovesciato il proprio isolamento in cui lo volevano cacciare in centralità... è evidente che sotto questo aspetto Berlusconi è un nano, anzi un microbo. Ha avuto vent’anni per «realizzare», e le occasioni le ha perse tutte. Troppo occupato a formare corpi di ballo di coscelunghe invece che un partito politico... illusionista che crede alle proprie illusioni.

Adesso, rivederlo nel video di agosto o settembre, ridotto a firmare gli ennesimi referendum pannelliani come un qualunque militante, ha consentito di misurare fino a quanto fosse caduto in basso: errore estremo, l’inconcludenza patetica, l’esibizione della propria impotenza. Solo preoccupato di sé, incapace di pensare altro che i casi suoi, vuole che lo eleggiamo ancora e ancora, non è capace nemmeno di fingere di avere un programma per il paese, ripete ossessivamente cose tipo: «Non possiamo stare al governo con il partito che ti caccia dal Senato». S’è sconfitto da sé già una volta, e adesso ci ritenta. È la caricatura di Napoleone: fuggito dall’Elba per andare a Waterloo, e quindi, a Sant’Elena. Ma non sprechiamo paragoni grandiosi: quando la storia si ripete è sì in forza di farsa, ma qui simo al disotto del varietà. Poveretto, qualcuno lo porti via.

Ciò dovrebbe valere anche per Marco Pannella. Strani questi radicali, così trasgressivi e anti-conformisti, pronti alle più ardite «libertà»... e si tengono il loro quasi novantenne guru, cattivo ed egoista, anche lui con problemi mentali da Ego-latria, che da mezzo secolo li ha portati da una sconfitta all’altra. Come i Berlusconiani che non esistono più senza Berlusconi, così i radicali senza Pannella.

La vicinanza fra i due falliti al banchetto delle firme (fallite), ha fatto saltare all’occhio le più imbarazzanti somiglianze. L’assenza di principii, per esempio, creduti un ostacolo al successo, un peso da cui svincolarsi per essere più agili, – e che invece sono la causa della disfatta. Ambedue si si sono strumentalizzati: Pannella s’è illuso di strumentalizzare Berlusconi, e questo il Pannella, con un risultato pari: zero. Sono riusciti solo ad apparire quello che sono: dei vecchi parassiti. Parassiti l’uno dell’altro, e parassiti di tutti noi, vecchi noiosi e ripetitivi parassiti che se ti abbrancano ti attaccano un bottone sulle loro disgrazie, sulla magistrata che lo vuole morto, l’altro sullo stato criminale che lo emargina e non gli lascia l’accesso al fantasmagorico elettorato radicale, i milioni e milioni di italiani che sono lì pronti a votarlo, se solo potesse rompergli le orecchie per altre sei, sette ore di logorrea… È quel che Pannella fa da Radio Radicale, ormai presenza imbarazzante, però inamovibile. Lì, senza che nessuno osi portarlo via, Pannella si chiede ossessivamente: come mai gli italiani che hanno votato i referendum su divorzio, aborto, maggioritario, responsabilità civile dei magistrati nel ’92 , non votano in massa i radicali? Si dovrebbe guardare allo specchio: ecco per colpa di chi non votano radicale. Intendiamoci, gli italioti sono massicciamente per il divorzio, le libertà sessuali, persino l’eutanasia: ma ciò che non sopportano è proprio avere tutto questo in un colpo solo, con l’aggiunta della dittatura ideologico-teologica del Demente. Hanno paura, se vitano Pannella, che quello occupi per decine di ore tutte le tv e non si possa più guardare la partita, Striscia la Notizia o Crozza.

Nell’alta scuola che ho in mente, si spiegherà agli studenti in cosa consiste l’errore che ha fatto di Pannella un fallito: il massimalismo idiota e totalitario. Pretendere da tutti che accettino l’intro programma totale di Pannella in blocco, con sei, anzi 12, anzi 24 referendum a raffica: aborto ma anche amnistia e svuotamento delle carceri, poniamo. Cose giuste come la disciplina della magistratura insieme a paturnie come droga libera, e varie altre indecenze. Il popolo italiano accetta le indecenze, ma a gradi, a poco a poco, in modo da non doversi confessare: come sono indecente! Pannella non l’ha capito. Ed ha continuato a fallire per mezzo secolo, ferreamente obbedito dalla sua piccola schiera di fedelissimi fallitissimi.

In realtà, ha avuto un incontro fortuito col «kairos», una volta. È stato appunto nel ’92, quando i referendum radicali – responsabilità civile dei magistrati, no al finanziamento pubblico dei partiti, né soldi ai sindacati, elezioni col maggioritario – sono stati approvati dall’80-90% degli italiani. Un successo mai visto. Maggioranze cos ì massicce avevano spaccato i partiti, primo fra tutti il Pci (o come si chiamava) che aveva ordinati ai trinariciuti di non andare al voto...macché, erano andati. E avevano votato come il Partito non voleva. Effettivamente, un trionfo.

Ma un trionfo per Pannella? È stato appunto questo il suo errore: credere di essere l’autore del trionfo. Invece, era solo il «kairos» che passava proprio allora – era Tangentopoli, c’era stato il caso Tortora, la gente era in stato di revulsione contro i politici, e allora aveva ancora qualche illusione di poter cambiare le cose – e i radicali si facevano portare dall’onda come i surfisti. Invece, Pannella ha creduto di essere lui, il «kairos». «Sono io colui che aspettavate! Votate me! Altri settanta referendum!...».

O forse no, non è nemmeno così. Forse Pannella ha sempre voluto un partito piccolissimo, fatto di fanatici devoti, perché di un partito grande non sarebbe rimasto leader assoluto e delirante, come lui in fondo voleva. Quando si ammalò di cuore, e cessò per mesi di distruggere le balle di tutti, lasciandosi fuggire la persa sulla setta, la Bonino lo sostituì è portò il partito a 9 per cento; immediatamente riavutosi, Marco l’ha riportato al 2%, ovviamente con sforzi titanici e occupazioni deliranti di Radio radicale, che noi gli paghiamo come contribuenti.

In fondo, a ben pensarci, Berlusconi e Pannella si somigliano anche nella lubricità. Entrambi sono in politica per godere sessualmente. Berlusconi per farsi le ballerine e p.pinare di cui poi ha riempito il partito, facendole anche ministre. Pannella per avvicinare, sedurre e affascinare giovinotti a cui ha promesso via via carriere politiche fantastiche. Per qualche mese se li teneva vicini, li faceva adorare dal suo partito di fanatici e fanatiche zitelle, li usava per qualche orgasmo e poi li lasciava cadere, e passava ad un altro Gitone. Io credo che, tutto sommato, né al Cavaliere né all’orribile decrepito in coda di cavallo importi nulla dell’Italia, è tutta una scusa per cuccare. Spero per loro che sia cos ì, altrimenti non sono che questo: due falliti.

Devo correggermi: tre falliti. Apprendo mentre scrivo che Bossi si è davvero voluto presentare alle primarie della Lega, perché «voglio riprendermi il partito distrutto da Maroni» : fatto appello ai fedelissimi, che credeva fossero tanti, ha raccolto mille firme. Il suo avversario Matteo Salvini, quattro volte di più. A proposito di «kairos», e di come il politico vero è quello che lo sa afferrare, e quello falso che crede di vederlo arrivare… ma invece era un TIR.

Portateli via, per favore. Hanno avuto tutti la loro occasione. Basta, pietà. E la vera domanda resta: com’è che noi italiani produciamo a catena politici così? Che manco capiscono l’ABC?



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