Presentazione della vita s. Tommaso
Vita e opere
Per capire meglio il pensiero di S. Tommaso d’Aquino[1] è molto utile conoscere anche la sua vita. Infatti l’Angelico stesso insegnava: “agere sequitur esse et modus agendi sequitur modum essendi / si agisce come si è e il modo di agire segue il modo di essere”. In breve, si pensa come si vive.
L’Editore EFFEDIEFFE ha appena pubblicato (settembre 2015) Breve vita di San Tommaso d’Aquino per capire meglio la sua dottrina di Curzio Nitoglia[2].
La personalità di S. Tommaso
La personalità dell’Angelico è quella di “un uomo superiore, signore di razza, fine e vigoroso nell’intelletto, profondamente buono di animo, cordiale nel tratto, umanissimo nella conversazione, giovanile nell’aspetto, lineare nel pensiero inflessibile nel rigore logico, ma sempre superiore alle schermaglie puramente dialettiche, serenamente pacifico nel possesso e nell’affermazione della verità” (R. Spiazzi, San Tommaso d’Aquino. Biografia documentata, III ed., 1995, p. 7).
L’equilibrio fatto persona
Nulla di fanatico si trova in lui, mai un entusiasmo esagerato per una persona o un’opinione, mai espressioni violente, acide ed eccessive, nessuna adesione incondizionata all’insegnamento degli uomini, nessun spirito di antagonismo, di contrasto e di contesa personale, che porta a non voler capire un argomento perché sostenuto da persone non simpatiche: “Timeo homo unius libri / temo l’uomo che è discepolo incondizionato di un solo libro, di una sola tesi o di un solo autore”. Certamente la vis polemica tommasiana era forte, ma non arrivava al furore e all’isterismo “teologico”, che offuscano la ragione e macchiano la vera Fede e la sana Teologia, come l’ira smodata e l’agitazione collerica. In breve fra Tommaso chiamato “pugilis Fidei / il pugile della Fede” ci aiuta a fuggire lo spirito settario tanto diffuso specialmente oggi in nome della tolleranza, della libertà d’opinione, del dialogo (Guglielmo di Tocco, Historia Beati Thomae de Aquino, Tolosa, 1911 - Saint-Maximin, 1934-1937, cap. XXI, p. 62). Se S. Tommaso ha dovuto correggere qualche autorità cristiana (specialmente qualche teoria ancora non pienamente sistematizzata dei Padri ecclesiastici) lo ha fatto interpretando reverenter la loro opinione o dissentendo educatamente o facendo dir loro correttamente (specialmente a S. Agostino) ciò che non avevano detto in maniera corretta.
La notevole salute psicofisica, la solidità del sistema nervoso, l’eccezionale resistenza al lavoro e il temperamento forte e virile di fra Tommaso erano un buon presupposto e fondamento per la grazia infusa da Dio nella sua anima (R. Spiazzi, cit., p. 164) poiché come egli stesso insegna, “gratia non tollit naturam sed praesupponit et perficit eam / la grazia non distrugge la natura, ma la presuppone e la perfeziona” (S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2).
La grazia perfeziona la natura
Il suo equilibrio naturale è stato perfezionato dalle virtù acquisite e infuse senza le quali non si attua una vera personalità (S. Th., I-II, q. 55, aa. 3-4). Nella sua personalità, come traspare dalla sua vita e dalla sua dottrina, non si trova nessun segno di squilibrio psicofisico, la padronanza di sé è maestra in fra Tommaso, altresì l’autocontrollo, la libertà da ogni ossessione pseudo/religiosa. Egli è l’anti-freudismo incarnato.
Il suo modo di argomentare e di scrivere
Nel suo modo di scrivere si nota la semplicità, la profondità, l’ordine, la logica, la mancanza di doppiezze e di contraddizioni. Se doveva insorgere contro l’errore lo faceva energicamente ma senza mai umiliare, ferire o deridere l’avversario, che pur combatteva come errante e per cui pregava come uomo suscettibile di Redenzione. Egli non distingueva tanto l’errore dall’errante, poiché senza errante non vi è errore (“actiones et passiones sunt suppositorum” / le azioni sono delle persone), ma nell’errante distingueva l’uomo in quanto aderisce all’errore o in quanto errante (che va combattuto) e l’uomo che, in quanto uomo, è capace di conversione, di correzione e di ritrovare la verità e perciò va amato e per cui bisogna pregare e far penitenza. Non ingigantiva ingiustamente gli errori altrui, ma li vedeva per come erano e li combatteva con tutta la forza logica e raziocinativa.
Il culto della verità
Fra Tommaso aveva il culto della verità, ossia conformava il suo intelletto alla realtà oggettiva delle cose, anche quando non gli faceva comodo e cercava di raggiungerla ed esporla chiaramente agli altri senza manipolarla secondo i suoi gusti e preferenze. Egli è il filosofo dell’oggettività della realtà che ha un primato assoluto sull’intelletto individuale e soggettivo di ogni uomo. Il tutto era accompagnato da un forte dominio e padronanza di sé, da robustezza interiore e da una forte dedizione ad un fine, uno scopo e una causa.
La logica contro il sentimentalismo
L’Angelico con i suoi scritti non suscita emozioni o sentimentalismi, non ha nulla a che spartire con quegli oratori che, dopo aver fatto palpitare - lì per lì - il sentimento son condannati - in futuro - a restare confinati in quei reparti delle biblioteche dove lo spessore della polvere è proporzionale all’oblio che li ricopre.
In lui non ci sono parole inutili, ripetizioni, frasi ampollose, retoriche, esclamazioni demagogiche, aggettivi esuberanti. Tutto è lineare, chiaro, logico, profondamente alto.
Chi è breve è bravo
Fra Tommaso ha il privilegio della concisione, egli è addirittura lapidario, ha il culto dell’essenziale e aborrisce il superfluo, cerca di essere il più breve e chiaro possibile, non ama sprecar parole, parlare o scrivere a vuoto. La sua produzione può essere paragonata alle cattedrali gotiche e romaniche. Alle prime poiché tutto in lui è teocentrico, verticale, orientato al Trascendente (come le cattedrali gotiche che contemplò a Colonia, a Parigi e a Chartres), ma nel medesimo tempo tutto è anche discreto, armonico, composto, scarno come le chiese romaniche (S. Sabina in Roma), che esprimono l’equilibrio, la sobrietà e la trasparenza. Egli è sublime come una guglia gotica, ma anche dimesso, sommesso, sobrio, senza inutili ingrandimenti, come una chiesa romanica.
Ite ad Thomam
Tommaso è una vera autorità (dal latino augere = far aumentare, crescere). Egli fa crescere nei suoi lettori i beni intellettuali, morali e spirituali grazie all’insegnamento della verità filosofica, dogmatica, morale, ascetica e mistica.
Mettiamoci dunque alla sua scuola e cerchiamo di “comprendere ciò che insegnò e di imitare ciò che fece” (Colletta della Messa di S. Tommaso, 7 marzo).
Il sangue e il suolo
Da parte di padre Tommaso discendeva dalla nobiltà germanica della Baviera (la nonna paterna era sorella dell’Imperatore Federico Barbarossa di Svevia), ma gli avi paterni erano longobardi, una tribù germanica convertita al cristianesimo ariano e poi al cattolicesimo romano e trasferitasi nella Lombardia. Invece da parte materna Tommaso era del profondo sud, cioè della Sicilia ma lontanamente discendente da una casata di Principi normanni o vichinghi (provenienti dalla Norvegia, Danimarca, Finlandia e Svezia), che avevano invaso la Sicilia nel secolo XI (1061-1091). Inoltre Teodora di Chieti o Teate (la madre del santo) era imparentata con la famiglia principesca napoletana dei Caracciolo. In breve Tommaso era prossimamente un meridionale (con un misto di terra laziale/ciociara, abruzzese/teatina e siculo/napoletana) di lontana origine nordica (germanico/vichinga).
Secondo il professor Nicola Pende († 1970)[3], dal punto di vista medico e filosofico, le origini remote germanico/vichinghe/longobarde di S. Tommaso, unite a quelle prossime siculo/teatine e laziali, sbocciate nel castello militare di Roccasecca e vicino al monastero benedettino di Montecassino[4], hanno influito in maniera positiva sul temperamento e sul carattere del giovane Tommaso definito dallo scienziato “capolavoro di equilibrio psicofisico e nervoso, di ponderatezza intellettuale, di forza di volontà e di rettitudine morale”. San Tommaso, Dante Alighieri († 1321) con la sua Divina Commedia, Leonardo da Vinci († 1519) con la sua Ultima Cena, Michelangelo Buonarroti († 1564) con il suo Giudizio Universale nella Cappella Sistina nel Vaticano, la Pietà in S. Pietro nel Vaticano e il Mosè in S. Pietro in Vincoli, formano il “quadrilatero più poderoso della genialità dello spirito greco/romano/italico e cristiano”.
L’affabilità di S. Tommaso era proverbiale se si pensa che persino Dante Alighieri affida il compito di far gli onori di casa a Beatrice e a sé medesimo alla “infiammata cortesia di Fra Tommaso” (Paradiso, XII, 143-144), che “sorridendo” fa le presentazioni (Par., XI, 17-18) e viene chiamato nel Convivio (Lib. IV, 30) “il buon fra Tommaso”.
S. Tommaso e i Domenicani di Napoli
A Napoli, nel 1240, Tommaso conobbe i Domenicani[5], e specialmente padre Giovanni di san Giuliano, che si erano stabiliti in quella città nel 1231 presso la chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, incorporata poi nella grande basilica di san Domenico Maggiore.
Attorno ai Domenicani, dediti alla propagazione e alla difesa (“Domini canes”) della verità naturale e rivelata, “pugiles Fidei et vera mundi lumina” (S. Th., II-II, q. 188, aa. 5-6), si raccoglieva la gioventù studentesca universitaria partenopea desiderosa di assistenza intellettuale e spirituale. Tommaso dopo lunga riflessione decise di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori e vi fu accolto diciannovenne da padre Giovanni da San Giuliano presso il convento di san Domenico Maggiore dove ricevette l’abito nel 1244.
I nobili, potenti e ricchi genitori di Tommaso, però, avevano su di lui altri disegni: una bella carriera ecclesiastica con una grande abbazia alle sue dipendenze mentre i Domenicani erano un Ordine nuovo (nato da soli 30 anni) e per di più di frati mendicanti…
La tempesta: si vis pacem para bellum
Scoppiò, quindi, la tempesta che assale ogni uomo che si dà generosamente a Dio. I Domenicani di Napoli inviarono Tommaso a Parigi sia per sottrarlo alle insidie dei genitori sia per fargli fare gli studi migliori possibili presso la Sorbona. Il diciannovenne Domenicano per la via Appia arrivò a Terracina, poi per la via Latina giunse ad Anagni e quindi a Roma nel convento di S. Sabina donde riprese il viaggio per Parigi. Ma verso la metà del 1244 nei pressi di Orvieto vicino ad Acquapendente nei dintorni del lago di Bolsena, fu raggiunto dai suoi fratelli, allora militari al servizio dell’Imperatore Federico II, che nel 1243 era salito in Toscana a muover guerra alle città papali, e fu Rinaldo[6] (che poi sarà fatto trucidare da Federico II poiché divenuto definitivamente fedele al Papa) a prenderlo con la forza aiutato dagli altri fratelli per riportarlo a casa. Cercarono di strappargli di dosso il saio domenicano, ma Tommaso lo difese con le unghie e con i denti e non vi riuscirono, data la stazza del fratello minore (il dodicesimo): “la fede senza le armi è morta”[7]. Guglielmo di Tocco (cit., cap. IX, p. 39; cap. X, p. 40) nota la fortezza e l’irremovibilità di carattere di Tommaso. I fratelli, impadronitisi di lui, lo condussero prigioniero al loro castello di Monte San Giovanni Campàno (tra Frosinone e Casamari).
S. Tommaso “ignaziano”: agere contra per diametrum
Siccome Tommaso non cedeva di fronte alle maniere forti, i familiari pensarono di farlo cadere mediante quelle “deboli” o sensuali. Infatti mandarono una rappresentante del “sesso debole”, ossia una donna molto bella per sedurlo nel castello. Ma Tommaso armatosi di un tizzone ardente mise in fuga la tentatrice e la tentazione (Guglielmo, cit., cap. X, p. 42). Allora due angeli scesero dal cielo e lo cinsero con un cingolo di purezza angelica e di perpetua verginità, che si trova ora custodito nella chiesa di San Domenico in Chieri (Torino) dopo esser stato portato, sùbito dopo la morte del santo, a Lione e quindi a Vercelli sino al 1802. Dopo due anni di prigionia Tommaso si sarebbe calato con una fune da una finestra ad avrebbe ritrovato la libertà dei figli di Dio e di San Domenico (Guglielmo, cit., cap. XII, p. 43).
Da Roccasecca a Paris
Sembrerebbe un film di Totò, ma è la vita di S. Tommaso. Infatti fra Tommaso, nativo di Roccasecca immortalata dal celeberrimo film “Gli Onorevoli” di Totò che impersona il monarchicissimo tenente dei Bersaglieri a riposo Antonio La Trippa di Roccasecca, poté riprendere gli studi prima a Colonia con S. Alberto Magno e poi a Parigi alla Sorbona. A Colonia gli studenti coetanei di Tommaso, siccome egli era assai taciturno, lo chiamavano scherzosamente “il bue muto”, ma S. Alberto cui non era sfuggita la genialità e la santità del giovane Tommaso, disse loro che un giorno quel “bue” avrebbe dato un muggito che si sarebbe inteso in tutto il mondo (Guglielmo, cit., cap. XIII, p. 44).
S. Alberto fece fare a Tommaso molte “Disputazioni scolastiche”, in cui si ponevano delle questioni, si doveva affrontarle ragionando e provando con la S. Scrittura, con la Tradizione apostolico/patristica e il Magistero ed infine con la ragione teologica l’asserto che si sosteneva, si doveva rispondere alle obiezioni e confutarle mediante un sillogismo che andava provato con un altro sillogismo, senza sprecar parole, evitando le ripetizioni, le ampollosità retoriche, le esclamazioni eccessive e gli aggettivi esuberanti.
Ebbene proprio in queste Dispute accademiche il “bue muto” mostrò sin dall’inizio un certo cipiglio polemico ed un certo ardore per la lotta dottrinale assieme ad un rigore logico, alla semplicità dell’esposizione, alla mancanza di ripetizioni, di ogni parolone ampolloso, esuberante, retorico e sentimentaloide.
Militia contra malitiam
Cerchiamo di prendere esempio dal Nostro quando parliamo o scriviamo, chiedendo al Signore di “illuminarci per capire ciò che insegnò e di rafforzarci per imitare ciò che operò” (Colletta della Messa di S. Tommaso del 7 marzo). Il nostro stile sia sobrio, breve, piano, profondo, raziocinativamente dimostrativo, si avvalga della Tradizione, della S. Scrittura, del Magistero ecclesiastico e della sana filosofia, cerchiamo di rispondere alle obiezioni con serietà, senza offendere o ridicolizzare coloro che obiettano, il che non significa essere privi di vis polemica ed educata ironia nella difesa della verità e nella confutazione degli errori, poiché non si può insegnare la prima senza combattere i secondi. Fra Tommaso non era privo di carattere militante e certamente non serbava rancori o invidie, ma non tollerava la confusione tra verità ed errore, non rifuggiva dalla battaglia per la difesa della Fede, anzi ha passato la maggior parte della sua vita a confutare errori e ad esporre la verità con acume e buon senso, che padre Reginaldo Garrigou-Lagrange chiamava il “senso comune”, e soprattutto non ricercava gli applausi degli uomini con la segreta speranza di piacere loro (cfr. S. Caterina da Siena, Dialogo, cap. 158).
Amare lo studio come mezzo per andare a Dio
S. Tommaso ci insegni ad amare lo studio “come mezzo per giungere alla vita contemplativa, sia gettando luce sulla realtà divina da contemplare, sia col preservare gli altri dagli errori in cui si cadrebbe facilmente senza la conoscenza della sana teologia. Lo studio è anche una penitenza e una disciplina di purificazione, poiché preserva la mente dai pensieri inutili e nocivi e castiga il corpo con la fatica che comporta” (S. Th., II-II, q. 188, a. 5). Certe volte veramente “la penna pesa più della zappa” specialmente se la si usa alla maniera di S. Tommaso e non alla moda del “romanticismo teologico” oggi tanto in voga in cui si usano le “parole in libertà” e si parla tanto per non dir nulla.
S. Tommaso, citando S. Bernardo di Chiaravalle, ci insegna che “sapere per farsi notare è turpe vanità; per arricchirsi è vile mercimonio. Invece, se si studia per migliorarsi, giungere alla verità, amare il bene ed evitare il male, allora si è prudenti ed inoltre se si porge agli altri ciò che si è conosciuto, se si contempla e si trasmettono agli altri le nostre contemplazioni, si vive nella vera e somma carità”. In breve, “lo studio deve essere ordinato alla conoscenza della verità e questa deve essere animata dalla carità” (S. Th., II-II, q. 188, a. 5, ad 2).
Homo dicitur bonus ex bona voluntate
Fra Tommaso non è stato il puro intellettuale, il professorone, il vecchio trombone sfiatato e frustrato, il barone universitario (tutto loggia, casa e carriera), l’erudito, l’esteta rosminiano della “fede come cultura”, dei “circiterismi”, del “discensore” e della “Monotriade”[8]. Egli è stato un grande missionario. Il sapiente diventava apostolo predicando, consigliando grandi (Re e Papi) e piccoli e insegnando (S. Th., II-II, q. 184 e 188). L’Angelico non si esauriva né si rimirava narcisisticamente nella pura intellettualità né era affetto da cerebralismo come Kant. L’Aquinate scrive che “il saggio deve meditare la verità conosciuta, discernere la verità dall’errore, aderire alla prima e confutare il secondo, sia quanto alla verità naturale o filosofica sia quanto alla verità soprannaturale o teologica” (Summa contra Gentiles, Lib. I, cap. 1-3).
Il vero filosofo è colui che conosce la verità alla luce della Causa prima o increata, giudica rettamente delle cause seconde o create, ordina bene ogni mezzo al fine e soprattutto mette ordine nella sua vita. È per questo che pochi sono i veri tomisti poiché non si vuol mettere ordine nella propria vita. La causa principale dell’errore è la cattiva e viziosa volontà. L’Angelico ci ricorda “ex bona voluntate dicitur homo bonus, non ex bono intellectu” (S. Th., I, q. 48, a. 6).
Invece S. Tommaso ha passato la sua vita a studiare con fatica, a predicare agli altri ciò che aveva studiato (“nemo dat quod non habet”) e ad amministrare i Sacramenti soprattutto la Messa e la Penitenza, come prevede la Regola domenicana (cfr. S. Th., II-II, q. 188, a. 4; q. 187, a. 1).
S. Tommaso il mistico
Egli è non solo un filosofo e un teologo, ma - assieme a S. Giovanni della Croce e a S. Teresa d’Avila - anche un mistico e un Dottore di mistica (cfr. Pio XI, Enciclica Studiorum Ducem, 1923), che si intratteneva con Dio e parlava con Lui come un amico parla con l’amico. Conosceva Dio, Causa prima incausata, come metafisico, credeva in Lui per la fede e la approfondiva grazie alla teologia, inoltre Lo conosceva ed amava intimamente e soprannaturalmente come mistico che ha vissuto la vita ascetica e, spinto dai sette Doni dello Spirito Santo, è arrivato al termine delle “tre vie” (prima via purgativa degli incipienti, seconda via illuminativa dei progredenti e terza via unitiva dei perfetti): alla contemplazione infusa e all’unione trasformante che fanno sperimentare e gustare la presenza reale di Dio nell’anima del giusto inabitata dalla grazia santificante (S. Th., II-II, q. 24, a. 9).
S. Tommaso ha studiato e pregato notte e giorno per conoscere, amare Dio, farlo conoscere ed amare, ma alla fine in lui ha prevalso la preghiera sullo studio. Egli è veramente “il più saggio dei Santi e il più Santo dei saggi” (Pio XI).
A soli 27 anni Tommaso divenne professore alla Sorbona di sacra Teologia. Egli, nota p. Raimondo Spiazzi († 14 ottobre 2004), “non si contentava di ripetere ciò che gli altri avevano insegnato e trasmesso, non era un semplice portavoce né di Aristotele, né di Pietro Lombardo e nemmeno del suo maestro S. Alberto Magno, ma svolgeva le sue lezioni mediante ragionamenti limpidi e accessibili a tutti” (cit., p. 76). S. Tommaso è il continuatore e il sommo perfezionatore della Filosofia perenne, che, partendo da Socrate, Platone e Aristotele, assimila quanto di meglio è stato scoperto circa la verità, lo ordina, lo espone chiaramente, lo approfondisce e sintetizza.
Esempio di vita e di dottrina
Tommaso incantava gli studenti oltre che con la sua sapienza anche con la sua vita e personalità ricca di “un qualcosa di onesto, di nobile, di pulito. In breve di vera purezza e santità.” (R. Spiazzi, cit., p. 79). “In lui non si notava nulla di volgare, di mediocre, di grossolano, in tutto invece traspariva l’altezza e la genialità. La vita di studio e riflessione lo rendeva felice e quindi si manteneva calmo e sereno” (G. di Tocco, cit., cap. XLIII, p. 87). Invece l’epoca moderna è caratterizzata dalla volgarità, dalla mediocrità, dalla precipitazione, dalla frenesia dell’azione, dall’incapacità di contemplare, approfondire e speculare.
S. Tommaso sublima e trasfigura Aristotele
Fra Tommaso fu richiamato dall’Italia alla Sorbona in Francia per riprendere l’insegnamento (1269/1270). L’Angelico non solo studiò e commentò Aristotele, ma lo perfezionò, lo sublimò e, in un certo senso, lo “trasfigurò” senza alterarlo o deformarlo. Si dice comunemente che Aristotele studiato come è in sé è simile ad un magnifico quadro visto al lume di una torcia, mentre studiato alla luce di S. Tommaso è visto alla luce del giorno pieno (p. Cornelio Fabro). Dunque fu proprio il Domenicano di Roccasecca che diede un impulso alla filosofia nel medioevo talmente forte che portò alla apertura di una facoltà di sola filosofia nell’università parigina della Sorbona, valorizzando la metafisica aristotelica ed anche platonica in se stessa, sopraelevandola e, quindi, mettendola al servizio della teologia. Ebbe così inizio la nascita della metafisica europea medievale, autonoma dalla teologia in quanto acquisita con la ragione naturale, ma rispettosa delle verità di fede soprannaturali, la quale metafisica rappresenta una specie di paracarro che la ragione non deve urtare né sfondare per non cadere nel precipizio dell’errore. La fede estrinsecamente aiuta la filosofia a evitare l’errore, essendo come la soluzione del problema di matematica scritta alla fine di esso; se lo studente arriva ad un risultato diverso dalla soluzione “rivelata” alla fine del problema, capisce di aver sbagliato e deve ricominciare i conti.
Fra Tommaso conosceva profondamente la filosofia greca antica (specialmente quella platonica, aristotelica e neoplatonica o plotiniana), quella araba (Avicenna † 1037) e la Patristica greca e latina gli era familiare (specialmente quella di Dionigi il mistico e di S. Agostino). La sua metafisica trasfigura e corregge Platone, Aristotele, Plotino, Avicenna, Dionigi, Agostino e li sublima nella metafisica dell’essere come atto ultimo di ogni essenza, atto, perfezione e forma. Essa combatte con forza l’interpretazione razionalistica di Aristotele data da Averroè (1126-1198) e da rabbi Mosè Maimonide (1135-1204), il “Dux dubitantium / capo degli indecisi” poiché negava 1°) l’immortalità dell’uomo (a causa della dottrina, falsamente attribuita ad Aristotele, di una sola Anima universale per tutti gli uomini); 2°) la responsabilità individuale (perché la sola Anima universale sarebbe la vera artefice delle azioni umane) e quindi 3°) la libertà del singolo uomo (precorrendo Lutero, Spinoza e Freud).
Modello dei lavoratori
L’Aquinate era un lavoratore instancabile. È vissuto solo 49 anni, a soli 6 anni era oblato benedettino, a 17 studente universitario, a 19 novizio Domenicano, a 24 baccelliere e a 27 era già insegnante alla Sorbona. Quindi ha predicato, continuato a studiare e ha scritto per altri circa 25 anni ininterrottamente. Inoltre ha viaggiato in lungo e in largo per l’Italia (Napoli, Viterbo, Orvieto, Roma) e per due volte ha fatto il viaggio andata e ritorno da Parigi a Roma/Napoli senza contare la scappata a Colonia in Germania. Egli dettava a lungo i suoi scritti ai segretari; “qualche volta si sentiva assai affaticato per lo sforzo intellettuale ed allora si sdraiava, ma continuava a dettare. La sua anima era pienamente padrona del suo corpo così che sembrava sciolta da ogni peso della carne” (Guglielmo di Tocco, cit., cap. XVIII, p. 58). Spesso, in quei momenti di intenso sforzo intellettivo, affidava ai suoi segretari l’organizzazione dei temi che avrebbe dovuto trattare e il materiale da raccogliere di modo da potersi riposare un poco e riprendere il lavoro con maggior lucidità.
Se si pensa come abbia fatto l’Aquinate in così pochi anni a scrivere tanto - per quantità ed ancor più per qualità - la risposta non può essere che una sola: con l’aiuto di Dio! Il medesimo Signore, che ha reso Israele (un popolo di pastori rozzi e primitivi, senza filosofi, artisti, poeti guerrieri) capace di arrivare, nel Libro sacro della Genesi, ad un concetto dell’uomo, del mondo e di Dio creatore, personale e trascendente, superiore persino a quello di Platone e di Aristotele, ha illuminato fra Tommaso e lo ha reso capace di giungere al vertice della sapienza umana.
L’Antifona ai primi Vespri della IV domenica dopo la Pentecoste ce lo insegna parlando di David, che ha sconfitto il gigante Golia con la fionda, il sasso e soprattutto con l’aiuto di Dio, ossia con la sua buona volontà e la retta intelligenza, ma specialmente per una grazia specialissima dell’Altissimo: “in funda et lapide praevaluit David contra Goliad in nomine Domini / il piccolo David ha vinto il gigante Golia con la fionda e la pietra nel nome del Signore”.
Il crepuscolo
Nel 1273 fra Tommaso cominciava a logorarsi: “una certa depressione psichica, una indisposizione fisica, una pesantezza organica ed una forte debolezza lo attanagliavano” (R. Spiazzi, cit., p. 146; G. di Tocco, cit., cap. XXXV, p. 79-80).
Quale fu la causa di questo deperimento che condusse alla morte fra Tommaso? Qualcuno ha pensato a Carlo d’Angiò[9], che avrebbe fatto propinare piccole dosi di arsenico all’Angelico, pur da lui stimato, ma che, grazie alla sua saggezza, al Concilio di Lione avrebbe facilmente aiutato il ristabilimento dell’unione tra la Chiesa cattolica e i greci scismatici. Siccome Carlo era già re d’Albania, avrebbe voluto ristabilire l’Impero romano/latino di Bisanzio e quindi non era favorevole alla riunione dei greci o bizantini con Roma, la quale avrebbe lasciato sussistere due Imperi: uno romano d’Occidente o latino e l’altro romano d’Oriente o greco/bizantino; soluzione, invece, amata dall’allora Imperatore romano d’Oriente Michele Paleologo (R. Spiazzi, cit., p. 148). Fatto sta che nel 1273 a soli 48 anni fra Tommaso era fortemente debilitato. Il 6 dicembre, festa di S. Nicola di Bari, mentre stava celebrando Messa ebbe una visione e “subì una mirabile trasformazione e dopo quella messa non volle più scriver nulla” (Bartolomeo di Capua, Processus canonizationis Neapoli S. Thomae, ed. M.-H. Laurent, in Fontes vitae S. Thomae Aquinatis. Documenta, Saint Maximin, 1934-1937, cap. CLVII, p. 318).
Il missionario predicatore
Tommaso è stato un grande predicatore specialmente nella sua lingua natia, ossia nel ciociaro, un dialetto laziale che si parla nel Frusinate, arricchito da inflessioni napoletane, dato che l’Aquinate aveva studiato a Napoli (G. di Tocco, cap. XLIX, p. 96). In breve una sorta di fusione tra due dialetti della Ciociarìa e della Campania.
Le sue prediche erano brevi. Egli stesso aveva scritto nel Commento all’Epistola di San Paolo agli Ebrei (Lectio XIII, 1, 3, n. 772): “Le prediche corte son ben accette. Se sono buone, si prova molto e intenso piacere ad ascoltarle senza potersi distrarre, ma se sono mal fatte, non impongono una penitenza troppo grave ai fedeli poiché durano poco”. L’arte di comunicare agli altri ciò che si è appreso è un carisma proprio di San Domenico, definito da Dante “Splendore di luce cherubica” (Paradiso, XI, 39)[10].
Il poeta
L’Angelico è stato anche un sommo poeta, basti pensare agli Inni e alle Sequenze dell’Ufficio del Corpus Domini che scrisse in occasione del miracolo eucaristico avvenuto nella Chiesa di Santa Cristina in Bolsena. Fu anche un musicista valente poiché tali versi vanno accompagnati da musica gregoriana, che dovette essere composta dal santo medesimo. D’altronde l’Angelico (S. Th., II-II, q. 92, a. 2) alla scuola di Aristotele (Politica, VIII, 1, 5, 1340 a 38) aveva esplorato il valore educativo della buona musica.
Il 6 dicembre del 1273 - come già detto - fra Tommaso celebrava Messa nella cappella di San Nicola di cui ricorreva la festa in quel dì; dopo quella Messa non dettò né scrisse più nulla (tranne il commento al Cantico dei Cantici, che purtroppo è stato smarrito, dettato in punto di morte, dopo aver ricevuto gli ultimi Sacramenti ed essersi fatto adagiare sul pavimento, ai monaci cistercensi dell’Abbazia di Fossanova il 6/7 marzo del 1274). Fra Reginaldo da Priverno gli chiese come mai non dettasse più nulla e fra Tommaso dopo varie insistenze gli confidò di aver “visto delle cose rispetto alle quali tutto ciò che aveva scritto era solo povera paglia (palea est)” (G. di Tocco, cit., cap. XLVI, pp. 92-93).
S. Tommaso e la francescana “Sorella morte”
Le sue forze scemavano sempre più. Tuttavia, quando il Papa lo invitò a partecipare al futuro Concilio di Lione, egli partì su un mulo, ma lungo la strada la sua salute crollò definitivamente.
Da Napoli era giunto a Terracina e poi a Fossanova (vicino alla sua natia Roccasecca). Lì ricevette l’Estrema Unzione, il Viatico e fece la sua ultima confessione generale con fra Reginaldo da Priverno. Esattamente 3 mesi e 1 giorno dopo la visione avuta durante la messa del 6 dicembre nella cappella di San Nicola per la festa del medesimo santo, l’Angelico morì santamente il 7 marzo all’alba (“hora matutinali”) nel 49° anno della sua vita terrena (G. di Tocco, cit., cap. LIX, p. 108).
Attualità di S. Tommaso “Duce degli studi”
“S. Tommaso è il più saggio dei santi e il più santo dei saggi” (Pio XI) e “ogni articolo della Somma Teologica è un miracolo” (Leone XIII).
La crisi del mondo attuale è stata originata ed è caratterizzata dal relativismo soggettivistico dell’idealismo (Cartesio/Kant/Hegel) e dal nichilismo distruttore dell’essere, della morale e del pensiero (Nietzsche/Marx/Scuola di Francoforte e Strutturalismo francese). S. Tommaso, al contrario, ha il culto dell’oggettività della verità, del primato dell’essere, della vita moralmente virtuosa e della capacità logica dell’uomo di conoscere con certezza l’essenza delle cose.
Il Duce della certezza e il Duce del dubbio
Questi due mondi, diametralmente contrapposti, sono incarnati da due filosofie di due persone specularmente opposte: il Dux dubitantium, rabbi Mosè Maimonide, e S. Tommaso d’Aquino, Studiorum Ducem. Il dubbio, l’incertezza, il nichilismo o la filosofia del nulla contro il culto della verità oggettiva, la certezza dei primi princìpi per sé noti, la metafisica dell’essere.
Come la Genesi (III, 15) ci parla di due razze: quella di Maria e quella del serpente ossia Satana; come S. Agostino d’Ippona (De civitate Dei) scrive di due città: quella di Dio e quella del diavolo; come S. Luigi Maria Grignion de Montfort (Trattato della vera devozione a Maria Santissima) parla di due partiti: i figli di Cristo e di Maria e i figli del demonio e del mondo; così S. Tommaso incarna il partito di Dio e Maimonide quello del mondo e del suo Padrone.
Conclusioni pratiche
Se vogliamo, quindi, uscire da quest’epoca di barbarie soggettivistica/freudiana cerchiamo, con l’aiuto di Dio, di imitare S. Tommaso 1°) nello studio e nel lavoro; 2°) nella contemplazione delle verità divine; 3°) nell’esporre apostolicamente agli altri le verità che abbiamo studiate e contemplate; 4°) nella purezza, che gli ha permesso - come vero “anti/Freud” - di giungere a tanta altezza spirituale filosofica, teologica e mistica. L’unico vero antidoto al veleno (intellettuale, morale e spirituale) idealistico/moderno e nichilistico/postmoderno è l’Angelico nella sua vita da imitare e nella sua dottrina da conoscere e da spiegare agli altri.
Che l’Aquinate con l’esempio della sua vita e la profondità del suo pensiero (appena intravisti in questo libretto) ci ottenga di partecipare 1°) alla sua fortezza; 2°) all’esercizio delle sue virtù; 3°) al suo rigore logico; 4°) al realismo oggettivo della sua conoscenza; 5°) al suo equilibrio psicofisico; 6°) alla lotta contro gli errori per difendere e propagandare la verità; 7°) alla purezza contro il pansessualismo sfrenato freudiano.
P. P.