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Wikileaks, e giornalisti pagati per crederci
Maurizio Blondet
29 Novembre 2010
Berlusconi? Vanitoso e inefficace, fa festini selvaggi. Accidenti che rivelazioni di segreti ultrasegreti, quelle di Wikileaks. Sarkozy? Permaloso e autoritario. Gheddafi: usa il Botox (per spianarsi le rughe). Putin e Medvedv come Batman e Robin. E Putin se la intende con la mafia russa.
Ritagli di giornale, segreti di Pulcinella, gossip da portinerie. E gli affari sporchi fra Berlusconi e Putin, gli affaracci con Gheddafi che ci avevano promesso? Insomma, le notizie veramente compromettenti soffiate e spedite dalle ambasciate americane a Washington? Quelle che faranno invelenire i rapporti tra gli alleati e la Casa Bianca, «l’11 settembre della diplomazia» come dice Frattini.
No, solo voci, senza uno straccio di documentazione: per i sedici servizi segreti della nazione egemone, sembra un po’ poco. Ma questo non stupisce i nostri lettori, meglio informati (e con meno spesa) da questo sito, e da innumerevoli siti internet. Ciò che stupisce è un’altra cosa: il clamore e la fanfara con cui i grandi media stanno diffondendo le verità proibite spifferate da Wikileaks, come fossero bombe vere.
Tra le email scottanti, un piccolo elenco basterà a far capire, ai nostri lettori meglio informati di quelli del Corriere, chi c’è dietro.
La Turchia ha fornito armi ad Al Qaeda in Iraq (ovvio, da quando Ankara non è più tanto amica di Sion)
Ahmadinejad è peggio di Hitler, gli emiri del Golfo pensano che sia uno squilibrato (proprio come pensa Netanyahu).
L’Arabia Saudita ha chiesto agli Stati Uniti di bombardare l’Iran (la corte suadita ha smentito con sdegno la notizia già mesi fa: per quanto diffidi dell’Iran, capisce che dopo l’Iran, toccherebbe a lei).
Osama Bin Laden è vivo e vegeto, e dirige personalmente i terroristi suicidi e quelli che mettono le bombe a lato strada per ammazzare soldati americani.
L’Iran ha ottenuto dalla Corea del Nord dei missili «che possono colpire l’Europa» («dunque forza, europei, accettate lo ‘scudo stellare’ che Obama vi è venuto ad offrire alla riunione NATO di Lisbona, purchè paghiate voi»).
Prima di lanciare il massacro su Gaza detto Piombo Fuso, Israele chiese invano di coordinare le posizioni con Egitto e l’Autorità Palestinese contro Hamas; data la risposta negativa, Israele, a malincuore, dovette far tutto da sè.
Insomma, sono i motivi più consueti, rozzi e screditati dell’hasbara, della propaganda e disinformazione israeliana, usati per sostenere le folli strategie israeliane.
Ormai dovrebbe essere chiaro. Le centinaia di migliaia di comunicazioni riservate e diplomatiche passate a Wikileaks sono probabilmente gli scarti dell’immane apparato di intercettazione che i servizi israeliani esercitano in USA.
Ne abbiamo trattato nel nostro libro sull’11 settembre: ditte israeliane come la Odigo, che gestisce gli instant messages, e il cui personale ricevette una mail di avvertimento poco prima dell’attentato alle Twin Towers. La AMDOCS, ditta privata di telecom, con sede in Israele, che in USA – come appurò allora il giornalista Carl Cameron di Fox News – «gestisce la guida telefonica, la registrazione delle chiamate e la fatturazione per le venticinque maggiori compagnie telefoniche americane», e fu sospettata di aver registrato le telefonate tra il presidente Clinton e Monica Lewinsky. La Comverse Infosys, altra ditta di telecom israeliana, «specializzzata in apparecchiature d’intercettazione per gli organi d’ordine pubblico» americani. In pratica, le intercettazioni giudiziarie e dell’FBI sono affidate a questa azienda straniera, di cui lo Stato israeliano copre la metà delle spese di ricerca e sviluppo.
Steve Rosen
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Insomma, gioco facile per le spie israeliane. E se non bastasse, c’è l’AIPAC, American Israeli Political Committee, la lobby che controlla i membri del Congresso, di cui uno dei capi, arrabbiato per essere stato licenziato -– si chiama Steve Rosen, è stato il numero 2 per vent’anni – dice che l’AIPAC «cercava e otteneva una quantità di comunicazioni riservate» del governo USA e dei suoi organi, avvicinando alti funzionari ministeriali (Rosen stesso è stato accusato di spionaggio per aver avvicinato ed ottenuto documenti di progetti presidenziali, ancora in fieri, da un alto funzionario pubblico, Franklyn Lamb).
Si capisce che questo apparato, che agisce nella massima impunità, è il solo in grado di intercettare milioni di mail, logs, comunicazioni governative, militari, dei servizi e delle polizie. E certamente ci sono, in questa mole di informazioni rubate, alcune vere e grosse, la cui rivelazione sarebbe davvero compromettente. E’ un genere di informazioni che i servizi preferiscono tenere per sè, per la formazione dei loro dossier e la gestione dei loro ricatti. A Wikileaks, palesemente, vengono forniti gli scarti di lavorazione.
E c’è la prova. In questa massa di rivelazioni, ad essere eloquenti sono i vuoti, le informazioni che non ci sono. Per esempio: quando la nave turca Mavi Marmara, con aiuti agli assediati di Gaza, è stata aggredita in acque internazionali dai commandos israeliani, che hanno trucidato nove pacifisti, possibile che le ambasciate americane dell’area non abbiano comunicato niente a Washington? Magari anche solo per chiedere istruzioni, per elaborare una tesi difensiva del gravissimo crimine israeliano secondo il diritto internazionale?
Zitti, i diplomatici dormivano tutti. E quando, nel febbraio 2010, la squadra di assassini giudei ammazzò un capo di Hamas in Dubai, in cui erano entrati esibendo passaporti di cittadini britannici – atto che portò ad una protesta ufficiale del Dubai e persino di Londra – possibile che la diplomazia americana non si sia scambiata alcun commento, ipotesi, informazione?
No. Solo informazioni su Berlusconi che basta scorrere un numero qualunque di Repubblica per trovarle, sul caratteraccio di Sarko, sull’infermiera bionda di Gheddafi, sulla Merkel che non ha abbastanza autorità e immaginazione.
Scarti. Ritagli di giornale. Pettegolezzi senza uno straccio di fonte nè documentazione d’appoggio. E la solita disinformazia degli amici di Israele, che si possono leggere sul blog della Nirenstein.
E sarebbe questa l’operazione con cui Assange «mette in pericolo migliaia di vite umane»?
Olof Palme
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La Casa Bianca sostiene che fa sforzi prodigiosi per obbligare al silenzio Assange, ma che non ci riesce perchè lui s’è rifugiato in Svezia... Figurarsi. Servizi segreti non difficilmente identificabili, in Svezia, hanno ucciso addirittura un primo ministro Olof Palme, febbraio 1986; e poi di nuovo hanno eliminato (nel settembre 2003) Anna Lindh, presidentessa del Consiglio d’Europa, che s’era esplicitamente opposta all’invasione americana in Iraq: fu accoltellata per strada da un consueto assassino solitario, un serbo.
«Una guerra combattuta senza il supporto della ratifica del Consiglio d’Europa è una grossa sconfitta».
No, i servizi non hanno nessuna difficoltà ad eliminare personaggi veramente molesti, magari simulando incidenti d’auto come è accaduto ad Haider. Assange non rischia niente. Fra l’altro, nel 2010, ha negato che gli attentati dell’11 settembre siano stati, in realtà, un complotto.
«Sono continuamente disturbato», disse, «da gente sviata da false idee di compotto come l’11 settembre, mentre noi non facciamo che dare prove di tutte le cospirazioni reali...». (Julian Assange: 9/11 was not a conspiracy)
E’ la sua assicurazione sulla vita. E chiude il cerchio sulla credibilità di Wikileaks.
Il vero mistero è perchè, su questo nulla, su questi segreti di Pulcinella e sfondamento di porte aperte, i grandi media ufficiali stiano facendo tanto clamore, perchè l’Annunziata e RAI3 organizzino talk-show, e il Corriere e Repubblica vi dedichino paginate, con le loro Grandi Firme.
I miei ex colleghi non sono un granchè informati sulle vicende estere, d’accordo; non sono delle cime di acutezza intellettuale. Ma almeno sono cinici e diffidenti. Come mai, di colpo, sono diventati ingenui fino all’idiozia?
Tento una risposta: quando sei pagato per essere stupido, e la tua carriera dipende dal fatto di non capire le cose evidenti, allora diventi cretino spontaneamente. Volentieri, anzi.
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