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Israele: Stato divino o Bestia dell’Apocalisse? (parte I)
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Proverò ancora per qualche articolo ad insistere sulla questione sionista, perché essa è di massima importanza. Il sionismo è stato infatti lo strumento attraverso il quale Israele ha realizzato il sogno e adempiuto la promessa che per secoli gli ebrei si sono scambiati durante la Pasqua: Hashana habaa bYrushalayim (השנה הבאה בירושלים), ovvero lanno prossimo a Gerusalemme.

Quando, dopo la guerra dei 6 giorni, le gloriose truppe di Tshal, entrarono il giorno 6 del 6^ mese dell’anno 1967 a Gerusalemme, Israele poteva forse legittimamente dire a se stessa che il Santo Benedetto aveva finalmente adempiuto la promessa fatto ai Padri.

Ma contemporaneamente un brivido deve avere percorso la schiena di chi per cento generazioni aveva atteso il sogno puro e perfetto, in cui l’Assemblea di Israele tutta intera sarebbe ritornata nella città Santa, radunata come un sol uomo nella sua Terra indivisa per opera dell’Onnipotente, ordinando la sua vita in modo integralmente conforme alla Torah del Signore.

Ma davvero era così? Davvero l’utopia sionista aveva adempiuto suo malgrado l’attesa messianica o non era invece avvenuto il contrario? Non era forse proprio a causa dell’iniziativa sionista che quell’attesa e quella speranza erano invece andate perdute per sempre? Forse non era avvenuto che in luogo della Shkhina, fosse stata la sitrà ahrà (l’Altra parte) a prendere possesso della terra santa e di Gerusalemme?

Più di sessant’anni prima l’Admor di Munkàcs, R. Hayim Ele’eazar Shapira aveva organizzato una visita breve e avvolta nel mistero in Eretz Israel. Ritornando a casa, in una lettera «ai timorati di Dio zeloti nella Città Santa», egli narrò in una parabola pittoresca quell’esperienza:

«Mentre viaggiavo verso la Terra Santa dissi allAvversario (il satana) prima di imbarcarmi da Istanbul: ‘Un biglietto di viaggio costa molto. Gli dissi: Scegli tu, o vai tu alla Terra Santa e io resto qui e starò bene senza te fuori della Terra; o tu rimani e vado io da solo alla Terra Santa (…)’ Scelse di rimanere lui fuori della Terra Santa (…) e fui contento nel mio viaggio in nave. Quando giunsi nella Terra Santa, subito, al porto, vidi lAvversario, stava ritto là. Gridai per il dolore del mio cuore: ‘Che cosa fai tu qui? Non ti ho lasciato a Istanbul? Non hai detto che rimanevi là?E mi mostrai deluso ai suoi occhi. Mi rispose e mi disse: ‘Tu mi chiedi cosa  faccio qui? Uno è venuto qui come uno straniero e vuol fare da giudice? (Genesi 19, 9). Non è forse qui che ho la mia dimora fissa? A Istanbul hai parlato con uno che è come la mia immagine, un mio inviato allestero’».

L’angoscia dell’Admor di Munkàcs è sintomatica del pericolo che il giudaismo ortodosso ha sempre avvertito come incombente sul proprio destino, se Israele avesse osato forzare la mano a Dio: tutta l’antica tradizione aveva chiaro che l’opera di ricostruzione di Israele o veniva da Dio, o sarebbe stata opera di Satana.

Il modo in cui attraverso l’iniziativa sionista quell’antica profezia si era venuta compiendo, stava davvero rivelando l’inizio della Fine, l’inizio cioè del compimento delle promesse profetiche, o forse invece null’altro era che il tradimento di quelle promesse e il loro sradicamento dalla loro perfezione originaria?

Avevano avuto ragione i vecchi rabbini ortodossi ad obbedire al comandamento talmudico di «non salire il muro» o avevano ragione i sionisti laici ed anche quelli religiosi (che appoggeranno l’iniziativa sionista, rompendo con il vecchio tabù) a ritenere che qui non era Israele a forzare «la Fine» (qetz), ma, al contrario, la Fine a forzare Israele?

Apparentemente il tribunale della Storia sembra lasciare intendere ad Israele che sia stata la divina Provvidenza a dirigere attraverso il Sionismo la sua storica impresa messianica. Ma la lontananza tra l’ideale sperato e la realtà concreta è enorme: infatti proprio mentre i soldati di Giuda prendevano possesso con le armi della città santa, appariva chiaro che l’arco della guerra, anziché essere spezzato, era lo strumento attraverso il quale la promessa si era realizzata.

E se così era, il compimento della speranza del ritorno nella Terra d’Israele non si stava forse compiendo in senso diametralmente opposto a ciò che la Tradizione talmudica da sempre aveva sostenuto e cioè che essa avrebbe dovutoriguardare null’altro che la sinagoga e le preghiere?

E nel Talmud non sta forse la proibizione di forzare la Fine (Whòq et ha-qetz) e addirittura di iniziare qualunque azione intesa al raduno della nazione e alla sua restaurazione con mano forte senza i miracoli e le grandi meraviglie, senza i segni e i prodigi speciali promessi nelle Sacre Scritture? Non è forse questo per i giudei il misterioso e affascinante divieto espresso nei versetti del Cantico dei Cantici: «Vi ho fatto giurare, o fìglie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve del campo: non svegliate e non destate dal sonno lamore finché non lo voglia».

Non dovrebbe essere questo il medesimo divieto su cui toccherebbe meditare ai vari teo-con e cristiano-sionisti, che appoggiano Israele, nell’intento di affrettare il ritorno del Signore? Non sono questi i fanatismi, da cui la coscienza pseudo-cristiana dell’Occidente dovrebbe liberarsi?


June 5, 1967: Israeli Jews gain access to the holy sites of East Jerusalem


Se non altro, il merito dei rabbini è stato quello di interrogarsi su ciò che è accaduto. Per il mondo cristiano, invece (con l’eccezione appunto dei fanatici dellApocalisse o di qualcuno come noi di Effedieffe, la cosiddetta banda Effedieffe, come qualcuno ormai ci definisce) l’evento del ritorno degli Ebrei in Eretz Israel è stato derubricato a fattore storico-politico.

Dal canto suo la Chiesa già da prima del Concilio è rimasta attonita ad assistere alla rinascita dello Stato degli ebrei, dopo che da sempre aveva proclamato che, a causa del loro rifiuto di Gesù, essi sarebbero stati dispersi come stranieri tra le genti. Infine, con una decisione che appare icona dello stordimento postconciliare, la stessa Chiesa è giunta addirittura al riconoscimento dello Stato di Israele.

Invece, inquietudine perfino maggiore rispetto a quella che ha pervaso i saggi della Torah dovrebbe attraversare oggi ogni cristiano, giacchè con il ritorno in massa degli ebrei nella terra promessa e la costituzione se non del Regno perlomeno di un’ entità politica statuale, pare essersi compiuta non solo la parola dell’Antico Testamento, ma vieppiù quella del Nuovo.

Nel Vangelo di Matteo si narra infatti che alla vigilia della passione Gesù si trovava nel Tempio e lì ammoniva discepoli con queste parole:

«Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: ‘Sono ioeIl tempo è prossimo’; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome».

Poi concluse: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti».

La profezia contenuta in questo brano di Vangelo sembra svilupparsi secondo due linee temporali che paiono delineare un futuro escatologico (quello del ritorno di Cristo alla fine dei tempi) ed uno più prossimo, relativo alla distruzione del Tempio ed alla conquista da parte straniera di Gerusalemme per lunghi secoli. Quest’ultimo passo del Vangelo sembrerebbe in effetti confermato dagli accadimenti storici. Le armate romane cingeranno d’assedio Gerusalemme, che dopo mesi verrà espugnata e il Tempio distrutto. Poi, dopo i tragici eventi di Masada (la fortezza nella quale un migliaio di ribelli giudei scelse il suicidio piuttosto che cadere prigionieri dei Romani), la rivolta di Bar Kokhba nel 135 dopo Cristo sancirà la fine dei sogni di riscossa giudaica e l’inizio di galut, l’esilio degli ebrei, che abbandoneranno con la Terra di Israele anche il sogno di una nazione ebraica.

Durante tutti i lunghi secoli di questo esilio, tuttavia, non venne mai meno negli ebrei l’aspirazione di fare ritorno in Eretz Israel ed essa fu alla base del messianismo pseudo-mistico, di quel fenomeno cioè personificato da alcuni falsi messia, che promettevano la liberazione e un prossimo ritorno in Palestina ai loro connazionali, suscitando speranze ed entusiasmi enormi in tutte le comunità della Diaspora (si pensi alle vicende di D. Reubeni, 1524, di Shlomo Molcho, 1530, di Shabbetai Zevi, 1665 e di Jacob Frank, 1756, per citare i casi più famosi).

L’eresia mistica fu spesso supportata dalla Qabbalah, che, esprimendo quella forma di prostituzione spirituale inflessibilmente condannata dai Profeti, pretende in fondo di poter suscitare e dirigere la potenza del divino. Nella Qabbalah infatti convergono correnti esoteriche neoplatoniche, persiane e islamiche, nonchè tecniche di illuminazione gnostica di derivazione diversa, dalle religioni misteriche dell’antichità fino allo Yoga indiano, dalla magia sessuale alla scienza delle lettere (gematria), la quale ultima costituisce uno dei più noti ed autentici prodotti dello spirito kabbalistico. Il rischio messianico per l’Israele della Diaspora sta proprio nel fatto che esso si è andato sempre più compenetrando con la mitologia qabbalistica.

Ma l’idea di un Messia personale, tipica del misticismo ebraico, di una guida cioè che, suscitata e sostenuta da Dio stesso, avrebbe dovuto ricondurre i dispersi in Eretz Israel, si rivelò ad un certo momento effimera e lasciò spazio nel breve volgere di poco più di un secolo e mezzo a quella di un Messia collettivo, a quella cioè di Israele Messia di se stesso. Ciò avverrà con la nascita del sionismo.

Infatti a seguito della Rivoluzione Francese, che concesse agli ebrei la piena emancipazione giuridica e politica e determinò la fine di un lungo isolamento e autoisolamento, cominciò almeno nell’Europa occidentale una loro progressiva assimilazione.

Per contro nell’Europa orientale, specie dopo il fallimento dei moti rivoluzionari che avevano spesso visto gli ebrei protagonisti dei movimenti insurrezionali, vennero quasi ovunque ripristinati i ghetti e le interdizioni israelitiche, cui si accompagnò la rinascita di un diffuso sentimento antigiudaico, non di rado seguito da sanguinosi pogrom. Ciò coincise, a partire dalla metà dell’Ottocento, col diffondersi in Europa delle teorie razziste, che ebbero facile presa negli ambienti nazionalistici e alimentarono l’antisemitismo, il quale andò ad innestarsi su un substrato antigiudaico, già particolarmente forte specie nell’Europa orientale.

Fu allora che sulla scia dei movimenti nazionali e patriottici, rinacque vigorosa anche tra gli ebrei la nostalgia di una patria, cui si accompagnarono i primi parziali tentativi di colonizzazione della Palestina, come quelli promossi da Moses Montefiore nel 1856 e della scuola di agricoltura di Mikveh Israel voluta da Ch. Netter nel 1870. Ma essi ebbero scarso successo, analogamente a quelli di Zvi Hirsch Kalischer e di Mose Hess (autore del famoso volume Roma e Gerusalemme, 1862), i quali cominciarono a teorizzare la necessità di dar vita ad uno Stato ebraico in Palestina a rifugio dei connazionali perseguitati.

Queste idee trovarono all’inizio degli anni ‘80 del XIX secolo nuova linfa grazie ai movimenti Choveve Zion (Amanti di Sion, 1881) e Bilu (1882 nome derivante dall’acrostico del versetto di Isaia II, 5: Beth Jakov Lechù Uenelechah, cioè Casa di Giacobbe alzati e vieni) e allo scritto Autoemancipazione (1882) di L. Pinskernon. Queste iniziative animarono la prima Aliyah, cioè la prima salita (in verità una modesta immigrazione ebraica) in Terra Santa, che portò alla nascita delle colonie di Zikhron Yaakov, Petach Tikvah e Rishon Le-Zion.

In questo contesto, in effetti marginale rispetto ai grandi eventi di colonizzazione che l’Europa si accingeva a realizzare in Africa ed in Asia, alla fine del secolo XIX il sionismo politico cominciava a muovere concretamente i primi passi, pur rimanendo un fenomeno legato a piccole minoranze, finché esso non trovò la guida di Teodor Herzl, un ebreo che, pur da laico, riuscì a ridestare l’antica aspirazione messianica ad un ritorno reale degli ebrei in Eretz Israel.

Secondo Herzl il popolo ebraico avrebbe dovuto riprendere in mano l’iniziativa della propria redenzione, mediante un iniziativa politica, capace di far rinascere duemila anni dopo un Stato degli ebrei proprio dove la tradizione religiosa attendeva che Jahwè con opere e miracoli prodigiosi l’avrebbe ricondotta.

Three young Israeli paratroopers
   Three young Israeli paratroopers stand at the Western Wall as Israeli troops march into and take control of Jerusalem's Old City during the Six-Day War of June 1967
Nel 1897 venne fondata a Basilea l’Organizzazione Sionistica Mondiale e settant’anni dopo l’esercito israeliano con la guerra dei 6 giorni entrerà trionfalmente a Gerusalemme, ricostituendola quale capitale di Israele: era la fine di un percorso che aveva attraversato nel volgere di pochi anni Auschwitz prima e la dichiarazione di indipendenza di Israele nel maggio 1948, subito segnata, anziché dalla pace, da un permanente stato di belligeranza con gli arabi. In ogni caso l’invocazione del Salmo 137 («Mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia») era stata trasformata armi alla mano in realtà.

Il laicismo sionista riconduceva il destino del popolo ebraico verso il compimento del proprio ideale religioso e questo paradossalmente proprio mentre il laicismo dell’Occidente (frutto di quella cultura moderna e di quelle rivoluzioni, che gli ebrei avevano largamente contribuito a generare) allontanava irrimediabilmente la Cristianità dalla propria Fede: l’inizio della salita degli ebrei verso la Terra di Israele, coincideva con il compiersi dell’apostasia delle nazioni dell’Occidente, che un tempo erano state cristiane. La Parola di Dio sembra trovare un amaro riscontro nella storia: «Gerusalemme sarà calpestata dai pagani, finché i tempi dei pagani siano compiuti».

E’ davvero, per noi cristiani e per gli ebrei l’inizio della Fine? Non lo sappiamo, ma le parole del Vangelo di Matteo parlano subito dopo di qualcosa che (non sappiamo quando) accadrà:

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per lattesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio delluomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

E’ qui che la narrazione evangelica sembra incontrare il mistero contenuto nell’Apocalisse: la persecuzione che la Chiesa deve sopportare lungo i secoli a causa dell’azione di Satana, pare incontrare un punto di svolta ed è qui che gli eventi, che accadono oggi sotto i nostri occhi, sembrano poter acquistare una loro misteriosa intelligibilità:

«Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera presa dammirazione, andò dietro alla bestia e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: ‘Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?Alla bestia fu data una bocca per proferire parole dorgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. Ladorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dellAgnello immolato. Chi ha orecchi, ascolti: Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la fede dei santi. Vidi poi salire dalla terra unaltra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome duomo. E tal cifra è seicentosessantasei».

Più volte il Direttore Blondet ne ha fatto cenno nei suoi articoli, invitando i lettori a leggere gli accadimenti che vedono protagonista Israele in una chiave metastorica. Nel libro Chi comanda in America egli assimila gli USA alla prima bestia ed Israele alla seconda. Ma forse non è cosi: forse potrebbe invece essere la prima Bestia, con sette teste recanti ciascuna un titolo blasfemo e dieci corna con dieci diademi, che riceve la forza, il trono e la potestà dal drago, a rappresentare Israele, mentre la seconda bestia, che ha due corna, simili a quelle di un agnello, ma che parla come un drago, questa potrebbe rappresentare il potere statunitense.

Domenico Savino

(continua)

 

La presente traduzione è effettuata appositamente per EFFEDIEFFE da traduttori di nostra fiducia


 
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