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Galileo aveva torto (seconda parte)
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Nell’800 finalmente la teoria copernicano-galileiana del moto della Terra attorno al Sole era ormai accettata da quasi tutto il mondo accademico, tanto che anche il Santo Uffizio (1) si era deciso a togliere il libro di Galileo dall’Indice dei libri proibiti.
Perché la festa fosse completa mancava un piccolo particolare (si sa il diavolo fa le pentole ma talvolta dimentica i coperchi): la prova sperimentale.
C’erano è vero tanti piccoli indizi, ma mancava la prova, quella tanto necessaria al metodo galileiano.
Mancava la pistola fumante.
Ma ormai secondo gli accademici era solo questione di tempo.
Gli strumenti tecnici c’erano tutti e c’era anche l’uomo in grado di utilizzarli.

Albert Abraham Michelson (19 dicembre 1852 - 9 maggio 1931) fu il primo americano a ricevere il premio Nobel per le scienze: «E’ l’inventore di quell’interferometro che da lui ha preso il nome e per mezzo del quale effettuò quella serie di celebri esperienze che sono rimaste note sotto il nome di Michelson-Morley e che dettero inizio al movimento d’idee da cui doveva uscire la teoria della relatività. … Il metodo da lui elaborato, basato sullo spostamento delle frange d’interferenza col variare delle direzioni dei fasci interferenti, avrebbe permesso di rilevare un moto anche cento volte più debole di quello previsto: ma il risultato fu sempre rigorosamente nullo…» (Enciclopedia italiana, Roma Treccani, 1934, volume 23).
Infatti essendo tutti gli scienziati ben convinti che la Terra  girasse intorno al Sole alla velocità di circa 30 km/sec, Michelson decise di misurare molto esattamente questo spostamento con l’apparecchio che gli aveva permesso di determinare la velocità della luce nell’aria, ma ripetiamo
il risultato fu sempre rigorosamente nullo.

Fernand Crombette (2) osserva che potevano esserci almeno quattro ragioni perché l’esperimento di Michelson non avesse potuto dimostrare che la Terra girava:
1) l’apparecchio era mal concepito;
2) l’esperimento era stato mal interpretato;
3) lo spostamento era inferiore a quello che poteva misurare l’apparecchio;
4) la terra non si sposta.
Sono possibilità di semplice buon senso: lasciano intravedere che con un apparecchio adeguato si potrà determinare se la Terra gira o no attorno al Sole, se essa gira attorno ad un punto qualunque, di come gira.
Ma non se ne vuole sapere.
La spiegazione più semplice consisteva nel considerare la terra fissa in rapporto all’etere.
Questa spiegazione molto semplice, benché fosse inattaccabile scientificamente, per ragioni filosofiche non era prevista.

Nella sua opera «Relativity for the layman», Pelican, 1972, James A. Coleman, presidente del dipartimento di fisica dell’American International College di Springfield, nel Massachussets, lo  scrive senza giri di parole: «Tale idea non fu presa sul serio, perché significava che la nostra terra occupava effettivamente una posizione privilegiata nell’universo, mentre tutti gli altri corpi celesti le facevano l’omaggio di gravitarle attorno».
Qualche anno più tardi, nel 1905, Einstein proponeva un’altra spiegazione di questo risultato paradossale, cioè la sua teoria della relatività ristretta (non a caso questa teoria ha importanti  risvolti filosofici).
Ma l’affare non si arresta qui.

C’è stato un altro tipo di esperimento di Michelson attorno al quale si è fatto molto meno chiasso. Gustave Plaisant lo racconta come segue: «Il secondo esperimento di Michelson è basato sullo stesso principio di interferenza di fasci di raggi luminosi animati da velocità longitudinali differenti, ma l’apparecchio differisce totalmente dal precedente. Michelson l’aveva immaginato anche nel 1880, ma, cosa curiosa che interessa coloro che vorrebbero scavare il fondo della relatività, esso non fu realizzato che nel 1924. Al contrario del primo, questo mette in evidenza, fin dalle prime prove, ciò che gli si chiedeva, cioè la velocità del movimento diurno... Nel primo esperimento, la velocità che si cercava di determinare, quella della terra attorno al sole, non era, insomma, che un’ipotesi, giacché non esiste nessun esperimento di fisica dimostrante il movimento della terra attorno al sole. Al contrario, nel secondo, la velocità del movimento diurno è perfettamente conosciuta in anticipo: è di un giro al giorno, cioè, in un punto dell’equatore terrestre, di 40.000 km in 24 ore, ossia di 463 metri al secondo. Man mano che ci si avvicina al polo Nord, questa velocità diminuisce, come pure la lunghezza di ciascun parallelo, come il raggio di questo parallelo, proporzionalmente al coseno della latitudine... Devo spiegare perché si è potuto costruire un apparecchio indicante al primo colpo questa debole velocità. E’ che il primo apparecchio deve potere girare attorno a un asse verticale, il che limita molto in fretta le sue dimensioni e di conseguenza le sue possibilità. Il secondo, al contrario, può essere istallato a posto fisso e ricevere le dimensioni sufficienti per svelare debolissime velocità. Andando verso il nord, la velocità del movimento diurno diminuisce di 10 o 11 centimetri per miglio marino (1852 m).
Se dunque si costruisce un lungo rettangolo i cui lati maggiori sono orientati da est a ovest e distanti, per esempio, 300 metri, i grandi lati saranno sottomessi a delle velocità longitudinali differenti. La differenza di queste velocità è evidentemente debole, ma si può allungare questi lati quanto basta per misurare questa debole differenza. L’apparecchio si componeva di una canalizzazione rettangolare di 30 cm di diametro, in forma di rettangolo di 603 m su 334.
Il percorso dei raggi luminosi circolanti nei due sensi, con l’aiuto di specchi inclinati posti agli angoli del rettangolo, era dunque di 1200 m circa... Si capisce dunque che l’apparecchio permetteva di verificare con sicurezza la velocità del movimento diurno. ... Questo esperimento viene dunque a confermare l’esistenza del movimento diurno come l’esperimento del pendolo di Foucault o come le proprietà dei giroscopi. Ma l’interesse del secondo esperimento di Michelson per ciò che ci occupa attualmente, è che esso permette di scartare la sola spiegazione che la scienza classica potrebbe dare del risultato negativo del primo esperimento. Essa potrebbe sostenere che l’etere è trascinato dalla terra in movimento; ma adesso si può affermare che, se esistesse, il trascinamento avrebbe luogo tanto nella rotazione che nella traslazione; ora, il secondo esperimento prova che l’etere non è trascinato dalla rotazione
» (3).

Giacché bisognerà allora ben concludere che, se lo stesso apparecchio registra la rotazione della terra su se stessa e non segnala nessun suo spostamento attorno al sole, è perché il secondo movimento non esiste (4).

«Misurando con un procedimento ottico la rotazione diurna della terra l’esperimento del 1924 provava non solo che la velocità della terra e la velocità della luce si compongono, ma anche che l’etere esiste bello e buono. La validità scientifica dell’esperimento del 1887 era così confermata: se il movimento supposto di gravitazione attorno al sole della terra non aveva potuto essere messo in evidenza, è perché non esisteva. Questo secondo esperimento è rimasto poco conosciuto, forse perché non se ne misurarono allora tutte le implicazioni. Siccome la teoria di Einstein era stata largamente accettata nel mondo scientifico, un esperimento che suggeriva che uno dei postulati della relatività ristretta era falso non poteva essere preso sul serio: ma esso provava anche che la velocità della terra attorno al suo asse era conforme al calcolo teorico, e per gli sperimentatori interessati, questo risultato sembrava sufficiente. Affermare dunque che la terra non si sposta, non è il frutto di speculazioni astratte, ma il risultato di un fatto osservabile sperimentalmente» (5).

Michelson, che era un premio Nobel per la fisica, fu relegato in un articoletto del «The astrophisical journal» che pochi lessero e ancora meno compresero.
Quei pochi che lo compresero si guardarono bene dal tirarne le conseguenze.
Ormai la teoria della relatività (6) dilagava e anche a volerla fermare era inarrestabile.
Come racconta H. Bouassé (7) «I periodici sono pieni delle foto di Einstein, le belle donne fanno coda per vederlo, egli chiude delle tournèes come un’attrice, e ci si batte pro o contro. Evidentemente, come si dice a Tolosa, c’è qualcosa di più o di meno!».
Ora a dei fatti incontrovertibili si contrappone una teoria filosofica, una sorta di bizzarro misticismo, quasi una nuova religione di cui  Einstein è il profeta (8).

Quando quei fatti sono troppo duri si risponde con l’ostracismo se non con la rimozione: chi ricorda oggi il secondo esperimento di Michelson (9), ripeto ancora, premio Nobel e non una nullità?
Forse solo degli specialisti.
Le enciclopedie, a partire dalla Treccani no, e nemmeno i manuali in uso nelle scuole e nelle università.

Rinvio alla bibliografia, in particolare all’opera di F. Crombette, per gli eventuali approfondimenti e dove le presunte prove invocate da Einstein e dai suoi seguaci in appoggio alle sue concezioni sono dimostrate inesistenti e dove viene spiegato come fa il Sole a girare attorno alla Terra.

Alfonso Marzocco



Bibliografia

Fernand Crombette, «Galileo aveva torto o ragione?» Saint Amand Cedex, Ceshe, France, 2002.
Gustave Plaisant, «La terre ne bouge pas», Lilla, 1934.
Maurice  Ollivier, «Physique moderne et realitè», Edition Du Cèdre, 1962.
Guy Berthault, «Galilee avait tort», Ceshe, 1980.
Yves  Nourissat, «L’etere, agente universale delle forze della natura», Ceshe, 1986.

Note

1) L’11 settembre 1822, la Sacra Congregazione dell’Inquisizione decise che la stampa dei libri insegnanti il movimento della terra, secondo il sistema comunemente ammesso dagli astronomi moderni, fosse permessa a Roma.
2) «Galileo aveva torto o ragione?», Saint Amand Cedex, Ceshe, France, 2002.
3) «La terre ne bouge pas», pagina 16 e seguenti, Douriez-Bataille, Lille, 1934. Citato da F. Crombette, opera citata, pagina 129.
4) F.Crombette, opera  citata.
5) Yves  Nourissat, «L’etere, agente universale delle forze della natura», Ceshe, 2002.
6) Vedi Yves  Nourissat. Opera citata, pagine 51 e 52.
7) «La question préalable contre la théorie d’Einstein», Blanchard, Parigi, 1923.
8) E’ una citazione dell’astronomo abate Moreux («Les confin de la science et de la foi», pagina 70, Doin, Parigi, 1923): «In un articolo del 2 aprile 1923, lo studioso matematico J. Le Roux, professore alla facoltà di Rennes ed i cui notevoli lavori fanno autorità in tutto il mondo scientifico, giudicava ancor più severamente di me il relativismo einsteiniano: ‘Questa non è, diceva, una dottrina scientifica, è piuttosto una sorta di bizzarro misticismo, quasi una nuova religione di cui Einstein è il profeta... Quando la si approfondisce alla luce di una critica seria, si scopre facilmente la fragilità di questa costruzione che non è che una grossa contraffazione della scienza, uno strano ammasso di falsi ragionamenti, di ipotesi puerili e di superstizioni metafisiche.
Le conseguenze della teoria di Einstein sono inoltre talmente singolari che è impossibile attribuir loro un valore scientifico qualsiasi. Vi si scoprono degli errori grossolani e flagranti che dimostrano che Einstein non possiede una cultura matematica sufficiente per apprezzare esattamente il significato dei calcoli, nè per interpretare e discutere i risultati. Questa non è, lo ripeto, che una grossa contraffazione della scienza».
9) Y.Nourissat: «Questo esperimento era stato concepito nel 1904, ma dovette attendere il 1924 per ottenere i crediti (15.000 dollari dell’epoca) e gli aiuti necessari per costruire questo interferometro gigante. Nel frattempo, nel 1921, Einstein si era visto  attribuire il premio Nobel, non come si potrebbe pensare per la sua teoria della relatività (la giuria pare aver titubato davanti alla rottura con il senso comune che essa aveva rappresentato - aggiungiamo noi: c’erano anche dubbi sulla paternità della teoria -), ma per la sua interpretazione dell’effetto fotoelettrico dei fotoni. Al contrario il premio Nobel attribuito a Michelson nel 1907, riguardava i lavori di cui ci occupiamo. Nel 1924, Michelson è dunque uno studioso i cui esperimenti ottici fanno autorità fra i suoi pari e la cui celebrità non deve niente ai quotidiani newyorkesi. Questo esperimento condotto con Gale fu lungamente pensato prima di essere realizzato: il suo risultato consiste in una misura che si accorda  (al 2,6%) con il calcolo teorico basato sull’etere. Si tratta dunque di un esperimento indiscutibile (e indiscusso) e  merito è doppio: esso conferma, e questo è l’obiettivo dichiarato nel resoconto del 1924, la realtà di un etere immobile in cui la luce è una vibrazione che si propaga alla velocità assoluta c. Così, misurando la velocità apparente (c + - V) di un fascio luminoso, l’osservatore può dedurne la sua velocità propria in rapporto all’etere (V, che è anche la sua velocità assoluta nello spazio fisico reale), anche se essa non supera 0,344 km/sec.
Ritornando sull’esperimento del 1887 alla luce del 1924, si può decidere in favore dell’interpretazione geocentrica. Se in effetti un dispositivo ottico ha potuto mettere in evidenza una rotazione di  0,344 km/sec la cui realtà ci è d’altronde confermata (pendolo di Foucault, appiattimento della Terra ai poli, equilibrio dei satelliti geostazionari tra forza centrifuga reale e gravità terrestre), e se un dispositivo di uguale natura e di una precisione appropriata non perviene a scoprire un movimento supposto 100 volte più veloce (30 km/sec), è perché questo movimento supposto non esiste!».

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