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Pietro Ballerini e il Gallicanesimo
don C. Nitoglia
05 Novembre 2016
Introduzione
In un precedente articolo abbiamo visto che Pietro Ballerini nelle sue due opere principali[1] ha trattato, in generale, la natura della Chiesa di Cristo, e, in maniera specifica, la natura del Primato del Papa sull’Episcopato sia riunito in Concilio ecumenico sia sparso nelle diocesi di tutto il mondo.
Nel presente articolo vediamo come il Ballerini, contro l’errore del gallicanesimo, ha approfondito il problema dell’unità della Chiesa mantenuta e garantita dal Primato pontificio, che comporta come sua conseguenza logica e necessaria l’Infallibilità papale[2].
L’Unità della Chiesa
L’unità è la prerogativa principale della Chiesa di Cristo per divina volontà. Il Credo niceno/costantinopolitano la pone in primo luogo tra le quattro note della Chiesa: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”. Gesù ha fondato una sola Chiesa e non molte chiesuole ed è morto “per unire i figli di Dio, che erano dispersi, in una sola cosa” (Gv., XVII, 20-27).
Unità di fede e di carità
Siccome la Chiesa è esterna e visibile, anche l’unità deve essere esterna e visibile, altrimenti “non ci sarebbe nessuna sicurezza di unità” (S. Aug., In Parmen., lib. III, n. 28) ed ognuno la vedrebbe ove gli fa più comodo e non dove sta il successore di Pietro, anche nei periodi bui (v. la crisi ariana, il “bronzeo” secolo X, il Grande Scisma d’Occidente, il Pontefici del Rinascimento), in cui i Papi non si comportano bene da veri Vicari di Cristo e possono anche non essere membri della Chiesa per mancanza di grazia o di fede come dottori privati, ma ne restano Capi quanto al governo visibile[3]. Ora l’unità della Chiesa è causata soprattutto dall’unica fede e dal vincolo della comunione tra le membra della Chiesa, delle membra con i Pastori e soprattutto col Romano Pontefice (cfr. P. Ballerini, De vi ac ratione primatus Romanorum Pontificum, cap. X, n. 1).
Il Primato di Pietro mantiene l’unità di fede e di carità
Il fine del Primato del Papa è l’unità di fede e di comunione della Chiesa universale. Tuttavia l’unità di fede è la più importante; essa precede e comporta l’unità di comunione o di carità, che ne è una conseguenza necessaria. Infatti ove ci sono divisioni e scismi, ivi subentrano immancabilmente le varietà di opinioni o le eresie (cfr. P. Ballerini, De vi ac ratione primatus…, cap. X, nn. 2-5; cap. XI, n. 1).
Certamente anche i Vescovi, cum Petro et sub Petro, son preposti alle loro diocesi per governarle e mantenerle nell’unità, ma solo il Pontefice Romano ha ricevuto direttamente da Dio il Primato su tutta la Chiesa ed è stato investito immediatamente da Cristo del compito di mantenere l’unità della Chiesa universale e di ogni diocesi, la quale deve rispondere, tramite il suo Vescovo, al Papa (De vi ac ratione primatus…, cap. VIII, n. 3). Quindi il fine per cui Gesù ha istituito il Primato del Papa è l’unità di fede e di comunione di tutta la Chiesa. In breve l’unità della Chiesa dipende soprattutto dall’unico Capo visibile di essa, che è il Papa, e come l’unità è essenziale alla Chiesa così il Papa è essenziale ad essa, contro la dottrina gallicana, di modo che senza Papa non sussisterebbe l’unità e quindi neppure la Chiesa (De vi ac ratione…, cap. VIII, nn. 5-7).
Perciò il Primato papale è di diritto divino ed un Primato non solo di onore, ma di giurisdizione. Quindi Dio ha dato a Pietro e ai Papi l’autorità sufficiente (legislativa, giudiziaria, coercitiva) e necessaria per mantenere l’unità della Chiesa universale (De vi ac ratione…, cap. II, n. 1; cap. IX, n. 1 e 2).
Le distinzioni gallicane
Il gallicanesimo, non potendo né volendo negare esplicitamente la necessità dell’unione con la fede e con la carità della Prima Sede per rimanere esteriormente nella Chiesa e non perdere pubblicamente la propria ortodossia[4] (come ha fatto il giansenismo[5] e poi anche il modernismo), escogitò delle distinzioni, cui ricorrono sempre coloro che cercano di barcamenarsi tra verità ed errore senza negare esplicitamente la prima ed affermare chiaramente il secondo per restare nella Chiesa ed eroderla invisibilmente dal di dentro come una “società segreta / foedus clandestinum” (S. Pio X, Motu proprio Sacrorum Antistitum, 1910). San Tommaso Moro diceva: “sarei un cristiano a metà quando fossi pronto a scendere a patti con l’errore, pur non abbracciandolo totalmente, e quando non oso dire integralmente tutta la verità, ma solo delle mezze verità”.
Prima distinzione: Sede e sedente
La prima distinzione gallicana fu quella tra la Sede di Roma e il Pontefice Romano, che siede in essa. I gallicani, poi, aggiunsero che è necessario aderire alla fede della Santa Sede Apostolica, ma non è necessario aderire alla fede definita dal Romano Pontefice poiché la fede della Chiesa di Roma è diversa dalla fede insegnata da un singolo Pontefice di Roma. Infine conclusero che per aderire alle definizioni del Papa occorre che esse siano state fatte necessariamente con l’adesione della Chiesa universale o riunita in Concilio ecumenico o dispersa nelle varie diocesi di tutto il mondo.
Confutazione
I diritti di ogni sede sia civile che ecclesiastica sono legati alla persona che la occupa. La persona è “un soggetto razionale e libero” (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 29, a. 1 e 2). Quindi dalla razionalità e dalla libertà della persona procedono gli atti ragionevolmente liberi e ad essa sono imputati gli atti moralmente buoni o cattivi[6]. Ora la sede non è una persona umana capace di diritti e di doveri e senza una persona a suo capo la sede è vacante[7]. Ma i diritti del Papa vengono direttamente da Cristo. Quindi a maggior ragione non si può distinguere la Prima Sede da colui che la occupa e perciò è il Papa e non la sede che ha il Primato di giurisdizione sulla Chiesa universale, la quale gli dà il diritto di insegnare infallibilmente (a certe determinate condizioni) e di governarla (con potere legislativo, giudiziario e coercitivo) sia per mantenerne l’unità di fede che di carità. Dunque tutti i fedeli, i sacerdoti e i Vescovi (che sono la Chiesa militante visibile e gerarchica) devono convenire con la fede insegnata e definita dal Papa regnante. Il compito e la natura del Primato pontificio non può sussistere fuori della persona (Pietro/Papa) cui esso è stato dato da Cristo (De vi ac ratione…, cap. XIV, n. 25).
Seconda distinzione: il singolo Papa e la serie completa dei Papi
La seconda distinzione gallicana è tra il singolo Pontefice Romano e tutta la catena dei Papi. Infatti, secondo i gallicani, il Papa preso individualmente non gode dell’assistenza infallibile di Dio neppure quando insegna come Pastore della Chiesa universale, in materia di fede e morale e definisce e obbliga a credere, come ha poi definito il Concilio Vaticano I (sess. III, cap. 3, DB, 1792; sess. IV, cap. 4, DB, 1832-1839). Il motivo addotto dai gallicani è che, siccome un singolo Papa può errare anche quando definisce dogmaticamente ed obbliga a credere, il suo errore deve essere corretto dal Concilio o dall’Episcopato disperso nelle diocesi del mondo intero e solo così la fede di Pietro, non venendo meno nella serie ininterrotta dei suoi successori, resta intatta.
Confutazione
Con queste distinzioni i gallicani svuotano la forza del Primato del Papa rendendolo inadatto a mantenere l’unità della Chiesa e nel medesimo tempo rendono vacuo e inutile il dono fatto da Cristo a Pietro e ai sui successori per mantenere l’unità della Chiesa, come se le azioni di Cristo, vero Dio e vero uomo, potessero essere deficienti, quod repugnat. Infatti, se il singolo Papa non può insegnare infallibilmente senza il consenso della Chiesa o del Concilio, non può neppure pretendere obbedienza (unità di comunione o di carità), sottomissione e adesione ai dogmi definiti da lui (unità di fede). Quindi non è il Papa che mantiene l’unità della Chiesa, ma è la Chiesa stessa a farla sussistere, il che è una tautologia[8].
Si capisce che i gallicani attribuendo l’infallibilità non al Papa (alle suddette quattro condizioni), ma alla serie universale o totale dei Pontefici Romani - la quale non può sussistere simultaneamente, ma solo durante il corso di tutta la storia della Chiesa - demoliscono l’autorità del Papato azzerando l’efficacia dell’insegnamento e del governo del singolo Papa. Infatti negare l’infallibilità del singolo Papa e concederla a tutta la serie dei Pontefici Romani significa non solo limitare l’infallibilità papale, ma negarla praticamente perché, come insegna la sana filosofia, “actiones sunt suppositorum / le azioni son fatte dai singoli soggetti” e non da una serie indeterminata nel tempo di essi, ossia da un’entità astratta. Per esempio, non è la scuola (o tutti i maestri che vi hanno insegnato, vi insegnano e vi insegneranno dal suo primo giorno sino all’ultimo) che istruisce gli studenti, ma il maestro che istruisce in atto, non è l’ospedale (o tutta la serie dei chirurghi) che opera i pazienti, ma il chirurgo che vi lavora in atto, non è il tribunale (o tutti i giudici) che giudica gli accusati, ma il giudice che sentenzia in atto; così non è la Chiesa (o tutta la serie dei Papi da San Pietro sino all’ultimo Papa della storia) che mantiene la sua unità, ma il suo Capo, che è il Papa Vicarius Christi in atto durante il periodo del suo Pontificato.
Una volta ammessa la liceità di dubitare abitualmente, per principio e normalmente (non accidentalmente, eccezionalmente e in situazioni anomale[9]) dell’insegnamento dei singoli Papi, logicamente è doveroso dubitare - per principio, abitualmente e normalmente - di ogni insegnamento di tutti i Papi presi individualmente durante il periodo del loro Pontificato ( e così di ogni maestro, chirurgo, giudice…). Come si vede questa dottrina gallicana, oltre ad essere irreale, decreta la distruzione (volutamente pratica e non teorica al fine di non essere espulsi dalla Chiesa e per rovinarla, si fieri potest, dall’interno) dell’infallibilità pontificia per relegarla irrealisticamente alla fine del mondo quando la serie universale di tutti i Papi sarà compiuta. L’infallibilità pontificia per i gallicani è solo verbale, nominale o logica e non reale; il loro errore è una sorta di nominalismo[10] applicato all’infallibilità ed in effetti uno dei loro capi-scuola è Guglielmo Occam, il padre del nominalismo. Per fare un esempio, quando Pio XII ha definito il dogma dell’Assunzione (1° novembre 1950) i fedeli non potevano sapere se i Papi successivi l’avrebbero ritenuta vera o falsa e quindi non potevano aderire a quella definizione; così è per il dogma dell’Immacolata Concezione (Pio IX, 8 dicembre 1864) e per tutte le definizioni papali.
Terza distinzione: il Papa è infallibile solo col consenso della Chiesa
La terza distinzione gallicana è la condizione di far dipendere l’infallibilità della definizione di un Papa dal consenso della Chiesa. Ora ciò significa invertire le parti, rendendo soggetto del potere di magistero infallibile (alle quattro suddette condizioni) e di governo (legislativo, giudiziario e coercitivo) chi ne è l’oggetto (fedeli, sacerdoti e Vescovi). Il Capo, il fondamento e il centro della Chiesa è Pietro ovvero il Papa secondo la S. Scrittura, la Tradizione e il Magistero[11] e non viceversa mentre la Chiesa, secondo i gallicani, sarebbe il “Capo… del Corpo della Chiesa”. Invece è Rivelato divinamente che “Cristo è il Capo del corpo, cioè della Chiesa” (Col., I, 18) e quindi il Papa, che è il Vicario visibile in terra di Cristo asceso in Cielo, è il Capo visibile e secondario a Cristo del Corpo mistico. È evidente l’irrealismo e la contraddictio in terminis della malsana teoria gallicana.
Confutazione
Se così fosse, il Primato di giurisdizione dato da Cristo a Pietro e ai suoi successori (i Papi) non sarebbe sufficiente per sé a conservare l’unità di fede e di comunione della Chiesa. Infatti esso avrebbe bisogno del consenso dei fedeli, dei sacerdoti e dell’Episcopato, i quali facilmente lo potrebbero eludere negando il loro consenso. Ora ciò equivale a dir che Cristo ha dato, con molta solennità (cfr. Mt., XVI, 18) un potere inefficace e (etimologicamente) “deficiente” (absit!) a Pietro e ai suoi successori; il che ripugna, data la natura divina di Cristo, che, essendo l’Essere perfettissimo non può agire in maniera imperfetta (“agere sequitur esse”). Ma, siccome Gesù ha dato il Primato a Pietro e ai suoi successori per mantenere intatta l’unità della Chiesa “ogni giorno sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20), sia insegnando e definendo sia governando e coercendo, significa che Pietro e il Papa come suo successore ha ricevuto da Cristo un’autorità di giurisdizione “piena, suprema, universale, immediata o diretta e ordinaria” (Concilio Vaticano I, DB, 1831), non soggetta a nessun’altra autorità umana, ma solo a Dio del quale fa le veci e del quale deve trasmettere il Deposito della fede e dei costumi come gli è stato consegnato. Questo è il limite che il Papa non può valicare. Egli non può cambiare la fede e la morale divina, ma la deve custodire inalterata e tramandare incorrotta sino alla fine dei tempi (De vi ac ratione…, cap. XIV, n. 26).
È per questo motivo che papa Bergoglio (v. Esortazione Amoris laetitia, 19 marzo 2016) non può negare praticamente il valore del 6° e 9° Comandamento di Dio, ridimensionare la natura del Matrimonio istituito da Cristo come Sacramento indissolubile e voler far concedere l’assoluzione ai peccatori non pentiti, ledendo il Sacramento della Penitenza, che è di Istituzione divina. Nello stesso tempo nessuna autorità umana è superiore al Papa, per cui gli si deve far presente il suo grave abuso di potere, mortalmente peccaminoso, e pregare Dio che lo converta o che lo tolga da questa terra. S. Tommaso d’Aquino insegna: “il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e se non ha un superiore [come nel caso del Papa], ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra” (IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, qcl. 3, ad 2). Tuttavia non si può giudicare il Papa e deporlo dal Papato: “Prima Sedes a nemine judicatur”. Il Concilio Vaticano I (IV sessione, 18 luglio 1870, Costituzione dogmatica Pastor aeternus) ha definito dogmaticamente il principio della ingiudicabilità del Papa da ogni autorità umana e ecclesiastica[12]. Il CIC del 1917 al canone 1556 riprendendo la definizione dogmatica del Vaticano I ha stabilito il principio: “Prima Sedes a nemine judicatur”, ripreso tale e quale anche dal CIC del 1983, canone 1404.
Quarta distinzione: il Papa è superiore al singolo Vescovo, ma non all’Episcopato
La quarta distinzione gallicana asserisce che il Papa è superiore solo ai Vescovi considerati singolarmente (in senso distributivo), ma non lo è se i Vescovi vengono considerati assieme sia in riuniti Concilio ecumenico sia nelle loro diocesi sparse nel mondo intero (in senso collettivo); in quest’ultimo caso i Vescovi sarebbero superiori al Papa, avrebbero una vera e propria giurisdizione su di lui e i decreti del Concilio sarebbero validi anche senza l’approvazione del Papa (De Potestate ecclesiastica summorum Pontificum et Conciliorum generalium., cap. IV, § 3)[13].
Confutazione
L’autorità del Papa, dovendo mantenere in tutta la Chiesa l’unità di fede e di governo, deve essere fornita necessariamente del potere di obbligare all’adesione di fede e all’obbedienza di comunione tutti, nessuno escluso sia in senso collettivo (tutto l’Episcopato sparso nelle diocesi dell’universo mondo o riunito in Concilio ecumenico) sia in senso distributivo (ogni Vescovo preso singolarmente nella sua diocesi), altrimenti il Primato sarebbe senza ragion d’essere, e Dio non agisce a vuoto.
Conclusione
Il gallicanesimo come il conciliarismo, da cui deriva, è un errore ecclesiologico, secondo il quale il Concilio ecumenico è sempre superiore al Papa. La teoria conciliarista meno radicale diffuse l’opinione secondo la quale in alcuni casi (ad esempio l’eresia) il Papa potesse essere sottomesso al giudizio dei suoi sudditi. Due dottori tedeschi dell’Università di Parigi ridussero a sistema la dottrina conciliarista all’inizio del Grande Scisma: Corrado Di Gelnhausen ed Enrico di Langestein. Il primo pubblicò nel 1380 l’Epistola concordiae ove attribuisce ai Vescovi convocati in Concilio il supremo potere sulla Chiesa; l’altro nel 1379 pubblicò l’Epistola pacis in cui pone tale origine nei fedeli. Il cardinale Pierre D’Ailly († 1420), un occamista convinto che ebbe molta parte al Concilio di Costanza, riteneva che la Chiesa è fondata su Cristo e non su Pietro e, perciò, che il Papa non è essenziale alla Chiesa. Quindi la giurisdizione deriva ai Vescovi direttamente da Cristo e non tramite il Papa e perciò i Vescovi uniti in Concilio ecumenico sono la massima autorità della Chiesa. Il Papa esercita il potere nella Chiesa solo come suo semplice ministro e, siccome può anche cadere in eresia formale e notoria, può essere deposto dal Concilio o dall’Episcopato sparso nel mondo. Soltanto la Chiesa universale o i Vescovi uniti in Concilio ecumenico sono infallibili e «nel caso che anche tutto il clero cadesse nell’errore, vi sarà sempre qualche anima semplice e qualche pio laico che saprà custodire il deposito della divina Rivelazione» (A. Piolanti, voce Conciliarismo, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1949, vol. III, col. 165). Ora la retta dottrina insegna che senza Papa non c’è Chiesa. Infatti, l’autorità è l’essenza della società temporale e spirituale e quindi anche della Chiesa, che è una società perfetta d’ordine spirituale, onde il Papa non è accidentale, ma essenziale e necessario alla sussistenza di essa. Senza un Papa che regni in atto non sussiste il Corpo Mistico di Cristo, il quale sarebbe simile ad un corpo senza capo, forma o anima, ossia sarebbe morto. L’autorità è il principio di unità e di essere della società, la quale non sarebbe più una né esisterebbe (“ens et unum convertuntur”) senza autorità. Quindi, il Papa non è accidentale, ma essenziale per la sussistenza della Chiesa (cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa c. Gent., lib. IV, c. 76). Senza un Papa che regni in atto non sussiste il Corpo Mistico. L’unità è la prima nota essenziale della Chiesa ed è concentrata nell’unico Capo visibile della Chiesa, il Pontefice Romano, al quale rimonta il principio della successione apostolica (o apostolicità formale)[14]. L’unità della gerarchia cattolica consiste nell’unione col successore di Pietro. Unità significa che la Chiesa è indivisa in sé (se fosse divisa in sé stessa sarebbe morta come quando l’anima lascia il corpo e l’uomo si divide, decompone e muore) e distinta da ogni altra “chiesuola”. Ora senza Papa (come senza anima che è principio di vita, essere e unità intrinseca) la Chiesa (e l’uomo, per analogia) è morta, ma la Chiesa perdurerà sino alla fine del mondo, non finirà neppure un istante prima. San Tommaso d’Aquino riassume mirabilmente: «La fermezza o unità (firmitas) della Chiesa è analoga a quella di una casa che si dice solida se ha un buon fondamento. Ora il fondamento principale della Chiesa è Cristo, mentre il fondamento secondario sono gli Apostoli (con Pietro a capo). Per questo si dice che la Chiesa è apostolica» (Exp. in Symbol., a. 9). Togli il Papa e crolla la Chiesa. “Ubi Petrus ibi Ecclesia”. Il principio speculativo da cui parte il conciliarismo è quello secondo cui “il Papa può personalmente errare, la Chiesa o il Concilio no” (H. Jedin, Breve Storia dei Concili, Brescia, Morcelliana, 1978, p. 97). La firmitas Ecclesiae non può risiedere nella infirmitas Petri, ma solo nella soliditas Concilii. Il legame di Cristo con la Chiesa o il corpo episcopale è indissolubile, con il Papa no (H. Jedin, ibidem, p. 104). Quindi anche il Papa deve obbedienza al corpo dei Vescovi sparsi nel mondo e alla sua riunione in Concilio. “Il Concilio ecumenico radunato rappresenta l’intera Chiesa, il suo potere gli viene immediatamente da Cristo” (H. Jedin, ivi). Giovanni Gersone († 1429), anche se pio personalmente, fu dottrinalmente discepolo di Pierre D’Ailly e andò oltre il suo maestro nell’errore ecclesiologico conciliarista e lo sostenne strenuamente al Concilio di Costanza (1414-1418). Infatti, mentre D’Ailly insegnava che la gerarchia ecclesiastica è fondata sui Vescovi riuniti in Concilio (aristocrazia episcopale), Gersone prima fondò la Chiesa sui parroci e poi anche sui semplici fedeli (democrazia ecclesiale temperata), i quali ultimi trasmettono il potere ai parroci e ai Vescovi. Quindi non solo il Concilio, ma anche i fedeli possono giudicare il Papa e deporlo. Siccome Gersone era uomo di grande pietà personale tali errori garantiti dalla sua persona ebbero maggior successo e provocarono danni maggiori portando all’eresia di Hus († 1415) e finalmente al luteranesimo, «per rifugiarsi dopo il Concilio di Trento presso i cattolici francesi, che, in nome delle libertà gallicane, osteggiarono per secoli il libero esercizio dell’autorità pontificia. Purtroppo nel 1682 mons. Benigno Bossuet († 1704) redasse i 4 articoli della Dichiarazione del clero gallicano, la quale sanciva 1°) la separazione del potere temporale da quello spirituale; 2°) la superiorità del Concilio ecumenico sul Papa; 3°) l’indipendenza della chiesa francese dal Papa; 4°) la necessità del consenso della Chiesa alle definizioni del Papa affinché abbiano valore vincolante. La Chiesa li ha condannati (DB, 1322 e 1598). Tale errore si fece ancora sentire durante il Vaticano I, che lo condannò solennemente (DB, 1830)» (A. Piolanti, ivi, coll. 165-166)[15].
Vi sono epoche in cui la Chiesa non può esplicitare tutta la sua dottrina per evitare mali maggiori, vi sono sempre state (Concili di Costanza, di Basilea e Vaticano II) e ci potranno essere sempre sino a che il mondo non finisca. Molto spesso l’ottimo è nemico del buono; in certe contingenze occorre prendere atto dei fatti come si presentano realmente e non come li vorremmo noi. L’ideale non è reale. Sarebbe ottimo essere sempre in clima di Vaticano I, ma certe volte si è nel clima di Costanza, di Basilea o del Vaticano II. “C’è un tempo per ogni cosa. Un tempo per piangere e uno per ridere, uno per tacere e uno per parlare, uno per far la guerra e uno per la pace”.
Tuttavia è bene ricordarsi che la Chiesa è per divina Volontà indefettibile, ossia durerà sino alla fine del mondo, conservando sostanzialmente inviolato il Deposito trasmessole dal Cristo nelle sue definizioni dogmatiche. La Chiesa è la continuatrice dell’opera di Cristo dopo la sua Ascensione (Rom., XII, 4-6; I Cor., XII, 12-27; Ef., IV, 4). Quindi deve durare sino a che vivrà su questa terra una sola anima da salvare. Gesù lo ha promesso solennemente: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Giov., XX, 21; Mt., XX, 28; XXVIII, 18) e “Le Porte degli Inferi non prevarranno contro la Mia Chiesa” (Mt., XVI, 19). S. Ambrogio commentando queste parole di Gesù chiosa: “la Chiesa è simile ad una nave che viene continuamente sbattuta dalle tempeste e dai marosi ed è invasa dall’acqua da tutte le parti, ma essa non potrà mai naufragare, perché il suo albero maestro è la Croce di Cristo, il suo timoniere è Dio Padre e il custode della sua prora lo Spirito Santo, i suoi rematori Pietro con gli Apostoli e i loro successori: il Papa e i Vescovi” (Liber de Salomone, cap. IV). Quindi si può ben dire: “Stat Ecclesia dum volvitur orbis / mentre il mondo passa, la Chiesa permane”. Il Concilio Vaticano I (DB, 1794) ci assicura, dogmaticamente e infallibilmente, che la fede che noi professiamo poggia su un fondamento sicurissimo: l’invitta stabilità della Sposa di Cristo anche in mezzo alle persecuzioni più crudeli. Ora la stabilità e il fondamento della Chiesa, per divina volontà, sono Pietro e i Papi come suoi successori quali Vicari di Cristo. Quindi il Papato non potrà mai venire meno, ma soltanto attraversare delle burrasche come la nave della Chiesa. San Beda il Venerabile ci ricorda: «In questo passo del Vangelo di Marco (VI, 47-56) è scritto giustamente che la Nave (ossia la Chiesa) si trovava nel mezzo del mare, mentre Gesù stava da solo sulla terra ferma: poiché la Chiesa non solo è tormentata ed oppressa da tante persecuzioni da parte del mondo, ma talvolta è anche sporcata e contaminata di modo che, se fosse possibile, il suo Redentore in queste circostanze, sembrerebbe averla abbandonata completamente» (In Marcum, cap. VI, lib. II, cap. XXVIII, tomo 4).
In quest’ora di agonia dell’ambiente ecclesiale, cui seguirà immancabilmente la sua risurrezione gloriosa e trionfante (come avvenne dopo la Passione e Morte di Gesù, di cui la Chiesa è la continuazione nella storia)[16] occorre 1°) mantenere la dottrina sempre insegnata dalla Chiesa e 2°) evitare gli errori a) per difetto (conciliarismo/gallicanesimo), che diminuiscono l’autorità del Primato papale; b) per eccesso, che ritengono il Papa sempre infallibile anche quando rinuncia all’assistenza infallibile dello Spirito Santo, non definendo dogmaticamente e non obbligando a credere per la salvezza dell’anima (come è avvenuto nel Concilio Vaticano II). Particolarmente oggi bisogna continuare a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 15) evitando di sbandare “a destra” o “a sinistra”[17], e mantenendo il giusto mezzo di altezza e non di mediocrità tra i due opposti errori, come una vetta che si erge tra i due burroni i quali la circondano per non precipitare nel vuoto sia a “destra” che a “sinistra”, col medesimo risultato: la morte temporale ed eterna (R. Garrigou-Lagrange). Bisogna saper attendere con fede e fiducia la risurrezione della Chiesa come la Madonna il Sabato Santo attese quella di Cristo. Data la vastità e l’intensità della corruzione dottrinale e della depravazione morale, che ha invaso ogni luogo e persino il Santuario, oramai solo un intervento dell’Onnipotenza misericordiosa e giusta di Dio potrà rimettere le cose a posto. Noi possiamo soltanto pregare e far penitenza, insegnare la sana dottrina e le retta morale, amministrare e ricevere i Sacramenti senza illuderci di poter rimettere, noi, in piedi un mondo che è diventato peggio di Sodoma e Gomorra. Non è lavoro che possa svolgere la natura umana, ma esso richiede l’intervento di Dio. Exurge Domine!
d. Curzio Nitoglia
1] De Potestate ecclesiastica summorum Pontificum et Conciliorum generalium (Verona, 1765); De vi ac ratione primatus Romanorum Pontificum (Verona, 1766).
2] Cfr. T. Facchini, Il Papato principio di unità e Pietro Ballerini di Verona, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1950, cap. IV, pp.67-89.
3] Così insegnano i grandi commentatori di S. Tommaso d’Aquino (S. Th., II-II, q. 1, a. 10): il Gaetano (De comparatione auctoritais Papae et Concilii…, Roma, Pollet, 1936, cc. 18-19), il Bañez (In IIam-IIae, q. 1, a. 10), il Billuart (De Incarnatione, dissert. IX, a. II, § 2, obiect. 2) e padre Garrigou-Lagrange (De Christo Salvatore, Torino, Marietti, 1946, p. 232).
4] I gallicani, come poi i giansenisti, asserivano che le definizioni del Papa non obbligano all’adesione interna, ma solo al silenzio esterno. La Chiesa li ha scoperti e condannati debellandoli nel Concilio Vaticano I. Purtroppo la medesima “tattica” è stata ripresa dal modernismo con successo. Infatti, pur essendo stato condannato da S. Pio X (Enciclica Pascendi, 1907; Motu Proprio Sacrorum Antistitum, 1910) e da Pio XII (Enciclica Humani generis, 1950), dopo la morte di papa Pacelli ha invaso la gerarchia ecclesiastica sino ad occuparne il vertice e a spandere i suoi errori dappertutto.
5] Cfr. Mons. Antonio de Castro Mayer, Come si prepara una rivoluzione. Il Giansenismo e la terza forza, (1952), tr. it., in “Cristianità”, n. 1, settembre/ottobre 1973 e n. 2, novembre/dicembre, 1973.
6] Cfr. G. Gonnella, La persona nella filosofia del diritto, Milano, 1938; F. Carnelutti, La persona umana e il delitto, Roma, 1945.
7] Per esempio un tribunale senza un giudice non può giudicare, un ospedale senza un medico chirurgo non può operare chirurgicamente, una scuola senza un maestro non può insegnare agli allievi; così la Chiesa senza il Papa, che ne è il Capo, non può insegnare, governare e santificare mediante il Magisterium, l’Imperium e il Sacerdotium. Sino a che il tribunale, l’ospedale, la scuola e la Chiesa restano senza il loro capo esse sono “sedi vacanti” e non possono far nulla tranne che attendere l’arrivo di una nuova persona occupante legittimamente la sede.
8] Una proposizione in cui si ripete la stessa cosa (dal greco tautò = lo stesso e légein = che dice). Per esempio, “la Chiesa mantiene l’unità della Chiesa”, ossia il predicato (l’unità della Chiesa) ripete il concetto già contenuto nel soggetto (la Chiesa), in breve la Chiesa è una perché… è una.
9] Cfr. A. X. da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975. Solo eccezionalmente vi possono essere errori in documenti del Magistero non dogmaticamente definitorio e obbligante; normalmente anche il Magistero semplicemente autentico e non per sé infallibile non contiene errori e lo si deve seguire. Ora il cardinal J. Ratzinger ha detto: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale» (Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988). Quindi il vaticano II non è infallibile e dunque per definizione in esso si possono trovare errori. Non è esagerato affermare, perciò, che l’epoca del Concilio Vaticano II e del post-concilio è una delle più eccezionali e oscure della storia della Chiesa.
10] Errore filosofico secondo cui la ragione umana non conosce la realtà, ma solo i nomi con cui la si esprime e che non corrispondono veramente ad essa.
11] Che è l’interprete ufficiale dei due luoghi della Rivelazione divina, ossia la S. Scrittura e la Tradizione divino/apostolica. Cfr. M. Cano, De locis theologicis, Roma, T. Cucchi, 1900; Concilio Vaticano I, sess. IV, cap. 4, DB, 1832; Pio XII Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950.
12] “Insegniamo e dichiariamo che, secondo il diritto divino del Primato papale, il Romano Pontefice è il giudice supremo di tutti i fedeli […]. Invece nessuno potrà giudicare un pronunciamento della Sede Apostolica, della quale non esiste autorità maggiore. Quindi chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).
13] Il Concilio Vaticano II (Lumen gentium n. 22) riprende e mantiene l’equivoco secondo cui il Papa ha il Primato di giurisdizione, ma lo cointende o lo compartecipa con il Corpo dei Vescovi. La Lumen gentium attribuisce al Corpo dei Vescovi, del quale il singolo entra a far parte con la sola consacrazione episcopale, un potere e una responsabilità stabile sulla Chiesa intera e non solo sulla sua propria singola diocesi; perciò fu ritenuta da vari Cardinali e Vescovi «recante detrimento al potere primaziale del Papa» (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia-Roma, Morcelliana-Herder, 1978, p. 240). Questa dottrina di un duplice soggetto del supremo e totale potere di magistero e impero nella Chiesa (e quindi di un duplice Capo della Chiesa) era già stata condannata da papa Clemente VI (29 settembre 1325) nella Lettera Super quibusdam ad Mekhithar patriarca degli Armeni (DS 1050-1065, De primatu Romanae Sedis). L’Episcopato in Lumen gentium n. 22 è reso praticamente se non identico (della stessa natura, per esempio Antonio e Marco sono identici quanto alla natura umana) almeno simile (della stessa qualità, ad esempio Antonio e Giovanni sono simili quanto all’accidente qualità di essere ingegneri o medici o sacerdoti) al Papa, che vede il suo Primato monarchico annacquato dalla dottrina dell’Episcopato collegiale. Il Papa è simile al Vescovo quanto al potere d’Ordine sacro: sono entrambi Vescovi, ma quanto al potere di Giurisdizione il Papa lo riceve direttamente da Dio e poi lo comunica ai Vescovi. Quindi in Lumen gentium vi è una sorta di duplice capo stabile e permanente della Chiesa: il Papa e il Papa con l’Episcopato stabilmente. Certamente non è l’eresia gallicana e conciliarista, ma ne è un derivato più sfumato e meno radicale e per questo più pericoloso.
14] «Pietro è la “pietra” che conferisce saldezza, [compattezza e unità] alla Chiesa» (A. Lang, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, p. 310). Ora senza unità non c’è essere (ens et unum convertuntur). Quindi la Chiesa, senza Papa, cesserebbe di esistere (sine Petro, nulla Ecclesia). Quod repugnat. Infatti è di fede cattolica definita che la Chiesa dovrà durare sino alla fine del mondo, onde non è possibile che manchino assieme il Papa, l’Episcopato avente giurisdizione ed un collegio cardinalizio capace di supplire il Papa defunto durante la normale “sede vacante” (una sorta di collegio “vicario” del “Vicario di Cristo”), governando con autorità e mantenendo così l’unità e l’esistenza della Chiesa, in attesa dell’elezione di un nuovo Papa. In tal caso i cardinali mantengono in vita la Chiesa poiché fungono da autorità o principio di vita della medesima (sono “vicari” del “Vicario” morto).
15] Cfr. V. Martin, Comment s’est formée la doctrine de la supériorité du Concile sur le Pape, in “Revue des sciences religieuses”, n. 17, 1937, pp. 121-143, 261-289, 405-426; Rodolfo Dell’Osta, Teodoro de Lellis: un teologo del potere papale e i suoi rapporti col cardinalato nel secolo XV, Belluno, 1948.
16] Cfr. Rom., XII, 4-6; I Cor., XII, 12-27; Ef., IV, 4.
17] “Destra” e “Sinistra” sono qui prese non nel significato politico, ma teologico secondo il quale la destra è la parte degli eletti: Cristo siede alla destra del Padre, il buon ladrone stava alla destra della Croce di Gesù, gli Apostoli buttarono le reti a destra e pescarono molti pesci, gli eletti saranno a destra e i reprobi a sinistra il giorno del Giudizio universale… e così via.
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