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Non proprio darwinismo
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E’ un embrione di pesce, con tanto di cordone umbilicale. E’ antico di 375 milioni di anni. E arretra di 200 milioni di anni l’origine della «ovoviviparità», smentendo ancora una volta le fantasie evoluzioniste (1). Qualche spiegazione.

Praticamente tutti i pesci sono «ovipari»: la femmina disperde nell’acqua le sue uova (spesso a milioni), e il maschio le feconda emettendo nuvole di sperma. E’ un modo di fecondazione ritenuto dagli evoluzionisti più «primitivo», e quindi precedente alla fecondazione «ovovivipara», dove il maschio feconda internamente la femmina (come facciamo noi, animali cosiddetti superiori) e la femmina porta l’embrione dentro di sè fino al completo sviluppo, e lo espelle solo quando è perfettamente autonomo.

Nell’oviparità milioni di cellule fecondate, potenziali futuri pesci, vengono divorate perchè tutto avviene in acqua, e pochi individui scampano ai pesci predatori; gli ovovivipari avrebbero un presunto vantaggio evolutivo, perchè l’embrione viene protetto nel corpo della madre fino al completo sviluppo.

Ebbene: l’antichissimo pesce fossile ritrovato in Australia nella formazione paleontologica di Gogo, generava nel modo, diciamo così, «superiore» e più sofisticato. Ciò benchè si tratti di un pesce ritenuto assai «primitivo», in quanto appartenente ai placodermi, ossia pesci forniti di una corazza ossea esterna, che abitavano i mari tra 435 e 360 milioni di anni fa, oggi estinti completamente.

Il tipo trovato in Australia apparteneva a una specie finora sconosciuta, ed è stato battezzato «Masterpiscis attenboroughi» dal dottor John Long, direttore del Victoria Museum di Melbourne. I placodermi, pesci corazzati, potevano raggiungere anche i 6 metri. Quello ritrovato è un embrione di 25 centimetri, riconoscibile senza equivoci come embrione perchè attaccato al cordone ombelicale.

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Grafica sul fossile australiano dove viene ben evidenziato il cordone ombelicale

La impressionante antichità di un esemplare nato da una fecondazione sofisticata non ha imbarazzato gli evoluzionisti per più di un momento: «evidentemente», hanno spiegato, non è stato 150 milioni, ma 350 milioni di anni orsono che «alcuni pesci ossei hanno trasformato le loro pinne in arti per salire sulla terra ferma». Così, la teoria darwiniana è ancora una volta «giusta», e non deve essere ripensata.

In realtà, è noto che alcune rare speci di pesci tuttora esistenti sono ovovivipari, ossia sviluppano l’embrione all’interno della madre, avvolto in una membrana coriacea. E non si tratta affatto di pesci «evoluti»: parliamo della razza e soprattutto degli stupidissimi squali, che filano nelle acque da 150 milioni di anni, senza mai aver dimostrato la minima intenzione di trasformare le loro pinne in zampe per venire a vivere fra noi terragni.

Peggio: lo squalo è, dal punto di vista evoluzionistico, ancor più «primitivo» dei placodermi estinti, perchè ha scheletro cartilagineo, mentre i placodermi avevano scheletro osseo - creduto più evoluto (è potenzialmente più adatto a una vita sulla terraferma). E allora, come si spiega tutto ciò?

Niente paura: ecco pronta l’ipotesi per riconfermare il darwinismo. «Certamente» pesci stupidi e primitivi come gli squali sono stati dotati dalla selezione naturale del sistema di sviluppo embrionale interno, «perchè solo così il piccolo poteva non farsi divorare dalla propria genitrice». C’è una spiegazione per tutto. Cannibalismo, ecco il problema che il caso ha risolto, solo a favore dello squalo. Chissà perchè non a favore degli altri pesci.

E’ stato un po’ più difficile spiegare in termini darwinisti il DNA dell’ornitorinco, recentemente sequenziato insieme dalla Washington University di St. Louis e dalla Australian National University di Canberra (2). L’ornitorinco, che vive in esigue zone dell’Australie e della Nuova Guinea, è l’animale preferito dagli evoluzionisti, il miglior candidato alla funzione di «anello mancante», la cui ricerca tanti sconforti ha portato ai darwinisti.

Perchè è un mammifero, eppure depone uova: allatta, eppure non ha capezzoli; ha un fitto pelo da lontra o da castoro (come loro è un animale semi-acquatico) ma esibisce un bel becco d’anatra; infine, è anche l’unico mammifero che secerne veleno come i rettili. Insomma un animale «imperfetto», un po’ uccello e un po’ castoro e un po’ serpente.

Ovviamente il suo codice genetico presenta gli stessi caratteri plurimi e strani. Ha 18 mila geni (circa come gli uomini) e 2,2 miliardi di «basi», le «lettere» del DNA, due terzi di quelle presenti nell’uomo.  Ricostruire l’ordine di queste «lettere», per ammissione degli scienziati, è stato spaventosamente difficile, perchè non ci sono «modelli» simili. L’ornitorinco è proprio diverso.
I geni del suo veleno sono molto simili a quelli dei rettili: ecco una «prova» evoluzionista. Piccolo particolare: l’ornitorinco non secerne il suo veleno dai denti, ma da un artiglio situato nelle zampe posteriori. Spiegazione evoluzionista: «Evidentemente le due classi (rettili e ornitorinco) hanno ottenuto questa innovazione (veleno) per vie di evoluzione distinte e indipendenti, ma entrambi fabbricano il loro veleno partendo dalla stessa molecola, un composto biochimico che si trova nel sistema immunitario».

L’ornitorinco depone le uova, poi quando il piccolo esce, lo ospita in una tasca dove lo allatta,  come i canguri: infatti è marsupiale, come tanti animali che vivono ad est della «Linea di Wallace» (ossia in Australia e Papua), dove la natura sembra aver di colpo «voltato pagina» e sperimentato questo metodo - macchinoso? Inefficiente? Primitivo o solo fantasioso? - di sviluppo del feto (3).

Dall’esame del DNA e dei geni del latte della strana bestia, gli evoluzionisti hanno tratto la convinzione che «pare essere una versione modificata del fluido umidificanteche gli ornitorinchi ancestrali usavano per impedire alle loro uova di seccare durante l’incubazione».

Sicuramente è andata così. Darwin ha ancora una volta ragione. Poco importa se, come nel canguro, il latte da marsupiale diventa sempre più nutriente via via che il feto cresce e poppa, fornendogli nel modo più efficiente il nutrimento di cui ha bisogno, cosa che non sembra proprio «primitiva».-

Ancora più strano, ed apparentemente evoluto, il codice genetico per la determinazione del sesso. I mammiferi, anche noi umani superiori, hanno due cromosomi sessuali: due X per fare una femmina, un X e Y per un maschio. Ebbene: l’ornitorinco ha dieci cromosomi sessuali invece di due. E il cromosoma Y (che fa i maschi), il gene cruciale non si trova là dove sta negli altri mammiferi, ma in un’altra sezione del DNA «che sembra non aver nulla a che fare col sesso». E alcuni dei 10 cromosomi somigliano più a quelli degli uccelli che dei mammiferi.

«E’ la prova di una mistura di diversi sforzi evolutivi che hanno condotto a un sistema di determinazione sessuale nei primi mammiferi». Un frullato evolutivo, sicuramente. E non domandate come mai un animale primitivo, che ancora non è ben deciso se essere uccello o mammiferi o rettile, ha un sistema di determinazione sessuale più complesso degli animali presunti superiori, gli altri mammiferi. Il Darwinismo ha una risposta per tutto, deve solo cercarla.

Infatti, i ricercatori sono in grado di assicurarci che siamo parenti dell’ornitorinco: discendiamo da un «antenato comune» con noi e gli altri mammiferi vissuto 170 milioni di anni fa. Eravamo, allora, tutti ornitorinchi. Anche se già dei pesci di 375 milioni di anni prima non deponevano le uova come l’ornitorinco e la gallina, ma le fecondavano all’interno del corpo materno. E abbiamo perso parecchie qualità dell’ornitorinco: non sappiamo secernere veleno - almeno non dagli alluci, e nemmeno annusare i feromoni e sentire i campi magnetici nelle acque, come sa fare lui.

Un non-evoluzionista obietterebbe che, strano che sia, anche quel mammifero con becco d’anatra è perfettamente adattato alla sua nicchia ecologica, quindi nè più nè meno «imperfetto» di tutti gli altri (escluso l’uomo, il grande disadattato); che il cambiamento della nicchia è di solito la causa della sparizione di animali, troppo «adatti», senza che si siano mai visti evolversi per adattarsi alle nuove condizioni; e che la «diversificazione» da un «antenato comune» è un mistero, a cui l’indagine sul DNA non reca alcuna luce. E davanti al quale - come alla fantasia prodigiosa che la natura dimostra, di qua e di là della «linea di Wallace», l’atteggiamento giusto sarebbe dire: non ne capiamo nulla.

E invece no, avete torto. Perchè ora l’evoluzionismo è una Verità non solo di ragione, ma anche di Fede. Ce lo ha spiegato, e in modo definitivo, l’Osservatore Romano del 5-6 maggio, per bocca di un biologo evoluzionista italiano, Fiorenzo Facchini (4).

Secondo Facchini, tutto è andato proprio come dice la teoria evoluzionista: a forza di mutamenti casuali, mantenuti dalla selezione naturale in quanto «utili», la natura vivente s’è evoluta dalle forme microbiche più primitive a pesci, da pesci a rettili, da rettili (o anfibi) a dinosauri, da questi agli uccelli, poi i primi mammiferi con poco cervello, poi gli ominidi. Solo da quel punto in poi «quando le condizioni biologiche necessarie a sostenere un essere capace di pensiero riflessivo furono raggiunte, la volontà di Dio, il creatore, liberamente lo desiderò (tale essere pensante) e l’uomo fu».

Insomma, «la formazione dell’uomo ha richiesto un intervento particolare di Dio, benchè la sua emersione sia dovuta a cause naturali». «Ad un certo puntro Dio ha instillato una scintilla d’intelligenza in un ominide non umano».

Con questa ipotesi, il Facchini ritiene di aver escogitato un evoluzionismo per cristiani, accettabile dalle anime semplici, così come esistono le automobiline per bambini. L’intervento divino che lui ipotizza «non rappresenta una indebita intrusione (della teologia) nel campo della scienza, come fa (la teoria del) ‘progetto intelligente’ perchè è richiamato (solo) per spiegare la presenza dello spirito umano». Che dire?

Che una simile teoria sia accolta dall’Osservatore Romano pare denunciare una certa involuzione darwiniana della sapienza vaticana, e una certa qual ignoranza dei principi dell’evoluzionismo. L’ipotesi evoluzionista - che presume una salita da forme di vita semplici e primitive a forme complesse e superiori a forza di caso e necessità - esiste apposta per negare ogni intervento divino. Tutto è cieco caso, questo è il principio basilare della «scienza». Una volta che si ammetta l’intervento di Dio in un momento supremo della catena evolutiva, tutta la teoria darwinista cade. Non c’è infatti più ragione per negare l’intervento di Dio anche in tutte le fasi precedenti.

L’evoluzionismo postula, senza prove, il continuo passaggio da una specie all’altra, dal pesce all’anfibio al rettile all’uccello al mammifero: ora, che da due uccelli sia nato un mammifero non è un miracolo inferiore all’istillazione dell’intelligenza (o dello spirito, cosa che Facchini sembra ritenere equivalente) nell’uomo.

Inutile aggiungere che, se non si riesce a dimostrare il passaggio da una specie a un’altra, ancor meno è dimostrabile che Dio abbia messo direttamente l’intelligenza nell’uomo. In quest’ultimo caso, la dimostrazione è impossibile «per principio», perchè non si può escogitare un esperimento ripetibile che dimostri un intervento di Dio (5).

La supposizione di Facchini è peggio che un’intrusione teologica indebita: è un dogmatismo puro e semplice. Che la teoria del progetto intelligente (intelligent design) sia un’intrusione della teologia nella scienza è un’opinione piuttosto involutiva del Facchini, che evidentemente non l’ha  studiata.

Tale teoria non fa che constatare ciò che è oggettivamente innegabile: che non solo ogni animale o pianta, ma ogni apparato, organo, tessuto nell’animale sembra «progettato da un’intelligenza»; la sua complessità, spesso stupefacente (non esistono forme di vita «semplici», tutte avendo come base il complicatissimo DNA) è «irriducibile», ossia non la si può semplificare sottraendole uno o l’altro elemento per ottenere una forma di vita più «primitiva»: basta una sottrazione, e ciò che viveva e funzionava smette di vivere e funzionare. Il che sembra contraddire l’idea di un’evoluzione dal semplice al complesso.

L’intelligent design non dice «Chi»  è il progettista intelligente; si limita a far notare che i viventi  non sono opera del cieco caso, perchè sembrano «fabbricati» in base a un progetto. E tende ad aderire al «fissismo» - le specie non trapassano dall’una all’altra - in ciò aderendo più strettamente a ciò che risulta dallo studio dei fossili: dove si vedono apparire vere esplosioni improvvise di numerose forme di vita, che poi vengono ridotte da massicce estinzioni, sicchè ne restano poche.
Ma quelle poche - come lo squalo, che naviga da 150 milioni di anni sempre uguale - non cambiano mai. La teoria dell’intelligent design è scientifica in senso proprio.

Molto meno lo è l’evoluzionizmo salvato da Facchini: che non contento di supporre un intervento di Dio nella natura solo umana, suppone che questo intervento sia «puntuale» - una volta sola - e avvenuto «ad un certo punto», ossia nel tempo. Immagine alquanto ingenua: Dio opera fuori del tempo, per chi ci crede, ha creato l’intero progetto universale, uomo e ornitorinco compresi, in un istante totale. Dal principio alla fine, in vista di un fine. Che - fuori dal tempo, ma anche nel mondo spazio-tempo quadrimensionale dei fisici, è «già qui». Non una storia ma un’architettura, dove tutto è compresente, placodermi estinti come uomini attuali e futuri. Alfa e Omega, come si dice.

Sicchè non si vorrebbe che un giorno la teoria di Facchini ci venga imposta come un dogma, da qualche enciclica di qualche Papa evoluzionista; che l’evoluzionismo, vistosi alle corde, non cerchi di proteggersi sotto l’Autorità dogmatica contro ogni critica e obiezione. Sarebbe un buffo ritorno al principio d’autorità, così deriso da Galileo (6).




1) Christiane Galus, «Le plus ancien embryon connu a 375 millions d’années», Le Monde, 29 maggio 2008.
2) AA.VV, «Genome analysis of the platypus reveals unique signatures of evolution», Nature,
8 maggio 2008.
3) Scoperta dal biologo Alfred Russel Wallace, un contemporaneo di Darwin, tale linea corre lungo l’arcipelago malese, tra il Borneo e Celebes. Al di quà della linea, ci sono tigri, elefanti e tutta la fauna che conosciamo; al di là c’è tutta una zoologia marsupiale, gatti marsupiali, topi e roditori marsupiali, koala e canguri marsupiali e persino lupi marsupiali (il lupo della Tasmania, estinto negli anni ‘30), che non si trovano ad ovest della linea. Secondo gli evoluzionisti, i marsupiali sono la forma «primitiva» di mammiferi, che ha potuto sopravvivere solo grazie all’isolamento geografico, dovuto all’immane distanza dell’Australia dall’Asia. Ma la linea di Wallace passa tra le isole di Bali e Lombok, che distano solo 35 chilometri: Bali sta al di quà ed ha la stessa fauna dell’India-Indonesia; Lombok, aldilà, ha già i marsupiali. Gli uccelli dell’una parte si rifiutano di superare anche quel breve tratto di mare. Per contro, l’Australia è stata raggiunta da uomini supposti primitivi almeno 300 mila anni fa. I progenitori degli attuali aborigeni avrebbero navigato verso il continente invisibile all’orizzonte, distante 400 chilometri dall’ultima isola dell’arcipelago indonesiano, Timor, su tronchi scavati e senza  sistemi di  orientamento in mare. Non male per dei primitivi.
4) Carol Glatz, «God made the humans into people, Vatican newspaper says», Catholic News Service, 6 maggio 2008.
5) Dio non è «sperimentabile». O meglio lo è, come sa ogni santo ed ogni asceta, ma non nelle condizioni che la scienza ammette come legittime. Perciò, l’esperienza di Dio viene catalogata dalla scienza come «soggettiva», psicologica (e sotto sotto illusoria), perchè non è rilevabile con strumenti di misura.
6) Non è una nostra ipotesi maligna. Un sito evoluzionista, «Scienza ed Esperienza», ha subito scritto giulivo: «Anche l’Osservatore romano contro il cosiddetto ‘progetto intelligente’. Il giornale della Santa Sede ha giudicato corretta la sentenza in Pennsylvania che cancella il creazionismo dalle ore di insegnamento dedicate alla scienza. L’Osservatore Romano ha pubblicato nella sua edizione di martedì scorso (datata 16-17 gennaio) un articolo a firma di un biologo evoluzionista nel quale si giudica ‘corretta’ la decisione del giudice della Pennsylvania che qualche settimana fa ha sentenziato che la teoria creazionista del ‘progetto intelligente’ non dovrebbe essere insegnata come alternativa scientifica all’evoluzionismo. L’autore dell’articolo, Fiorenzo Facchini, professore di biologia evolutiva all’Università di Bologna, ha scritto che ‘l’evoluzionismo rappresenta la chiave interpretativa della vita sulla Terra’ e ‘se il modello proposto da Darwin non è considerato sufficiente’, occorrerebbe, nel caso, cercarne un altro, ma non è corretto da un punto di vista metodologico allontanarsi dal campo scientifico fingendo di fare scienza. Secondo il biologo bolognese la logica del progetto intelligente genera infatti soltanto confusione fra il piano scientifico e quelli filosofico o religioso. L’articolo non è stato presentato come posizione ufficiale della Chiesa. Ma, come osserva il New York Times ‘nel mondo sottile e volontariamente ambiguo del Vaticano, le osservazioni sono sembrate notevoli’. Anche perché, sottolinea il quotidiano americano, almeno due volte, il Papa Benedetto XVI ha espresso invece il proprio interesse rispetto al punto di vista creazionista. La prima volta in aprile, quando ha affermato che l’uomo ‘non è un certo prodotto casuale e insignificante dell’evoluzione’. La seconda a novembre, quando ha definito la creazione dell’universo ‘un progetto intelligente’ ».


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