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Obama si è buttato giù dal piedistallo
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Si può affermare con certezza che il 9 dicembre sia stato un giovedì infernale per Barack Obama, malgrado la tradizione annuale dell’accensione delle luci dell’albero di Natale gigante a Washington. Forse solo la presenza delle figlie Sasha e Malia al fianco di un Babbo Natale possono avergli fatto momentariamente dimenticare che il Congresso ha votato, per mano democratica e per ragioni politiche, contro ben tre iniziative, tutte importantissime, supportate e spinte dal presidente in carica.

La prima riguarda il Dream Act, che avrebbe potenzialmente aiutato i giovani immigrati clandestini a regolarizzare la loro situazione.

La seconda invece riguarda la rimozione del «Dont ask dont tell» (sostanzialmente il divieto per gli omosessuali dichiarati a servire nelle forze militari statunitensi).

La terza, quella più importante e su cui tutti gli occhi sono puntati, riguarda la politica fiscale e l’estensione per due anni del taglio delle tasse effettuato nel 2001 da George W. Bush.

Il taglio di bushiana memoria riguarda le tasse di tutti i cittadini, non importa se poveri o ricchi. Venne ideato in un periodo economicamente florido in cui il deficit non era ai livelli attuali e lo spostamento di denaro sembrava ottimale. Bene, questo taglio è destinato a finire l’ultimo di questo mese. Nel 2001 ovviamente non si era tenuto conto della possibilità che una crisi economica come quella del 2008 sarebbe potuta scoppiare e poichè secondo la maggior parte degli osservatori alzare le tasse a tutti i cittadini durante una recessione sarebbe follia, il mondo politico ha cominciato a chiedersi se non fosse il caso di allungare questo sconto-taglio sulle tasse.

Poichè la campagna elettorale di Obama, e quest’anno dei democratici nelle elezioni di mezzo termine, è stata quella di dichiararsi paladini dei poveri e della classe media – «help main street, not Wall Street» – l’idea di fare tagli al budget in contemporanea al far risparmiare i miliardari sarebbe stata, in teoria, inaccettabile. Ma come si sa, la politica ha spesso una logica perversa e ovviamente i due partiti si sono scornati: da una parte i democratici chiedono lo sconto delle tasse solo per le famiglie che guadagnano meno di 250.000 dollari in maniera di incentivare la spesa privata e gli introiti dello Stato, dall’altra i repubblicani chiedono lo sconto delle tasse per i ricchi sostenendo che con tale politica sarebbero aumentati i posti di lavoro malgrado l’ingrossamento del deficit.

In aggiunta al contrasto evidente, grazie a delle procedure parlamentari particolarmente strane, al disegno legge sulle tasse si è allegata l’estensione dei sussidi di disoccupazione che sono al momento terminati. Il risultato è che se il disegno legge non passa, non solo tutti i cittadini si ritroveranno con le tasse federali aumentate, ma addirittura tantissimi disoccupati non riceveranno più l’unico loro introito. Questa battaglia è però solo al Congresso.

Alla Casa Bianca invece Obama, forse con intento politicamente suicida, ha deciso di trattare a porta chiusa con i repubblicani e lunedì scorso ha annunciato il successo delle sue trattative personali con i repubblicani. Ovviamente la vittoria è stata di parte repubblicana visto che il presidente è riuscito a strappare solo una misera estensione dei sussidi di disoccupazione per chi è senza lavoro da meno di cento settimane (e gli altri non prendono nulla) al costo però di accettare una tassa d’eredità che parte solo dalla cifra altissima di cinque milioni di dollari e il già detto taglio delle tasse per i ricchi e ricchissimi. Giovedì, come già detto, gli eletti democratici alla Camera hanno fatto un voto di partito a porte chiuse e hanno rimandato il tutto al mittente.

Paul Krugman
   Paul Krugman
Il messaggio politico è molto forte: secondo i democratici Obama non è in grado di gestire la situazione e, forse, si è addirittura messo dall’altra parte. Non è chiaro se l’Amministrazione viva sulla Luna, ma una cosa è ormai certa: Obama ha perso il supporto della sua base. In un editoriale apparso sul New York Times il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, forte supporter di Obama nel 2008, dopo che Obama ha congelato per due anni la paga ai lavoratori federali, è apparso infuriato. Anzi, molto più che infuriato. Krugman è arrivato a sostenere che Obama ha subito un «collasso morale» nonchè un «fallimento completo del proprio fine e la perdita della direzione» suggerendo ai democratici di cercare da altre parti per trovare la leadership che il partito necessita. Krugman, come altri, si è poi stupito del fatto che Obama sia arrivato ad incolpare i propri supporter mentre lui stesso cerca di ingraziare i repubblicani in ogni modo possibile ed immaginabile.

Keith Olbermann
   Keith Olbermann
Non è finita ovviamente. La stampa ed i commentatori democratici sono in fibrillazione. Keith Olbermann della MSNBC è apparso non solo infuriato come Krugman ma pronto ad andare all’attacco. In un suo commento speciale ha fatto un soliloquio di ben undici minuti in cui ha letteralmente distrutto Obama e la sua politica. Non ho mai visto Olbermann così adirato nemmeno durante gli anni in cui Bush occupava la Casa Bianca. Il giornalista ha notato tra l’altro che una previsione passata sotto i radar va a ritoccare al ribasso, per la prima volta nella storia, la quantità di denaro versata nel Social Security, la pensione pubblica americana, creando un precedente alquanto inquietante. Nemmeno Bush e Reagan erano arrivati a tanto. Olbermann si dice preoccupatissimo dello stato mentale alla Casa Bianca riferendoci di una conversazione avuta con un collaboratore molto vicino ad Obama in cui il giornalista è stato incolpato (!) di non aver «guardato nei dettagli». Ovviamente la risposta è una sola, ovvero che «la base è svanita». Il fatto che anche sull’Huffington Post si facciano ormai i confronti con Carter o Bush Sr. ne è la dimostrazione.

Rush Limbaugh
   Rush Limbaugh
Tutto questo avviene mentre Fox News e Rush Limbaugh si divertono come al solito a «sparare» su Obama evidenziando che anche con politiche bipartisan è impossibile accontentare i repubblicani. E’ onestamente difficile capire cosa sia passato per la mente del presidente in questi anni. Ogni sua mossa, dalla insufficiente riforma sanitaria ad oggi, sembra essere volutamente creata per dare ai famosi indecisi il desiderio di votare repubblicano nelle elezioni del 2012 per disperazione.

Personalmente, non posso e non voglio credere che l’uomo al momento seduto nello studio ovale sia un totale incompetente. D’altronde anche Clinton ha avuto problemi simili, fino ad arrivare alla chiusura del governo degli Stati Uniti, ed è riuscito ad essere rieletto. Forse è una strategia così complessa che è impossibile da capire per noi mortali.

Tuttavia come Olbermann, Krugman, The Nation, l’Huffington Post e il resto del mondo mi chiedo cosa sia successo a quell’uomo che, forse, avrebbe potuto cambiare un minimo le cose dopo i terribili otto anni di Bush. Dov’è il coraggio, l’audacità della speranza di cui si parlava due anni fa? Il rischio di avere in due anni qualcuno più estremo di George W. Bush aumenta di giorno in giorno (1).

Enrico B. Accenti




1) Al momento della stesura di questo articolo non è chiaro cosa accadrà al disegno legge e alle tasse americane. Il voto finale e decisivo è previsto per la vigilia di Natale. La battaglia è al momento al parlamento con Obama quasi escluso dai giochi. Ma anche se passerà ciò che Obama chiede, il forte segnale politico dei democratici al proprio presidente rimane. Nel frattempo va segnalato che il parere del Tea Party rimane pressochè oscuro.


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