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Il ritorno di Ron Paul
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I repubblicani USA, ora in maggioranza al Congresso dopo aver stravinto le elezioni di mid-term, hanno scelto a presiedere la commissione (della Camera Bassa) di controllo sulla Federal Reserve il vecchio Ron Paul. Il che è già stupefacente per varii motivi: nel 2008, lo stesso establishment del partito ha usato ogni colpo basso per sbarrare la strada di Ron Paul quando si presentò candidato presidenziale, forte di una popolarità incredibile nata dal basso, dalla base – preferendo qualunque tipo di mezza figura (McCain, Sarah Palin) piuttosto che questo vecchio medico (75 anni) troppo libero intellettualmente e troppo critico del Sistema, non sostenuto da alcuno dei poteri forti a cui le vecchie volpi dei partiti americani sono legate (o subalterne) da sempre.

Ora, lo stesso establishment non ha impedito che quest’uomo marginalizzato fosse messo a capo della commissione di sorveglianza della Banca Centrale USA; non ignorando che sulla faccenda Ron Paul ha delle vedute estreme, ostilissime alla grande finanza speculativa. In un suo saggio dal titolo End the Fed (Finirla con la Fed), Paul s’è dichiarato contro il denaro creato dal nulla e a favore del ritorno al tallone aureo (gold standard), ed ha ripetutamente accusato il governatore Bernanke di «distruggere deliberatamente il dollaro» con le sue iniezioni di trilioni di dollari di liquidità alle banche, e oggi nella speranza di reinnescare la crescita economica, preparando le basi per una iper-inflazione mai vista. Insomma, una figura da tenere lontana da ogni posizione di potere, almeno fino a ieri. Oggi, qualcosa è cambiato.

Qualche mese fa, alla annuale Conferenza del Comitato d’Azione Politica Conservatore ( Conservative Political Action Conference), Ron Paul è risultato ancora una volta il preferito numero 1 dagli elettori sondati, come candidato presidenziale da presentare alle elezioni presidenziali del 2012. Paul ha preso il 33% delle preferenze, contro il 22% di Mitt Romney (il preferito dall’establishment) e il 7% della caricaturale Sarah Palin, sostenutissima dai neocon.

Ron Paul s’è detto esitante ad accettare – nel 2012 avrà 77 anni, e sarebbe il più vecchio candidato presidenziale della storia USA (Ronald Reagan, quando vinse, aveva solo 70 anni) – ma il risultato ha mostrato che la sua popolarità nella base repubblicana, e nella galassia del Tea Party che l’ha sempre amato, è del tutto intatta. Anzi crescente: perché, benchè Paul sia catalogato in una destra libertaria e isolazionista piuttosto estrema, gode di notevole popolarità fra la sinistra democratica di base, quella che ha creduto in Obama, ed ora ne è – a dir poco – fortemente delusa.

I capi-bastone del partito repubblicano, gestori dei voti, non possono restare indifferenti a questa capacità del personaggio di raccogliere suffragi al di là dello steccato partisan. I siti più di sinistra (sinistra all’americana, va detto) hanno salutato addirittura con entusiasmo la sua nomina a capo del comitato di controllo parlamentare sulla Federal Reserve.

Ma ancor più stupefacente è l’articolo rispettoso e simpatizzante che a Ron Paul ha dedicato il giornale dell’establishment per eccellenza, il New York Times del 12 dicembre. Ossia del grande giornale che, nel 2008 e fino ad ieri, ha evitato persino di scrivere il nome di Ron Paul, obbedendo evidentemente all’ordine superiore di renderlo un marginale con idee pazze e buffe, una non-persona tutt’al più da ridicolizzare. (Rep. Ron Paul, G.O.P. Loner, Comes In From Cold)

Oggi, invece, il New York Times ammette che Ron Paul è stato nominato alla Commissione di supervisione della FED «dopo anni in cui i colleghi repubblicani gli hanno impedito di assumere una posizione di leadership».

E aggiunge che « nel nuovo Congresso, molti dei nuovi repubblicani (vincitori del voto di mid-term) hanno fatto campagna precisamente sui temi per cui Ron Paul si batte da 40 anni: vietare al Congresso qualunque atto non esplicitamente previsto dalla Costituzione, eliminare interi ministeri federali che considera incostituzionali, e tenere sotto controllo il potere della FED. E stato chiamato il padrino intellettuale del Tea Party (...)».

Dopo aver spiegato che « lo sbarramento dei repubblicani contro l’ascesa di Ron Paul era dovuto all’ostilità dei ‘grandi banchieri’», il giornale aggiunge: «I repubblicani del Campidoglio riconoscono sempre più che mister Paul ha un seguito tale, sia fra i suoi sostenitori nel 2008 sia nel Tea Party, che ha permesso al partito repubblicano di riprendersi la maggioranza alla Camera facendo propra lantica e vocale opposizione di Paul al debito pubblico».

Ron Paul, scrive ancora il grande giornale newyorkese, è stimato da elettori e colleghi come «uno che crede veramente a quello che dice», il che si può constatare dai «solitari voti no che Ron Paul ha dato alla Camera negli ultimi 20 anni», unico a votare in un certo modo (contro le guerre di Bush, ad esempio); che oggi è subissato da richieste di interviste; che «la sua proposta di legge di sottoporre a revisione contabile i libri mastri della FED, che per anni ha presentato e ripresentato senza successo, ultimamente ha raccolto 320 firme di colleghi alla Camera».

E infine, l’ammissione principale: « Per molto tempo, un sacco di membri del Congresso, di entrambi i partiti, si son trovati per lo più daccordo con le proposte di Ron Paul, ma non hanno avuto il coraggio di seguirlo».

Insomma Ron Paul, questo marginale puro e coraggioso, «è diventato presentabile» anche per il New York Times, commenta il sito Dedefensa. (Le vieux sage après le prophète de la postmodernité?)

Il quale avanza un’ipotesi audace e speranzosa. Forse, questo nuovo rispetto per Ron Paul e per le sue idee eretiche e minoritarie ci dicono che «il disagio dellAmerica davanti alla follia dellamericanismo» terminale, la paura del Sistema «minato dallimpotenza della sua potenza e della febbrilità autodistruttiva della sua agitazione isterica»,agghiacciato dalla profondissima corruzione del sistema politico subalterno alla lobby finanziaria e a qualunque altra lobby abbastanza potente da ricattare o comprare i rappresentanti del popolo, ha cominciato a intaccare le sicurezze anche dei rappresentanti e dei maggiordomi del Sistema stesso. Forse tutti, anche nel mondo dei privilegiati, sentono reale il rischio della grande Caduta, sono terrorizzati dal gigantismo finanzario e militarista ormai impazzito che minaccia il sistema dall’interno; e vedono la mancanza di prospettive e di idee in cui s’è chiusa l’ideologia dominante. Per questo, persino nei piani alti cresce la tentazione di volgersi a uno dei pochissimi uomini pubblici di cui è nota l’integrità intellettuale, e la capacità di pensare al di fuori delle etichette ideologiche, «uno dei pochissimi politici di cui si può dire che non è una parte del Sistema, divorata dal Sistema». Un vecchio saggio, «esperto dello spirito della Costituzione americana, uomo di antichi principii, adepto di una repubblica tornata alla sua misura originaria», è quel che l’America, a tentoni, cerca per tornare sana.

Un presidente quasi ottantenne, che però potrebbe essere quel che Obama non è stato: il Gorbaciov americano, o più precisamente l’anti-Lincoln?

Ron Paul è isolazionista, antiglobalista, opposto al folle armamento del Pentagono che soffoca la nazione in rovina economica, e s’è dichiarato in principio non-contrario alla secessione degli Stati, potrebbe cominciare la devoluzione pacifica del gigante impazzito, per scongiurarne la catastrofe interna...

E’ un sogno, capisco. Però, per quanto conoscono l’America, so anche che è il solo posto dell’Occidente in cui qualcosa di nuovo può accadere. In Europa, in Italia, abbiamo molti vecchi al potere, ma tutti seguono il dettato del pensiero unico, e non ci sono Tea Party ma solo spaccatutto che incendiano e rompono vetrine per difendere i privilegi delle caste parassitarie.

La sola nostra esile speranza è che l’America sia capace di auto-liberazione, perchè solo allora anche noi ci daremo il permesso di liberarci.



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