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Guantanamo: recita su copione
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Per intuire che cosa sta succedendo a Guantanamo, nel processo militare contro cinque terroristi di Al Qaeda, basta riportare una frase pronunciata dal principale imputato Khalid Shaikh Mohammed (d’ora in poi KSM) e riferita dall’Herald Tribune:
L’imputato «dice al giudice che lui capisce che ci sono argomenti che non deve sollevare in aula, ma aggiunge che il Corano dovrebbe essere “dentro la linea verde”, ossia permesso. Non posso parlare della tortura», Mohammed aggiunge in un inglese stentato, «So che questa è la linea rossa» (1).

Probabilmente  Massimo Introvigne, che sa di legge, ci spiegherà che tutto questo è normale diritto penale, gloria dell’Occidente. Così potra disperdere lo sgradevole sospsetto che nutriamo: che l’imputato - che è stato sottoposto a waterboarding (tortura del soffocamento), per ammissione della stessa amministrazione USA - è stato imbeccato e istruito. Attendiamo l’autorevole smentita.

Introvigne ci vorrà sicuramente far notare che KSM si è auto-accusato ed ha confessato non solo di essere stato lui «la mente» dietro gli attentati dell’11 settembre, ma di un’altra trentina di progetti criminosi, fra i quali: la decapitazione del giornalista Daniel Pearl eseguita con le sue proprie mani, il tentato assassinio di Giovanni Paolo II, la distruzione del canale di Panama, del Big Ben e dell’aeroporto Heathrow a Londra, l’omicidio di Jimmy Carter e di Bill Clinton, un piano per l’abbattimento della Sears Tower a Chicago e della Borsa di Wall Street, l’affondamento di numerose petroliere e navi da guerra USA a Singapore, a Gibilterra e nel Golfo Persico, l’abbattimento di un aereo israeliano a Mombasa (fallito), vari  attentati esplosivi a decine di ambasciate USA e d'Israele ed altri (2).

Perchè uno confessa tante cose orribili, sapendo che ciascuna gli frutta la pena di morte? Già, perchè?

Glielo ha ricordato anche il giudice, colonnello Kolman, che se riconosciuto colpevole degli attentati dell’11 settembre, lo aspetta il boia. Ma KSM - dopo cinque anni di isolamento – ha voluto approfittare del momento. «Sì, è quello che voglio da tanto, essere un martire». Poi ha recitato cantando versi del Corano e li ha tradotti lui stesso ai giudici, ha ricusato i difensori (militari) perchè non poteva accettare avvocati che non conoscono la legge islamica, ed ha dichiarato di volersi difendere da solo; ha detto: «Dopo la tortura, ci hanno trasferito a Inquisitionland in Guantanamo». Inoltre ha azzittito i suoi complici e coimputati, con i quali ha parlato in arabo e con cui si è scambiato appunti – cosa non proprio coerente coi cinque anni di isolamento reciproco in cui sono stati tenuti; e i cinque hanno perfino guardato dietro le loro spalle facendo sorrisetti ai giornalisti dietro il vetro.

Perchè c’erano 35 giornalisti. Nessuno dica che l’udienza era a porte chiuse. I giornalisti stavano dietro il vetro. Anche se di quel che succedeva in aula sanno e sentono ciò che viene da videocamere a circuito chiuso; e quel che sentono arriva loro con un ritardo - di 20 secondi, assicurano i vertici militari. Venti secondi necessari per eliminare, dicono, il rischio che in aula si rivelino cose coperte da segreto. In pratica, certe parti del processo, ad arbitrio dei comandi, vengono silenziate.
I giornalisti non le sentono. Se solo per venti secondi o per venti minuti, non sappiamo: dobbiamo fidarci dei vertici militari. Registi della diretta e della differita.

Ma anche così, il giornalista del New York Times William Glaberson ha riportato una netta impressione: «Khalid Shaikh Mohammed era palesemente conscio di avere un pubblico – e non si è sottratto alla luce dei riflettori». La luce della ribalta: è un’attrazione tentatrice per tutti, figurarsi per uno che è stato isolato cinque anni. MA KSM era attratto anche prima.

Lo ha scritto Yosri Fouda, un giornalista di Al Jazeera che intervistò il personaggio nel 2002. Anche allora, «Quando la telecamera fu accesa, KSM cambiò aspetto. Cercava di apparire come un leader religioso o un capo politico. Ma la sua superficiale conoscenza sia di religione sia di politica saltava agli occhi: mentre si atteggiava ad autorità, inciampò nel disperato tentativo di mettere insieme due frasi decenti in arabo classico» (3).

Massimo Introvigne ci spiegherà che Al Jazeera non è una fonte cui l’Occidente cristiano può credere. Vediamo allora alcune fonti dalle immacolate credenziali occidentali.

Il procuratore militare - cioè l’accusatore, mica un difensore – colonnello Morris Davis ha formalmente elevato un’accusa precisa, che per lui ha segnato anche la fine della carriera: un anno fa, ha accusato i vertici del Pentagono di avergli fatto pressione per portare gli imputati a processo «prima delle elezioni presidenziali 2008». I giudici militari gli hanno dato ragione, ammettendo che la indebita pressione c’era stata. Il colonnello Davis non è più colonnello, ed ora difende uno degli imputati (4), Hamdan.

Ora il nuovo procuratore militare ha richiesto la ripresa del processo su questi cinque terroristi dell’11 settembre per... il 15 settembre 2008, solo qualche settimana prima delle elezioni USA. Il colonnello Steve David, del consiglio di difesa, ha dichiarato ai giornalisti che il processo è «fondamentalmente scorretto» (fundamentally flawed) ed ha aggiunto: «Faremo puntigliosamente notare e spiegheremo (ai giornalisti) ogni e ciascuna scorrettezza».

Massimo Introvigne ci spiegherà presto che un simile atteggiamento è inqualificabile, da parte di avvocati con le stellette. Allora, sarà bene ricordare che già nel 2006 la Corte Suprema USA dichiarò incostituzionali processi militari con queste caratteristiche; il Congresso ha modificato un pochino il regolamento e li ha fatti risorgere: a settimane è attesa la nuova pronuncia della Corte Suprema sui diritti dei prigionieri di Guantanamo: ciò potrebbe bloccare le udienze, per cui ci si può forse domandare come mai si sia voluto cominque iniziarle, senza attendere il parere della Corte. Introvigne ci spiegherà, perchè è un grande giurista. E sicuramente risponderà anche ai dubbi rispettosamente avanzati non da un sito islamista, ma da Le Monde (5).

Eccone alcuni:
«Primo. Gli accusati vengono giudicati da un tribunale militare speciale come "nemici combattenti illegali": questa fattispecie, inesistente nel diritto internazionale prima dell’11 settembre, è stata creata precisamente dal ministero della Giustizia americano per sottrarvisi (al diritto internazionale)». Secondo «i difensori, è contraria alla convenzione di Ginevra sottoscritta dagli Stati Uniti».

«Secondo... A Guantanamo, l’accusa ha il potere di far deporre testimoni anonimi, non identificati; il giudice può impedire la divulgazione di frasi dei sospetti; infine, l’accusa si fonda su confessioni che l’accusa stessa riconosce di aver ottenuto, almeno parzialmente, sotto tortura».

Infine Le Monde fa notare che è «l’esistenza di Guantanamo a fare questione». E perchè? Perchè, ricorda il giornale francese con ciò rivelando la sua sotterranea complicità con Al Qaeda, «sui 775 sospetti che vi sono stati rinchiusi, i due terzi sono stati rilasciati: e tranne qualche rara eccezione, tornati nel loro Paese, sono stati lasciati in libertà. Sui 275 che sono ancora prigionieri, l’amministrazione americana ammette che un’ottantina appena meritano di essere deferiti davanti ai giudici».

Nemmeno il Pakistan, l’Egitto e l’Arabia Saudita, una volta riavuti in loro dominio i reduci da Guantanamo, li trattano come sospetti di qualche cosa: eppure i loro tribunali non sono famosi per garantismo nè buonismo, dato che la regola vigente là è: meglio dieci innocenti decapitati che un colpevole libero. Oggi circolano 500 rilasciati che possono spifferare quei segreti militari, che i vertici militari americani si danno tanta pena di nascondere ai 35 giornalisti ammessi – tanto da ritardare
(ma di soli 20 secondi) la «diretta» delle udienze.

Tutti questi segreti non sembrano poi tanto scottanti nè strategici. Ciò conferma quel che stanno dicendo persino alcuni giornali USA: conveniva all’Amministrazione trascinare questi imputati dell’11 settembre, a cominciare dall’organizzatore supremo di tutti i crimini di Al-Qaeda KSM, davanti a un tribunale regolare. La loro colpa sarebbe apparsa più limpidamente dimostrata e più credibile. Questa è una messinscena. A Guantanamo si recita una sceneggiata su un copione scritto prima, ma mal riuscito perchè alcuni avvocati militari lo dichiarano scorretto. Insomma decidano: non era meglio far recitare tutti
«a soggetto»?

«La democrazia non può combattere la barbarie rinunciando al diritto», conclude Le Monde moralisticamente. In questa frase notiamo concetti che richiedono chiarimenti: suppone che a giudicare KSM e gli altri quattro sia «la democrazia», e che «la barbarie» in generale sia identificabile con ogni musulmano, e che le due cose – democrazia e barbarie – siano ben distinte e su due fronti apposti.

La nostra impressione in questo caso è che la barbarie sia «la democrazia» stessa, e che KSM, più che un esponente della «barbarie», sia solo un poveraccio che recita la parte che gli è stata assegnata, forse sperando di salvarsi la pelle.

Ma attendiamo da Introvigne – che ha già smentito da par suo i «complottisti» convinti che l’11 settembre sia stato un «lavoro interno» dell’amministrazione Bush (6) - gli immancabili chiarimenti.




1) «An author of Sept.11 seeks death», Herald Tribune, 6 giugno 2008.
2) La lista complete dei delitti di KSM l’ha pubblicata la BBC il 15 marzo 2007. http://news.bbc.co.uk/2/hi/americas/6452789.stm.
3) Mark Mazzetti, «In Tribunal Statement, Confessed 9/11 Plotter Burnishes His Image as a Soldier», New York Times, 16 marzo 2007. «Yosri Fouda, an Al Jazeera reporter, interviewed Mr. Mohammed over two days in 2002, he recounted in a book, «Masterminds of Terror,» written with Nick Fielding. «When the camera was switched on, Khalid Shaikh Mohammed’s appearance changed» the book says. «He tried to look like a religious leader or the leader of a political party. «But his shallow knowledge of both religion and politics caught up with him» the book says. «He tried to sound authoritative, but he stumbled in his desperate attempts to compose a couple of decent sentences in classical Arabic»
4) «Colonel: anti-tribunal stance cost me a medal», Air Force Times, 5 giugno 2008. «The former chief prosecutor for the Pentagon’s Office of Military Commissions says the Defense Department denied him a medal as punishment for speaking out against the war tribunals system, The Washington Post reported May 29. Col. Morris Davis, who will retire effective Nov. 1, served as chief prosecutor for the military commissions before resigning in protest in October over what he saw as a process that had become unfair. In early May, he testified at Guantanamo Bay, Cuba, for the defense of Salim Ahmed Hamdan - Osama bin Laden’s driver and bodyguard - arguing that Hamdan could not get a fair trial because of command influence». Davis told the Post that Pentagon officials notified him that he did «not serve honorably» and would be denied a medal for his time as chief prosecutor. Davis also said he fears further retribution before his retirement, the Post reported.
5) «Guantanamo, hélas!», Le Monde, 6 giugno 2008. E’ l’editoriale non firmato.
6) Massimo Introvigne: «La malattia dell’Occidente: l’11 setrtembre e le teorie del complotto», Cristianità, gennaio-febbraio 2007.


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