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Sul MALE presente e sul BENE futuro (parte I)
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Nella storia del pensiero il problema del male è una costante.
Da sempre l’essere umano cerca di superarlo, sia con culti religiosi, sia compensando il male con
piaceri, sia neutralizzandolo nella passività dei sensi, sia cercando di stringere un patto esistenziale col suo manovratore.
Così, nell’era delle religiosità diffuse, sono sorte diverse credenze e culti, alcuni dei quali perdurano in speciale nel mondo orientale e animistico, che la decadenza dell’Occidente cerca di ricuperare.
Anche nell’era del filosofare sono sorte sul male tante idee estreme e spesso opposte come quelle degli epicurei, degli stoici e dei cinici.
Ma con la grande filosofia il pensiero umano iniziò ad elevarsi nel senso dell’Essere, come era nella Rivelazione di Dio: Io sono Colui che sono (Es 3, 14).
Una verità deducibile anche da chi  ignorava quella Parola, poiché l’essere umano contingente implica un Essere necessario.

Già nel pensiero di Platone ci doveva essere il Bene come un sole che rende visibile le cose; che fa essere e rende conoscibile quel vero e buono che trascende il mondo.
Se si parte dalla nozione razionale dell’essere si può capire meglio la nozione del bene come perfezione dell’essere in potenza, per cui la sua imperfezione è male.
Per Aristotele il bene, identificabile ad atto puro e motore immobile, spiega il passaggio delle cose dalla potenza all’atto e le muove verso il fine ultimo a cui tendono, che è uno.
Perciò, il bene non è solo idea trascendente, ma praticabile nella vita dell’uomo.
La nozione di «bene» che partecipa del «Bene» nella concezione di Platone è ripresa da Plotino, che ha il pregio dell’intuizione del Bene come prima ipostasi dell’Uno.
Si è così, vicini al pensiero cristiano dell’anima e del ritorno all’Uno, per cui la Creazione e ogni cosa è buona in quanto deriva e partecipa al Bene e all’Essere supremo che è Creatore.
Ma il male resta in agguato nella negazione dell’Uno, dell’atto puro e del motore immobile.
Sant’Agostino aggiungeva alla visione migliore del neoplatonismo che il male non è alcunché di reale nel senso positivo, ma nel senso negativo un non-essere.
Il fatto è, però, che molti pensieri filosofici e religiosi germinarono sempre a cavallo del problema del male come essere.
Ciò si estende al nostro tempo di ateismo, agnosticismo e pancristianesimo.
La tendenza è espressa da quell’idea di Epicuro per cui la presenza del male «prova» il disinteresse (o inesistenza) degli dèi riguardo al mondo umano, poiché, se ci fosse una volontà divina di togliere il male del mondo, ma non riuscisse a farlo, sarebbe impotente, o, se lo potesse, ma non lo volesse, sarebbe essa stessa maligna, in quanto imperfetta.
In questo senso la teoria dell’evoluzione implica l’imperfezione, il male nella Creazione... in Dio stesso... che dovrebbe riparare Sé stesso.
Ecco che anche il pensiero umano avrebbe per compito usare la sua libertà e immaginazione per «correggere» e «aggiornare» tale creazione!

La prima breve considerazione è che il «male» ha una sua esistenza nelle menti; fu dall’inizio parte del pensiero umano personale, che è libero, e prese forma sociale attraverso mentalità che hanno ingenerato ideologie su «nuovi beni» secondo i tempi, quindi beni slegati dal Dio Eterno.
La questione è: non sarà proprio il libero pensiero il luogo dove il male trova nido?
Si può dire che il male si annida nella concupiscenza umana ed è covato da una mentalità libertaria che lo condiziona?
Ciò è proprio quanto insegna la Religione ed è un fatto che la decadenza morale del mondo presente è legata inevitabilmente ad una falsa libertà.
Essa domina con l’idea di un «nuovo ordine mondiale» e di una nuova fede globale, ossia con l’utopia di un nuovo bene per sostituire l’Ordine cristiano.
Ma tale pensiero progressista, di cui si nutre l’ONU e altri organismi mondialisti, non solo si dimostra alieno alla comprensione del problema del male in terra, ma per la natura delle ideologie liberali che congloba, rifiuta l’intenzione di controllarlo, come provava a fare l’ordine antico.
Quello che era il pensiero informatore della vita, sia pubblica che privata, ancora alla fine della II Guerra mondiale, oggi non conta più di altri nel campo delle leggi e della cultura.
Così, il problema del male, delle sue cause originali e delle sue conseguenze universali, sono ignorate o ridotte dal «nuovo ordine» a questioni superabili col progresso delle scienze.
Eppure, è con i problemi del rapporto della natura dell’uomo col mondo che il pensiero deve fare i conti e il problema dello stesso pensiero deriva dal suo rapporto con quanto esiste.

Torniamo alle lezioni evangeliche.
«Ascoltate e intendete. Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo, ma quello che ne esce, questo contamina l’uomo»...
Allora Pietro prese la parola e disse: «Spiegaci questa parabola».
Ed egli: «Anche voi siete senza intelligenza? Non capite che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre e poi viene espulso nella fogna? Le cose invece che escono dalla bocca provengono dal cuore e sono esse che contaminano l’uomo. Dal cuore infatti provengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni,  furti,  false testimonianze, bestemmie. Queste sono le cose che contaminano l’uomo» .(Matteo 15, 11, 18). Lo stesso si legge in Marco (7, 15-17): «Non c’è nulla di esterno all’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo. Piuttosto sono le cose che escono dall’uomo quelle che contaminano l’uomo... tutto ciò che di esterno entra nell’uomo non può contaminarlo, giacché non entra nel suo cuore... Dall’interno, cioè dal cuore degli uomini, procedono i cattivi pensieri, le
fornicazioni, i furti, le uccisioni, gli adultèri, le cupidigie, le malvagità, l’inganno, la lascivia, l’invidia, la bestemmia, la superbia e la stoltezza. Tutte queste cose malvagie procedono dall’interno e contami-nano l’uomo
».
Infatti, gli omicidi, le rapine, le guerre, i massacri sono i grandi mali del mondo.
E tutto ciò proviene dal cuore e dalla mente umana, dal libero pensare e volere.
E si noti che Gesù parla del «male» che è negli aggressori non nelle vittime.
Il male di cui si è vittima allora rientra in quello scontato del dolore e della morte, che non danneggia l’essenza umana.
Il gran male è in chi colpisce la testimonianza del bene e del vero.
Ma «Non abbiate paura di loro. Nulla v’è di coperto che non debba essere svelato e di nascosto che non debba essere conosciuto. Ciò che dico a voi nelle tenebre, proclamatelo nella luce; ciò che udite nell’orecchio, annunciatelo sui tetti. Non vi spaventate inoltre per quelli che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima. Temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo. Non si vendono forse due passeri per un asse?Ebbene, uno solo di essi non cadrà senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti numerati. Non temete, dunque: voi valete ben più di molti passeri. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita a causa mia, la ritroverà». (Matteo 10, 28), (Luca 12, 4).
Quindi il «male» per i cristiani è diverso da quello cogitato dal mondo.

Sarà la morte un «atto» alieno all’uomo?


La Rivelazione insegna che l’essere umano, fatto di un corpo e di un’anima immortale, non era soggetto neanche alla morte fisica.
Ma tale immortalità dipendeva dalla forza dell’amore che la Grazia divina aveva infuso nei primi genitori.
Questioni teoriche di una teologia speculativa?
Affatto. Si tratta dell’avviso saggio del Padre, non diverso da quello di un padre al bimbo in bicicletta: non attraversare di corsa la strada.
Nella forza dell’amore che fa ubbidire al padre è la grazia della protezione del piccolo.
L’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio spirito razionale e libero era però esposto all’abuso di questa libertà nel senso contrario all’armonia divina.
Aveva, quindi, bisogno di un princìpio aggiunto alla libertà: l’amore d’attaccamento al Vero.
La fede lo chiama Grazia.
Con la grazia, anche abitando un corpo la cui vita implica l’appetito sensuale, l’uomo disponeva della forza per tenerlo a bada e sublimarlo, aveva la grazia.
«Dono di promesse eccezionali, in modo da diventare per mezzo di esse partecipi della natura divina, fuggendo la corruzione che si trova nelle passioni sfrenate del mondo» (cf. II Pt, 1, 4).
Adamo ed Eva avevano però rifiutato il dono del Signore che «diede questo comando all’uomo: ‘Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne dovete mangiare, né toccare, altrimenti di certo morirete’ » (Genesi 2, 16-17; 3, 3).
L’astuto Maligno, in vista di una «massa dannata di anime», tentò la donna a mangiare quei frutti di morte dicendo: «Voi non morirete affatto! Anzi! Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male» (Genesi 3, 4-5).
Nel momento in cui la donna prese del suo frutto e ne mangiò e poi ne diede anche ad Adamo, essi rompevano il legame di vita in Dio e perciò condannarono la propria generazione, che è la nostra, alla morte.
Quindi la morte è frutto del lamentabile «atto» della libertà umana che dialoga, che tocca il male.
Questa è la ragione dell’Incarnazione di Dio per redimerci, ma non del dolore né della morte fisica, che Gesù volle subire in modo atroce per salvarci.
Ciò insegna la nostra religione.
 
I mali prodotti dalla mente


Che non si dica che il pensiero applicato alla filosofia della conoscenza e del discernimento del vero e del buono è votato a questioni teoriche; niente ha tanto valore pratico per ordinare la mente al bene e ad evitare il male quando la visione precisa della sua problematica; in essa è la chiave per un ragionamento corretto, condizione per dedurre una conclusione vera che affronta il falso, dove si annida il male mentale, matrice dei mali d’ogni ordine.
Il rifiuto di affrontare la questione della genesi mentale del male, che ha deviato intere generazioni dalla legge del bene e dal vero, con ideologie assassine, intrinsecamente perverse, è già un male.
Qui si capisce la frase del grande Chesterton: «Oggi il criminale più pericoloso è il filosofo moderno, emancipatosi da ogni legge»… dalla legge di Dio che è il Vangelo, e emancipatosi dalla legge naturale che è il Decalogo.
Quale sarebbero le piatteforme di lancio di questi mali che rifiutano il fine stesso dello spirito, che è la conoscenza della verità e il pensiero del bene e dello splendore del bello?
Dato che il lavorio mentale può essere diviso in tre aspetti riguardo alla verità che cerca, ossia dell’apprendimento delle questioni, del ragionamento su di esse e delle conclusioni che ne derivano, qui il male può essere già presente in vari modi: rendendo l’apprendimento distorto o indefinibile, il ragionamento erroneo e di conseguenza la conclusione contraffatta.
Per esempio l’impostazione manichea del dualismo dell’essere nella simmetria di opposizione tra bene e male, che è causa del deterioramento del pensiero e della volontà nelle società e porta ai tre grandi rifiuti mentali che si manifestano nel mondo attuale.
Qui ci sarebbe da considerare:
I - Il rifiuto di fronte all’Essere;
II - Il rifiuto in rapporto al Credere;
III - Il rifiuto del dolore.

I - Il rifiuto dell’Essere, d’essere e di crescere

Sono due rifiuti con la stessa radice, il primo nel pensare la vita il secondo nel viverla.
Il titolo «rifiuto di essere» è del filosofo cattolico brasiliano Alfredo Lage («A Recusa de Ser», A Falência do Pensamento Liberal, Edizioni Agir, Rio, 1971).
In esso l’autore inquadra l’attrazione del pensiero liberale e progressista per l’irrealismo di una democrazia astratta che segue un pensiero utopico tendente ad instaurare l’immaginazione nel potere. Tutta questa alienazione della realtà genera una dialettica di massificazione disumanizzante di un essere umano senza natura e fine comprensibili.
E l’irrazionalità delle premesse liberali fa pagare gli interessi composti dell’assurdo.
Di colpo, scadono tutte le cambiali dei cattivi investimenti progressisti.
Le città sono vittime di gigantismo e congestionamento; il sistema educativo è in liquidazione; l’economia in crisi cronica e la dilapidazione della natura una minaccia sempre crescente.
Intanto la contestazione diviene fenomeno che «organizza» la ribellione degli hippy e il terrorismo dei ribelli che vivono il conformismo del loro vano inconformismo.
E i giovani, «staccati da ogni radice, principio e forma di civiltà, ad eccezione delle facilità in cui vivono, sono la patetica espressione di un militante e inglorioso rifiuto della crescita trasfiguratasi in contestazione» (opera citata pagina 222).
In questo libro il professor Alfredo Lage menziona l’opera del padre Henrique Vaz S. J., che in seguito alle idee del pensatore marxista Roger Garaudy, per cui «il noi precede l’io», scrive che «questo Hiper Ego è titolare della coscienza storica per la quale l’Uomo si pone davanti al mondo come creatore di cultura».
Lage spiegherà allora che: «il tragicomico inganno dei razionalisti è confondere la persona umana con tale ‘astrazione personificata’...» e attorno a questo fantoccio - espropriato dal suo essere - la dottrina sociale moderna vorrebbe far girare la sorte della Città e la salvezza dello stesso uomo (opera citata pagine 77 - 78).
L’idea centrale del «Contratto  Sociale» di  J.J. Rousseau è la sovranità permanente, diretta, di questa «Volonté Générale» che supera e sostituisce la volontà della persona umana individuale.
Qui si dovrebbe domandare, però, perché mai tanti hanno alienato la volontà personale, parte del proprio essere, a «Les Sociétés de Pensée et la Démocratie Moderne», descrite dal cattolico Augustin Cochin?
Sarebbe questo possibile senza aver prima alienato l’idea stessa dell’Essere che è Dio?
Infatti, Tocqueville ricorda quanto la storia registra, ovvero che la Rivoluzione francese si presentò come una religione per rimpiazzare la Religione dell’Essere, del Dio cristiano, con la fede umana nella ragione sociale esterna all’uomo.
Il Gesuita padre Henrique de Lima Vaz, si ritrova nel «gran messaggio» del «movimento di socializzazione come vaga di fondo della storia moderna» della «Pacem in terris» di Giovanni XXIII (vedi Rivista dell’Università Cattolica di Rio de Janeiro,  e «Sintesi» nimero 18, aprile-giugno 1963). Poiché questo padre elaborò l’idea di conciliazione delle tesi marxiste della rivoluzione sociale atea col cristianesimo nella sua opera «Ontologia e Storia», in cui ontologia è la scienza dell’essere, ora torniamo al dilemma del pensiero che si può ritenere libero dell’Essere senza perciò peccare, idea
difesa dai Gesuiti francesi nel passato, ma anche col Vaticano II, dove imperversarono i pensieri dei gesuiti George Tyrrell, Teilhard de Chardin, Karl Rhaner, Edouard Dhanis, Courtney Murray, Augustinus Bea, Henri de Lubac, e tutto sotto il Generale Pedro Arrupe.

Ateismo e «peccato filosofico»

Il peccato di ateismo deriva, come tutti i peccati, dal Peccato Originale, per cui i primi genitori fecero la conoscenza sperimentale del male.
Ci sono molte forme di ateismo: teorico e pratico, generale e speciale.
Ma c’è anche il deismo.
Perciò alla negazione di Dio dovrebbe seguire la domanda - quale Dio?
Negando gli attributi divini di persona e di trascendenza, si nega il Dio onnipotente il cui volere regge l’ordine universale, il Dio provvidenziale e misericordioso.
Ma la ribellione alla sua Parola è già il primo passo verso la sua negazione.
In tal senso i primi genitori non hanno creduto nel Dio Amore, come si era loro rivelato e la morte e ogni male fecero il loro ingresso nel mondo umano.
Può la vera Filosofia decapitare la Metafisica e sostituire il pensiero teologico?
Nel XVII secolo, in Francia, i Gesuiti, combattendo i Giansenisti, il cui pensiero non conciliava la grazia col libero arbitrio, pensarono di opporre a questo rigore la tolleranza intellettuale verso l’ateismo.
Il noto leader giansenista Arnauld inviò la questione a Roma e a quel punto il Papa Alessandro VIII condannò, col decreto del 24 agosto 1690, come eretico quanto fu nominato «peccato filosofico» (Dz 1290):
«1 - La bontà oggettiva consiste nella conformità dell’oggetto con la natura razionale; la formale, però, nella conformità dell’atto con la regola dei costumi. Per questo basta che l’atto morale tenda al fine ultimo in modo interpretativo.
L’uomo non è obbligato ad amare questo né all’inizio né nel corso della sua vita morale.
2 - Il peccato filosofico, ossia morale, è un atto umano non conforme con la natura razionale e con la ragione retta; il teologico, però, e mortale è la libera trasgressione della legge divina. Il filosofico, per grave che sia, per colui che non conosce Dio o non pensa attualmente a Dio, è in verità un peccato grave, ma non è offesa a Dio né peccato mortale che rompa l’amicizia con Dio, né meritevole di castigo eterno
».
Quest’affermazione fu dichiarata e condannata come scandalosa, temeraria, offensiva ed erronea.
Lo stesso Papa il 7 dicembre successivo condannò anche gli errori giansenisti, ma ritenne più urgente fermare prima errori e eresie promosse da gesuiti riguardo all’ateismo.

Leone XIII nella Lettera «E’ giunto» (19 luglio 1889), spiegava all’Imperatore del Brasile: «Con siffatta libertà si pone nella stessa linea la verità e l’errore, la fede e l’eresia, la Chiesa di Gesù Cristo e qualsiasi istituzione umana; con essa si stabilisce una deplorevole e funesta separazione tra la società umana e Dio che ne è l’autore e si giunge alla triste conseguenza dell’indifferentismo dello Stato in materia di religione e, ciò che è lo stesso, del suo ateismo».
L’ateismo moderno e sistematico deriva dalla ribellione tesa ad affermare l’autonomia della coscienza umana, per cui la libertà consiste nel fatto che l’uomo sia fine a se stesso, non «solo  artefice e demiurgo della propria storia» ma ora, con tali idee, anche del proprio concetto di Dio e di religione, da imporre nel concerto sociale attraverso una rivoluzione «religiosa» in cui la Religione di Dio fatto uomo guarda con immensa simpatia la religione dell’uomo che si fa dio, per accoglierla e benedirla, secondo le parole allucinati di Paolo VI.
Siamo così al Vaticano II, che doveva fare tale apertura in modo blando.

Sine Gaudium nec Spe

Quando la mentalità assurda che deriva dall’ateismo pretende di farsi educatrice, più che assurda diviene perversa.
E questa è la norma dei moderni governi democratici.
Contro questo pericolo per le anime si pronunciò costantemente la Chiesa cattolica in passato.
Lo ricordò durante il Vaticano II il cardinale Florit, proprio per accusare il testo della «Gaudium et Spes»: «che non dice abbastanza fortemente che la natura dell’ateismo è perversa, e non è possibile nessuna conciliazione con esso; ogni collaborazione è pericolosa... è il problema del male la grande obiezione a Dio».
E monsignor Elko proseguì: «Lo schema sembra scusare il materialismo ateo; ma è proprio esso che provoca la rovina dell’ordine sociale. E’ una peste che bisogna condannare, altrimenti i secoli futuri ci rimprovereranno la nostra pusillanimità».
Eppure lo «schema 13» fu approvato per intero e il Vaticano II, con la sua dichiarazione «Dignitatis humanae», stava per pronunciarsi a favore del diritto all’ateismo e di ogni libertà di religione, che è alla radice delle perverse libertà politiche che la «Gaudium et Spes» qui descrive:

20b) «Tra le forme dell’ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell’uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale. Si pretende che la religione sia d’ostacolo, per sua natura, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell’uomo verso una vita futura e fallace, lo distoglie dall’edificazione della città terrena. Perciò i fautori di tale dottrina, quando arrivano a prendere il governo, combattono con violenza la religione e diffondono l’ateismo, anche ricorrendo agli strumenti di pressione, di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell’educazione».
21°)  «La Chiesa,... non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato (DR),... tali perniciose dottrine ed azioni che contrastano con la ragione e con l’esperienza comune degli uomini e che degradano l’uomo dalla sua innata grandezza...» (Ma...)
b) «Si sforza però di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli
atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall’ateismo e mossa da carità verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo
».

I Papi sempre insegnarono che il danno è già nei governi che separano lo Stato dalla Chiesa.
Dichiara Leone XIII nella Lettera «E’ giunto»: «La Chiesa senza lo Stato è un’anima senza corpo.
Lo Stato senza la Chiesa è un corpo senz’anima. I princìpi liberali conducono all’indifferentismo dello Stato riguardo la Religione, che è ‘ateismo senza il nome’. Noi abbiamo dimostrato come è erronea la dottrina di quelli che sotto il nome seducente di libertà di culto proclamano l’apostasia legale della società, separandola così dal suo Autore divino
».
Ma qui la posizione della Chiesa di condanna dell’ateismo di Stato, terribile ostacolo alla formazione dei giovani a causa della diseducazione religiosa, è mutata nel suo opposto, cioè si spiega che la religione non vuol essere d’ostacolo all’edificazione di una città terrena, anche contro Dio.
Tale mutazione segue la politica religiosa iniziata dopo la II Guerra mondiale da intellettuali attorno alla rivista Esprit e al suo animatore, Mounier.
Questa influenza si estenderà alla rivista polacca Znak, cui collaborava Karol Wojtyla.
Spiega il filosofo Del Noce («Il problema dell’ateismo», Il Mulino, Bologna, 64) che essi presentano l’ateismo in forma positiva e ottimistica, un ateismo con buone intenzioni, fecondo e purificatore.
Perciò, «La più gran parte delle forme di pensiero religioso... è caratterizzata dall’idea... di ateismo purificatore».
Ne conseguono perciò: «La scoperta del male e rivolta contro di esso in nome della morale;... distruzione degli idoli filosofici..., distruzione tale che rende impossibile la riaffermazione del pensiero religioso nelle forme di panteismo, di cosmologismo, di Teodicea giustificante ...».
L'ateismo, visto come la critica radicale di ogni idolatria o antropomorfismo o assoluto umano, sarebbe la reazione legittima della teologia negativa, il momento della «morte di Dio», preludio della sua risurrezione.
Il «pensiero», secondo gli autori della «Gaudium et Spes», dovrebbe assumersi la verità di questa ribellione.
Lo sforzo di comprensione dell’ateismo fu intrapreso dal Vaticano II con vistose conversioni, non di comunisti, ma di conciliari in cattocomunisti, che resero la loro religione una sussidiaria tra le animatrici della democrazia universale.
Per arrivarci è bastato negare che l’ateismo implica la negazione di una norma precedente impressa nella coscienza, e perciò la negazione di un ordine morale trascendente l’uomo.

21c) «La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione...».
g) «La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l’ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che non può avvenire certamente senza un sincero e prudente dialogo. Essa perciò deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, non volendo riconoscere i diritti fondamentali della persona umana. Rivendica, poi, in favore dei credenti una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio».

E’ vietato proibire e discriminare!
Questo motto delle rivoluzioni del ‘68 già aleggiava nel Vaticano II.
Ma il fatto è che proibire è necessario per il rispetto della giustizia, così come discriminare, in quanto significa distinguere, è una necessità legale quanto religiosa; la religione che si ritiene vera discrimina radicalmente le altre come false.
La stessa identità religiosa deriva da tale discriminazione, così come la sua autenticità implica la separazione da chi nega il diritto del Creatore sulla creatura, onde la discriminazione religiosa è onnipresente nelle Sacre Scritture.
Il primo comandamento del Dio zelante è: «non avere altri dèi di fronte a Me» (Dt 5, 7).
Ma la rivoluzione egualitaria detesta le distinzioni e ha suscitato orrore per esse.
Così fu nel Vaticano II, come si vede, e così seguì nel mondo.
In Italia, per esempio, nell’onda di ripudio dell’idea di discriminazione, si approvò il 26 aprile 1993 un Decreto-legge, firmato da Amato e dai democristiani Mancino e Conso, per punire con pene draconiane, «chi, in qualsiasi modo... incita alla discriminazione per motivi religiosi», considerata un delitto!

«A questo punto, è chiaro che il cristiano - ma si badi bene, anche il non cristiano! - non potrà più condannare, ad esempio, il satanismo... né biasimare la pratiche e i cultori della magia nera e della stregoneria... né potrà ritenersi al sicuro, dagli inesorabili rigori della nuova legge, chiunque si permetta di censurare la teoria e la pratica della poligamia e dello schiavismo, professati dagli islamici, e la loro dottrina della gihad, o guerra santa... In siffatto ordine di idee, non si vede come sarà possibile consentire la ristampa e la diffusione dell’Antico Testamento... che definisce demoni le divinità adorate dai pagani... o del Vangelo, in cui Gesù definisce i farisei razza di vipere, o li accusa di avere per padre il diavolo (Giovanni 8, 44)» (giudice Agnoli).

Solo una tirannide totale potrebbe sopprimere ogni discriminazione, divenendo la discriminazione totale, metafisica: lo stesso criterio di bene.
Ma la legge deve discriminare l’illegalità; la giustizia l’ingiustizia.
Non dovrebbe la religione discriminare gli ateismi, e il cristiano quanto è anticristiano?
Seguendo il testo della «Gaudium et Spes», come potrebbero i cristiani, che hanno in mente le parole divine: «Se non è il Signore ad edificare la casa invano lavorano i costruttori, se non è il Signore a difendere la città invano vigilano le sentinelle», edificare il villaggio globale che discrimina proprio il Signore?
La «Gaudium et Spes» ha dovuto perciò raggirare questa contraddizione, che negherebbe esplicitamente la stessa religione, per continuare a proporre un nuovo ordine globale.
Ecco come essa crede di aver risolto il dilemma: i cristiani, dopo aver contribuito all’edificazione di questo mondo insieme a coloro che lo vogliono senza Dio, rivendicano la libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio.
In breve, i cristiani dovrebbero chiedere un permesso per la Religione nella città del mondo, per meriti lavorativi!
Quindi, il Vaticano II nella sua untuosa compiacenza verso i negatori di Dio, implicitamente rifiuta l’essere dell’Ordine Cristiano, che indica la società una nel corpo e anima, come bene voluto da Dio.

Per il pensiero cristiano già il rapporto mentale distorto con quanto esiste è causa di male.
Da un cattivo rapporto del pensiero con la realtà umana deriva il male che si manifesta nelle intenzioni che precedono le azioni.
Perciò alla scristianizzazione del pensiero riguardo al bene e al vero può solo corrispondere una continua scalata del male nel mondo presente.
Oggi i giovani si domandano: Dio è Verità e Bene.
Lo è da sempre e per sempre.
Ora, Egli si manifesta anche nel mondo materiale.
Com’è possibile allora che esista anche il male?
Dal Bene Infinito può nascere il male?
Com’è che nell’Eden perfetto creato da Dio stesso, vi sia il serpente tentatore?
E come mai Lucifero, che viveva nella Luce di Dio, è la causa originaria del male?
Non sarà questa la domanda che avvicina la maggior parte delle persone alle culture orientali, considerando che la religione cristiana è contraddittoria?
E al giovane Alberto risponde lapidario Pierfrancesco: infatti il male non «esiste»!
Tra un’idea e l’altra si ricorda che cresciamo nel «torpore», per cominciare a capire.
Si può dire che il male fisico non esiste?
La questione è sapere se terremoti, siccità, tempeste devastanti, inondazioni, sono «mali»?
E lo stesso sull’aggressione di malattie e di animali feroci e velenosi?
Anche la catena alimentare del regno animale, dove ci si divora a vicenda, può far pensare al male diffuso della morte sulla terra, come lo è il dolore?
La risposta a questi dubbi può essere riassunta in una domanda riguardo agli esseri viventi: è la morte un vero «male»?
Si può affermare che la morte individuale sia contraria alla vita, la cui durata dipende dalle circostanze nel mondo materiale?
Ma non sarà vero che questi guai possono essere solo in parte superati, mai eliminati perché sono mali relativi al contingente?
E’ di essi che ci dobbiamo preoccupare?
O piuttosto il male che ci riguarda non è fuori ma dentro di noi?

La mentalità ribelle da sempre tenta l’uomo a cercare il male fuori di sé.
Così le ideologie delle rivoluzioni moderne imputano la colpa d’ogni male all’ordine esterno.
Da Bayle a Rousseau, da Voltaire a Freud, il male è rimandato al passato, ai padri, alla religione, alla società, alla natura... a Dio stesso.
Ed eccoci all’ultima «evoluzione del pensiero moderno»: oggi s’interpella la stessa Provvidenza divina in nome della stessa bontà religiosa!
La confusione regna tanto più perché anche nel campo religioso detto cattolico si sentono lamentele di preti e suore rivolte a Dio e, colmo dei colmi, di Paolo VI nel funerale di Moro e di Benedetto XVI che, nella sua visita a Auschwitz, domanda dove era Dio che non ha impedito tanto orrore!
Tali mali non sarebbero covati dal libero pensiero, ma dalle distrazioni divine!
Cosa si aspettavano?
Che Dio intervenisse con teste di cuoio angelici?
O forse con un Mossad celestiale?
O con un corpo di superman rinforzati da invincibili bat e uomini ragno?
Ma se perfino riguardo all’intervento storico di Fatima, col suo cosmico miracolo del sole, sono rimasti indifferenti?
No, come potrebbe Dio fare un lavoro completo contro il male senza cancellare la libertà di pensiero di tanti uomini?
Eppure, per rispettarla Si è offerto in sacrificio e da questo è nata la Chiesa, che per testimoniarlo aveva una volta l’autorità e la chiarezza del Suo Vicario in terra.
Poiché il male è nel rifiuto, velato o aperto, dell’Ordine divino, il bene futuro è nella sua restaurazione; nell’instaurare tutto in Cristo Signore.

Per arrivarci, però, sarà necessario superare prima i pensieri deviati che conducono al rifiuto moderno, specialmente modernista nei più cellebrati luoghi, del «credere», del dolore e della morte, che è dove si annida il male che contamina l’uomo.
Ciò sarà considerato in seguito.

Arai Daniele


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