Hebron, TV contro i fanatici
23 Giugno 2008
Contro i fanatici ebraici che li picchiano e li insultano ogni giorno, i palestinesi che vivono presso l’insediamento di Kyriat Arba hanno trovato trovato una difesa: la TV camera
(1). «Me la porto sempre dietro», dice Bassam al-Jaabari, povero calzolaio che ha dovuto mettere grate alla finestra della sua botteguccia, «è il solo modo per trattenerli dal tirarmi pietre». Siamo ad Hebron, città del tutto palestinese.
Ma a un centinaio di metri dalla bottega del calzolaio sono venuti ad abitare da un anno, in un palazzotto di tre piani, famiglie di «coloni» talmudici che dicono di aver comprato l’immobile. Da allora, le angherie e le violenze sono quotidiane. Le donne vengono insultate e aggredite, e così i bambini quando vanno a scuola.
Volontari di B’Tselem, il benemerito gruppo ebraico che difende i diritti umani, da tempo scortano i bambini a scuola. Ma non basta a trattenere i violenti. Così, B’Tselem ha distribuito un centinaio di piccole telecamere ad altrettante famiglie palestinesi. «I coloni rendono la vita impossibile agli arabi», dice Issa Amro, la responsabile del gruppo umanitario per Hebron: «Ma se vedono che sono ripresi, ci pensano due volte».
Tutto è cominciato per caso. Nel marzo scorso varie TV internazionali, fra cui la BBC, hanno mandato in onda la scena disgustosa di una ebrea che lanciava insulti ad un gruppo di donne palestinesi. «La scena ha provocato reazioni in ogni parte del mondo; abbiamo capito che la cosa poteva avere un effetto deterrente, e anche di documentazione, per eventi che altrimenti sono invisibili e la cui veridicità è difficile da documentare», dice Oren Yacokovobich, un altro esponente di B’Tselem.
Quando un palestinese denuncia di aver subito aggressioni da coloni ebraici, spiega il giornalista Khalid Amayreh, «gli viene richiesto di fornire prove impossibili, come i nomi degli autori e il numero delle loro carte d’identità. Alla fine le denunce vengono catalogate ‘contro ignoti’ e finiscono in archivio. I tribunali ebraici non se ne occupano. Quando poi i palestinesi denunciano danni alle loro proprietà, la polizia israeliana esige che le vittime provino oltre ogni dubbio che il danno è stato fatto da ebrei e non auto-inflitto. Gli ebrei sono ritenuti innocenti per principio»
(2). Ma la polizia si sente obbligata a intervenire quando le angherie fanno il giro del mondo in video.
Due settimane fa la BBC ha diffuso il video che mostrava un vecchio pastore palestinese e sua moglie duramente picchiati dai «coloni» ebraici a bastonate. La settimana scorsa due degli aggressori che apparivano nel video sono stati arrestati. La moglie del pastore, Thamam al-Nawaja di 58 anni, è stata anche intervistata dalla BBC in ospedale dove era ricoverata per le ferite subìte, insieme al marito settantenne. «I coloni sono venuti e ci hanno dato dieci minuti per sloggiare dalla nostra terra», ha raccontato, «noi abbiamo rifiutato e loro ci hanno bastonato». Lei ha un braccio e uno zigomo fratturato, suo marito anche più fratture.
Tutto ciò avviene ad Hebron in Cisgiordania, che anche Israele considera territorio palestinese dal 1997. Ma ha consentito a un gruppo di fanatici ebraici di insediarsi nel cuore di questa città, in mezzo a 150 mila arabi; e l’insediamento viene protetto dal glorioso Tsahal con soldati e mezzi corazzati, in pratica perpetuando l’occupazione armata di Hebron.
Il gruppo dei fanatici appartiene alla setta del rabbino estremista Meir Kahane; da lì uscì quel Baruk Goldstein che nel 1994 massacrò da solo, col suo mitragliatore, 29 arabi in preghiera alle tombe dei Patriarchi - sito archeologico e religioso da cui i fanatici del Talmud vogliono escludere i musulmani.
Il portavoce del gruppo, David Wilber, ha detto che le riprese video mandate in onda dalla BBC sono false: «Oggi è facile falsificare un video. E inoltre, i video non mostrano quello che è avvenuto appena prima. Forse quel che è stato filmato era la reazione ad una provocazione».
B’Tselem ha documentato direttamente e denunciato alla polizia sionista 47 casi di aggressione fisica, pestaggi, calci, lanci di pietre e persino sparatorie dei coloni contro i palestinesi. «Sono solo una piccola parte dei delitti commessi impunemente dai coloni», dicono al gruppo.
Il giornalista Amayreh spiega: «Questi comportamenti delinquenziali sono il risultato dell’indottrinamento ideologico dei coloni, per loro i non-ebrei in generale, e i palestinesi in particolare, sono non-umani. Il rabbino Abraham Kook, il padre spirituale del sionismo (fu il primo rabbino d’Israele negli anni ‘30, ndr) ha scritto che ‘la differenza fra un’anima ebrea e le anime dei non-ebrei è più grande della differenza fra un’anima umana e quella del bestiame’».
Lo ha testimoniato anche Mustafa Shavar, docente universitario palestinese che da quattro anni è detenuto nel carcere di Kitziot senza capo d’accusa. Ha più volte chiesto al giudice militare (Kitziot è sotto la giurisdizione di Tsahal) di sapere quale era il reato per cui si trovava in galera, se non altro perchè evitasse di commetterlo di nuovo quando liberato.
«Il giudice mi ha risposto che non mi avrebbe concesso il privilegio di conoscere il motivo della mia detenzione perchè, ha detto letteralmente, gli ebrei sono i padroni e i non-ebrei sono i loro schiavi, e il popolo eletto non ha alcuna obbligazione morale o legale di spiegare agli inferiori perchè sono maltrattati». Le violenze di questo tipo sono in crescita negli ultimi mesi.
Denunciano l’intensificarsi delle aggressioni anche gli «ebrei messianici», una setta di diecimila persone che vivono in Israele (molti vengono dalla California, sono i «Jews for Jesus») che seguono la legge ebraica ma credono che Gesù sia il Messia
(3). Il 20 marzo scorso un pacchetto recapitato per posta ad una di queste famiglie, la famiglia Ortiz, è esploso tra le mani del figlio quindicenne, Ami, sfracellandogli entrambi i pollici e rovinandogli l’udito in modo permanente. La famiglia Ortiz era stata «segnalata» come bersaglio da un volantino anonimo, distribuito fra gli ebrei ortodossi della zona, che mostrava le foto dei membri della famiglia e ne indicava l’esatto indirizzo.
Nell’ottobre dell’anno scorso, una chiesa battista americana, dove gli ebrei messianici si riuniscono a pregare a Gerusalemme, è stata incendiata. E un mese fa, a maggio, nella cittadina di Yehuda, c’è stato il rogo dei libri cristiani ordinato dal fanatico vicesindac Uri Aharon. Le angherie, i lanci di pietre e gli sputi sono all’ordine del giorno.
La campagna di violenze è opera, si sospetta, dell’organizzazione ultra-ortodossa Yad Leahim. Il suo rabbino, Shlomo Dov Lifschitz, ha dichiarato: «Questi (ebrei messianici) provocano... è un miracolo che non accada di peggio». Questi comportamenti sono ben noti agli enti internazionali di soccorso.
Si apprende infatti che l’UNICEF, la branca dell’ONU che assiste i bambini sfavoriti nel mondo, ha rifiutato la donazione di un ricco ebreo, in quanto questi finanzia anche gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, che l’ONU dichiara illegali (4). L’ebreo è il miliardario Lev Leviev, un «oligarca» russo, gran trafficante in diamanti, riparato in Sion dove sta a capo di una miriade di imprese; una di queste, la Danya Cebus, ha costruito parecchi insediamenti nei territori occupati.
1) Sarah Yeivin, «Cameras help palestinians ‘shoot back’ at violent settlers», AFP, 20 giugno 2008.
2) Khalid Amayreh, «Hilter youth in the West Bank», Window into Palestine, 16 giugno 2008.
3) «Tiny community of messianic Jews under increased threat», Haaretz, 20 giugno 2008.
4) «UNICEF severs ties with Israeli mogul over settlement building», Haaretz, 21 giugno 2008.
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