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Gli «israeliani danzanti» furono pagati dal Governo
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C’è una notizia nuova sugli «israeliani danzanti», quei cinque ragazzoni ebrei che lavoravano per la ditta di traslochi Urban Moving Systems, e che furono visti da una cameriera messicana, l’11 settembre, mentre fotografavano le Torri in fiamme con l’aria di festeggiare. Ma prima, dobbiamo rievocare i fatti, che possono essere ignoti a molti lettori, o dimenticati Lo faremo citando ampiamente un testo di Massimo  Introvigne (1), che pretende di smascherare i fatti come «leggende urbane» più o meno inventate dai «negazionisti». Così, ci risparmieremo molta fatica.

Dunque, ecco Introvigne:

«La prima leggenda è presentata normalmente in questi termini: ‘L’11 settembre 2001 la polizia di New York arresta cinque israeliani che danzano e si congratulano fra loro dopo il crollo delle Torri Gemelle. L’inchiesta dimostra che si erano preparati a filmare gli eventi, da una posizione da cui il World Trade Center si vedeva particolarmente bene, già prima che questi accadessero, dunque sapevano prima che sarebbero accaduti. Nonostante questo fatto gravissimo (e - si aggiunge talora - il fatto che a bordo del furgoncino in cui viaggiavano siano stati trovati esplosivi) la giustizia americana non approfondisce l’episodio ma li rimanda semplicemente in Israele. In più i cinque sono ex-militari (e/o agenti del Mossad) e lavorano per una società di traslochi chiamata Urban Moving Systems, il cui proprietario, l’israeliano Dominick Suter, si rende irreperibile pochi giorni dopo i fatti dell’11 settembre. Evidentemente la Urban Moving,  finta società di traslochi che copriva un’operazione spionistica israeliana, aveva potuto penetrare senza destare sospetti nelle Torri Gemelle e preparare la loro esplosione dall’interno e il loro crollo, poi falsamente attribuito all’impatto di aerei. I cinque avevano ben ragione di danzare e di congratularsi per l’esito di un lavoro ben fatto».

Fin qui, poco da eccepire. A parte il fatto che Introvigne attribuisce a complottisti non identificati la voce secondo cui nel furgone della Urban Moving ci sarebbe stato dell’esplosivo: mi piacerebbe sapere il nome dei complottisti che dicono questo: perchè lo dice solo Introvigne. Quello che si disse allora fu che la polizia di New York aveva fatto annusare ai cani il furgone, alla ricerca di esplosivi.

Quanto al fatto che «la giustizia americana non approfondisce l’episodio ma li rimanda semplicemente in Israele», Introvigne evita di dire che «la giustizia americana» era rappresentata dal procuratore generale di New York, Michael Chertoff: un israeliano-americano (sua madre, hostess della El Al, sventò un attentato su un aereo), ed oggi elevato da Bush a capo della Homeland Security - ministero di cui mai prima gli USA avevano sentito il bisogno, la «Sicurezza Interna». In romeno, sarebbe Securitate.

Ridiamo la parola a Introvigne:

«Come tutte le leggende dell’11 settembre, si tratta di un falso. Il 12 settembre la notizia secondo cui la polizia ha fermato un furgoncino carico di esplosivi dura esattamente sette minuti: è diffusa dalla CNN alle 16,27 e smentita alle 16,34 (è confermato il fermo di un furgoncino bianco, con arresti, ma è negata la presenza di esplosivi). La storia è stampata per la prima volta dal New York Times il 13 settembre 2001 con queste parole: «Ufficiali di polizia riferiscono che un gruppo di cinque uomini è sotto indagine a Union City [New Jersey] ed è sospettato di avere aiutato i dirottatori. Inoltre gli ufficiali riferiscono che apparentemente i cinque uomini avevano piazzato macchine fotografiche che inquadravano il World Trade Center vicino al fiume Hudson. Essi hanno fotografato gli attacchi ed è stato riferito che si congratulavano fra loro, dicono gli ufficiali» (David Johnston, James Risen, «After the Attacks. The Investigation. Bin Laden Ties Cited», The New York Times, 13-9-2001).

La notizia, dunque, la la dà la CNN e «sette minuti dopo» non la smentisce, ma la precisa: confermando il fermo del furgone bianco della Urban. La notizia è anche confermata dal New York Times, mica da Al Jazeera, che ha evidentemente parlato con gli agenti che hanno compiuto i fermi. Essi confermano che quelli avevano piazzato fotocamere. Ma Introvigne mette le mani avanti: «Si tratta di un falso». Come falso?

La cosa è vera. Infatti Intro ammette che la colpa è della Fox News che «il giorno successivo, 14 settembre, riprende la notizia come segue: «Il New York Times ha riferito giovedì che un gruppo di cinque persone aveva predisposto delle videocamere dirette verso le Twin Towers prima degli attacchi di martedì, e questi uomini sono stati visti in seguito congratularsi fra loro» («One Arrested, Others Detained at NY Airports» , Fox News, 14 settembre 2001).

La Fox inserisce delle «distorsioni»:

Primo: il Times parla di apparecchi fotografici e Fox News di videocamere. Secondo: il New York Times non dice quando i cinque hanno piazzato le loro macchine fotografiche ed è Fox News a sciogliere l’ambiguità affermando senz’altro che quelle che sono diventate senza incertezze «videocamere» sono state predisposte «prima degli attacchi».

Capirai che distorsioni. Telecamere o fotocamere? Prima o dopo? Nei giorni convulsi post-11 settembre, nella fretta, coi giornalisti a caccia d’informazioni (non era calata ancora la cappa di piombo tipo Securitate), cosa conta? Quel che conta è che ci sono i cinque ragazzoni, che sono israeliani, e che sono stati fermati.

Ariecco Introvigne:

«L’incidente è pressoché dimenticato (salvo un articolo in novembre del supplemento di un quotidiano ebraico di New York, su cui tornerò e che comincia a interessare alcuni negazionisti dell’11 settembre) finché riemerge il 21 giugno 2002 in una puntata della trasmissione televisiva 20/20 della rete ABC, che gli dà una grande notorietà. Questa puntata – ma soprattutto l’articolo postato sul sito della ABC per promuoverla (oggi non più online sul sito della ABC ma reperibile tramite servizi come web.archive.org, e ripubblicato su diversi siti) – è la fonte della maggioranza dei negazionisti odierni. 20/20 è una trasmissione sensazionalistica che è stata coinvolta in diverse cause per diffamazione».

Nonostante il tono sensazionalistico della trasmissione, la sostanza è scarsa. La puntata si apre con una teste che l’11 settembre chiama la polizia, nascosta sotto lo pseudonimo di «Maria». Si tratta di una signora che, allertata da una condomina, va alla finestra del suo appartamento nel New Jersey e vede prima fumo provenire dalle Torri Gemelle e dopo («dovevano essere passati pochi minuti») l’arrivo in un parcheggio sottostante di un furgoncino, con «alcuni che salgono sul tetto del furgoncino e sembrano girare un film». Quello che colpisce «Maria» è che «sembrano contenti» mentre si fotografano a vicenda con le Torri Gemelle sullo sfondo. A questo punto «Maria» prende il numero di targa del veicolo e chiama la polizia, che intorno alle quattro del pomeriggio ferma il furgoncino nei pressi dello stadio di football americano dei Giants e arresta cinque cittadini israeliani fra i 22 e i 27 anni di età: Sivan Kurzberg, Paul Kurzberg, Yaron Shmuel, Oded Ellner e Omer Marmari. La polizia – un agente della quale è intervistato da 20/20 – ritiene di trovare una conferma del fatto che si tratta di persone sospette nel fatto che uno degli arrestati «ha 4.700 dollari nascosti in un calzino» e un altro «ha due passaporti stranieri». Nel furgoncino non ci sono esplosivi ma c’è «un coltello per tagliare scatole» (...)

La polizia chiama l’FBI che prende molto sul serio la cosa: preso atto che i cinque lavorano per la Urban Moving Systems, a tempo di record – sempre secondo 20/20 – «ottiene un mandato e perquisisce la sede» della società di traslochi. 20/20 intervista una vicina, Pauline Stepkovich, la quale riferisce che «l’FBI si è fermata per ore, ore» e ha portato via tutto: documenti, computer, scatoloni. Interroga a lungo il titolare, Dominick Suter, ma non lo arresta né lo incrimina. «Qualche giorno dopo, quando l’FBI cerca d’intervistare nuovamente il signor Suter, scopre che ha lasciato il Paese». I cinque, invece, rimangono in prigione perché i loro visti turistici sono scaduti e sono quindi tecnicamente clandestini. «Dopo due settimane un giudice li condanna, secondo la routine [dell’immigrazione clandestina] all’espulsione», ma a questo punto, sempre secondo la trasmissione televisiva, intervengono «la CIA e l’FBI» che, anziché espellerli, li trattengono per altri 71 giorni, «ne tengono alcuni in isolamento, li sottopongono a interrogatori continui e a sette test con la macchina della verità».

A questo punto si entra nel regno della speculazione: «fonti confidenziali dell’FBI» avrebbero detto ai giornalisti che il materiale fotografico (o cinematografico, perché nella stessa trasmissione ci sono contraddizioni sul punto), sviluppato, mostra in effetti i cinque che «sorridono e fanno i buffoni» con le Torri Gemelle o le loro rovine sullo sfondo, che l’FBI ha due dei cinque fra i nomi della sua banca dati di possibili agenti stranieri e sospetta che lavorino per il Mossad il quale notoriamente cerca d’infiltrarsi tra i sostenitori di Hamas negli Stati Uniti, e che uno dei cinque, Paul Kurzberg, secondo «uno dei suoi avvocati» avrebbe avuto problemi con la macchina della verità perché in passato «aveva lavorato per l’intelligence israeliana in un altro Paese». Inoltre un «rispettato giornale ebraico di New York, The Forward, avrebbe anche lui saputo dalle solite fonti confidenziali dell’FBI che due degli arrestati lavoravano in effetti per il Mossad».

Tutto vero. Quel documento della ABC l’ho visto anch’io, ed ho sentito la testimonianza di «Maria» la messicana, che confermava tutto. Anche Forward, rivista ebraica, conferma. Ma allora dove sta il falso?

Secondo Intro, nel fatto che «le fonti confidenziali dell’FBI» non vengono mai citate. Cosa ovvia: come disse a Carl Cameron della Fox un agente dell’FBI, «provare a perseguire, o anche solo a sollevare, lo spionaggio che Israele conduce (in USA) significa rovinarsi la carriera».

Ma Introvigne preferisce credere «all’avvocato degli arrestati che partecipa alla trasmissione, Steve Gordon». Il quale dichiara che i suoi clienti «negano qualunque celebrazione e manifestazione di gioia», e l’avvocato israeliano dei cinque, Ram Horvitz, definisce la storia del loro collegamento con servizi di intelligence «la storia più assurda e ridicola che abbia mai sentito».

Cos’altro dovrebbero dire degli avvocati difensori di personaggi che sono incriminabili per concorso in strage? Che sono stati arrestati e su cui si nutrono tali sospetti, che l’FBI li trattiene per 71 giorni? E il cui datore di lavoro, Dominik Suter, se l’è squagliata per sfuggire all’inchiesta? Suter è stato nell’elenco dei ricercati dell’FBI per anni. Degli avvocati si attaccano all’unica cosa che possono: non è vero che i nostri clienti ridacchiavano, la cameriera Maria avrà visto male.

Vi pare poco, magari. E allora tenetevi forte, perchè Intro – si vede da questo che è un bravo avvocato - lancia la prova a discarico decisiva:

«Il portavoce dell’ambasciata israeliana a Washington afferma che le autorità americane non hanno mai sollevato il problema con noi. La storia è semplicemente falsa».

Vedete com’è oggettivo Intro: non crede alla CNN, nè al New York Times, e nemmeno a Forward. Però crede al «portavoce dell’ambasciata israeliana». Di cui, fra l’altro, non fa il nome. Quindi: quando è Introvigne a citare una fonte anonima, è oro colato. Quando sono il New York Times, Forward, la Fox, sono «pure speculazioni».

È persino umiliante ricordargli che la smentita di un addetto d’ambasciata israeliano non è una prova contro la teoria del complotto. Anzi, il contrario, visto che i cospirazionisti accusano i servizi isrealiani di avere commesso, o partecipato, agli attentati dell’11 settembre. O Intro si aspetta che l’ambasciata isareliana cofessi pubblicamente: sì, quei ragazzoni erano nostri agenti?

Il bello è che Introvigne insiste. Esibisce quella che lui ritiene un’altra smentita alla teoria complottista. Una smentita assoluta. Insuperabile. Questa:

«In un talk show israeliano tre dei cinque (che hanno fatto tutti il servizio militare, obbligatorio in Israele, ma negano qualunque contatto con i servizi segreti) si protestano vittime di un errore giudiziario».

Tre dei cinque ragazzoni si provessano vittime di un errore giudiziario. Mi scusi avvocato, ma quale errore giudiziario? Gli israeliani danzanti non sono mai stati sottoposti ad alcun processo; sono stati espulsi da Chertoff per visto scaduto. E non protestano la loro innocenza in un’aula di tribunale, ma in un «talk show israeliano», sicuri a casa loro.

Ho visto anch’io quel talk show. Chiamarlo talk show è fargli troppo onore: si trattava di uno spettacolino-pop, con ballerine e veline e cantanti rock, una specie di «Domenica In» per adolescenti. Quei tre chiacchieravano con il presentatore-pop, in giacca di paillettes, e sghignazzavano. Tralasciamo il piccolo particolare che dovrebbe essere noto all’avvocato difensore Introvigne: tutti i colpevoli, a memoria d’uomo, si professano vittime di un errore giudiziario. Non per questo i giudici li lasciano in libertà.

Solo Introvigne, avvocato dei suoi clienti israeliani, dichiara:

«Alla fine non c’è uno straccio di prova che i giovani abbiano mai avuto a che fare con lo spionaggio israeliano».

Ma guarda: è la stessa conclusione cui è giunta la trasmissione della ABC 20/20, quella che – secondo Intro – avrebbe avuto lo scopo di «insinuare» la credibilità del complotto. Ecco infatti lo scambio di battute fra i giornalisti –conduttori del programma,  Barbara Walters e John Miller. A riportarlo è lo stesso  Introvigne:

«WALTERS: ‘Ma il punto centrale è che non c’è nessuna prova che questi uomini sapessero dell’attacco prima che avvenisse’. MILLER: ‘No. E penso che l’FBI e la CIA abbiano dedicato molto tempo a scavare intorno a questa risposta e non abbiano trovato nulla’. WALTERS: ‘Bene. Dunque noi abbiamo seppellito questa diceria (rumor) una volta per tutte’. MILLER: ‘Di sicuro ci abbiamo provato’».

Da questo, Intro trae la seguente conclusione:

«Si vede qui il meccanismo tipico della trasmissione sensazionalistica: nella prima parte si eccita il rumor, nella seconda lo si sgonfia e ci si può perfino vantare di avere svolto opera meritoria avendo seppellito la diceria».

Spero che Intro non s’intronerà se ne caviamo la conclusione contraria: dato che la «voce» (rumors) era ormai giunta all’opinione pubblica – ne hanno parlato la CNN, il New York Times, la Fox e Forward, ci hanno indagato la CIA e l’FBI – la trasmissione ABC non poteva negare tutto. Ma ha fatto in modo di «seppellire come diceria». La trasmissione era fatta per confermare la versione ufficiale, sollevando fumo sul fatto.

Infatti è fumo. Lo dice Intro:

«La trasmissione della ABC non cita un altro testimone il quale nell’inchiesta avrebbe riferito di avere visto i cinque giovani prima che li vedesse ‘Maria’ e di averli visti sul tetto dell’edificio dove aveva sede la Urban Moving Systems. Di questo testimone si parla in un articolo del 2 novembre 2001 di Yediot America, supplemento settimanale all’edizione pubblicata negli Stati Uniti del più diffuso quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth, e tradotto sul sito del quotidiano online di New York Gotham Gazette».

Nessun complottista serio, che io sappia, ha mai parlato di questo secondo testimone. Noi complottisti sappiamo solo di Maria, che ha visto i cinque danzare sul tetto del furgoncino, non sul tetto dell’edificio della Urban Moving Systems. A tirar fuori il secondo testimone – che Introvigne s’ingegna a screditare – è un giornale ebraico, il supplemento USA di Yedioth Ahronoth. E la fonte che parla di questo testimone è Steve Gordon: l’avvocato difensore degli israeliani danzanti. Insomma, è disinformazione, cortina fumogena. Che non dev’essere ben riuscita perchè, ci spiega Intro, sul sito della Gotham Gazette 
«Oggi appare una messa in guardia sull’uso dello stesso articolo – spesso tagliando alcuni passaggi decisivi – da parte di 'siti antisemiti e complottisti' per fargli dire il contrario di quello che dice. In effetti – paradossalmente – un articolo di un giornale israeliano che intendeva protestare contro la detenzione, che considerava abusiva e ingiustificata, dei cinque è usato dai negazionisti come prova delle loro asserzioni».

Appunto: Yedioth Ahronoth intendeva difendere gli israeliani danzanti, scagionarli. La cosa non ci sembra stupefacente, visto che i sospetti sono ebrei. Dobbiamo prendere per buona la «messa in guardia» della Gotham Gazette? Ci si chiede di dimenticare il New York Times e di credere alla Gotham Gazette? E che cos’è poi la Gotham Gazette? È uno sconosciuto  giornalino locale online, fondato nel 1999. Però è finanziato da varie fondazioni importanti, tra cui la Rockefeller Foundation: non dev’essere un giornalino che dà fastidio ai potenti. Il suo direttore è un ebreo di nome Jonathan Mandell.

Ma torniamo alla Urban Moving Systems e al suo titolare, Dominik Suter. Su questo personaggio, Introvigne non dice molto. Si produce in una domanda retorica:

«Quanto al titolare della Urban Moving Systems, nel clima dei giorni dopo l’11 settembre in cui chiunque fosse straniero, tanto più medio-orientale, doveva affrontare un clima piuttosto pesante, c’è da stupirsi se dopo che l’FBI ha passato ‘ore’ nel suo ufficio e gli ha sequestrato tutto, e i suoi dipendenti sono tenuti in isolamento in un carcere di massima sicurezza, pensa bene di levare le tende e tornarsene in Israele?».

Ebbene sì, avvocato: c’è da stupirsi. Non è normale filarsela dalla ditta lasciando (come videro i giornalisti della ABC) i computers accesi in ufficio e una quantità di mobilia da traslocare nel magazzino. Non è normale, se non si ha nulla da nascondere. Ma che Domink Suter abbia qualcosa da nascondere, non è un’idea mia. Suter era in un elenco di ricercati dall’ FBI ancora nel 2002. Lo so da un documento dell’Ufficio Cambi italiano, datato 4 febbraio 2002 e inviato a tutte le banche, in cui si diceva: l’FBI ci prega, per «accertamenti relativi ai fatti di terrorismo internazionale», di dare informazioni utili sui movimenti finanziari intestati a «nominativi» di cui si dà l’elenco. E nell’elenco c’è anche il nome di Dominik Suter. Ne ho parlato nel mio «Chi comanda in America» (2).

Ed ora, devo  dare la notizia-bomba, che avevo promesso all’inizio di questo lungo articolo.

Eccola: da documenti ufficiali, che escono dall’Ufficio del Bilancio americano (Office of Management and Budget, in sigla OMB)  isulta che la ditta di Suter, la Urban Moving Systems, ha ricevuto fondi federali per  488.750 dollari, e  fondi dallo stato di New York per altri 166.250 dollari. In tutto, 665.000 dollari. Data del pagamento: 22 giugno 2001. Due mesi e mezzo prima dei mega-attentati.

Come mai il governo USA ha pagato una cifra del genere ad una ditta di traslochi? Per quali servizi resi, nei mesi precedenti l’11 settembre? Sembra quasi che una parte del governo USA finanziasse la Urban Moving, mentre un’altra parte – l’FBI – la sospettasse di coinvolgimento negli attentati. Al punto da ottenere un mandato per «visitare» la ditta e portarne via documenti. Al punto da convincere Dominik Suter che era meglio filarsela in Israele subito, lasciando le luci accese. Come mai?

Come complottista, ho qualche ipotesi. Ma aspettiamo che Massimo Introvigne, l’avvocato difensore, dia la sua versione. Possiamo dargli la fonte. Che è insospettabile: si tratta di OMB Watch, ossia un’organizzazione di cittadini che fa le pulci alla contabilità statale, andando a vedere le voci anche minime del titanico bilancio federale americano (16 mila miliardi di dollari), per controllare come il governo spende i dollari del contribuente.

La sua scoperta del finanziamento alla Urban Moving Systems è stata casuale. Ecco l'immagine e l’indirizzo in cui l’avvocato difensore potrà vedere il foglio del bilancio USA con l’esborso alla ditta di Suter il ricercato:

(cliccare per ingrandire)

Urban-Moving-Systems.jpg

http://bp2.blogger.com/


o anche:

http://current.com/items/89037966_huge_9_11

o anche altri (3).




1) Massimo Introvigne, «Miti anti-israeliani sull’11 settembre; gli «israeliani danzanti» e gli «studenti d’arte isrealiani», CESNUR, senza indicazione di data. Il CESNUR è il «Centro Studi sulle nuove religioni» diretto e gestito da Introvigne medesimo.  Il gruppo dovrebbe occuparsi di sette religiose. Ma dall’11 settembre, il suo autore-fondatore-redattore si dedica a spiegare i dubbi sulla verità ufficiale sull’11 settembre come  rislutato di una malattia mentale. «Il fatto che menzogne e dicerie smentite nel 2002 e nel 2004 continuino a circolare nel 2008 conferma il carattere patologico del Truth Movement. Questi episodi, ancora una volta, non ci dicono nulla di significativo sull’11 settembre. Ma ci dicono molto sui compagni di merende di estrema destra o di estrema sinistra che anche in Italia – talora con l’avallo di qualche vecchio accademico o giornalista un po’ suonato – continuano a spacciare merce che non vale più delle croste cinesi vendute come opere d’arte dai famosi «studenti», spinti da un furibondo odio contro l’America e l’Occidente che è il vero fenomeno su cui vale la pena d’indagare».
2) Maurizio Blondet, «Chi comanda in America», Effedieffe 2002, pagina 74.
3) «Urban Moving Systems: the US-Israeli 9/11 financial nexus»,Under the Radar Media, 19 giugno 2008.


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