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Grazie, vera femminista
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Devo una risposta ad Anna Luisa di Genova, per i suoi due interventi.

Il primo: «Gentilissimo dottor Blondet, da ex femminista del tipo “tremate, tremate le streghe sono tornate e l’utero è mio e me lo gestisco io” condivido a 360 gradi quanto da Lei così ben esplicitato nel Suo articolo. Io sono confusa: gli uomini hanno sostituito la virilità con il machismo mentre le donne tutte delle barbie... triviali... bellezze plastificate in abiti poco pratici e scarpe del tipo alluce valgo assicurato... come se tutti ci trovassimo in un sex shop a cielo aperto... una volta questa roba era confinata... oggi no ... te la ritrovi negli spot pubblicitari in TV e nei cartoni pubblicitari disseminati per le vie cittadine, nel reality show, nel talk show, nei TG (tutti ormai dopo le notizie di cronaca e politica chiudono con le ultime novità sul sesso degli italiani o simile: il sondaggio di quante volte gli italiani fanno sesso o la statistica degli over 70 che ancora lo praticano... che detto tra noi «ecchisenefrega»), nei quotidiani e nei periodici, persino in farmacia, etc... Dal neonato al centenario siamo costretti a vivere in una costante e battente full immersion di messaggi, anche subliminali, a sfondo sessuale… Forse mi è sfuggito qualcosa… magari un nuovo virus… ma sempre di più mi sembra di vivere in un mondo di erotomani e per di più decerebrati… Grazie e saluti a tutti».

Poco dopo, ecco il secondo: «Ah dottor Blondet mi sono dimenticata di dirLe che da ex femminista nel 2001 mi sono licenziata da un impiego super pagato per poter seguire i miei figli e accudire mia madre.Giusto in tempo: mia figlia, non me ne ero accorta tutta presa come ero da casa e lavoro, nel frattempo era diventata una cocainomane... ho dovuto vendere un appartamento per pagarne i debiti. Sarei sprofondata... e ho dovuto rivedere un bel po’ di cose sui miei trascorsi politici... sui gruppi di autocoscienza e quant’altro... tutta aria fritta.Comunque ora la ragazza è riuscita a smettere senza l’ausilio di medici e paramedici e lavora... io faccio la casalinga a tempo pieno, non navighiamo nell’oro ma almeno io non sono stressata e di conseguenza l’intera famiglia...Il ragazzo, anche lui stava prendendo una brutta piega, 19 anni ora lavora a tempo indeterminato in una piccola azienda... è contento.Tutti siamo contenti... felici no sarebbe troppo ... contenti sì... se non altro per i miei figli la sicurezza di trovare un padre ed una madre pronti ad ascoltarli e non eternamente indaffarati ... una cosa semplice... ma si sa che le cose semplici sono quelle più difficili a farsi.Sin da bambina ho sempre ammirato la figura di Cornelia madre dei Gracchi e io in un certo qual modo ne ho seguito le orme... oggi cosa manca sono i demiurghi... le guide carismatiche... e invece ci dobbiamo sorbettare l’essenza della mediocrità dell’ultimo libro della Valeria Mariani… strombazzato per diversi giorni dal mainstream mediatico... Si vaporizzassero tutti quanti!Grazie ancora per l’attenzione e saluti.  Anna Luisa»

Sono io che la ringrazio, Anna Luisa, per la lezione che insegna a me - che parlo e scrivo soltanto, mentre lei «ha fatto» -  e a tutti i lettori, almeno quelli capaci di capire. In questi tempi senza pastori nè guide, lei ha trovato la sua strada vera. La ammiro.

E’ normale che da giovani si aderisca ad ideologie, o anche solo a idee generali: sostituiscono l’esperienza di vita, che ai giovani manca, in quel modo un po’ ridicolo e un po’ lancinante, saputo e ansioso di esistere, che è proprio della pubertà. E’ uno dei motivi per cui i giovani sono «inautentici»: ma questa inautenticità è in certo senso normale, come l’acne giovanile. Purchè non si prolunghi dall’adolescenza alla maturità alla vecchiaia - come purtroppo avviene. Abbiamo un premier «ragazzo assatanato» a 72 anni, figurarsi.

Ed ha ragione lei, tutta la pubblicità da postribolo ingiunge, perentoria, a vivere da «giovani» da vacanza, da disimpegno, da sesso facile. La saturazione di messaggi sessuali attenua, forse, le colpe individuali.

La cosa veramente difficile oggi è che - quando la vita bussa alla nostra porta, ci chiama con rude crudezza: la mamma vecchia e malata che ha bisogno d’assistenza, la figlia cocainomane, il ragazzo che prende una brutta strada - che non comprende cosa la realtà vitale chiede a lui, o a lei. A lui personalmente. Non alla «femminista», non alla «donna-liberata», al «comunista» o al «cattolico» in generale, ma a te: a te, qui ed ora.

Molti altri - e sicuramente io stesso - nei frangenti che lei ha vissuto, si sarebbero tenuti l’impiego super-pagato ed avrebbero messo la mamma in una casa di riposo o con una badante, la figlia in una comunità antidroga, avrebbero pagato quel che c’era da pagare per risolvere quei problemi, o meglio, per liberarsene con il denaro. Molti fanno così.
Non è nemmeno il caso di colpevolizzarli, in fondo: così gli intima l’atmosfera psichica vigente, così insegnano tutte le «agenzie diseducative», dai romanzi, dalla pubblicità ai servizi sociali - perchè visto che ci sono i servizi sociali, perchè non approfittarne? «Ho diritto a vivere la mia vita».

Lei ha capito, nel profondo del suo sangue femminile, che «la sua vita», in quel momento, esigeva da lei - da lei personalmente - quello che ha fatto. Senza cercare scuse nell’ideologia, nelle idee generali, nel modo corrente di concepire la vita, che invitano allo scarico di responsabilità. Ha capito che la «vita» chiamava ad essere responsabile, dei figli, della madre. Insomma, lei ha risposto alla chiamata. Che in latino si dice vocatio.

La vocazione a non fare quello per cui si è attratti e per cui si dispone di doti naturali  («ho la vocazione per la biologia», o «per lo spettacolo»), la vocazione è la chiamata a fare quello che devi, proprio tu, perchè nessun altro, altrimenti, lo farà. Qui ed ora.

E «qui ed ora» è l’intersezione dello spazio e del tempo, l’istante della scelta necessaria, in cui ognuno si trova - che lo voglia o no - a scegliere fra la «libertà» secondo l’ideologia corrente, e la autenticità e verità del suo io. La croce che, ad un certo punto, ci viene chiesto di portare. La «libertà» come viene intesa oggi, consiste nel fuggire dalla croce. Ma si paga, non è gratis. Si paga con il fallimento della propria autentica vita.

Quando l’ho letta, Anna Luisa, mi sono dovuto chiedere: quante volte anch’io ho fallito, non ho risposto alla mia vocazione. Quante volte ho disertato. Sono tante volte. Per questo so che lei è più cristiana di me. Non so se vada a Messa e se creda in Cristo. Ma so che Cristo non ha mai chiesto a nessuno se crede a questo o a quel dogma, se è battezzato o no; chiede - lo chiede fino all’ultimo, e lo chiederà nel giudizio - se hai superato la prova che ti ha mandato. La prova dell’amore difficile.

Lei si sente vicina alla madre dei Gracchi; intuisco quel che vuol dire, per una donna che ha generato, una madre, i figli sono «gioielli». Ma i Gracchi erano bravi figli, più dei suoi, non  delusero l’antica Cornelia; la sua decisione di salvare i suoi gioielli macchiati, imperfetti, di rettificarli e tagliarli - superando ogni delusione - è ancora più giusta e vera. Perchè per chiunque altro i suoi figli non erano gioielli. Spettava a lei, era la sola che poteva amarli come gioielli. E l’ha fatto.

Ora che il peggio è passato, dice: «Tutti sono contenti... felici no, sarebbe troppo... contenti sì». E’ quel che si dovrebbe insegnare ai giovani: la contentezza, in questa vita, non dipende dai telefonini che hai o dalle griffes che ti puoi permettere, ma dall’aver fatto la cosa giusta. Dall’aver superato la prova a cui la vita ti ha chiamato. Dall’aver dimenticato se stessi nell’azione, nella sola azione necessaria, che tu solo puoi fare.

A questi giovani assetati di «esperienze-limite», bisogna che qualcuno faccia capire che l’esperienza-limite li attende nella vita, quando saranno «chiamati», e si vedrà se sapranno rispondere, oppure se diserteranno - così condannandosi all’infelicità, che nessuna coca o nessuna «canna» può attutire.

Grazie a lei per l’esempio. Da femminista a donna, dall’ideologia alla realtà dell’amore di mamma.

A leggere i suoi post, m’è venuto in mente un passo di «1984» di Orwell. Adesso non lo trovo nella mia biblioteca, e perciò cito a memoria. Il protagonista, medio funzionario di quel mondo cupo dominato dalla falsità  totalitaria di Stato, vede dalla finestra una donna che stende le lenzuola e - fatto inaudito in quel mondo - canta. Una canzone popolare. La donna è una popolana, una «prolet», un’anonima donna di quel proletariato che il regime sedicente proletario - per disprezzo - lascia vivere la sua vita di sempre, nella penuria ma senza eccessivo controllo. Sono quasi bestie, per il potere, che vivono nel ciclo della natura. Fuori dall’ideologia perchè fuori dalla storia.

Quella donna è contenta; felice no, sarebbe troppo, ma contenta sì; e infatti canta, cosa che a nessun funzionario del Partito riuscirebbe. Per di più dice Orwell (cito a memoria) è una donna non giovane, tonda e grossa. Il protagonista del romanzo si scopre a trovarla bella. Quella donna non ha la bellezza di un fiore, la bellezza delle adolescenti non provate dalla vita che hanno il vitino di vespa e il seno in germe. No, ha la bellezza del frutto maturo; sarà stata un fiore - condizione breve, la breve primavera sessuale  dei prolet - ed ora  ha l’aspetto della donna che ha generato, e che si sfianca di lavoro per la sua famiglia, cantando.

Oggi è difficile cogliere questa bellezza della donna-mela, della donna maturata nel fare ciò che doveva. Oggi i modelli sono le veline e, sul lato maschile, i palestrati e gli abbronzati, i corpi lisci e sessualmente attraenti di chi non fa niente, di chi non supera nessuna prova. Ma se c’è una possibilità per la nostra civiltà, sta nel recuperare la capacità di vedere bella una donna grossa che stende, una che ha generato e lavora per i suoi figli.


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