Sul mostro Samir Kuntar
19 Luglio 2008
Samir Kuntar è il mostro che Israele ha liberato in cambio di miseri resti di poveri soldati israeliani caduti, restituiti da Hezbollah. Ripugnanti le acclamazioni con cui il Libano ha accolto quest’uomo, che ha scontato solo 30 anni dei cinque ergastoli comminatigli per aver ucciso un civile israeliano e ammazzato la bambina di questo, Einat Haran di 4 anni, sfracellandole il cranio con il kalashnikov o forse contro le rocce.
Si vede qui la superiorità morale di Israele in confronto all’odio folle dei suoi nemici, è stato detto ufficialmente e no; Samir Kuntar è un uomo morto, ha fatto sapere il Mossad. Il popolo israeliano ha giurato vendetta. E’ giusto, è sacrosanto, se Kuntar ha fatto quello di cui è stato incriminato.
Ci sono alcuni particolari in questa storia orrenda, che i media non hanno sottolineato: il primo, forse non significativo è che Samir Kuntar non è un palestinese musulmano, e nemmeno un sciita Hezbollah, ma un druso libanese. Inoltre, gli atti del processo per cui fu condannato per quel mostruoso eccidio, sono segretati. Da trent’anni. Solo nei giorni scorsi, su richiesta del giornale Yedioth Ahronoth, la pratica numero 578/79, il processo del mostro, è stata resa nota
(1). E solo parzialmente.
Il giudice Ron Shapira ha mantenuto il segreto sulla deposizione di un testimone, e sui referti della patologia legale, ossia le perizie che provano la morte della povera bambina in quel modo orrendo. Samir Kuntar, che si è riconosciuto colpevole di aver ucciso un agente della sicurezza israeliana (Eliyahu Shahar, 24 anni) all’epoca dei fatti, ha sempre negato di aver ucciso la bambina e suo padre, Danny Haran (32 anni). A che scopo negare?
Il primo omicidio bastava ad assicurargli l’ergastolo; un mostro assetato di sangue ebraico, come mai non si vanta di aver sfracellato la testa di una piccina di 4 anni? E che cosa c’è negli atti del suo processo, data la sua così evidente colpa, da tenere segreto per tutto questo tempo?
Kuntar aveva 17 anni all’epoca dei fatti: la notte del 22 aprile 1979 in cui lui, aderente al Fronte per la Liberazione della Palestina, con alcuni complici, sbarcò da un gommone nella spiaggia israeliana di Nahariya venendo dal Libano.
Ecco la sua deposizione, solo ora resa nota, anche se risale al 6 gennaio 1980: «S
barcammo a Nahariya alle 2.30 del mattino. Legammo la nostra imbarcazione a uno scoglio. Avevamo istruzioni di evitare di aprire il fuoco; la nostra missione era di prendere degli ostaggi e portarli con noi in Libano. Io ero il comandante della cellula. Il mio intento era di bussare alla porta di una delle case. Majid ed io avanzammo verso l’edificio (la casa della famiglia Haran, in via Jabotinsky 61). Gli dissi di suonare il campanello ma di non parlare, perchè io avrei parlato in inglese alla gente che abitava lì. Ma una volta alla porta, Majid suonò ad uno degli appartamenti, e parlò in arabo alla donna che rispose in ebraico. Fece questo errore, e la donna non aprì». Evidentemente l’attacco di sorpresa è sfumato.
«Sentii il rumore di un’auto che veniva verso di noi poi si fermava. Aprii il fuoco, poi entrammo di corsa in uno degli appartamenti, dove prendemmo un uomo e una bambina, da portar via con noi. Sono stato io a decidere di prendere la bambina con noi per assicurarci la vita, e poi restituirla dal Libano attraverso la Croce Rossa. Mentre eravamo con loro, ci furono sparati contro dei colpi; io sparai qualche raffica col mio Kalashnikov verso quella gente (era la squadra di sicurezza israelian, ndr) e colpii uno di loro, lo vidi cadere. Quando vidi che il nostro battello (pneumatico) era stato colpito, cercammo di ritirarci per via di terra e sfuggire alle scariche dirette contro di noi. Era l’esercito (israeliano) che ci attaccava. Volevo trovare il modo di dir loro di cessare il fuoco, perchè volevamo solo prendere ostaggi, ma non avevo un megafono... Fui colpito da cinque proiettili. Allora (Danny) Haran (il padre della piccola) si alzò in piedi e segnalò con le mani alle forze armate che smettessero di sparare. I cinque proiettili mi avevano colpito in zone importanti, persi molto sangue e svenni. Non so cosa sia accaduto, finchè non ripresi coscienza nelle mani dell’esercito. Non ho fatto male alla bambina e non ho visto come è morta».
Al piano di sopra, si consumava un’altra tragedia, inenarrabile: Smadar Haran, la moglie di Danny e madre di Einath, terrorizzata, stringendo al petto il suo figlio più piccolo Yael perchè non piangesse e non si facesse udire, lo soffocò a morte. Yael aveva due anni.
Questa è la versione di Kuntar. La sua colpevolezza è basata sulla testimonianza di uno o più uomini della squadra d’assalto israeliana intervenuti.
Ecco la deposizione di uno di loro: «
Il teste numero 4 testimonia di aver visto Danny Haran alzarsi in piedi e gridare, ‘Cessate il fuoco, c’è la mia bambina qui!’. Subito dopo egli ha visto Kuntar sparare a Danny. Un medico ha testimoniato alla corte che la causa della morte di Einath (la piccina) era stato un colpo diretto con uno oggetto contundente, come un bastone o un calcio di fucile».
Il giudice ha scritto nel verdetto: «
Kuntar s’è scagliato contro Einath e l’ha colpita due volte col calcio della sua arma, con l’intento di ucciderla. Anche l’altro accusato (Ahmed Assad Abras, l’unico altro sopravvissuto della cellula palestinese; gli altri sono stati tutti uccisi sul posto dalla squadra israeliana; ha preso cinque ergastoli più 47 anni, ndr) ha colpito la testa della piccina con violenza».
Ma perchè, se la bambina viva come ostaggio era la loro unica speranza di coprirsi la ritirata? E perchè farlo, ripetutamente e con accanimento, mentre gli armati israeliani erano ormai loro addosso, così vicini da aver visto il delitto? Ma si sa, gli arabi sono dei mostri irrazionali.
Tuttavia, Kuntar, raggiunto da cinque pallottole, era gravemente ferito, aveva perso molto sangue e dice di aver perso i sensi. Cosa del tutto plausibile, come plausibile la sua dichiarazione di voler prendere degli ostaggi vivi: era il tipico modus operandi dei palestinesi negli anni ‘70. Il sito del ministero degli Esteri israeliano sostiene che «Kuntar si è vantato di aver spaccato il cranio di Einath Haran di quattro anni»; ma non è vero. Lungi dal vantarsene, Kuntar ha sempre negato questo infanticidio.
Di più: ha sempre negato questo atto anche parlando con i compagni di detenzione, come ha raccontato ad Haaretz Majdal Shams, detenuto palestinese, che nel 1999 ha condiviso la cella con Kuntar per otto mesi. Secondo questa persona, Kuntar gli ha sempre detto che non voleva uccidere nessuno, ma solo prendere ostaggi. E la bambina ammazzata da lui? «Questa è la versione israeliana», rispondeva il mostro
(2).
Le perizie mediche - sul cadavere della piccina, sul corpo ferito di Kuntar - potrebbero chiarire il mistero. Ma non sono disponibili. La loro pubblicazione resta vietata.
Da quel poco su cui è stato sollevato il segreto, pare emergere un’altra possibile versione: la piccola Einath e suo padre Danny Haran potrebbero essere stati colpiti dalla squadra armata israeliana - non si capisce se poliziotti o commandos - che attaccò i terroristi palestinesi (o libanesi) per liberare gli ostaggi; i due possono essere stati uccisi da fuoco amico, per una tragica sbavatura dell’intervento, e i trent’anni di segretazione degli atti possono essere serviti per coprire l’errore.
Secondo noi, non c’è altra spiegazione per il top secret. Il resto è «narrativa»: negli atti processuali Einath risulta massacrata con il calcio del kalashnikov, ma la narrazione di questi giorni vuole che Kuntar e i suoi complici abbiano spaccato la testa della piccina su uno scoglio
(3). Perchè? Da dove nasce questa narrativa?
Viene a mente il Salmo 137, molto recitato in Israele:
«
Figlia di Babilonia, votata alla distruzione:
beato chi ti ricambierà di quanto hai fatto a noi;
benedetto chi prenderà i tuoi pargoli
e li sbatterà contro la roccia!».
Sigmond Freud, vedi alla voce «proiezione»: «Proiezione è un meccanismo di difesa arcaico e primitivo con cui il soggetto espelle da sè, e proietta su altre persone, sentimenti o desideri che sono suoi, ma che rifiuta in sè».
Un po’ come chi chiama Ahmadinejad «il nuovo Hitler», sostiene che l’Iran si sta facendo la bomba atomica, ed è un pericolo non solo per Israele, ma per il mondo intero.
1) Nir Gontarz, «The Kuntar file, exposed», Yedioth Ahronoth, 14 luglio 2008. Postato sul sito dello Israel Ministry of Foreign Affairs: After almost 30 years of being classified, File No. 578/79 has been granted permission for publication: the murderer’s testimony, the shots in Danny Haran’s back and the death blow to toddler Einat’s head. Il post del ministero mostra due foto del Kalashnikov col calcio pieghevole che sarebbe stato usato da Kuntar; una freccia indica una macchia Bianca che sarebbe, come ha detto il patologo dell’esercito israeliano, tessuto cerebrale della bambina.
2) Jack Khoury, «Former cellmate says Samir Kuntar never meant to kill anyone», Haaretz, 1 luglio 2008.
3) I giudici hanno scritto nella sobria sentenza: «Kuntar si è scagliato contro Einath e le ha colpito la testa due volte con il calcio del suo mitragliatore, con la volontà di ucciderla. Anche l’altro accusato le ha colpito la testa con forza. Come conseguenza dei colpi, Einath ha subito fratture del cranio e danni cerebrali che le hanno causato la morte. Essi hanno ucciso gli ostaggi, un povero padre e sua figlia, a sangue freddo. Con questi atti gli imputati hanno toccato un livello di bassezza morale senza precedenti... un atto satanico senza pari... Le pene che infliggiamo agli imputati (cinque ergastoli ciascuno) non possono nemmeno adeguarsi alla brutalità delle loro azioni».
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