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Strage di Bologna: pista rossa?
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Sono passati 28 anni da quel 2 agosto del 1980, quando 85 persone svanirono istantaneamente in un infame attentato alla stazione di Bologna, qualcuno letteralmente vaporizzato dalla scoppio di un ordigno ed oltre duecento rimasero gravemente ferite.
Potevo esserci anch’io sul binario numero 1 della stazione in quel maledetto mattino: rientravo alle tre di notte con quella che sarebbe stata mia moglie da un periodo di vacanza in Jugoslavia e facemmo sosta a Bologna, nell’appartamento di via Col di Lana dove abitavo da studente, intenzionati a ripartire la mattina dopo.
Eravamo così stanchi da non sentire la sveglia che ci avrebbe altrimenti recapitati ad un destino ben diverso.
Ora sono qui a raccontarlo.

Ricordo che fummo svegliati dalla televisione a tutto volume dell’inquilino accanto e da un via vai di sirene che laceravano via Emilia Ponente, dirette all’Ospedale Maggiore.
Saputo del disastro ci dirigemmo comunque in stazione.
La prima versione parlava dello scoppio di una caldaia, ma ricordo perfettamente sotto i portici antistanti la stazione un vecchio comunista dire senza ombra di dubbio che quella che c’era nell’aria era puzza di tritolo: lui se la ricordava dai tempi della guerra.
Aveva ragione: era una miscela di 5 kg di tritolo e T4 detta Compound B, potenziata da 18 kg di nitroglicerina ad uso civile.
Si scoprì che l’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto in una valigia sistemata a circa 50 cm d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest della stazione.

Le indagini percosero subito la pista nera e porteranno alla condanna di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e di recente Luigi Ciavardini, tutti e tre legati al gruppo terroristico di estrema destra dei NAR.
Ma a quella condanna Fioravanti e la Mambro, che pure hanno confessato tutti gli altri loro delitti si sono sempre ribellati. «Non siamo stati noi».
E spiegano: «Negli archivi giudiziari c’è scritto che eravamo a Bologna per uccidere anziani, donne e bambini. Negli archivi della nostra coscienza e della nostra memoria è riportato a caratteri indelebili la storia di una giovane coppia che se ne stava nascosta a Padova, che veniva dagli anni di piombo e cercava una via di fuga per una vita migliore. Il 2 agosto 1980, tra le macerie, è rimasta anche quella nostra speranza […] Ci hanno condannato alcuni magistrati in un clima, diciamo così, di ‘distrazione’ generale. Ci ha condannato buona parte della stampa, che si è ricordata del garantismo solo con il caso di Sofri, Bompressi, Pietrostefani. Ci hanno condannato molti grandi pensatori di questo Paese che arrivano ad esprimere dubbi sull’operato della polizia solo quando si tratta di difendere i loro amici più intimi. Ma come dicevo all’inizio, sono stati solo ‘alcuni’ giudici che ci hanno condannato, ‘alcuni’ poliziotti che ci hanno incastrato, ‘alcuni’ giornalisti che hanno ricopiato troppo fedelmente le veline delle Procure. […] La verità non è quella scritta sulle carte!» (1).

Sono in molti a pensarla così.
Luigi Cipriani, deputato di Democrazia Proletaria, un partito collocato a sinistra del PCI, nel lontano 1990 affermava: «Signor presidente, da quella lapide dobbiamo togliere le parole ‘strage fascista’, perché ciò è riduttivo e fa parte del depistaggio operato sulla strage di Bologna, diversa dalle altre stragi e che ha molto più a che fare con Ustica e con i rapporti tra Italia, Francia, Stati Uniti, i servizi occidentali e le strutture segrete. Dire che sono stati Fioravanti e compagni è stato un depistaggio: su quella lapide bisogna scrivere ‘Strage di Stato’!».

Sempre a sinistra Ersilia Salvato di Rifondazione Comunista e Luigi Manconi dei Verdi aderirono al celebre comitato «E se fossero innocenti?», composto in maggioranza da persone lontane dalla Destra.
Anche Sandro Curzi, ex-direttore di Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista si espresse a favore dell’innocenza di Mambro e Fioravanti e così pure Andrea Colombo, penna prestigiosa del Manifesto, che in occasione del 25° anniversario della Strage, così polemizzava contro una parte della sinistra bolognese: «C’è da chiedersi se, prima di indignarsi, il Prc emiliano si sia preso la briga di consultare gli atti processuali che hanno portato alle condanne dei NAR».
Allo stesso modo Rossana Rossanda, nome storico del quotidiano comunista, ha sempre ribadito le proprie convinzioni innocentiste, mentre Alessandro Mantovani, giornalista anche lui del Manifesto, ha bollato il processo per la Strage di Bologna come viziato da un assai discutibile teorema giudiziario.
Anche importanti quotidiani come Il Corriere della Sera o L’Unità, hanno espresso osservazioni critiche in ordine alle sentenze di condanna di Fioravanti ed altri.
Paolo Mieli, ad esempio, scrisse parole inequivocabili sulla vicenda: «Non ho dubbi: quel processo è da rifare e se contro i due terroristi dei NAR non verranno fuori le prove convincenti che fin qui non sono emerse dovremmo avere, tutti, l’onestà intellettuale di chiedere a gran voce che il marchio dell’infamia (limitatamente a quel che riguarda Bologna) venga tolto dalla fronte di Francesca Mambro e Giusva Fioravanti. Ripeto: tutti».

Fu Ennio Remondino, figura storica della RAI, notoriamente schierato a sinistra, a condurre la famosa inchiesta relativa al falso tumore che nel 1981 garantì la scarcerazione del teste chiave Sparti, che inchiodò Mambro e Fioravanti, dovendo constatare che la cartella clinica di quest’ultimo era andata distrutta in uno strano incendio divampato, proprio poco tempo prima, all’interno dell’Ospedale San Camillo di Roma.
Poi potremmo citare Gianluca Semprini, giornalista di Sky, autore di «La Strage di Bologna. Luigi Ciavardini: un caso giudiziario» oppure Sandro Provvisionato, giornalista di punta di Canale 5 e anche lui proveniente dalla sinistra, che non si è limitato a dichiarare l’innocenza degli imputati, ma ha indagato sul reale significato dei numerosi depistaggi operati a danno degli imputati: «E’ fragile il movente come sono evanescenti le prove: in pratica solo la ‘testimonianza’ di un falsificatore di documenti, certo Massimiliano Sparti, legato alla banda della Magliana, smentito perfino dalla stessa moglie. Nel caso dei processi per la strage di Bologna in quattro casi su cinque ha però retto il teorema costruito dalla procura di Bologna, cieca perfino di fronte ai depistagli del SISMI, il servizio segreto militare che arriva a mettere una valigia di armi ed esplosivo sul treno Taranto - Bologna e a inventare una fantomatica operazione ‘terrore sui treni’ da attribuire proprio ai neofascisti che saranno incriminati. Insomma un depistaggio che finisce col mettere gli inquirenti sulla pista che sarà poi alla base del teorema bolognese» (2).

Tra gli innocentisti a vario titolo anche il giornalista Massimo Fini, il noto fotografo Oliviero Toscani, la celebre regista cinematografica Liliana Cavani, uno dei rappresentanti storici dei radicali italiani, Marco Taradash, il nuovo leader radicale, Daniele Capezzone; l’ex leader di Lotta Continua, Adriano Sofri, detenuto nel carcere di Pisa ha addirittura denunciato pubblicamente la questione sbalorditiva del falso tumore del teste chiave Sparti, per tacere dei diversi esponenti del Centro-Destra.
Giovanni Pellegrino, parlamentare dei DS, nonché ex Presidente della Commissione Stragi, ha espresso un giudizio lapidario sull’operato dei giudici bolognesi: «E’ una sentenza appesa nel vuoto», definendo inconcepibile ed improponibile l’aver riproposto anche in tale processo lo schema interpretativo usato nel 1969 per piazza Fontana, dovendosi collocare la Strage di Bologna in oscuri e ben più complessi scenari internazionali.
Francesco Cossiga era all’epoca della strage di Bologna presidente del Consiglio.
Fu proprio lui, riferendo alle Camere, ad indirizzare le indagini solamente nella direzione del terrorismo di estrema destra.
Ma il 15 marzo 1991, al tempo della sua presidente della Repubblica, affermò di essersi sbagliato a definire «fascista» la strage alla stazione di Bologna e di essere stato mal indicato dai servizi segreti.
Oggi chiarisce che «la strage di Bologna è un incidente accaduto agli amici della ‘resistenza palestinese’ che, autorizzata dal ‘lodo Moro’ a fare in Italia quel che voleva purché non contro il nostro Paese, si fecero saltare colpevolmente una o due valigie di esplosivo. Quanto agli innocenti condannati, in Italia i magistrati, salvo qualcuno, non sono mai stati eroi. E nella rossa Bologna la strage doveva essere fascista» (3).
Cossiga non è pazzo e non si smentisce, la tecnica pare quella di sempre: nascondere le vere responsabilità della strage, anzi delle stragi, dietro una cortina di ipotesi giustificative ormai lontana nel tempo.

Ieri i «neri», oggi gli «arabi» aiutati dai comunisti, con il dossettiano Moro colpevole e vittima delle proprie scelte terzaforziste e troppo tiepidamente filoatlantiche e con un’area «laica, azionista ed antifascista» paladina delle libertà dell’Occidente: «I padri di Gladio - dichiara - sono stati Aldo Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De Lorenzo, capi del SIFAR. Io ero un piccolo amministratore. […] Gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato arruolare monarchici, fascisti o anche solo parenti di fascisti: un ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la figlia di un dirigente MSI. Quasi tutti erano azionisti, socialisti, lamalfiani. I democristiani erano pochissimi: nel mio partito la diffidenza antiatlantica è sempre stata forte. Del resto, la Santa Sede era ostile all’ingresso dell’Italia nell’Alleanza Atlantica. Contrari furono Dossetti e Gui, che pure sarebbe divenuto ministro della Difesa. Moro fu costretto a calci a entrare in aula per votare sì. E dico a calci non metaforicamente. Quando parlavo del Quirinale con La Malfa, mi diceva: ‘Io non c’andrò mai. Sono troppo filoatlantico per avere i voti democristiani e comunisti’».
Gladio aveva obiettivi geopolitici e, a parte fronteggiare una eventuale «insurrezione comunista», doveva impedire alla politica interna italiana nel Mediterraneo di smarcarsi dall’Occidente, quindi dalla NATO e dai suoi alleati, specie in Medio Oriente.
Ma la DC dai tempi di Mattei aveva un’altra idea: mantenere una equidistanza proprio in quell’area, favorendo lo sviluppo degli Stati arabi.
Il «caso Mattei» è forse l’inizio di una storia che sarebbe durata decenni e che dura ancora.
Il «lodo Moro» di cui parla Cossiga è una sorta di patto non scritto che avrebbe autorizzato gli «arabi», OLP in particolare, a fare in Italia quel che volevano, purché non contro il nostro Paese.
E’ facile capire, oltre agli USA, quale altro «piccolo Paese» del Mediterraneo non poteva tollerare questa strategia.
E chi si oppone a questa strategia, prima o poi, paga.

Cossiga rivela e probabilmente manda obliquamente un messaggio, non solo parlando direttamente di Moro.
L’eliminazione di Craxi e Andreotti con Tangentopoli sarebbe stata la conseguenza di questa scarsa «fedeltà Atlantica»: «Credo che gli Stati Uniti e la CIA non ne siano stati estranei; così come certo non sono stati estranei alle ‘disgrazie’ di Andreotti e di Craxi. […] Andreotti e Craxi sono stati i più filopalestinesi tra i leader europei. I miliardi di All Iberian furono dirottati da Craxi all’OLP. E questo a Fort Langley non lo dimenticano. In più, gli anni dal ‘92 in avanti sono sotto amministrazioni democratiche: le più interventiste e implacabili».
Cossiga non è pazzo, non ha cambiato idea, non ha tradito.
Cossiga istruisce ed ammonisce, si rammarica e mette in guardia.
Cossiga era e resta il «ragazzo di Gladio», sardo e fedele fino alla «follia», cattolico liberale di grande famiglia massonica, devoto alla sua causa filooccidentale.
Ci spiegherà in un libro che uscirà a ottobre, «A carte scoperte», che «tutte le cariche le ho ricoperte perché in quel momento e per quel posto non c’era nessun altro disponibile»: forse non è un caso che coautore del libro sia l’agente del SISMI  «Betulla», ovvero il giornalista ciellino Renato Farina,  già coinvolto nel torbido affare legato al sequestro di Abu Omar da parte di un commando della CIA.
Tornando a quegli anni, la strategia della tensione ebbe politicamente la sua versione nella formula degli opposti estremismi.
Ciò che ancora non si sa è chi fosse la mente o le menti di quella strategia.
Constatiamo che negli anni Settanta la strategia della tensione si incentrò sulla caccia dapprima ai «terroristi fascisti» poi a quelli «brigatisti» e che oggi lo schema sembra ripetersi con le cosiddette «trame islamiche» al posto di quelle «nere».
Constatiamo che grazie a ciò lo Stato di Israele assurge al ruolo di baluardo occidentalista nel vicino Oriente e sicuro alleato dell’Italia nel Mediterraneo, tanto da mettere in guardia la nostra nazione da possibili attentati ai suoi danni.
Sono rimasto indignato - ma ne capisco le ragioni di «prudenza» - del fatto che ad urne appena chiuse le prime dichiarazioni ufficiali di Berlusconi riguardassero l’intenzione di recarsi in visita in Israele e di nominare ministro degli Esteri Franco Frattini.

Ma è proprio dell’altro ieri una novità.
La Procura di Bologna, nel respingere le accuse avanzate da alcuni parlamentari del PDL, secondo i quali non sarebbero state adeguatamente prese in considerazione piste alternative (in particolare quella palestinese), ha fatto sapere come «le indagini proseguono» in due direzioni ben definite.
Una punta sulla Francia per poter incontrare il terrorista internazionale Carlos e approfondire alcune sue dichiarazioni relative alla strage, rilasciate circa un mese fa in un’intervista all’agenzia di stampa ANSA.
La seconda invece riguarda la Germania, la cui rogatoria, già in corso, ha consentito nel giugno scorso al PM Giovagnoli di incontrare il terrorista tedesco Thomas Kram, che era presente alla stazione di Bologna il giorno in cui esplose la bomba.
Il PM Persico ha poi affermato: «Abbiamo saputo della presenza di Kram due anni fa ed è stato fatto tutto quello che c’era da fare» (4).
Ci sono voluti tre anni ed una nuova intervista rilasciata nel giugno scorso per smuovere i giudici, ma poiché Carlos, rispondendo alle domande che l’agenzia di stampa ANSA gli ha fatto arrivare nel carcere parigino di Poissy dove è rinchiuso, svela a trent’anni dal sequestro Moro che il SISMI avrebbe condotto una trattativa segreta con i brigatisti nonostante il governo di allora avesse deciso di vietare qualsiasi mediazione con il gruppo eversivo, ecco che anche le dichiarazioni sulla strage di Bologna non possono essere ignorate.

Circa l’ipotesi che agenti occidentali abbiano fatto saltare in aria - con un piccolo ordigno - un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’FLP e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione, Carlos risponde in maniera lapidaria: «L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna ‘rossa’, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio» (5).
Una tesi che Carlos aveva già sostenuto su Il Corriere della Sera del 23 novembre 2005, quando aveva dichiarato circa la strage: «Siamo sempre stati convinti che sia stata organizzata dai servizi americani e israeliani: i veri ‘padroni del terrore nero’ in Italia» (6).

Insomma l’ipotesi è che a Bologna qualcuno abbia fatto saltare una valigia di esplosivo dei palestinesi per lanciare un messaggio al Governo, affinché smettesse la pratica di «tolleranza» verso le azioni dell’OLP inaugurate col «lodo Moro» e soprattutto desistesse dal cercare la verità sul disastro di Ustica: lì starebbe la chiave del bagno di sangue della strage di Bologna.

Il giornalista Claudio Gatti nel volume «Il quinto scenario», acquisito agli atti del processo per la strage di Ustica dal giudice istruttore Rosario Priore, ha ricostruito con Gail Hammer una inquietante verità: il DC9 dell’Itavia sarebbe stato abbattuto per sbaglio dai servizi segreti israeliani che volevano colpire un aereo che trasportava 24 chili di uranio arricchito dalla Francia all’Iraq e destinato ad una centrale nucleare irachena.
Chissà se i giudici di Bologna riaprendo l’indagine avranno il coraggio di seguire tutte le piste o se, come sembra, dopo la «pista nera» le indagini cambieranno colore puntando dritte dritte su quel Thomas Kran (di cui ha parlato il PM persico), nipote di un’eroe della resistenza comunista in Germania e di cui in un articolo del febbraio scorso Gian Marco Chiocci su Il Giornale già parlava come di un «terrorista rosso vicino all'estremismo islamico», che il giorno della strage era in città (7).
E’ un imputato perfetto, degno della sceneggiatura di un grande film d’azione.

Non c’è che dire: la teoria degli opposti estremismi per di più condita in salsa islamica è un remake geniale, perfettamente in linea con il nuovo corso della politica italiana ed internazionale.
L’ultimo depistaggio avrà i tratti beffardi della più intrigante delle spy-stories?
Reuven Shiloah (8) ne sarebbe entusiasta.

Domenico Savino



1) www.almanaccodeimisteri.info/mambro.htm
2) www.rifondazione-cinecitta.org/buchi-neri.html
3) Il Corriere della Sera, 08 luglio 2008, «Cossiga compie 80 anni: Moro? Sapevo di averlo condannato a morte». «La strage di Bologna, fu un incidente della resistenza palestinese» di Aldo Cazzullo. www.corriere.it/politica/08_luglio_08/cossiga_cazzullo_
f6395d90-4cb1-11dd-b408-00144f02aabc.shtml
4) IlCorriere della Sera, 1 agosto 2008, «La Procura: interrogheremo il terrorista Carlos», di Francesco Alberti.
http://archiviostorico.corriere.it/2008/agosto/01/Procura_
interrogheremo_terrorista_Carlos_co_9_080801102.shtml
5) www.americaoggi.info/2008/06/29/5999-intervista-carlos
-cos-salt-lultimo-tentativo-di-salvare-moro
6) http://archiviostorico.corriere.it/2005/novembre/23/
vero_Bologna_era_compagno_colpire_co_9_051123052.shtml
7) Il Giornale, 8 febbraio 2008, «Il giallo della strage di Bologna. Ecco le prove della pista araba»,
di Gian Marco Chiocci, www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=214956&PRINT=S
8) Reuven Shiloah fu il primo direttore del Mossad dal 1949 al 1952.


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