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Il potere sfondato e senza fondo
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Gli egiziani dopo i tunisini, e poi gli altri manifestanti del Maghreb (e adesso del Golfo) sono scesi in piazza anzituto per protesta contro la poverà, i rincari e i bassi salari, unendo a questo una richiesta di libertà politica. Ma la democrazia (intesa come pluralismo politico e diritti civili) può essere la cura delle difficoltà economiche di quei Paesi? Non direttamente, ma può contribuirvi, risponde un analista del sito Dedefensa, Jean-Paul Baquiast, e ne dà tre ragioni che meritano attenzione:

«La democrazia renderebbe più difficile la confisca e lo spreco delle risorse nazionali da parte degli ambienti di potere. Gli individui, resi più autonomi, potrebbero meglio partecipare alla creazione della ricchezza collettiva. Più generalmente coloro che sono alla base della scala sociale avrebbero più possibilità di farsi ascoltare».


Di qui l’entusiasmo evidente con cui quei popoli sono scesi in piazza sulla sponda Sud del Mediterraneo. La sponda Nord non ha dunque ragioni per scendere in piazza, dato che possiede già la democrazia. Ma davvero?

Prendiamo per buoni i tre benefici che alla democrazia attribuisce il blogger belga.

La democrazia renderebbe più difficile la confisca e lo spreco delle risorse nazionali da parte degli ambienti di potere.

Accade forse da noi? Recentemente s’è scoperto che il presidente della Regione Lazio dispone di stanziamenti per spese di rappresentanza 23 volte maggiori di quelle del presidente della Repubblica Federale Tedesca, e si tratta solo, dopotutto, di 1,8 milioni di euro l’anno. (Lazio batte Germania 23 a 1)

Renata Polverini
   Renata Polverini
Il Comune di Roma ha scoperto che il suo debito pubblico strutturale, creduto di 9,4 miliardi di euro fino a ieri, ammonta invece a 12,4 miliardi, e anzi forse a 15 (i conti sono ballerini): una cifra – per fare un confronto – pari a una volta e mezzo l’intescambio fra Turchia e Iran, e che dovremo pagare noi contribuenti. (Comune, il debito è di 12,4 miliardi - Gli espropri fanno esplodere il debito)

Ma non si parli solo di Roma; confische e sprechi sono dilaganti dovunque operino ambienti di potere. Fino al punto che il premier eletto anche perchè, ricco com’è, ci eravamo illusi, non avrebbe rubato, ci ha messo a carico la organizzatrice di via Olgettina, così come sostiene la magistratura, facendola eleggere nel Consiglio Regionale lombardo. E’ un’abitudine alla Mubarak che si acquista presto, appena si è al potere.

Vero è che nell’Occidente sviluppato e democratico la confisca e lo spreco delle ricchezze nazionali non viene operata dai parassiti pubblici e politici nella misura immane in cui dilaga da noi. Anzi là avvengono anche episodi di civismo consolanti, come quello del governatore della California Schwarzenegger che non ritira lo stipendio di governatore (inferiore comunque del 30% a quello del capo ufficio stampa della Regione Lazio) con la motivazione che «sono già abbastanza ricco».

Ma proprio in quei Paesi ne abbiamo visto avvenire uno di spreco, ancora più astronomico, e una confisca ancor più esiziale dei beni di tutti: quella operata dalle banche e dalla finanza d’affari, che si legittima come l’ausiliaria migliore dell’economia, e che invece ha divorato e affossato le economie reali, e portato alla bancarotta interi Stati, accollando però il costo delle proprie follie e avidità sui comuni contribuenti, oggi costretti a pagare i conti dei disastri provocati da gruppi di potere che dovrebbero essere in carcere ma – col denaro pubblico – si pagano bonus principeschi. Con la piena complicità delle classi politiche, in teoria elette dai cittadini per salvaguardare gli interessi della collettività.

Lasciamo da parte l’asserzione secondo cui, nei nostri regimi e non in quelli degli autocrati orientali, «coloro che sono alla base della scala sociale avrebbero più possibilità di farsi ascoltare».

Ci si domanda a quale irresistibile richiesta proveniente dalle masse diseredate, disoccupate e precarie risponda, poniamo, la legge italiana che consente ai singles di adottare bambini e bambine (cosa che viene concessa solo con estremo sospetto, condizionamenti ed esami alle coppie sposate); o a quale bisogno espresso dal basso della scala sociale inglese (che ha problemi col riscaldamento, avendo perso le pensioni e il lavoro nella crisi finanziaria) nasca la proposta del locale ministro delle Pari Opportunità di far celebrare nelle chiese i matrimoni fra omosessuali – con l’obbligo conseguente per i preti di celebrarli, con tanti saluti alla libertà di culto e all’obiezione di cosienza. (Gay 'marriages' to be allowed in church)

Nell’insieme, la democrazia corrente non sembra tanto all’ascolto dei bassi livelli sociali, quanto di piccole e potenti lobby, di cui è pronta a tradurre in legge i desideri più arbitrari. La sola vera differenza con le autocrazie arabe, che le piazze arabe si provano (con successo men che sicuro) a smantellare, è che i nostri sistemi hanno dato accesso alla confisca e allo spreco della ricchezza nazionale, dei profitti del lavoro produttivo, a categorie più vaste delle cricche di potere egiziane o saudite; abbastanza vaste, da costituire forti minoranze elettorali interessate allo status quo, e negli esclusi, la speranza di poter entrare a far parte del club dei saccheggiatori. Con ogni mezzo, come disse la ragazzina facile della scuderia del Cavaliere, intercettata dai giudici: dopo 2 o 5 mila euro per una serata col Cav., non ha senso darsi da fare per un lavoro da 800 euro mensili.

E’ un caso estremo, ma che mi pare indicare una tendenza: la capacità del potere confiscatore di estendere la propria corruzione alle proprie vittime, e guadagnarsele. Dal che viene la stabilità dei nostri regimi rispetto a quelli di Mubarak o del Bahrein, la sua capacità di impedire alla protesta di coalizzarsi contro un preciso oggetto, spreco e sopruso.

L’enormità di questi fenomeni è l’esito compiuto – secondo noi – della secolarizzazione totale del potere, conseguente a sua volta alla sparizione del concetto di katechon come funzione elementare dell’autorità pubblica. Tenere a freno lAnticristo è un compito che non si può proporre oggi – senza essere derisi – ad alcuno Stato, e nemmeno alla Chiesa che si profonde in richieste di perdono a quelli cui fu detto «vostro padre è il diavolo», agli esponenti della sola religione che non conosce la dimenticanza delle offese, e per cui il perdono non è un valore, ma solo la vendetta permanente, il ricordo insaziabile delle vendette da compiere. Con ciò, la Chiesa sé ridotta ad esortazioni moralistiche inefficaci, episodiche, eppure vissute come moleste per grandi e piccoli.

Il segnale anticristico dovrebbe essere facile a cogliersi nel carattere di disumana insaziabilità di ogni potere, anzi di ogni funzione pubblica. L’insaziabilità sessuale nel nostro caricaturale presidente, non è in fondo che uno dei sintomi (1). C’è l’insaziabilità punitiva e inquisitoria di una magistratura che non riconosce più alcun limite nella ragion di Stato. C’è l’insaziabilità di ricchezza di politici e pubblici poteri, che non sono mai abbastanza ricchi da decidersi a lasciare un giorno la presa sui popoli che dicono di governare, e che si limitano a saccheggiare (la famiglia Mubarak ha accumulato 70 miliardi di dollari sulla pelle di un popolo che ha un reddito pro capite di poco superiore ai 2 mila dollari annui). Il che comporta ovviamente l’insaziabilità dell’esazione fiscale, che non si ferma (per il nostro Paese, basta una parola: Equitalia) nemmeno di fronte alla certezza di distruggere le attività produttive e la stessa possibilità dei produttori di produrre, pur di estrarne l’ultima goccia di sangue con cui finanziare l’ultimo spreco e lusso. Piccole imprese lombarde già cominciano a fuggire non in Cina ma in Svizzera, dove le condizioni fiscali sono migliori, eppure questo sintomo non frena uno Stato che ormai si comporta da potere d’occupazione contro il suo popolo.

Il potere senza un limite interiore, quello che ha espulso da sé la funzione di katechon, non può essere che così: insaziabile in modo preternaturale. Privo di amor di patria, di compassione e di responsabilità, non può che esercitarsi nell’insaziabile saccheggio di tutto – carne feminile o giovanile, risorse, lavoro, intelligenze mortificate o tacitate – fino alla morte del popolo sfruttato, che sarà il suo solo limite. E d’altra parte, il popolo sfruttato non è nemmeno capace di ribellarsi, avendo smarrito il senso della propria dignità – e del fatto che un popolo si costituisce come civiltà del lavoro, o altrimenti come materiale da prostituzione. Ben presto, poi, i popoli saranno sostituiti come inutili.

E’ uscito in USA un saggio, dal titolo Accelerating Technology and the Economy of future, che prevede quanto segue: nei prossimi 30 anni, l’avanzata delle tecnologie software ed hardware consentirà di rimpiazzare il 70% del lavoro umano con macchine. (Is there no solving the U.S. unemployment problem?)

Qualunque lavoro umano, anche qualificato o professionale (come gran parte dei lavori oggi compiuti da medici, ingegneri e specialisti laureati). Non si tratta del solito futurologo all’acqua di rose; l’autore, Martin Ford, è il fondatore di un’azienda di software a Silicon Valley, e lancia l’allarme su fatti di cui è al corrente, ma sfuggono al grande pubblico: essenzialmente, la crescita esponenziale e convergente delle tecnologie, che stanno per produrre una nuova Singolarità: in pratica, paventa Ford, le macchine non solo uccideranno i lavori, ma uccideranno i consumi. I lavoratori divenuti disoccupati o al meglio assistititi, non avranno i mezzi per comprare i beni prodotti dalle macchine, ancorchè a prezzi fortissimamente calati.

L’economia sta per giungere a quella situazione-limite in cui si era già avviata con la globalizzazione, e la conseguente delocalizzazione dei lavori nelle zone del mondo a bassi salari, ma in modo più rapido e imprevedibile, grazie alla robotizzazione avanzata ormai in gestazione. Le società piene di tempo libero con il 70% di disoccupati strutturali, saranno società invivibili, in cui il 70% di esseri umani, avendo perduto il loro posto nei cicli produttivi, non potranno più influire sul proprio futuro come cittadini. Con nessun’altra prospettiva, se non per chi ne avrà i mezzi fisici, di offrirsi a qualche prostituzione richiesta dal 30% ricco e dirigente.

Una società dove i cittadini non conteranno più nulla: esito estremo dell’umanità che non ha posto un freno all’Anticristo.

Che la Grande Prostituta dell’Apocalisse siamo, in fondo, noi tutti?

Ma di questo, un’altra volta.




1) Non vorrei si dimenticasse la vicenda che ha come caporione Angelo Balducci, altissimo dirigente pubblico, presidente del Consiglio dei Lavori Pubblici, al centro di una vicenda di appalti, mazzette, miliardi ed escort a favore di un intraprendente privato (Diego Anemome) in cerca di lavori pubblici. Balducci, gentiluomo di camera vaticano, preferiva secondo le intercettazioni «maschi maturi pelosi». Ai giudici, Balducci ha respinto l’accusa di corruzione adducendo il fatto che già guadagnava, nella sua carica, 2 milioni di euro annui. Perché un dirigente pubblico italiano pagato oltre 10 volte il governatore di California? E tuttavia farsi corrompere? Ricco sfondato, sfondato in molti sensi, e senza fondo nelle voglie. Né ci si può esimere dall’evocare il caso Marrazzo.


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