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Identiità europea, Islam e americanismo
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Pubblichiamo, inviatoci da don Curzio Nitoglia, che ringraziamo, il presente pezzo comparso sulla rivista «Sì sì no no» del  30 maggio 2008; in fondo all’articolo altre risposte di don Curzio relative a commenti al suo articolo «La questione araba o ‘l’arabo-fobia’», EFFEDIEFFE.com, 25 luglio 2008.


1° - La cristianità

«Nel medioevo è apparsa per la prima volta l’Europa come realtà (…). Questo fu il periodo decisivo per la nascita, l’infanzia e la giovinezza dell’Europa» (J. Le Goff, «Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa», Roma-Bari, Laterza, 2003, pagina 3).
Lo storico francese spiega che «l’Europa è sorta quando è crollato l’Impero romano antico» (ibidem, pagina 4) e che «la potente azione del cristianesimo ha contribuito, per tutto il medioevo, a dare agli europei una coscienza comune» (ivi).
Egli distingue tra Europa e civiltà mediterranea, che è stata abbandonata (anche se non completamente) dalla nuova Roma cristiana, mentre era intima all’antica civiltà greco-romana.
I secoli determinanti per la formazione europea vanno dal IV al XIV, ossia l’alto e il basso medioevo e non sono (come alcuni vorrebbero farci credere) il XVI con il luteranesimo, o il XVIII con l’illuminismo.
In breve «tra tutti i lasciti vitali per l’Europa (…) quello medievale è il più importante» (ibidem, pagina 5).

L’Autore ci aiuta a distinguere bene le nozioni di Europa latina, ossia l’Europa dell’ovest, discendente dall’impero romano d’occidente e l’Europa dell’est figlia dell’impero romano d’oriente (Costantinopoli), che con Bisanzio darà la vita all’ortodossismo greco-scismatico.
Mentre il sapere passò da Atene e Roma antica alla Roma dei Papi e a Parigi; il potere fu trasmesso dall’antico impero romano al sacro romano impero franco-germanico (ibidem, pagina 7).
Il cuore del medioevo europeo va ricercato nella riforma gregoriana (San Gregorio VII), e anche dopo [e nonostante]… «lo spirito dei lumi e del pensiero laico in Europa, il fondo cristiano è rimasto (…) essenziale» (ibidem, pagina 8).
Perciò vi sono «due Europe», una (quella più autentica) è l’Europa dell’ovest con Roma capitale, che si estende dall’Italia alla Gallia, Germania, Britannia e Spagna (dopo la «reconquista») e l’altra (che sarebbe più esatto chiamare oriente vicino) è quella dell’est (o greca) con Bisanzio capitale.
Vi è anche un oriente più lontano, che già Ippocrate (IV secolo avanti Cristo) chiamava Asia.
L’Europa si estende geograficamente fino al Don e include le attuali Bielorussia e Ucraina, mentre si ferma ai confini della Russia.

Per quanto riguarda l’oriente, con il VII secolo le cose si complicano; infatti con l’Islàm il medio e vicino oriente (la civiltà mediterranea) diventano musulmani e si sganciano sempre più dall’orbita romana.
Bisanzio farà da cuscinetto tra Europa romana e islàm arabo-mediterraneo.
Onde si deve far attenzione a non confondere la cristianità europea dell’ovest; la civiltà greco-bizantina (chiamata in senso largo Europa dell’est); l’occidente moderno (ossia la Gran Bretagna e gli USA) che sono la versione rivoluzionaria (moderata o conservatrice, ma pur sempre dissolutoria e disordinata), secolarizzata e mediamente illuminista, dell’Europa cristiano-romana.
Si tende infatti a parlare - oggi - di Occidente come se l’Europa fosse riconducibile ad esso.
Per quanto riguarda l’area mediterranea, nell’antichità essa fu culla della civiltà
ebraico - veterotestamentaria (essenzialmente distinta dal giudaismo talmudico post-biblico), greco-romana.
Con il medioevo l’eredità biblica della Giudea o Palestina e quella filosofico-giuridica della Grecia e della Roma antica passano alla Roma cristiana e all’Europa dell’ovest, mentre geograficamente la Palestina si sgancerà pian piano (anche se non totalmente) dall’influsso europeo, per cadere sotto quello del medio-vicino oriente musulmano.
L’estremo oriente invece è caratterizzato da una mentalità radicalmente diversa da quella europea; le filosofie o meglio le gnosi dell’induismo e del buddismo sono - infatti – «estremamente» diverse dalla nostra.
Onde si può concludere che se l’Occidente (anglo-americano) è ben diverso dall’Europa cristiana, anche l’estremo oriente lo è.

Mentre per quanto riguarda il vicino oriente, l’ortodossismo greco-bizantino ha molti punti in contatto con la cristianità europea (anche se è antiromano, cesaropapista, iconoclasta, di lingua greca e non latina e tendenzialmente slavo, il che non è poco); mentre il vicino oriente mediterraneo e il medio oriente assiro-babilonese, egiziano, persiano e fenicio (che sono stati la culla originaria della civiltà,dalla quale l’Europa ha ricevuto molto), con il VII secolo cadono sotto l’orbita musulmana e si distinguono nettamente dall’Europa cristiana.
Se poi si vuol discutere sulla maggiore o minore vicinanza o lontananza (non solo geo-politica, ma anche filosofico-religiosa) tra mondo arabo, occidente (anglo-americano) e Europa cristiana mi sembra che geograficamente l’Occidente sia più distante dall’Europa (specialmente oggi, ove il predominio  è passato dal Regno Unito agli Stati Uniti) che non la penisola arabica, il vicino oriente (Siria, Palestina, Egitto) e il medio oriente (Iraq, Iran); mentre religiosamente l’Islàm è incompatibile con il cristianesimo-petrino, ma anche il calvinismo-anabattista e puritano americano se ne allontana con il suo anti-trinitarismo e anti-papismo (molto più radicale dell’anglicanesimo).

2° - Il mondo arabo

Culturalmente «gli arabi entrati a contatto con popolazioni di ben più alta cultura (…), che all’India si estendevano sino alla Spagna, riuscirono ad elaborare una civiltà di valore (…), che ha contribuito al progresso scientifico e tecnologico. Gli arabi furono abili nell’accogliere ciò che di valido i popoli vicini [asiatici, persiani, indocinesi] avevano creato per trasmetterlo ad altri popoli, soprattutto all’Occidente. Ebbero, cioè una funzione di ‘intermediazione’. Essi quindi introdussero in Europa molte importanti scoperte che provenivano dall’oriente [medio ed estremo] (…). Agli arabi la civiltà [europea] deve i numeri detti ‘arabi’, che in realtà venivano dagli indiani (…) particolarmente l’introduzione del concetto di zero, rivoluzionarono la matematica e aprirono la strada ai progressi dell’algebra (…). Molto importante fu anche il ruolo dei chimici (…), per non parlare degli architetti e degli ingegneri idraulici (…). La diffusione delle tecniche di fabbricazione della carta [che] dalla Cina si diffuse al mondo arabo intorno al 750, quando l’Occidente doveva ancora servirsi (…) delle costosissime pergamene (…). Nell’anno 831 il califfo al-Ma’mum (…) fondò a Bagdad la Casa della Sapienza, in cui furono tradotti in arabo i classici scientifici latini, greci e persiani. Prima ancora che venisse scoperto in Occidente da San Tommaso, il pensiero di Aristotele fu divulgato nel mondo arabo [in chiave razionalista] attraverso i commenti di Avicenna e Averroè. (…) Avicenna [inoltre scrisse] un manuale di medicina, una poderosa enciclopedia in cinque volumi (…), fu tradotto in occidente ben 87 volte e fu adottato come manuale di base d’insegnamento nelle facoltà di medicina europee fino al XVI secolo (quindi per circa 500 anni)» (F. Nistri, R. de Mattei, M. Viglione, «Alle radici del domani», Milano, Agedi, 2004, 1° volume, pagine 94 e 101).

Tuttavia con al-Ghazàli (nato in Iràn nel 1059) lo sviluppo della cultura araba si ferma.
Infatti al-Ghazàli (il massimo teologo musulmano) lottò contro la filosofia e mise la fede islamica contro la ragione.
Quindi Averroè (nato circa cento anni prima di al-Ghazàli, nel 1126) non avrà nessun influsso sulla cultura araba e sul pensiero musulmano che rifiutava oramai ogni apporto filosofico e razionale.
Al-Ghazàli critica anche Avicenna (nato prima di lui, nel 980).
Onde, paradossalmente, Avicenna e soprattutto Averroè esercitarono il loro influsso più in Europa che nel mondo musulmano.
Con al-Ghazàli muore la filosofia arabo-musulmana, criticata come nemica del Corano (confronta E. Gilson, «La filosofia nel Medioevo», Firenze, La Nuova Italia, 1973; E. Gilson, «Lo spirito della filosofia medievale», Brescia, Morcelliana, 1983; B. Mondin, «Storia della Metafisica», Bologna, ESD, 2° volume, 1998; H. Corbin, «Storia della filosofia islamica», Milano, Adelphi, 1973).

Quindi se il mondo arabo dal settecento al novecento ha arricchito l’Europa, con il mille si rinchiude in un cieco fideismo che gli tarperà le ali della speculazione e dell’approfondimento dottrinale.
Tuttavia, «per accidens», questo difetto ha prodotto una sana reazione alla modernità e post-modernità da parte arabo-musulmana, che non ha conosciuto l’illuminismo, il razionalismo, il liberalismo e il nichilismo.
Onde l’Europa è in netto contrasto con l’Islàm attuale, il quale però non accetta le dissoluzioni speculative e pratiche che l’illuminismo e il nichilismo hanno generato da noi.
Mentre noi europei abbiamo mutuato molte conoscenze dal mondo arabo dell’VIII e IX secolo.
Invece l’occidente anglo-americano si è formato dopo e contro l’Europa medievale (XVIII-XIX secolo); con la filosofia sensista, l’illuminismo conservatore inglese, l’antipapismo moderato britannico; e il pragmatismo radicale, il liberalismo americanista (anti-trinitario e ferocemente anti-romano) degli USA.
Onde la lontananza tra occidente americanista, Europa cristiana e vicino-medio oriente islamico è pressoché identica; forse l’Europa è meno lontana (geo-politicamente) dal mondo arabo; ma egualmente distante (filosoficamente e teologicamente) dall’attuale Islàm fideista e antitrinitario;
e dagli USA relativisti e antitrinitaristi (confronta P. Brown, «La formazione dell’Europa cristiana. Universalismo e diversità», Roma-Bari, Laterza, 1995. J. Le Goff, «Il Medioevo. Alle origini dell’identità europea», Roma-Bari, Laterza, 1996. J. Le Goff, «L’Europa medievale e il mondo moderno» Roma-Bari, Laterza, 1994; F. Cardini, «Europa e Islam», Roma-Bari, Laterza, 1999.

3° - Le radici europee e loro possibili deviazioni (liberismo e social-comunismo)

Come «in una famiglia vi è una certa somiglianza, ognuno però ha la sua propria personalità, un aspetto fisico e, soprattutto, un carattere» (J. Le Goff, «L’Europa raccontata ai ragazzi», Roma-Bari, Laterza, 1995, pagina 11); così l’Europa rappresenta una specie di famiglia che deriva le proprie somiglianze «in primo luogo dalla sua conformazione geografica (…); invece il carattere è stato forgiato e determinato dalla storia» (ivi).
L’Europa è «figlia della geografia e della storia (…), le montagne europee non raggiungono grandi altezze e anche quelle più elevate (le Alpi)… sono valicabili abbastanza facilmente (ibidem, pagina 12).
I corsi d’acqua europei sono navigabili.
Se consideriamo le modeste dimensioni dell’Europa rispetto agli altri tre continenti (Asia, Africa e Americhe), «la vicinanza al mare, la limitata altezza dei rilievi montuosi, il cima temperato e la fertilità della maggior parte dei [suoi] territori» (ibidem, pagina 21); possiamo affermare che «l’Europa è, sin dai secoli lontani, un continente economicamente sviluppato, culturalmente ricco, con una lunga storia e una lunga memoria» (ibidem, pagina 22).
La comune civiltà europea è costituita da «elementi materiali: monumenti e case (…), ma soprattutto è fatta da elementi culturali. (…) E’ una civiltà basata principalmente su uno spirito comune, su un comune modo di pensare e di comportarsi, sulla consapevolezza di appartenere a una stessa comunità culturale» (ibidem, pagine 27-28).
Nell’Europa medievale «la conversione al cristianesimo romano è il segno del trasformarsi del popolo in nazione e del suo ingresso nella civiltà» (ibidem, pagina 42).
Oggi, di fronte ai giganti (USA e Asia), cosa devono fare i popoli europei?
«Unirsi, dar vita ad una grande Europa unita. In tal modo essa… potrà difendere la propria indipendenza, la propria libertà, le proprie tradizioni, il proprio modo di essere, il proprio avvenire (…). Deve difendere pacificamente i suoi prodotti, i suoi vini, i suoi cibi [vino e pane Europa sud-occidentale; birra e carne Europa del nord-est], il suo cinema, la sua letteratura,il suo stile di vita. Non deve essere invasa, americanizzata o giapponesizzata [o islamizzata]» (ibidem, pagina 125).

Un’Europa maggiormente unita, soprattutto culturalmente e spiritualmente, è un bene.
Tuttavia le nazioni e i popoli che ne fanno parte, devono poter mantenere le proprie identità, come
i vari membri di una famiglia; assieme e nella cornice di un potere europeo soprannazionale (non antinazionale) in una forma più o meno federativa, conforme alle nostre rispettive tradizioni.
Così un sano regionalismo può e deve sussistere, ma all’interno della cultura nazionale.
Le nazioni si sono formate già con il sacro impero romano-germanico, mantenendo la propria identità e moderata autonomia sotto l’imperatore (si pensi a Italia, Gallia e Germania subito dopo Carlo Magno).
Non è quindi sano l’odio contro le nazioni, come pure il nazionalismo esagerato (odio tra le nazioni) è una deviazione.
Soprattutto l’Europa «non deve essere soltanto al servizio dell’economia, del denaro, degli affari e degli interessi materiali [liberismo e collettivismo marxista]. Deve essere innanzitutto un’Europa della civiltà, della cultura» (ibidem, pagina 131) e secondariamente e strumentalmente del benessere materiale, che è un mezzo in sé utile per conseguire meglio il fine spirituale, a condizione che resti nel suo ruolo di mezzo e non pretenda di assurgere prometeicamente o epicureisticamente [liberismo/marxismo] a ruolo di fine.
«Questa è la sua carta vincente, la sua eredità più preziosa. Ricordate: la Grecia e Roma, il cristianesimo» (ivi).
Onde non è l’Inghilterra della rivoluzione industriale, la Francia dell’illuminismo o la Russia della rivoluzione comunista.
Bisogna, insomma, che« all’economia di mercato [liberismo], si accompagnino dei controlli da parte dello Stato, controlli che devono essere limitati [non onnipresenti, social-comunismo], ma che correggano le tendenze del mercato ad accrescere le disparità economiche e le ingiustizie sociali»
(ibidem, pagina 110).
«Non si può far niente senza memoria… la storia è fatta per offrirci una memoria valida che attraverso il passato illuminerà il nostro presente e il nostro futuro» (ibidem, pagina 131).
Senza deviare né da un lato [liberalismo], né dall’altro [comunismo].

Conclusione

L’Europa, ha conosciuto diverse epoche caratterizzate da rapporti di amore o odio tra potere spirituale e temporale, mai d’indifferenza.
Oggi essa sembra aver smarrito la sua identità e «come un vaso di argilla tra due di ferro» (USA/Israele e Islàm), non riesce a ritrovare la propria anima.
Essa sbanda, apaticamente, ora verso l’occidente americanista, ora verso l’oriente islamista.
E’ indifferente e disorientata.
Però è proprio nei periodi di crisi che bisogna attingere alla fonte per andare innanzi.
Storicamente la Chiesa romana, ha contribuito a formare l’Europa, dopo la caduta dell’antico impero romano.
Se il Vecchio Continente vuole ritrovare se stesso (e non seguire, come un gregge, l’occidente o l’oriente), deve conoscere la propria storia, le sue origini, la sua filosofia e il suo pensiero politico.
Occorre risalire alle radici.
Esse (dopo il crollo dell’antica Roma) sono quelle dei padri ecclesiastici, canonisti e scolastici.
Purtroppo non le conosciamo più, al massimo risaliamo alla rivoluzione francese, luteranesimo o rinascenza, ma questi sono rivoli inquinati, che hanno deviato dalle fonti politico-religiose della cristianità europea.
Purtroppo il cristianesimo moderno (liberale e occidentalizzato), ci presenta un’immagine irreale della filosofia politica che sta all’origine della cristianità.
Dobbiamo riproporre all’attenzione dell’europeo odierno la filosofia politica, com’è realmente e non com’è stata deformata dall’immanentismo liberale.
Non si può guardare positivamente al futuro e affrontarlo, senza conoscere il proprio passato.
Tornare alle fonti non è mai anacronistico; i grandi filosofi del medioevo, ci porgono la dottrina per uscire dalla crisi d’identità, in cui ci troviamo oggi.
Siamo di fronte ad un bivio: o tornare alla filosofia perenne come «nani sulle spalle di giganti»,
oppure cadere in uno dei due errori attuali: l’americanismo o l’islamismo.

Invece esiste una filosofia della politica europea tradizionale, originale e integralmente cristiana;
basta studiarla senza lasciarsi incantare dalle sirene della modernità, che l’hanno intorbidita e poi avvelenata.
La dottrina su i rapporti tra Stato e Chiesa, guerra giusta, tirannicidio, forme di governo, origine del potere, questione sociale; sono state sviscerate dalla patristica e scolastica.
Il comunismo, il liberalismo, il nazionalismo esagerato, il neopaganesimo, la democrazia cristiana sono stati affrontati dal magistero tradizionale.
La postmodernità nichilista ha ucciso la modernità illuminista, che l’aveva partorita.
Quindi non ci resta che tornare alla metafisica aristotelico-tomista per non sprofondare nel mare del nulla nichilista, ove tutto affonda.
La filosofia politica è la conseguenza pratica della filosofia dell’essere.
Quindi è necessario ritornare alla fonte della metafisica tradizionale, per poter affrontare e risolvere i temi di filosofia politica che ci interessano.

«L’Europa è una grande speranza che si realizzerà soltanto se terrà conto della sua storia: un’Europa senza storia sarebbe orfana. Poiché l’oggi discende dall’ieri, e il domani è il frutto del passato. L’avvenire deve poggiare sull’eredità che fin dall’antichità hanno arricchito l’Europa.
Solo così si possono apportare elementi di risposta alle grandi domande: Chi siamo?Donde veniamo?Dove andiamo?» (Jacques Le Goff).
L’EU è «antica e futura a un tempo (…) non è vecchia, è antica» (J. Le Goff, «L’Europa medievale e il mondo moderno», Roma-Bari, Laterza, 1994, pagine 3, 64).
Sarà in grado - la «Vecchia EU», come la chiamano gli americanisti - di rispondere alle sfide della modernità e post-modernità?
La sua età non è sinonimo di debolezza, se saprà tornare alle fonti per affrontare il presente e l’avvenire.
La tradizione è una risorsa, non un impedimento.
La storia o conoscenza del passato, non è un inciampo, ma una forza che spinge in avanti (historia magistra vitae).

Dobbiamo tendere non verso il «Progresso all’infinito» (modernità), ma all’avanzamento, ossia alla maggior radicazione (intensiva e qualitativa), della conoscenza speculativa e dell’agire pratico.
Il mondo attuale, roso da secoli di modernità razionalista e post-modernità volontaristicamente nichilista,(«nata in Europa [Nietzsche], ha fatto fortuna negli Stati Uniti [Scuola di Francoforte, trasferitasi in America nel 1933], da dove è tornata in forze verso l’Europa [maggio 1968]» (J. Le Goff, opera citata, pagina 53), può essere curato, qualora si disintossichi dal virus dell’illuminismo e dell’irrazionalismo.
«L’Europa è stata la culla primaria della ragione. Nella Grecia antica, nella scolastica medievale (…). Se il razionalismo ha assunto forme pericolose, la reazione che oggi sembra tentare molti europei, [è] la tentazione di un anti-intellettualismo e di un irrazionalismo, che (…) deve essere combattuto (…) con il buon uso delle tradizioni, nel ritorno all’eredità come forza d’ispirazione, come punto d’appoggio per mantenere rinnovare un’altra tradizione europea, quella della creatività» (Le Goff, opera citata, pagina 62).
L’equilibrio tra fede e ragione, grazia e natura, economia-politica ed etica, raggiunto dalla scolastica deve essere ritrovato in questo mondo moderno squilibrato che pecca di eccesso (razionalismo) o di difetto (volontarismo).

L’EU attuale (non moderna o post-moderna), può farcela, ha una solida eredità cui attingere.
Ma essa non deve guardare ad altri modelli: l’americanismo occidentale, l’islamismo orientale o la mitologia estremo-orientale. «Diventa ciò che sei» (dice l’adagio), e non voler essere diverso da te stesso, altrimenti sarai una caricatura.
Ognuno ha una sua storia, un suo temperamento e deve cercare di svilupparlo armoniosamente, correggendone i difetti, ma senza negarlo, così anche i popoli e le nazioni.
Ebbene qual’è la storia e la mentalità dell’EU?

Ho cercato di rispondere andando alle radici del pensiero medievale che è il cuore dell’EU latina.

1°) I problemi che ci si pongono oggi, sono - principalmente - due: la migrazione di massa musulmana e l’americanizzazione dell’EU.
Ora, per quanto riguarda l’accoglienza dell’islàm, qualche storico risponde che essa è non solo possibile, ma doverosa: infatti, come nel basso medioevo l’EU si arricchì, accogliendo i barbari germani, così oggi essa si arricchirebbe accogliendo gli arabi musulmani.
In realtà mi sembra un sofisma: infatti, i germani, occuparono l’attuale EU occidentale, ma si convertirono alla sua mentalità (filosofica e religiosa).
Erano assimilabili e integrabili.
Non così l’islàm che vuole convertirci e omologarci a sé.
La storia europea ci insegna che solo due popoli o mentalità risultarono «non-digeribili» e dovettero infine essere espulse, poiché non integrabili, inassimilabili, l’islamismo e il talmudismo (Spagna 1492).
La mescolanza etnica tra Celti, Germani, Britanni, Iberi, Angli, Sassoni, Italici, Galli, è stata possibile, poiché questi popoli avevano qualcosa in comune, la cultura e la fede, se non dall’inizio almeno in potenza, ossia nella volontà e disponibilità ad accettare usi e costumi comuni, che hanno cementato l’unione tra questi popoli.

2°) Oggi, sono due le «cure» principali che ci vengono proposte:
 a) le radici «giudaico-cristiane» dell’EU, ove Israele e gli USA sono i due Paesi «guida o padri(ni)» dell’EU odierna;
 b) la conciliabilità tra «Vecchio Continente» e islamismo, date le origini mediterranee dell’antico impero romano e la comune fede abramitica e monoteista.
Tuttavia, la prima tesi è assurda, poiché vorrebbe conciliare il contraddittorio, ossia il talmudismo (giudaismo odierno, che nega la Santissima Trinità e la divinità di Cristo) con la cristianità, che si fonda sulla divinità di Gesù.
Mentre la seconda è utopistica, poiché non vuol vedere in faccia la realtà, ossia il carattere religiosamente inassimilabile dell’islamismo, che ha occupato (geo-politicamente) la vecchia area mediterranea, una volta romana.
L’EU medievale, quindi, si è orientata e fondata prevalentemente (non esclusivamente) su Britannia, Gallia, Germania, Italia e Spagna-Portogallo, e solo conseguentemente ha guardato all’Asia, Africa nord-occidentale e penisola arabica, che a partire dal VII secolo non erano più sue.

3°)
Un altro aspetto che si ripropone oggi è proprio quello dei rapporti tra Stato e Chiesa; esso divise l’EU in cristianità latino-occidentale (Roma) e «ortodossia» greco/slava-orientale (Bisanzio).
La cristianità dell’ovest (Roma) seppe distinguere (per unire) i due poteri (temporale e spirituale), affermando la subordinazione del temporale allo spirituale e nello stesso tempo concedendo al temporale (de facto) di occuparsi delle cose terrene, riservandosi «intervenire in temporalibus, ratione peccati».
Questa tradizione europea, si distingue nettamente
a) dall’occidente americanista secolarizzato che separa (non distingue soltanto) Stato e Chiesa;
b) dalla confusione cesaro-papista, sia greco-slava dell’ortodossismo, sia teocratica de jure et de facto dell’islamismo.
Ciò ha consentito all’EU di sfuggire al cesaropapismo e teocratismo pratico che ha sclerotizzato Bisanzio e ritardato lo sviluppo arabo con al-Gazàli.
Onde la disputa tra Papato e Impero medievale, lungi dal mettere ai margini dell’evoluzione politica europea il Papa e l’Imperatore, sono la fonte cui abbeverarsi per sormontare la crisi d’identità che spingerebbe l’EU a mascherarsi all’americana o all’arabo/bizantina, rifiutando di»diventare ciò che si è, omologandosi ad un altro».

4°) Il totalitarismo moderno (nazionalsocialista o peggio ancora sovietico) è un frutto del secolarismo e laicismo nati sulle rovine della res publica christiana.
Lo Stato moderno «ben presto è diventato un idolo, si è impossessato della dimensione sacra i cui erano stati spogliati i vecchi poteri religiosi e feudali per creare un Leviatano, la ragion di Stato (…) La secolarizzazione della politica… o trasferimento della sacralità sullo Stato» (J. Le Goff, opera citata, pagine 33-34, 43).

5°) La diversità tra EU e mondo arabo/bizantino la si vede anche in campo artistico, ad esempio se nell’arte pagana l’uomo era il centro e la misura di tutto, nell’arte medievale l’uomo è una creatura finita, ma fatta a immagine e somiglianza di Dio.
Quindi, l’atteggiamento artistico europeo, «contrasta con il rifiuto ebraico e musulmano di rappresentare la figura umana e al tempo stesso la figura della divinità, e anche con le tendenze che nel (…) cristianesimo bizantino, rifiutano le immagini e le fanno a pezzi, l’iconoclastia.
In contrasto con questo rifiuto, l’Europa latino-cristiana accoglie e favorisce le immagini (…), a condizione che non siano adorate [in sé] come idoli» (Le Goff, opera citata, pagine 27-28).

6°) Per quanto riguarda la questione sociale, il cattolicesimo ha valorizzato il lavoro, svalutato dalla paganità, senza cadere negli eccessi del protestantesimo e del liberalismo che lo esaltano a ideale e fine.
L’EU medievale ha fatto sua la regola benedettina ora et labòra.
Primato alla contemplazione e alla vita speculativa (arti liberali) e subordinazione gerarchizzata delle arti meccaniche, non negative in sé, ma inferiori a quelle speculative.
Mentre il liberismo ha fatto del lavoro, della produzione, del fare e dell’avere il fine ultimo dell’umanità, gettandola nel caos disperato del consumismo opulento (liberalismo) o del collettivismo pauperistico e spettrale (social-comunismo).
«L’ambizione prometeica di diventare padroni della natura grazie alla scienza e alla tecnica», proprie del liberalismo, hanno bisogno di ‘contrappeso dell’etica, scienza senza coscienza non è altro che rovina dell’anima’, sono la ‘subordinazione della tecnica e dell’economia alla politica e alla morale, nel quadro del bene comune, che hanno tenuto a bada l’orgoglio prometeico»
(J. Le Goff, opera citata, pagina 60).
Con buona pace dei liberisti, non è il mercato ma la Verità a farci liberi.
Il liberismo ci ha «lanciati follemente verso il profitto, la ricchezza, soprattutto monetaria: anche qui, certe forze morali, hanno saputo limitare l’appetito e i danni del denaro (…). L’Europa deve dare al mondo l’esempio di una ricollocazione dell’economia degli economisti nel posto e nelle funzioni che a loro competono» (Le Goff, opera citata, pagina 61).
«L’Europa ha conosciuto questo rischio e fin dal medioevo se ne sono manifestati i rimedi»
(Le Goff, opera citata, pagina 60).

7°) La giustizia forcaiola o il lassismo permissivista che ci agitano oggi, sono stati superati nel medioevo che prevedeva il processo inquisitorio o della ricerca con una procedura d’indagine su iniziativa dei giudici, in cui si tendeva ad ottenere l’ammissione della colpa; contro il vecchio sistema barbarico dell’accusa (ripreso con la modernità) promossa dalla famiglia o dagli amici dell’offeso, contro il sospetto criminale.
Pertanto la pena di morte, la guerra giusta (contro un ingiusto aggressore), la legittima difesa,
la coercizione (o tortura) ragionevole e moderata per ottenere la confessione, sono la dottrina comune su cui si è formata la cristianità europea.
Fortunatamente l’EU possiede «la forza della sua civiltà e delle sue eredità comuni (…). La civiltà europea è stata creatrice, e ancor oggi, la principale materia prima dell’Europa è senza dubbio la materia grigia (…). Se saprà unirsi a sufficienza, avrà la grandezza; se saprà mantenere le sue diversità nazionali e regionali beneficerà dei vantaggi [della sua lunga storia]» (J. Le Goff, opera citata, pagine 58-59).

8°) Il cristianesimo autentico, (non quello liberale, demo-cristiano e gnosticheggiante) a cui di cristiano non è rimasto che il nome, seppe dar risposta alla crisi i valori del mondo pagano antico;
solo il cattolicesimo non annacquato, che affonda le sue radici nel medioevo e guarda al futuro, potrà farci uscire dalla crisi del mondo moderno neo-pagano.
L’EU odierna deve tendere all’unità mantenendo la sua specificità.
Mi sembra che l’EU delle Nazioni risponda meglio ai bisogni di unità europea.
L’EU «deve acquistare massa economicamente, demograficamente e politicamente [e anche militarmente], capace di garantirle l’indipendenza (…) Il binomio Francia-Germania, come ai tempi dei Carolingi, è una coppia di ottimi amici» (J. Le goff, opera citata, pagine 58, 50), se si lascia condurre dalla Roma eterna.
Non occorre andare a trovare in America o in Asia ciò che possediamo, in potenza, a casa nostra; possiamo collaborare con l’una e con l’altra, ma solo a condizione di restare noi stessi.

Spartaco

Risposte a:

1) Gioele, neppure io cerco la disputa ma solo un dibattito sereno sulla questione del mondo arabo, in senso largo (o culturale e non razziale) del termine, allego un articolo apparso su «Sì sì no no» che riguarda tale problema; spero che la redazione possa porgerlo all’attenzione dei lettori, senza alcun intento provocatorio.
2) Pierpaolo (Trieste), non intendevo parlare in maniera strettamente genetica di arabi, ma di cultura, mentalità del mondo arabo e della conseguente arabo-fobia.
I marocchini nel frosinate (o valle del Liri) erano al diretto servizio del «fariseo/cattolico» (ahimé) generale francese Juin.
Anche lei parla e distingue la cultura araba dalla discendenza genetica da Ismaele (come Gesù distinse la discendenza genetica di Abramo [i giudei, che hanno per padre il diavolo] da quella spirituale [i cristiani, che sono figli di Dio]).
In questo siamo d’accordo.
Penso che l’asserzione della maggioranza (non solo etnica ma anche culturale) «ariana» dei persiani sia eccessiva.
Le razze «pure» non esistono più; vi sono dei popoli che hanno una certa unità di carattere, lingua, cultura ed è bene che la mantengano senza lasciarsi americanizzare come è succeso a noi italiani dopo il 1945.
La teologia islamica non ha dato peso alla discendenza da Ismaele?
Mi sembra che anche essi si richiamino ad Abramo loro padre.
In ogni caso io sono cattolico romano e citavo il teologo (argentino) don Julio Meinvielle.
3) Raffaello di Treviri, contro il fatto non c’è argomento che tenga, chi resiste oggi è il mondo arabo, nel senso largo del termine; inoltre occorre distinguere i governanti asserviti all’occidente giudeo-americano e il popolo che non vuol perdere la propria identità e cultura.
Pace e Bene!

don Curzio Nitoglia


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