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Alcune considerazioni sulla rivolta araba
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Non sarebbe la prima volta che gli arabi contribuiscono alla propria rovina. Come non ricordare Thomas Edward Lawrence, più conosciuto come Lawrence d’Arabia, furbo sobillatore e incantatore di moltitudini e di tribù arabe, spinte alla morte nella speranza della libertà e tradite senza alcun rimorso. Allora l’obiettivo era cancellare il califfato ottomano e parcellizzare il mondo arabo in una moltitudine di Stati e staterelli mai realmente indipendenti e capaci di ergersi a difendere il proprio interesse e che, in ossequio al dìvide et impera la locuzione latina che da sempre costituisce un imperativo politico per anglosassoni e sionisti hanno fatto in modo che i benefici del petrolio, dono della natura al mondo arabo, ricadessero su una fortunata minoranza di privilegiati emiri anziché sull’intera ummah islamica. E’ questa la ragione d’esistere di Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi e più recentemente del Sudan meridionale: dividere il petrolio dalle masse, non permettendo che i benefici del primo raggiungano il popolo, ma restino ben ancorate ai bilanci delle petrolifere occidentali.

Il piano sionista Yinon, che prevede la parcellizzazione e marginalizzazione del Medio Oriente è in marcia, oggi più che mai, ed è proprio la natura degli Stati arabi, castelli di carta costruiti dalle potenze occidentali, a fornire la garanzia che le fondamenta di questi Paesi saranno sempre estremamente deboli. È noto l’aneddoto su come Gertrude Bell tracciò a tavolino i confini iracheni, senza tener conto della storia, e delle differenze etniche mediorientali, al solo scopo di garantire la governabilità inglese (LA «TERRIBILE ARCHEOLOGA» CHE CREÒ LO STATO IRACHENO).

Con Stati creati appositamente per questo scopo, soffiare sul fuoco delle divisioni, alimentandole ad hoc, diventa un gioco sin troppo facile, una partita di poker nella quale si conoscono le carte degli avversari. Se a questo si aggiunge la caratteristica araba di dare la fiducia ad personam e non all’istituzione astratta, è semplice capire che la coesione degli Stati arabi, così come sono congegnati, non potrà mai raggiungere un livello in grado di ergersi a sfidare Israele e il suo protettore americano e dipenderà soltanto dal carisma personalistico dell’uomo forte capace di riunire tribù ed etnie.

Ma questo è ancora niente. Il nuovo nemico per gli Stati arabi appare ancor più insidioso delle tradizionali divisioni tribali o etniche: è un nemico che non può essere comprato o con il quale venire a patti. Se proprio vogliamo cercare un paragone è una sorta di nuova internazionale comunista, che, come la precedente, basa la sua forza sull’utopia, in questo caso quella della way of life occidentale, presentata come nuovo paradiso in terra e regno della felicità universale.

Ma veniamo al dettaglio; da chi sarebbe composto questo novello Comintern?

Dalle organizzazioni private e fondazioni per lo sviluppo della democrazia, quali Ned (National Endowsement for Democracy), Canvas (Center for Applied Non Violent Actions and Strategies), Open Society Foundation di George Soros, forti di ingenti disponibilità economiche provenienti dall’alta finanza. Queste ultime hanno lavorato alacremente in questi anni. Serbia (2000), Georgia (2003), Ucraina (2004), Kirghizistan (2005) oltre ai tentativi in Libano, Azerbaijan, Myanmar, a posteriori non possono che apparire il banco di prova per il più grande regime change dai tempi della caduta dell’URSS.

Il tratto distintivo di tutte queste sollevazioni è il non celato sostegno estero, ad opera dei soliti Soros e della sua Open Society di concerto con una serie di organizzazioni per lo sviluppo della democrazia (da leggersi però come libero mercato e diffusione della concezione occidentale del mondo) nel mondo. Se addirittura è Il Sole 24 Ore (Dietro le rivolte in Medio oriente c'è un signore di 83 anni che sta a Boston), non proprio un covo di complottisti, ad informarci di ciò, non può che significare che la partita si gioca ormai a tutto campo. E che probabilmente indietro non si torna.

Srdja Popovic
   Srdja Popovic
Basta dare un’occhiata alle dettagliate istruzioni del Canvas, la creatura di Srdja Popovic, uno dei leader della rivolta serba del 2000. A questo indirizzo. vi è tutta una guida alla rivolta, atta al sovvertimento globale.

Il cambio di passo di tali organizzazioni è stato possibile però soltanto grazie ai social network, un’arma potentissima per poter sollevare qualsiasi Paese, qualsiasi popolazione. Queste comunità sociali virtuali sono incontrollabili per definizione da un governo centrale in quanto prive di centralità come la televisione, ma al tempo stesso sono funzionali allo scopo della sovversione: la facilità di creazione dei cosiddetti gruppi e pagine Facebook, favorisce, come mai prima, la creazione di reti, e la diffusione di informazioni, permettendo a una minoranza organizzata ma agguerrita di poter influire in maniera assai rilevante sul cosiddetto sentire comune.

Popoli che pur non educati nel modello Mediaset, non sono cresciuti con il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi insieme al latte materno, stanno dimostrando tuttavia di non riuscire a rifiutare le sirene dell’Occidente. Il miraggio, l’illusione della democrazia appare irresistibile per popoli che non ne hanno una visione reale basata sull’esperienza, ma che grazie al web sono stati educati non più dalla famiglia ma da Hollywood, Youtube e social network.

D’altronde chiediamoci, quanti tunisini o egiziani hanno una consapevolezza di che cosa può comportare una democrazia eltisiniana, ovvero una svendita materiale e morale di tutto il Paese?

Questo cuneo si è innestato in un quadro nel quale le differenze sociali sono talvolta notevoli, e spesso proprio costruite ad hoc secondo le linee di demarcazione etnico religiosa (sciiti contro sunniti, come nei casi sauditi e del Bahrein; fedeltà tribali nella Libia, ecc.).

Ma questa volta prioritarie non sono più state le differenze clanico-tribali tipiche del mondo arabo, bensì la creazione di un ètat desprit, le cui caratteristiche riprendono in modo più che simile il sessantotto. Tra le generazioni giovani, cresciute su Youtube e Facebook e anche soltanto i quarantenni arabi c’è lo stesso, se non superiore, gap culturale che nel sessantotto si ritrovò tra una generazione che, fascista o antifascista, era cresciuta con una concezione valoriale chiara e definita, legata al passato. Come non ricordarsi il puritanesimo del PCI verso Nilde Iotti, l’amante di Togliatti, che appare molto più radicale del pensiero debole di cui sono invece imbevuti i cosiddetti partiti cattolici italiani e purtroppo la stessa Chiesa? Alla recente separazione del suo principale rappresentante parlamentare, Casini, chi ha osato criticare in questa Chiesa ormai così annacquata nei valori materiali? Nessuno.

La vera forza travolgente della rivolta non è quindi da cercare soltanto nella fame, nel rincaro dei prezzi del cibo e nella prodigiosa espansione demografica. Essi hanno costituito il detonatore, il fiammifero che ha acceso la miccia.

Hanno un senso in Paesi come l’Egitto (6.114$ pro capite), la Tunisia (9.154$), la Giordania (5.548$) ma come può essere giustificabile per Paesi come la Libia con 13.599$ pro capite e un’economia in espansione continua? Per non parlare di Bahrein (27.214$) o Kuwait (37.849$), in cui la ricchezza è diffusa e a patire la fame sono soltanto gli immigrati, unici peraltro ad occupare posizioni lavorative nel contesto della penisola arabica?

Ma l’esplosione è dovuta proprio a questo contrasto, tra le generazioni legate ai valori tradizionali, religiosi in primis, e quelle giovani, in vorticoso aumento demografico, ampiamente occidentalizzate, dall’immigrazione, dalla rete, dagli ingenti finanziamenti che le organizzazioni per l’esportazione della democrazia riversano su questi Paesi.

Anche in questo caso nessuna dietrologia: è lo stesso sito del Ned a rivelare i finanziamenti che hanno contribuito alla creazione dell’ètat desprit che ha creato il quadro tragico di queste settimane (Middle East and North Africa).

Il timore che si stia delineando un sessantotto arabo, alle cui spalle l’alta finanza muove i fili perché il nuovo ordo ab chao sia confacente al proprio interesse e al proprio sentire ideologico è probabilmente più che reale.

Una cosa è certa: i soldi distribuiti da queste fondazioni, alle cui spalle sta spesso l’alta finanza, renderanno, e bene. Pensiamo alla privatizzazione del petrolio libico, un affare in cui il margine di guadagno potrà farci tornare alla mente il saccheggio degli oligarchi all’indomani del crollo sovietico. Ma non ci si fermerà alla Libia, il bersaglio grosso si sta già delineando, la Cina. D’altronde ricordiamoci che il progetto Wikileaks nacque proprio per la sovversione di quest’ultima (WikiLeaks), anche se la notorietà l’ha assunta soltanto con il suo utilizzo in chiave globale.

Ci aspettano tempi difficili, bagni di sangue e grandi occasioni d’acquisto per chi saprà approfittarne; purtroppo non è una storia nuova e purtroppo temo che il popolo arabo sarà ben lieto di rinunciare al proprio petrolio, ai propri valori tradizionali in cambio di discoteche, pornografia e televisione. Spero di sbagliarmi.

GDG


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