Quem vult perdere
20 Agosto 2008
La NATO rimprovera la Russia per la Georgia e minaccia misure. «Niente sarà più come prima tra NATO e Russia», dicono i nostri, tracotanti. Mosca risponde: se la NATO punirà la Russia, la Russia punirà la NATO. Visto che i nostri «governanti» europei ci hanno messo come cittadini su questa rotta (di collisione) sarà il caso i vedere i rapporti di forze in campo, la potenza militare e lo spirito combattivo della frazione europea del cosidetto atlantismo.
Dieci soldati francesi in Afghanistan sono stati uccisi in un attentato, ed è una tragedia nazionale. La Francia, nella prima guerra mondiale sprecò, se non erro, 1,6 milioni di francesi per battere la Germania: evidentemente era una guerra che le interessava; come sempre, solo le guerre civili europee scaldano noi europei. Adesso per dieci soldati morti e 22 feriti, tutti i giornali francesi ripetono che la guerra in Afghanistan è perduta sul piano militare, e che la sola cosa da fare è giungere a un accordo coi talebani, ossia farli partecipare ad un governo di coalizione con Karzai.
Tutto ciò è vero e giusto, e magari era il caso di spiegarlo prima ai cittadini, molto prima. Ma allora perché noi europei restiamo in Afghanistan? Perché lo ordina Washington, che sta perdendo anche quella guerra come ha già perso in Vietnam; e quando avrà definitivamente perso in Afghanistan, gli USA - come fecero dopo il Vietnam - si ritireranno nei loro confini per qualche decennio, a leccarsi le ferite e a farsi il bidet all’anima, obbligando noi, gli alleati, a bere l’acqua sporca, come diceva Churchill.
Per sapere quanto conviene farsi servi degli Stati Uniti, chiedete al generale Musharraf: dieci anni di «alleanza», 70 mila soldati pakistani impegnati in operazioni sanguinosissime contro i pashtun delle aree tribali, migliaia di morti, ed ora i padroni gli danno il benservito, forse nemmeno gli concederanno asilo in America.
Vediamo ora l’altra parte. L’armata russa, in una sola settimana di combattimenti in Georgia, ha perso sicuramente piu di 200 uomini, diverse decine di carri armai, un certo numero di aerei da caccia. E tuttavia, la popolazione russa è tutta a favore della reazione russa contro Saakashvili e il suo regime khazaro, l’armata russa è ancora intatta e ben decisa a non cedere. In una parola, per la Russia, quel conflitto risponde ad un chiaro ed evidente interesse nazionale, profondamente sentito, per cui sa che val la pena di spendere giovane sangue russo.
Per noi europei, la difesa della Georgia configura un interesse nazionale altrettanto chiaro e sentito? Più che mantenere la presa occidentale sull’Afghanistan? Siamo disposti a spendere più di dieci soldati che ci paiono troppi per Kabul? Proviamo a risponderci.
L’occupazione dell’Afghanistan ha un carattere estremamente ambiguo: come opinione pubblica, non sappiamo nemmeno perché siamo lì coi nostri soldati. Non è colpa nostra: i «governanti» non ce l’hanno mai detto, salvo che non accettiamo come spiegazione che siamo andati là a liberare le donne dal chador.
La verità, è che il motivo è inconfessabile: siamo andati là, ormai sette anni fa, per garantire il posizionamento di un oleodotto destinato a portare il greggio del Caspio ai mari caldi, senza passare per l’Iran e per gli oleodotti russi.
Per la Georgia, il motivo è analogo: la Georgia democratica è stata creata ex-nihilo per farvi passare i tubi del Baku-Tbilisi-Ceyhan, che porta il gas e petrolio alla Turchia, e da lì in Israle. Ci interessa come europei? No. Noi, un quarto del nostro petrolio e gas lo riceviamo dalla Russia, con cui abbiamo linee di rifornimento fisse e stabili.
Ci sentiamo replicare: appunto, noi dipendiamo «troppo» dalla Russia, l’Europa deve diversificare le sue fonti. Dipendere un po' meno dalla Russia e un po' più dai khazari e dai loro protettorati: cosa ci guadagniamo? La necessità di diversificare le fonti, del resto, non si pone se non assumiamo atteggiamenti ostili verso la Russia; atteggiamenti che, come europei, non abbiamo nessun motivo ragionevole di assumere.
Ma come membri della NATO, noi ci inimichiamo Mosca. La Merkel ha minacciato a nome nostro di accelerare l’entrata della Georgia e dellUcraina nell’Alleanza Atlantica. Qui, bisogna esser chiari.
Nella NATO abbiamo già la Polonia, che è un Paese militarmente indifendibile: nella storia, la Polonia - priva di difese naturali, senza mai un vero esercito adeguato - è stata sempre invasa ad libitum, da Est e da Ovest, e non ha mai potuto resistere. L’Ucraina, con le sue immense pianure, è parimenti indifendibile; la Georgia, così lontana, lo è ancor meno.
Con questi Paesi nella NATO, guidati per di più da fantocci arroganti e avventuristi, saremo chiamati a difendere tre Paesi indifendibili in un’area vastissima, su linee di comunicazione a noi sfavorevoli, contro il nostro fornitore energetico principale.
I luoghi si prestano a splendide battaglie di cingolati, come quelle combattute fra tedeschi e sovietici negli anni '40. Le dovremo combattere senza carburante, perché quello, oggi, lo riceviamo dalla Russia. Sarà un problema. Ma è nulla, se siamo animati dalla voglia di vittoria, da un alto spirito combattivo.
Quante divsioni Folgore, quanti corpi d’armata siamo disposti a gettare nel carnaio? Quanti dei nostri figli con telefonino, doccia quotidiana, e necessità di discoteca, merendine e cocaina. Mourir pour Tbilisi? Mourir pour Kiev?
Ci stanno mettendo su questa strada, e non ce dicono il perché. Le guerre di cui non si possono confessare i motivi sono perse in anticipo.
Se non scendiamo in piazza, noi italiani, a milioni contro l’entrata di Kartulia e di Kiev nella NATO, vuol dire che ci si applica il detto romano: «Quem vult perdere, deus amentat». A chi vuol mandare in rovina, Dio toglie prima la ragione.
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