«Gheddafi non solo è d’origine ebraica, è ebreo per la legge giudaica!»: questa frase è stata pronunciata con lieto stupore alla rete televisiva israeliana Channel Two qualche tempo fa.
TV2 intervistava due israeliane nate in Libia, certa Gita Brown e sua nipote Rachel Saada. Le due hanno raccontato la seguente storia: «La nonna di Gheddafi, una giudea sposata ad un giudeo che la maltrattava, scappò dal marito crudele e sposò uno shaik musulmano. La bambina nata da quell’unione era la madre di Gheddafi».
Non importa che la donna fosse per fede, islamica; per razza è ebrea secondo il Talmud, e il figlio di madre ebrea è – per la stessa legge rabbinica – un ebreo a pieno titolo: tale che, se Gheddafi deciderà o sarà costretto a fare alyah, Israele lo accoglierà come figlio secondo la Legge del Ritorno.
Israel Ziv
Il che finalmente spiega molti misteri. Fra cui l’ultimo: che Gheddafi abbia chiesto alla ditta di «militarycontractors» israeliani Global CST di reclutare e fargli arrivare 50 mila mercenari (sempre esagerato, il colonnello) e il governo Nethanyahu abbia dato il via libera alla ditta per salvare il suo dittatore preferito. La CST è una emanazione del regime israeliano, e ve ne sono molte prove: è stata per esempio la CST ad inquadrare ed addestrare le forze della Georgia per poi lanciarle allo scontro con le truppe russe per liberare l’Ossezia del Nord. Il suo direttore è il generale Israel Ziv, oggi a riposo, ma che nel 2006, da capo delle operazioni di Tsahal, è fra i grandi responsabili dei crimini di guerra commessi da Israele in Libano: bombardamenti che sterminarono 1.187 civili, distrussero 15 mila edifici e ridussero un milione di persone alla condizione di profughi.
Non è solo che Gheddafi paga bene, offrendo 2.000 dollari al giorno per ogni mercenario africano (che riceverà 100 dollari al giorno, il resto rimane alla CST). E’ che, come scrive Thierry Meyssan,
«Gheddafi è specialista da anni in un tortuoso doppio gioco... Ha sempre tenuto un discorso ultra-estremista contro l’imperialismo americano e il sionismo, ma spesso ha servito i loro interessi, specialmente liquidando su loro ordine alcuni dei loro principali oppositori (...). Non ha mai intrapreso alcuna azione contro Israele e s’è riconciliato con Washington dal 2003».
Tra i personaggi liquidati dal colonnello su istruzioni usraeliane, Meyssan nomina Abdel Khaled Mahjoub: leader del Partito Comunista Sudanese, nel luglio 1971 tentò un colpo di Stato nel suo Paese, fallito il quale chiese ed ottenne asilo politico a Gheddafi, che credeva amico. Il colonnello lo accolse, e prontamente lo riconsegnò al nemico politico sudanese di Mahjoub, il generale Numeiri, che fece fare al capo comunista la fine che immaginate.
Moussa Sadr
L’altra vittima eccellente dell’israelismo di Gheddafi fu l’imam Moussa Sadr, capo della comunità sciita libanese. Altissima figura spirituale di pace (cercò di scongiurare la guerra civile libanese istigata da Israele), politica e caritativa (fondò un Movimento dei Diseredati per alleviare la miseria della comunità sciita libanese), educato a Qom, Moussa Sadr arrivò in Libia nell’agosto del 1978, con due compagni, per incontrarvi personalità politiche. Dei tre non si è mai saputo più nulla. Molte personalità libanesi, ed anche giornali sauditi, hanno accusato Muhammar Gheddafi dell’assassinio dell’imam.
Le sole guerre condotte da Gheddafi contro l’imperialismo ebraico americano sono guerre di parole, nel cui oltranzismo è certamente imbattibile. Peccato che ogni sua altra iniziativa apparentemente anti-israeliana sembri escogitata per danneggiare i nemici di Sion. Così, nel 1980, per far pagare al presidente egiziano Anwar Sadat il coraggioso trattato di pace con Israele, il colonnello espulse dalla Libia 200 mila lavoratori immigrati egiziani, con le conseguenze sociali immaginabili in Egitto. Nel 2003, quando volle tornare nelle grazie di Washington, Londra e Sion, Gheddafi apertamente rinunciava al (ridicolo) programma nucleare libico: approfittando dell’occasione, rivelò le cooperazioni sul nucleare degli altri Paesi arabi e musulmani, Pakistan, Algeria, Siria.
Fra gli atti compiuti dal colonnello per tornare agli onori del mondo, ed ottenere la fine dell’embargo, c’è stata l’assunzione di responsabilità – prima sempre negata – per l’attentato dell’aereo della PanAm precipitato a Lockerbie nel 1988. Gheddafi ammise di essere il mandante della strage (270 morti) e accettò di pagare 10 milioni di dollari per ogni vittima. Perchè?
«E’ come si fosse assunto le colpe di altri. E il giorno dopo è tornato ad essere onorato, abbracciato, anzi qualcuno si è pure genuflesso davanti a lui»: il giudizio è di Antonio Ferrari del Corriere, profondo conoscitore del Medio Oriente da oltre trent’anni. Ferrari è il giornalista più stimabile che abbia conosciuto, l’ho visto lavorare sul campo in Libano, so che ha fonti notevolissime in ogni Paese dell’area. Ebbene, il suo giudizio coincide singolarmente con quello di Meyssan: il colonnello libico è un tortuoso doppiogiochista.
Il giornalista del Corriere rievoca il tentativo di scongiurare in extremis l’invasione dell’Iraq nel 2003, convincendo Saddam a scegliere l’esilio. Quella soluzione, messa in atto da una diplomazia parallela in cui ebbero parte i radicali italiani (insomma, credo, qualche frangia massonica transnazionale), era chiaramante osteggiata da Bush, Blair e dai neocon ebraici. Eppure, Saddam avrebbe accettato l’esilio – togliendo di mezzo il casus belli – se un vertice della Lega Araba lo avesse esortato a quella decisione. Il vertice doveva teneresi a Sharm El Sheik nel marzo 2003. Tutti i leader arabi erano d’accordo. Uno solo fece fallire il progetto: Il colonnello Gheddafi, accusa Ferrari.
Gheddafi è stato l’agente di coloro che volevano la guerra, osserva senza ambagi l’intervistatore di Radio Radicale; ma com’è possibile che da solo abbia fatto fallire un vertice arabo?
Ferrari replica: «Di vertici della Lega Araba, Gheddafi ne ha fatti fallire fin troppi. Io personalmente ne ricordo almeno quattro, di quelli a cui fui presente personalmente. Uno, in Tunisia, saltò perchè i sauditi temevano che Ghedafi vi avesse organizato un attentato per uccidere il principe ereditario. Qualcosa di simile accadde in un vertice in Algeria. Che Gheddafi facesse il guastafeste per crearsi uno spazio, oppure per conto terzi, lo lascio alla immaginazione degli ascoltatori».
Ma tu avrai fatto delle ipotesi, incalza l’intervistatore. Ferrari: «Ne ho fatto anche troppe, preferisconon parlare di quel che non posso provare». Ed evoca l’oscurissimo attentato di Lockerbie, le cui responsabilità sono lungi dall’essere certe (pochi giorni prima, l’OLP di Arafat aveva avvertito che terroristi estremisti preparavano un attentato del genere «per far fallire il dialogo tra OLP e StatiUniti allora in corso»), e di cui furono incolpati alcuni libici. Ferrari, che ha seguito il caso e conosce le falle dell’inchiesta, dice: «E’ come se Gheddafi si sia assunto le colpe di altri. Gheddafi ha sempre svolto un ruolo di copertura».
Conclusione dei radicali: Gheddafi ha svolto un ruolo di «costante e sistematico provocatore della politica internazionale per scopi tutti da chiarire e che sollevano più di una domanda». Se si tien conto del fatto che nella sua ultima fase il colonnello si è devotamente convertito alle visioni fantastiche dei necon USA, farneticando che sono Al Qaeda ed Osama Bin Laden ad aver incitato la rivolta dei libici contro la sua dittatura – una tesi che nemmeno Magdi Cristiano Allam o la Nirenstein hanno la faccia di sostenere – forse quel che abbiamo scoperto nelle righe precedenti risponde ad alcune delle domande.
Non si può dire che sta bombardando il suo popolo; sta bombardando il popolo non suo. E alla peggio, se gli va male, Gheddafi può fare alyah, e raggiungere in Israele tanti altri criminali, siano i generali genocidi che vi abitano o gli oligarchi russi e mafiosi ebraici, che vi hanno trovato asilo.
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