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Omicidio rituale: vietato parlarne
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Missing, scomparso.
Questo il destino di Ariel Toaff, autore di Pasque di Sangue, il libro che ha tolto il velo ad uno dei misteri più oscuri del giudaismo, quello dell’omicidio rituale.
Ariel Toaff non esiste più.
E’ morto come intellettuale, è morto come ebreo, è morto, forse, perfino a suo padre.
Vive da qualche parte, ma la sua esistenza è già nello Sheol, la sua fama è già circondata dall’aura immonda dell’intoccabile, del cadavere che contamina, del traditore del popolo eletto.
Condannato all’oblio, all’odio, alla maledizione nella speranza che il tempo e l’insipienza dei goym, larve di uomini che si sono lasciati ridurre a «seme d’asino», lo seppelliscano nella congerie di mille periodiche, giornalistiche, innocue sequenze di dati, informazioni, nomi, sperando pure che lentamente svanisca nella memoria di pochi ostinati, irriducibili cercatori di verità.
Troppo pochi, comunque, per fare male: noi, pusillus grex, stranieri nella nostra terra, eretici dell’eresia, ultimi caparbi indagatori della Verità.
Per il resto, invece, di lui e del suo libro Pasque di Sangue, seppure nella edizione purgata dell’A.D. 2007, non si deve parlare.
Mai più.

Ce ne dà notizia Quotidiano Nazionale del 21 agosto in due pagine dal titolo inequivocabile: «Boicottaggio ebreo contro Toaff» e nell’occhiello: «Roma e Firenze: impedire i dibattiti su Pasque di sangue».
E infatti per presentare il suo volume all’«Ultima spiaggia» di Capalbio nel corso della settima edizione di «Uno scrittore, un’estate», Ariel Toaff ha sudato le fatidiche sette camicie.
Prima di lui la passerella si era spalancata per i lavori di Victor Zaslavky su Togliatti e Stalin e per «Con gli occhi dell’Islam» di Sergio Romano.
Dopo di lui sarà la volta di Shlomo Venezia e Furio Colombo con «Sonderkommando Aushwitz», Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella con «La deriva» e Franco Piperno con «Lo spettacolo Cosmico».
Per Toaff invece fatica improba: proibito, «verboten».
L’organizzatore dell’evento, Gianni Aringoli, ammette: «Ho avuto fortissime pressioni da parte della comunità ebraica di Roma per non organizzare il dibattito con Toaff. Mi hanno detto che intendono cancellare lo storico con il silenzio».
La lobby, dunque, ha posto il veto.

Nessuno degli altri intellettuali ebrei ha accettato di incrociare la lama con lui: «Non voglio fare nomi - spiega Aringoli - ma erano tutti di primo piano… Agli altri appuntamenti si fanno vedere. Mi risulta che alcuni ebrei romani sono passati più volte in spiaggia per convincere la gente a disertare l’appuntamento. E’ come se volessero mandare al rogo un libro, invece di discuterlo».
Anche Franco Cardini, che in un primo tempo aveva lodato il libro di Toaff, poi aveva dichiarato di averlo letto frettolosamente, poi si era impegnato in un’opera di recupero dello storico, pubblicando persino un piccolo volume sulla vicenda e che lo scorso anno si era speso a Cortina per invitare ad una serena riflessione sul caso, alla fine pare abbia gettato la spugna: «L’altolà  - spiega Scalabrin - sembra essergli venuto da ambienti oltranzisti della comunità ebraica locale, secondo i quali i tempi non sono maturi per una considerazione critica serena».
Toaff parla di estremisti che purtroppo «fanno la politica della Comunità di Roma» li bolla come «ebraismo al potere».
Poi precisa. «Io sono contro un ebraismo fatto sempre di vittime uguali a se stesse, contro una storia intesa come una valle di lacrime da cui non si può mai uscire. Un ebraismo vero, fatto di errori, di conquiste, di dolori e di coraggio, ecco quello che io cerco di far risaltare».
Insomma i «killer» culturali di Toaff sono i «professionisti dell’antisemitismo», come li definisce Achille Scalabrin, parafrasando Sciascia.

Ariel Toaff ha una colpa non emendabile: ha scritto che è potuto capitare che il popolo ebreo, il «popolo vittima», la «vittima olocaustica» della storia non era innocente.
Ha scritto che quel popolo odiava, odiava i cristiani di un odio implacabile.
Ha raccontato che sui cristiani gli ebrei riversavano maledizioni terribili e che, per vendicarsi
dell’ostinata separatezza che li aveva resi estranei alle genti tra cui vivevano e di cui subivano le persecuzioni, avevano persino manipolato le Scritture, inventando che Isacco fosse stato ucciso da suo padre Abramo, per giustificare gli infanticidi da loro stesso compiuti sui propri figli, al fine di impedirne il battesimo, salvo poi vendicarsi sui figli dei Gentili.
Ariel Toaff ha scritto che Israele è stato a sua volta carnefice.

Ha documentato una cosa incredibile: è potuto accadere che talvolta gruppi fanatici di giudei abbiano potuto fare del sangue altrui, specie se cristiano, uso rituale in cerimonie in cui il cristiano era vittima odiata, era Edom.
Ariel Toaff ha rotto il tabù, ha squarciato il velo: per questo hanno tentato di farlo ritrattare, smentire, minimizzare.
Ma lui non ha cambiato idea.
Ha coniugato alcuni verbi al condizionale, per rendere meno assertivi taluni passaggi, ma alla fine ha confermato: «La possibilità che in qualche caso azioni criminali, coperte da rozze messinscene rituali, siano state effettivamente compiute da gruppi estremisti e da individui con la mente stravolta da manie religiose e accecata dal desiderio di vendetta nei confronti di chi era comunque considerato colpevole dei lutti e delle tragedie sofferti dallo loro gente, non può essere esclusa».
«E’ il sangue di Edon»»? gli ha domandato Davide Gianluca Bianchi su L’Eco di Bergamo: «Esattamente: il sangue di Edon è il cristianesimo. Nella Bibbia è il nemico per eccellenza del popolo ebraico e nel Medioevo simboleggia il cristianesimo persecutore» (1).

Ariel Toaff ha una colpa non emendabile: non ha ritrattato, non ha piegato il ginocchio.
Se ne rammaricava Susanna Nirenstein su Repubblica: «L´impressione è che si ritenti l´operazione editoriale del tabù infranto e dello scandalo. Ariel Toaff fa una sola vera concessione: ‘l´omicidio rituale è e rimane uno stereotipo calunnioso» scrive nella nuova postfazione, dopo essersi però proposto come vittima di un’autentica persecuzione da parte di chi lo ha criticato. Ma nonostante quest’affermazione che lo dovrebbe affrancare da qualsiasi forzatura interpretativa, ecco subito che non esclude «azioni criminali, coperte da rozze messinscene rituali commesse da parte di gruppi di estremisti ebrei» (2).

Conferma Bruno Gravagnuolo che «a parte una più accurata distinzione  tra ‘mito’ e ‘rito’, recuperata dall’autore, che ammette di averla un po’ confuso in precedenza qualche periodo ipotetico in più, la sostanza del discorso di Toaff rimane intatta. Riassumiamola.
Primo, non sono tutte favole deliranti quelle sull’ ‘omicidio rituale’ praticato dagli ebrei nella storia d’Europa. Qualcosa di vero c’è. A cominciare dall’uso ‘magico’ del sangue dei cristiani, praticato in segreto da gruppi minoritari di ebrei askhenaziti, traumatizzati da crociate, persecuzioni e conversioni forzate, nei secoli bui e oltre.
Secondo, qualcosa di vero forse ci fu nel famoso atto d’accusa contro gli ebrei a Trento nel 1475, incolpati di aver torturato e messo a morte il fanciullo Simone, poi divenuto icona di culto cristiano esposta nel Duomo di Trento: San Simonino.
Terzo, le confessioni estorte con la tortura, che di quel processo e d’altri furono l’asse, vanno prese sul serio, almeno in parte. Perché dettagliate e simbolicamente significative, e come tali impossibili da inventare a quel modo.
Quarto, quelle confessioni, come altre relative ai culti segreti dei ‘marrani’, sono una fonte chiave per gli storici. Proprio in ordine a lati segreti, scaramantici ed ‘esoterici’ della vita di comunità ebraiche minori, pressate dall’odio cristiano. Bene, tutto ciò la ‘revisione’ di Ariel Toaff, storico del Medioevo e del Rinascimento nella Bar Ilan University in Israele (costretto, ingiustamente, a dimettersi), conferma in pieno
» (3).

I motivi per quali il volume «Pasque di sangue» è andato incontro al più grande «rogo mediatico» della storia contemporanea, è stato ritirato dalle librerie nel breve volgere di quindici giorni, è stato ripubblicato, obbligando il suo autore ad un vergognosa auto da fè ed è stato infine seppellito nella normalizzazione del disinteresse dei critici e dell’opinione pubblica, sono - al di là delle implicazioni «politiche» che è stato ritenuto potesse portare con sé - essenzialmente tre:

ha dimostrato che presso gli ebrei esistevano effettivamente pratiche cruente ed una diffusa cultura eterodossa, dissolvendo in un colpo l’immagine stereotipata del pio israelita tutto intento a scrutare i testi sacri, a recitare i Salmi e ad attendere il Messia e il ritorno a Gerusalemme, palesando altresì che l’ostilità verso gli ebrei da parte cristiana era perlomeno ricambiata;
ha reso perlomeno imbarazzanti gli atteggiamenti di quei cattolici che in nome del dialogo ebraico-cristiano hanno rotto con secoli di tradizione cattolica, rimovendo frettolosamente dagli altari reliquie e statue da sempre oggetto di devozione popolare;
ha ribaltato sui cattedratici l’accusa che costoro rivolgevano contro quelli che avevano nei secoli passati, e talvolta anche di recente, sostenuto la veridicità dell’accusa.

Con riguardo a quest’ultimo aspetto, in particolare, riuscire a dimostrare che in effetti il contenuto delle deposizioni rese dagli indagati nei processi per omicidio rituale corrispondeva a credenze e pratiche in uso presso gli ebrei, ha significato demolire in un colpo solo perlomeno tutte quelle teorie che individuavano nella psiche degli accusatori, nella potenza e suggestione dei miti e nelle dinamiche delle relazioni dei gruppi sociali la scaturigine di quest’accusa.

Insomma se, pur senza generalizzare - quelle pratiche erano in taluni casi reali, visionari non erano i giudici dei processi o i Gesuiti de La Civiltà Cattolica, che accusavano i giudei, ma i cattedratici moderni.
Sono le loro analisi che crollano come birilli, ove si dimostri - come ha fatto Toaff - che, a parte elementi di dettaglio, molte delle cose pur dette sotto tortura dagli indagati nei processi per omicidio rituale trovavano riscontro nella cultura e nella spiritualità ebraica del tempo.

In occasione della riedizione del volume di Toaff, il Resto del Carlino, ripercorrendo la vicenda che aveva portato al ritiro della prima edizione, parlando della «decisione dolorosa indotta dalle insurrezioni della comunità ebraica, dei colleghi e dalla minaccia degli ebrei americani di tagliare i fondi alla sua università, quella israeliana di Bar Ilan» si domandava se il significato del silenzio degli intellettuali che l’accompagnava avrebbe preluso alla decisione di lasciarlo sepolto nella «terra sconsacrata» destinata agli eretici, ovvero a quella di preparare una discussione che prescindesse dalle scomuniche (4).
La vicenda di questi ultimi giorni ha sciolto il dubbio.

Ariel Toaff è morto alla vita civile e culturale e il suo «cadavere intellettuale» sarà abbandonato alla corruzione di un anonimo sepolcro, ritualmente imbiancato, per evitare che altri si possano contaminare alla scomoda verità.
Commentando la vicenda sul resto del Carlino, Achille Scalabrin ha detto che «non sarà affermando che il popolo prediletto è un popolo perfetto che si potrà difendere dal razzismo antiebraico. Quanto sta accadendo a Toaff ricorda i meccanismi tremendi dello stalinismo: l’isolamento e la distruzione di ogni idea scomoda e di chi la manifesta».

Anche per questo io, che all’inizio ritenevo infondata e contraddittoria quest’accusa, ho scritto «Omicidio rituale, storia di un’accusa» , che EFFEDIEFFE ha coraggiosamente pubblicato: per spiegare che d’ora innanzi, dopo il libro di Toaff, per quanto i censori si siano adoperati per ricondurre la ricerca storica nell’alveo di tranquillizzanti risultanze, sedimentate nel conformismo accademico, la storia dell’omicidio rituale non potrà comunque più essere la stessa.
Questo è un argomento tabù ed un libro proibito, tranne per chi voglia indagare la verità.

Domenico Savino




1) L’Eco di Bergamo, 8 marzo 2008, Davide Gianluca Bianchi, Dibattito sul libro di Ariel Toaff «Pasque di sangue» - «Ho smascherato la cultura del sangue».
2) Repubblica, 21 febbraio2008, Susanna Nirenstein, «Toaff fa una sola concessione l’omicidio rituale è uno stereotipo calunnioso».
3) L’ Unità, 24 febbraio 2008, Bruno Gravagnuolo, «Le Pasque di sangue riviste e non corrette.
4) Il resto del Carlino, 7 marzo 2008, Achille Scalabrin, «Il silenzio degli intellettuali».


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