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Risorgimento?! (parte V)
17 Aprile 2011
Risorgimento come tentativo di scristianizzazione dell’Italia L’operazione Risorgimento fu, innanzitutto, al di là di ogni altra considerazione storica o politica, lo strumento mediante il quale la massoneria tentò la scristianizzazione dell’Italia. Infatti, per certi aspetti è palese che il vero ed autentico intento perseguito dai liberal-massoni e dai mazziniani non fosse quello di unire statualmente il popolo italiano ma quello di abbattere il potere temporale della Chiesa nella convinzione che, caduto quel potere, Essa sarebbe crollata su se stessa. Eredi, in questo, dei loro antesignani giacobini ed illuministi, massoni, liberali e mazziniani ritenevano la Chiesa soltanto una struttura umana, un centro di sordido potere oscurantista che opprimeva la libertà dell’uomo. In tal senso fare l’Italia equivaleva per loro a liberare l’umanità dal cancro cristiano incarnato dal potere del Papa. Abbattuto tale potere essi credevano che della Chiesa sarebbe rimasto solo un ricordo, come di un’organizzazione del passato che aveva guidato con assurdi dogmi religiosi milioni di uomini primitivi. Che questa fosse la convinzione di liberali, massoni e mazziniani, che cioè l’unità d’Italia fosse, in realtà, lo strumento per un, ben altro, obiettivo di carattere religioso, lo hanno affermato loro stessi. Il Diritto, il giornale ufficioso di Agostino Depretis, mentre gli avvenimenti risorgimentali andavano a compiersi con la presa piemontese di Roma, così scriveva: «Quand’anche tutti gli uomini che hanno autorità nelle cose d’Italia e tutti i partiti che li secondano, fossero concordi nel volere, a dispetto della civiltà, mantenere intatto l’edifizio della Chiesa cattolica la nostra rivoluzione tende a distruggerlo, e deve distruggerlo e non può non distruggerlo senza perire. Nazionalità, unità, libertà politica sono mezzi a quel fine; mezzi che eventualmente sono grandi e solenni benefici per noi, ma che pure sono, rispetto all’umanità, null’altro che mezzi per conseguire quel fine, che a lei sta sommamente a cuore, della totale distruzione del medioevo nell’ultima sua forma, il cattolicesimo» (1). Più chiaro di così si muore! Questa, dunque, era l’Italia nata dal Risorgimento e che non poteva avere altro sbocco se non nelle cannonate del generale Bava Beccaris, quando nel 1898, a Milano, gli scioperanti cattolici e socialisti, che protestavano per il rincaro dei prezzi di prima necessità, furono letteralmente fatti a pezzi per ordine del governo liberale, ossia di coloro, i liberali, che avevano condannato alla damnatio memoriae Ferdinando II di Borbone appioppandogli l’appellativo di re bomba per il cannoneggiamento di Messina che egli ordinò onde espellerne i liberal-massoni durante i moti del 1848. I fatti di Milano del 1898 dimostrarono quanto è impossibile estirpare il Cattolicesimo dall’Italia. Infatti, subito dopo la breccia di Porta Pia, stretti dalla repressione governativa che impediva loro di partecipare alla vita politica del nuovo Stato, ed in obbedienza al non èxpedit imposto dalla Santa Sede, i cattolici si erano messi all’opera sul piano sociale ed economico per far fronte alle iniquità che la nuova economia liberista comportava per le classi più deboli. Ne nacque il movimento sociale cattolico, che attraverso istituzioni come l’Opera dei Congressi e uomini come Giuseppe Toniolo, costituì per alcuni decenni l’unica vera opposizione, cattolica e popolare, all’Italia liberale dei galantuomini e delle consorterie massoniche. In tal modo i cattolici si trovano a percorrere un pezzo di strada insieme ai socialisti dai quali pure li divideva tutto. Ma il governo liberale non sapeva né voleva distinguere e riservò le sue cannonate sia alla reazione nera sia alla rivoluzione rossa. Ma questa è un’altra storia che, a Dio piacendo, forse un giorno racconteremo. La sinistra nazionale: l’altra sconfitta del processo risorgimentale Resta, invece, da fare un cenno, prima di concludere, sugli altri sconfitti del processo risorgimentale: i mazziniano-democratici che furono usati, ad iniziare da Garibaldi, che pur ne era in qualche modo consapevole ma non vedeva alternative alle velleità rivoluzionarie di Mazzini, come utili idioti da Cavour e poi messi ai margini delle decisioni definitive. «L’Italia in fasce - scrive ancora il Di Fiore - sperimentava eterni contrasti: moderati contro democratici, demagogia contro realismo, spontaneismo volontario contro formalismo, opportunismo contro onestà. Nelle camicie rosse, in pochi mesi, confluì di tutto: tensioni, ideali, furbizie, inspiegabili arricchimenti, sacrificio personale. L’Italia dalle tante, eterne, facce» (2). Sembra il racconto della storia della presa del potere da parte di Mussolini quando all’improvviso tutti, saltando sul carro del vincitore, si scoprirono fascisti o quella del 25 aprile quando, come ebbe a lamentarsi lo stesso Ferruccio Parri, all’improvviso tutti tirarono fuori presunte benemerenze partigiane e le fila della resistenza da esigue come erano fino a quel momento state si gonfiarono tutto a un tratto come un fiume in piena.
Giuseppe Mazzini
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Come si è detto, Giuseppe Mazzini se ne stava a Londra, protetto dalla massoneria. Da lì inviava esortazioni rivoluzionarie all’azione così infarcite di un idealismo fanatico da far presa su centinaia di giovani romantici. Che solitamente passavano, poi, all’azione per finire in galera o ammazzati o condannati a morte. Le popolazioni degli Stati italiani odiavano i mazziniani proprio per questo loro essere adusi all’azione terroristica. Nella Roma pontificia, il popolo li chiamava ammazzarielli. Erano mazziniani Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, gli attentatori alla caserma Serristori nella quale morirono, per quel gesto criminale, decine di zuavi poveri padri di famiglia. Quella di quei terroristi fu l’ultima delle condanne a morte eseguite nello Stato della Chiesa, benché Pio IX fosse propenso per un atto di clemenza a commutare la condanna in ergastolo. Inutile dire che le piche del radicalismo liberale odierno, ossia i radicali di Pannella, quando la Chiesa beatificò, nel 2000, Pio IX inscenarono vergognose dimostrazioni, contro la memoria dell’ultimo Papa-Re, prendendo a pretesto l’episodio della condanna degli attentatori della caserma Serristori. I quali, come sembra, morirono, poi, pentiti, confessati e comunicati. E’ noto che Mazzini, dopo il 1861, tornerà in Italia sotto falso nome perché ufficialmente ricercato in quanto terrorista anche dalla Polizia sabauda e che trovò copertura presso una ricca famiglia ebrea (da questo, per alcuni, la paternità attribuita a Mazzini di Ernesto Nathan, uno dei primi sindaci della Roma post-unitaria di religione israelita e membro della massoneria). Comunque sia, il mazzinianesimo, con il motto Dio e popolo (3), è la radice prima di quella che è stata chiamata la sinistra nazionale (4) ovvero della linea filosofico-politica che giunge fino al fascismo. Perlomeno fino al fascismo di sinistra, che è il vero ed autentico fascismo, quello che Renzo De felice chiamò fascismo/movimento, dal momento che il regime fascista storico nacque, invece, dai compromessi di Mussolini con la monarchia ed il mondo liberal-conservatore e nazionalista (5). Non è un caso se Mazzini sarà uno degli idoli della Repubblica Sociale e tale resterà, insieme a Giovanni Gentile, anche nella cultura della sinistra del MSI, nel dopoguerra. Giovane Italia sarà la prima denominazione dell’organizzazione giovanile missina (poi diventata Fronte della Gioventù). Gerarchi di primo piano del regime, malsofferenti del compromesso con i conservatori che, in attesa di sbarazzarsene, consideravano provvisorio, come Giuseppe Bottai, Italo Balbo, sindacalisti socializzatori come Edmondo Rossoni e Tullio Cianetti, intellettuali antiborghesi come Curzio Malaparte e Berto Ricci (quest’ultimo sarà il maestro, tradito, di Indro Montanelli), furono tra gli esponenti più noti di questa sinistra fascista che si dichiarava esplicitamente erede della sinistra nazionale, del mazzinianesimo e del pan-anarcosindacalismo rivoluzionario. Lo stesso Mussolini apparteneva, per generazione e per cultura, a questo filone ereticale del socialismo che si voleva nazionale e non a caso, in gioventù, fu in rapporti di amicizia e di concorrenza con Pietro Nenni, all’epoca capo dei sindacati emiliani di tradizione repubblicana e mazziniana, insieme al quale organizzò nel 1914 la rivolta in Emilia-Romagna e nella Marche passata alla storia come la settimana rossa. Questa sinistra fascista aveva quale mito fondatore la rivoluzione sociale inutilmente perseguita dal Risorgimento mazziniano e dai suoi esponenti maggiori, da Carlo Pisacane a Giuseppe Ferrari fino allo stesso Giuseppe Garibaldi. Ossia, la linea repubblicana e democratico-sociale prima utilizzata e poi controllata e messa da parte da Cavour e dai liberal-conservatori. Stesso copione si ripeté con il fascismo, che nacque repubblicano e socialista e finì per rimanere parzialmente invischiato nella rete del compromesso conservatore con la monarchia ed i liberal-nazionalisti, ovvero i cosiddetti fiancheggiatori di destra. La sinistra nazionale, della quale il mazzinianesimo ed il socialismo risorgimentale, prima, e la sinistra fascista, poi, furono le maggiori espressioni storiche, fu caratterizzata da un forte spirito antiborghese e anticapitalista, da un’idea della politica come rivoluzione sociale con l’obiettivo di una democrazia popolare totalitaria di radice rousseauiana, ossia ispirata alla filosofia della Volontà Generale di J. J. Rousseau che, nel XVIII secolo, fu l’ideologo dei giacobini francesi. Ma dietro tutto ciò si scorge, a ben vedere, l’agire del millenarismo che, come un fiume carsico, dal medioevo ereticale, quello alla Gioacchino da Fiore (che siano o meno da attribuirgli effettive posizioni chiliastiche), arriva fino alla modernità e che possiamo ritrovare ancora oggi, in clima post-moderno, nella versione neospiritualista della new age. «Una storia culturale - scrive in proposito Marco Roncalli - che dal Risorgimento arriva al fascismo, mostrando in filigrana i suoi effetti (…). Sino a focalizzarsi su un significato peculiare proprio del tempo…: cioè la concezione del millenarismo che richiama la lezione del sognatore del nuovo ‘vangelo eterno’, Gotthold Ephraim Lessing, dipendente da Gioacchino da Fiore. Tutto quel filone - insomma - con la ‘profezia’ della ‘terza età dello Spirito’. Proprio quel filone ‘profetico’ di fatto ‘laicizzato’ da patrioti, agitatori, rivoluzionari, pensatori che ‘avevano il fuoco nella mente’ fra ‘800 e primo ‘900… Infatti all’origine c’è sì, a fine ‘700, all’intersezione dei lumi con il neoumanesimo, il Lessing ‘gioachimita’, la sua ‘lectio’ messianica sull’attesa di un’epoca superiore finale, ma poi, nel segno del progresso, il suo paradigma, giunto in Italia durante il Risorgimento, finisce per sostenere anche la visione pedagogico-politica di Mazzini e di quel mazzinianesimo religioso, mistico e apocalittico, che nei fatti attraversa il Ventennio e cessa di soffiare sulle ceneri del fascismo» (6). Ricordiamo tutto questo perché il penoso cento-cinquantenario, al quale stiamo assistendo, ha riproposto anche un vecchio falso storico, inventato da quella scuola torinese (Bobbio, Galasso, Galante Garrone) alla quale all’inizio facevamo riferimento. Una riposizione mediatica e di massa che non ha tenuto per niente conto della insuperata opera di revisionismo storico e filosofico effettuata da Renzo De Felice e da Augusto Del Noce (7). Le cerimonie pubbliche di questo cento-cinquantenario si sono svolte, infatti, ancora una volta secondo lo schema, storicamente infondato, per il quale la Resistenza sarebbe stata il secondo Risorgimento, tradito come il primo. Questo schema, che mette in continuità Risorgimento e Resistenza, è servito per far passare l’idea del 17 marzo 1861 come prima tappa verso l’Italia del 25 aprile 1945, assegnando al fascismo il ruolo oscuro della reazione clerico-monarchico-capitalista in agguato. Una reazione che nel 1922 ha provato a riportare l’Italia indietro verso l’età della Controriforma. Ma questo schema è doppiamente falso: sia perché il fascismo non fu reazionario ma espressione compiuta della sinistra nazionale, sia perché, proprio per questo, non si può eludere la realtà storica del fascismo come figlio legittimo del processo risorgimentale e porlo in una linea di ininterrotta continuità, al di là delle contraddizioni interne dello sviluppo storico di tale linea filosofico-politica, con le idee di radicale scristianizzazione dell’Italia che hanno mosso il Risorgimento (8). Ma ricordare agli italiani questa coerenza di fondo tra Risorgimento e Fascismo, e ricordare loro che gli stessi fascisti di sinistra aspettavano la seconda fase della Rivoluzione iniziata nel 1922 per portare a completamento il processo unitario nazionale mediante una rivoluzione sociale, avrebbe significato mettere in crisi lo schema della Resistenza come secondo Risorgimento e, quindi, la legittimità politico-morale della Repubblica nata dalla guerra partigiana. C’era il rischio, data l’età avanzata, di un fatale coccolone per Napolitano, Amato e Ciampi!
(fine) Luigi Copertino • Risorgimento?! (parte I) • Risorgimento?! (parte II) • Risorgimento?! (parte III) • Risorgimento?! (parte IV)
1) Citato in AA.VV., a cura di F. M. Agnoli, Un tempo da riscrivere - il Risorgimento italiano, opera citata, pagina 43. 2) Confronta G. Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia …”, opera citata, pagina 184. 3) Il dio di Mazzini non era naturalmente quello cristiano. Si trattava della versione monista e panteista del massonico Grande Architetto. Una divinità immanente al mondo e tale, pertanto, da identificarsi con il popolo, quasi a costituirne l’anima, il volkgeist per dirla al modo dei tedeschi nazional-patriottici di età romantica. Proprio questa assonanza con l’umbratile e cupa visione del romanticismo germanico, che è una delle radici del nazismo, rende molto bene la stretta connessione delle idee mazziniane con un sottofondo teosofico. Lo stesso dal quale trasse linfa il nazionalsocialismo, con i suoi esiti razzisti. In effetti, il motto Dio e Popolo porta direttamente all’altro Dio è Popolo e quindi a il Popolo è Dio, ossia al Popolo-Dio, alla Razza Divina. 4) Confronta Giuseppe Parlato, La sinistra fascista - storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna, 2008. 5) Un compromesso che, tuttavia, restò sempre in bilico. Le tensioni tra l’anima di sinistra del fascismo ed i suoi fiancheggiatori di destra continuarono a covare, sotto la cenere, durante tutto il ventennio per riesplodere all’approssimarsi del 25 luglio 1943, con l’esito che sappiamo. 6) Confronta M. Roncalli, Millenarismo, così la ‘profezia’ educò al totalitarismo, in Avvenire del 19 marzo 2011. Si tratta della recensione del libro di Fulvio De Giorgi Millenarismo educatore, Viella. Interessante è anche quanto il Roncalli sottolinea nel resto di detta recensione: «Pur rendendo conto di molti altri ‘schemi ad andamento ternario’, ad esempio, nelle concezioni di Pestalozzi, Schleiermacher, Comte…, il cuore del suo (del De Giorgi) lavoro è soprattutto italiano. Così, confortato dagli studi di De Lubac sulla lunga posteriorità spirituale dell’abate calabrese, ecco lo storico recuperare ogni rimando a Gioacchino fra storiografia e implicazioni ideologiche, filoni culturali ortodossi o vicini al modernismo: flussi che palesano ancora nella prima metà del ‘900 riprese gioachimite dagli esiti opposti, ancorati a pedagogie totalitarie o della libertà. Due poi gli atteggiamenti di risposta al gioachimitismo su cui si concentra l’autore: il realismo cinico dei liberali, oppure il realismo - diversamente connotato - dei cattolici (che in ogni caso non possono essere millenaristi essendo la loro escatologia fondata su ben altro Regno). Saldando educazione e cultura, politica e religione, De Giorgi finisce per ricostruire la fortuna dell’abate… e di quella pedagogia che mai lo dimenticò (…). Tra erudizione e neoguelfismo, neokantismo storiografico e studi danteschi, tra Foscolo e Mazzini, tendenze lingenetiche e sansimonismo, fra David Lazzaretti detto il Santo e Giacomo Barzelotti, Lambruschini e Mamiani, Fogazzaro e il messianesimo slavo, Mussolini e Gentile (…). Gioachimiti anche Buonaiuti, che si confronta con l’attesa della ‘Parusia’, e Rebora (…). Poi però la guerra, con i suoi drammi, a sgombrare il campo dagli ultimi colpi di coda del millenarismo educatore». Una chiusa che coglie solo parzialmente, però, la realtà spuria e l’influsso del millenarismo. Il quale infatti, se nella sua forma educatrice, ossia da Stato etico, preparata dal mazzinianesimo risorgimentale, ha probabilmente fatto il suo tempo, tuttavia è ricomparso, come dicevamo, nella forma post-moderna del neospiritualismo di massa del new age. Che proviene dagli Stati Uniti a dimostrazione che, come accenna, stando a detta recensione, anche il De Giorgi, anche il liberalismo conosce, insieme al cinismo ateistico di fondo, una sua versione mistica e millenaristica. Quella, ad esempio, che ha colto molto bene Giulio Tremonti, nel suo La paura e la speranza, essere la vera anima del processo di globalizzazione dell’economia planetaria. 7) Tra l’altro sia Renzo De Felice, sul piano storiografico, sia Augusto Del Noce, su quello filosofico, hanno ampiamente dimostrato che tra fascismo di sinistra ed azionismo (o liberal-socialismo), ossia, quest’ultimo, la cultura di formazione dei Bobbio e dei Galante Garrone, esiste una stretta parentela avendo entrambi la propria genesi nell’attualismo idealistico di Giovanni Gentile e del primo Benedetto Croce. In altri termini Gramsci e Gobetti, da un lato, e Mussolini e Bottai, dall’altro, sono tutti, culturalmente parlando, figli di Giovanni Gentile. Il padre del neoidealismo italiano della prima metà del ‘900, infatti, ha reinterpretato spiritualisticamente, ossia idealisticamente, il marxismo. Non a caso Gentile, nel suo discorso agli italiani dal Campidoglio nel 1943 e nell’ultima sua opera, Genesi e struttura della società, ritornò sulla lettura idealista del marxismo, definendo i comunisti «corporativisti impazienti delle more di sviluppo di un’idea». Da qui l’inizio del percorso intellettuale e generazionale che portò la quasi intera generazione dei giovani fascisti non conformisti, ossia di sinistra, degli anni trenta - quelli organizzati nel GUF e nelle altre istituzioni di massa del regime, sui quali contava lo stesso Mussolini per il secondo tempo della rivoluzione fascista e che egli difendeva quando sulle loro riviste deridevano i gerarchi panciafichisti ed imborghesiti - a passare nel dopoguerra nelle fila del PCI, ma senza sensi di colpa perché per tale generazione si trattava di continuare la lotta antiborghese ed anticapitalista iniziata nel Ventennio sotto le forme del fascismo. 8) Il fatto che poi, nei fatti, il fascismo cercò, strumentalmente, l’intesa con la Chiesa, fino al Concordato, si iscrive nella logica di chi dovendo governare un Paese cattolico e concependo la religione solo come collanti di identità nazionale non può non tenere conto della cattolicità dell’Italia. Su questo la stessa Chiesa fece leva nella speranza di una conversione autentica del regime. Speranza che morì con la funesta alleanza con il nazismo. Se è vero che Mussolini, come si sospetta, si sia personalmente convertito negli ultimi due anni di vita, nulla toglie alle difficoltà di una accettazione, da parte cattolica, del fascismo senza se e senza ma.
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