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La sublime Analogia e la Fede
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La Fede cattolica è saldamente fondata sulle divine analogie rivelate da Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
Infatti, si può dire che la Rivelazione sia una sublime lezione di analogie che collegano in un modo speciale la sfera soprannaturale al mondo naturale.
E’ il campo della Religione, delle Virtù e dell’Amore, per cui la Fede, la Speranza e la Carità «sono» nel rapporto dell’analogia divina.
Fuori della giusta analogia e contro di essa sorgono solo deviazioni di tipo religioso: dalle idolatrie al panteismo antico e moderno, di cui il pancristianesmo ecumenista attuale.
Quest’ultimo predica l’equivalenza religiosa universale a causa dell’innata religiosità umana.
Una religiosità indipendente dall’univoca e non analoga Verità divina rivelata.
Nella Filosofia dell’Essere, Dio, Colui che è il Creatore di tutto, è assolutamente l’Altro dalla Sua Creazione.

Dio è l’Essere sussistente per sé; le creature hanno l’esistenza dall’Altro.
Nel pensiero dell’Essere esiste, quindi, soltanto un’analogia limitata.
Il contrario è il pensiero del dio-tutto, che in termini religiosi genera i vari panteismi.
E così via, abbandonata la sublime analogia rivelata di Dio che Si rivelò Padre, Figlio e Spirito Santo per la comprensione umana del sublime Amore che va oltre alla carne, il pensiero cade nelle illusorie divinità univoche del sole o del tuono, dell’Olimpo o del grande Architetto, per arrivare poi alla religione moderna dell’uomo che si fa dio e affronta la Religione di Dio che si è fatto uomo (Paolo VI).
Ed ecco il nefasto degrado del pensiero nato dall’abbandono o sovversione dell’univoca sublimeAnalogia rivelata.
Eppure, già nell’Antico Testamento il Nome di Dio non andava mai ridotto a semplici lettere per interpretazioni umane.

Nel Vangelo Dio è rappresentato come Padre e anche come re e giudice e ciò fa parte della devozione cristiana della Chiesa, che ha per capo il rappresentante di Gesù Cristo, Vicario di Dio.
E’vero che la devozione a Cristo Re nasce dall’analogia del potere dei re col potere divino, ma questo va oltre ogni potere regale terreno.
In tal senso l’idea di Duns Scott di fare dell’instaurazione del Regno di Cristo nel mondo la causa dell’Incarnazione del Verbo appare del tutto riduttiva.
E qui siamo al mistero della Chiesa, che ha per Capo il «dolce Gesù in Terra», come scriveva Santa Caterina da Siena, in analogia al Figlio di Dio, ma la cui autorità è d’identità divina.
Infatti, come potrebbe manifestarsi infallibile se fosse divina solo per analogia?
Quale uomo è di per sé infallibile?
Quindi, nel vero Vicario di Cristo si manifesta il pensiero e volere di Dio perché professa una virtù
teologale che lo supera: la fede.
Senza di essa non si può piacere a Dio e meno ancora rappresentare la Sua autorità, come insegna la Santa Chiesa.
Avere la fede integra e pura è condizione ontologica, nell’ordine dell’Essere, per essere eletto Papa.

Ora, il correlativo di autorità è libertà.
L’autorità esiste per contenere nei limiti del bene la libertà umana «già volgentisi all’abisso», come hanno insegnato sempre i Papi.
E’ con questo pensiero che da più di quarant’anni molti dotti cattolici, consacrati o meno, affermano e dimostrano che chi proclama il diritto alla libertà religiosa, quindi alla scelta anche del male, da professare anche in foro esterno, ha ipso facto dimostrato d’essere alieno all’esercizio dell’autorità divina della Chiesa, perciò di non poter rappresentare l’Autorità di Dio.

Tra queste reazioni si conta quella del padre Guérard de Lauriers «che seguiva, non la via del
Papa eretico, (che era stata affrontata da monsignor Antonio De Castro Mayer assieme ad Arnaldo Xavier Da Silveira), ma una duplice strada:

a) in atti magisteriali del Concilio Vaticano II (‘Dignitatis Humanae’), in cui il Papa dovrebbe essere infallibile si trovano degli errori, quindi Paolo VI non è Papa in atto ma solo in potenza;
b) l’autorità ha come fine il bene comune della società.
Ora se un’autorità pone atti oggettivamente contrari al bene della società è una tirannia e non è più l’autorità.
Quindi Paolo VI non è formalmente Papa, ma solo materialmente.» (vedi articolo di don Curzio
Nitoglia, in EFFEDIEFFE).

A dispetto della mia filiale amicizia con monsignor De Castro-Mayer e dell’insistenza con cui mi sono impegnato ed ho ottenuto che quel lavoro, già stampato, ma messo da parte in Francia, per le cattive ragioni che ho spiegato altrove, fosse diffuso, devo affermare chiaro che l’opera è difettosa.
Poteva servire per aprire la discussione, ma mancava in essa perfino quel documento chiave per la questione che è la Bolla «Cum ex» di Papa Paolo IV.
Dopo quella lettura sembrava che tale questione - del papa eretico - fosse insoluta: che un eretico, che non era più membro della Chiesa, ne potesse essere capo, contraddicendo almeno San Roberto Bellarmino e ogni logica.

A questo punto sembrava che un dotto accademico, come padre Guérard de Lauriers potesse liberamente avanzare una «tesi» per affrontare il problema, come se la legge della Chiesa ne ignorasse la soluzione e documenti come la Bolla di Papa Paolo IV non avessi più validità.

Ecco allora il risultato: - se in atti magisteriali («Dignitatis Humanae» del Vaticano II), in cui il Papa dovrebbe essere infallibile si trovano degli errori, Paolo VI non è Papa in atto ma solo in potenza (!).
Il sillogismo è monco alla luce dell’essere Papa; «in atto, ma solo in potenza» deriva da quale sentenza certa?
Se il conclave che lo ha eletto ha valore assoluto vuol dire che quei cardinali erano infallibili nel loro voto, idea tanto folle quanto contraddetta dai fatti successivi riguardo il bene della Fede.
Quale la soluzione della «tesi»: Poiché un’autorità che pone atti oggettivamente contrari al bene della società è un tiranno, Paolo VI non è più l’autorità.
«Quindi (?) non è formalmente Papa, ma solo materialmente».
E qui s’inizia l’uso, o abuso, dell’analogia.

Sull’analogia si dica che il suo uso è proprio quando si tratta di distinguere realtà che possono essere assimilate in piani specifici.
Per esempio, Dio onnipotente dal cosmo da Lui creato.
Parimenti il Re dell’universo dai re terreni; il Regno di Dio e la Chiesa dagli imperi mondiali.
Queste cose possono essere assimilate nel piano del governo della vita dell’uomo, ma non in quello dell’infinita differenza tra vita soprannaturale e naturale.
Qui l’analogia si ferma; sarebbe come voler parlare dell’analogia tra Dio e le pietre, che serve solo a un misero gioco di parole.
Quindi, tornando al serio, vediamo l’analogia nella questione dell’autorità: una trascendente, l’altra contingente; una divina e perenne, l’altra umana e precaria.
Il problema è che quest’ultima fa più paura dell’altra.
 
L’autorità ha come fine il bene comune delle società, divina e umane in modo analogico.
In questo senso c’è analogia tra l’autorità di Stato e Chiesa, tra re e Papa.
Rimane questa nel caso della tirannide?
Ci può essere una tirannide cattolica per cui un fedele sarebbe obbligato per fedeltà a Dio a professare il diritto ad una libertà stravolta, a frequentare sacramenti dubbi, a sostenere operazioni ecumenistiche condannate dal Magistero?

Mentre la «somiglianza» tra queste due autorità è «relativa» la loro differenza è assoluta.
Entrambe devono governare per il bene comune che è il fine della società. ma la prima dipende dalla volontà umana, che è decaduta, mentre l’altra è infallibilmente assistita da Dio nelle questioni di fede, cioè dell’ubbidienza e culto a Dio e di morale, cioè del comportamento per il raggiungimento del fine della vita umana e la salvezza.

«Gesù Cristo, istituendo la sua Chiesa come società umana visibile (…). Una persona… che in seno ad una società, perseguirebbe abitualmente (…) l’annientamento del bene comune (…), una tale persona dunque non può essere l’autorità (…). Ora, in ogni società, l’esistenza stessa dell’autorità richiede di essere fondata sul proposito di realizzare il bene comune che è il fine della società».

Qui non si tratta, però, della «non-volontà di fare il bene della società ecclesiastica», ma di farne il male.
E ciò non rende una «persona fisica che ‘occupa’ almeno apparentemente la Sede episcopale di Roma un ‘tiranno’, ma una persona aliena alla carica».
A questo livello, tra re cristiano e Papa, vi può essere «analogia» nella «diversità».
Una tirannide «cattolica» è però impossibile al Papa, che rappresentando Dio, è autorità esistente nell’ordine trascendente soltanto, mentre è possibile riguardo al re che rimane nell’ordine contingente.
Un papa contrario alla fede che dovrebbe confermare è solo un impostore che non va seguito; non ha titolo, non è di fronte all’Essere.
Mentre il re tiranno sarà figura deprecabile, ma regna finché non è rimosso.

La prima ragione perché la «Tesi di Cassiciacum» non ha alcun valore religioso, anzi è nociva, sta nel fatto che essa trasferisce l’assoluto potere divino a un conclave umano, aperto ad errori.
E poi fa dell’eletto papa, che constata deviato, il legittimo titolare del potere divino.
Se rimane «materialiter» non lo potrà esercitare di certo, ma nessuno potrà rimpiazzarlo (eccoci quindi tiranizzati da un auto pensiero suicida!).
Lo «spessore» della tesi di padre Guérard si è sfumata negli anni a causa anche della successione nella Sede di Pietro.
Essa puntava a Paolo VI, ma e poi?
Ci poteva essere una successione «materialiter» ad infinitum?
E la questione è esplosa ora con la successione Ratzinger.

Ora o «tesisti» si sfidano a vicenda con domande d’impossibile risposta.
Una confusione originale.
Era così difficile cercare la soluzione del problema dell’autorità cattolica nella legge divina della Chiesa e nel Suo Magistero, che dispensa le elucubrazioni di «tesi» personali?
Chi crede che la Chiesa di Dio, nata dal Sangue del Signore, sia tanto imperfetta da mancare di norme per la sua difesa non professa il pensiero cattolico.
La legge c’è ed è evangelica.
Quel che manca non è quella carità umana dei baci/abbracci, ma quella soprannaturale del difendere la Fede come bene più prezioso per tutti sulla terra.

Arai Daniele


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