Guerra economica contro la Russia?
24 Settembre 2008
Anche la Borsa di Mosca ha avuto il suo crollo - al punto di dovere essere chiusa due giorni per eccesso di ribasso - e anche il governo russo ha dovuto iniettare liquidità. «Investitori stranieri» hanno venduto a man bassa azioni russe, e si sono liberati di quantità di rubli.
A Bruxelles, il vice-segretario di Stato Daniel Fried non ha potuto trattenere la gioia: ecco il «prezzo» che la Russia paga per la guerra alla Georgia.
«La comunità degli affari ha votato» coi «miliardi di dollari che sono fuggiti dal mercato azionario russo» (30 miliardi di dollari solo in agosto, secondo Paribas). «La Russia soffrirà molto se sceglie questa via di auto-isolamento».
Proprio pochi giorni prima Condy Rice, segretario di Stato di cui Fried è vice, aveva detto minacciosa: «La posizione internazionale della Russia è al suo punto più basso dal 1991». E ne ha accusato «l’arretramento delle libertà personali», «l’arbitrio legale», la «corruzione pervasiva» (sembrava quasi parlasse dell’amministrazione Bush), avvertendo minacciosa che l’ammissione di Mosca al WTO e all’OCSE «sono ora in questione». E la Rice non ha mancato di alludere ai guai finanziari russi collegandoli col conflitto georgiano: «I leader dei mercati finanziari stanno punendo l’economia della nazione».
Sicchè, come rivela il Wall Street Journal
(1), al Cremlino «sono circolate teorie complottiste» secondo cui Washington aveva organizzato, tramite le sue banche d’affari, una manovra di aggressione economica contro la Russia per vendicare la batosta in Georgia, costata al governo russo 120 miliardi di dollari di iniezioni di liquidità d’emergenza.
E le teorie del complotto hanno preso abbastanza corpo, da indurre il ministro delle Finanze, Aleksei Kudrin, a telefonare al ministro del Tesoro (e ora sovrano assoluto) «Hank» Paulson di Goldman Sachs, per avere assicurazioni che gli USA non stavano giocando sporco. Le assicurazioni ci sono state. Ma il dubbio rimane.
A Mosca si ricorda come una sorta di «profezia» una delle frasi minacciose di Condy Rice:
la Russia «si pone nella via a senso unico dell’isolamento auto-imposto e della irrilevanza internazionale».
Eric Kraus, un analista finanziario che pubblica a Mosca una newsletter in inglese dal titolo strano («Truth and Beauty»), ma che sembra ben informato
(2), ammette che gli alti e bassi del mercato finanziario russo «sono stati molto disordinati e irrazionali».
Certo, le vendite forzate di «fondi russi ed esteri» si possono spiegare con la crisi finanziaria made in USA; ma la continuazione del «macello» per giorni e giorni pare indicare che «altri fattori sono stati all’opera» per far crollare i corsi di Mosca.
Perchè, scrive Kraus, «obiettivamente l’economia russa sta andando meglio del 95% delle altre sulla terra. La profittabilità è alta, la stabilità macro-economica è eccellente, la crescita è straordinaria (il PIL cresce dell’8% annuo, e anche dopo ‘il macello’ borsistico, la crescita è dimezzata, ma resta pur sempre un 4%, mentre l’Occidente intero è in recessione). E inoltre, non è fallita una sola banca dal 2004 e non c’è alcuna esposizione ai sub-prime USA», un grosso attivo dei conti correnti, e un grosso cumulo di riserve nel suo fondo sovrano.
Insomma, con questi chiari di luna, un posto dove i capitali, lunghi dal fuggire, si pensa debbano cercare rifugio. Invece, «il mercato azionario russo è stato quello coi risultati peggiori fra quelli mondiali. Peggio ancora che durante la crisi del 1998».
Ma nel 1998 c’era una piccola differenza: la Russia di Eltsin aveva dichiarato insolvenza sui suoi Buoni del Tesoro, l’economia era morta, il petrolio era a 10 dollari il barile, e la fuga di capitali era a livello di emorragia. La situazione contraria a quella di oggi. E allora?
«La settimana scorsa, almeno due dei principali broker locali a Mosca hanno avvertito i clienti che le maggiori banche USA erano incoraggiate (premute) a vendere i loro attivi russi. Effettivamente certe banche d’affari americane hanno svenduto titoli russi a man bassa, ma possono averlo fatto di loro iniziativa», avendo disperato bisogno di liquidità.
Eric Kraus ha fatto le sue telefonate: e mentre JPMorgan ha negato di aver ricevuto pressioni politiche per vendere, «la sola banca d’investimento rimasta solvente» (la Goldman?) «ha confermato di aver avuto la chiamata».
Inoltre, Kraus ha avuto la conferma dal Tesoro russo che «solo conti americani hanno venduto i titoli della Federazione Russa», non riuscendo però che a farli abbassare di due punti (hanno trovato altri compratori). Nonostante ciò, Standard & Poors, quella che dava il rating massimo a Lehman Brothers fino al giorno del suo fallimento, ha declassato il rating del debito russo.
Conclusione provvisoria: il commentatore «è francamente sconcertato. Anche se resta scettico all’idea di un attacco volontario, non riesce a trovare alcuna spiegazione razionale» per quello che è successo alla Borsa di Mosca. E aggiunge: attenti a maltrattare troppo la Russia, «può facilmente controbattere entrando nell’OPEC».
Guarda caso, Igor Sechin, un braccio destro di Putin, parteciperà al prossimo verice dell’OPEC.
1) «Russian rescue package expands to $120 billions», Wall Street Journal, 19 settembre 2008.
2) Citato da Nouriel Roubini, «Rumors of financial wars: Russia versus US», RGE Monitor,
23 settembre 2008.
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