Esistono Tre Forme Di Governo
San Tommaso[1] insegna che le possibili forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, timocrazia (quest’ultima oggi la si può chiamare “democrazia classica”, essenzialmente diversa dalla “democrazia moderna" di Rousseau).
L’Aquinate considera la monarchia (il governo di uno solo / “mònos”) come la migliore forma di governo che, però, può degenerare in tirannia, la quale sarebbe la peggior forma di governare. La seconda forma di governo considerata dall’Aquinate, è l’aristocrazia (governo dei migliori / “àristos[2]”) che può degenerare in oligarchia[3], ossia tirannia di pochi ricchi (olìgoi). La terza forma è la timocrazia o il governo dei magistrati, dei militari e dei cittadini probi che reggono la città, in cui le cariche sono assegnate in base all’onore e al valore / “tymé[4]”: magistrati, probiviri e militi, cioè la sanior pars populi, che non è la massa bruta), la quale può degenerare in democrazia[5] moderna (tirannia del popolo o massa informe, non i probiviri). Oggi, in luogo di timocrazia, è prevalso, anche tra i neoscolastici che non sono assolutamente “democratici” nel senso moderno del termine,
La Miglior Forma Di Governo
Secondo la tradizione scolastica – data la malizia dell’uomo ferito dal peccato originale, che facilmente è portato a degenerare verso il male – la migliore forma di governo è quella mista di monarchia, aristocrazia e un pizzico di timocrazia nelle piccole comunità.
Monarchia Temperata Da Aristocrazia E Timocrazia
Nella Somma Teologica (I-II, q. 95, a. 4) San Tommaso scrive: “Vi è un certo regime, che è un misto di queste tre forme, il quale è il migliore”. Ed ancora: “La migliore forma di potere è bene temperata dall’unione della monarchia, in cui comanda uno solo, e dall’aristocrazia, in cui comandano i migliori o i virtuosi, e dalla democrazia, che è il potere dei probiviri del popolo, in quanto i Prìncipi possono essere scelti anche nella classe popolare e possono essere eletti dalla sanior pars del popolo stesso” (S. Th., I-II, q. 105, a. 1). Ogni buon regime deve, dunque, essere misto e radicato nel principio del “popolo-canale”, che trasmette (senza trattenerseli) compiti e funzioni di governo ad uomini atti, preparati ed onesti (i migliori); mentre al vertice, la suprema unità di governo appartiene ad un uomo prudente e maturo (il monarca).
San Tommaso, riprendendo l’insegnamento di Platone e Aristotele[6], sottolinea che la monarchia è più nobile dell’aristocrazia e che questa lo è più della timocrazia o democrazia classica (la “demagogia” o “democrazia moderna” è una degenerazione della timocrazia e, quindi, intrinsecamente malvagia).
La Corruzione Delle Tre forme Di Governo
Tuttavia San Tommaso mette in guardia dai pericoli della monarchia, non in quanto pericolosa in sé bensì a causa della malizia dell’uomo ferito dal peccato originale. Si può dunque concludere che la più nobile forma di governo in sé, la monarchia, è bene che – quanto a noi uomini vulnerati dal peccato originale e inclini al male – sia temperata dall’aristocrazia e dalla timocrazia o democrazia classica (ovviamente non la democrazia moderna, secondo la quale il potere non deriva da Dio ma dall’uomo).
Nella sua opera De regimine principum San Tommaso spiega essere necessario che gli uomini, vivendo in Società, siano governati da qualcuno: “Se è naturale per l’uomo vivere in Società, è necessario che fra gli uomini ci sia qualcuno che governi il popolo. Infatti, quando gli uomini sono in molti, se ognuno provvedesse soltanto a ciò che gli serve, il popolo si frantumerebbe nei suoi componenti, qualora non ci fosse chi si occupasse anche del bene comune; così come dell’uomo si dissolverebbe se nel corpo non ci fosse una facoltà coordinatrice generale (il cervello) rivolta al bene comune di tutte le membra […]. Se una moltitudine di uomini è ordinata dal Capo per il bene comune di tutti, il governo sarà retto e giusto. Se invece il governo è ordinato non al bene comune, ma al bene privato del Capo, sarà ingiusto e perverso”[7]. Infatti se il Capo cerca il suo bene a discapito di quello comune diventa un “tiranno di governo”, ossia il suo governo degenera in tirannide.
L’Aquinate spiega, inoltre, che è più utile che una moltitudine di uomini sia governata da uno solo, piuttosto che da molti. Ciò in quanto l’uno – per essenza – può garantire l’unità meglio di molti individui. Dunque è più utile il governo di uno solo che di molti. Ma San Tommaso mette in guardia dal pericolo che anche la migliore forma di governo, a causa delle conseguenze del peccato originale, possa degenerare e diventare tirannia di uno solo, la quale è peggiore della tirannia di pochi (oligarchia) poiché si allontana maggiormente dal “bene comune”, così come questa è peggiore della tirannia di molti (demagogia). Infatti alla cosa migliore si contrappone quella peggiore ed un governo è tanto più ingiusto, quanto più si allontana dal bene comune, come quello di un solo tiranno. Occorre, comunque, considerare anche l’enorme danno al bene comune che deriverebbe dalla caotica e demagogica partecipazione di molti, inetti e moralmente corrotti, alla gestione del potere.
Per Platone, Aristotele e San Tommaso, la democrazia è la degenerazione della timocrazia, in quanto essa si basa sul popolo ridotto a massa informe mentre la timocrazia è fondata sull’equa partecipazione al potere non della massa amorfa, ma del popolo, formato da persone razionali, libere ed oneste: i probiviri. In questo sistema, la sovranità risiede nella legge e nella ragione, ma non nella moltitudine e nelle sue deliberazioni.
Nella democrazia moderna (oggi diremmo demagogia), intesa come degenerazione della timocrazia, la legge e la ragione perdono la propria forza e la massa informe e amorfa diventa arbitra dello Stato. In tale sistema i demagoghi (pochi ricchi finanzieri e plutocrati), e non i migliori, tengono le redini del governo, per cui le leggi positive come specificazioni della legge naturale (intesa quale partecipazione alla Legge eterna o divina), inscritta dal Creatore nell’animo umano, non sono più sovrane, ma dipendono dal capriccio della moltitudine dispotica. Un tipico esempio di governo demagogico fu la “consultazione popolare” e la “manipolazione delle masse” in cui i Sacerdoti e gli Scribi chiesero e ottennero dalla folla inferocita (massa) la condanna di Gesù e l’assoluzione di Barabba (Mt., XXVII, 20); un altro esempio molto simile a questo e più vicino a noi fu il “Referendum popolare” per la legalizzazione dell’aborto (“legge” 194 del 1978), in cui la Sinarchia demo/pluto/giudaico/massonica convinse la massa a uccidere gli innocenti, come aveva già fatto Erode (Mt., II, 16), il “demone patrono degli abortisti”, emulato da Pannella & Company, elogiati da Bergoglio: il “Sommo Sacerdote” del “Gran Sinedrio” infiltratosi dal 1958 nel vertice del Vaticano.
Invece la timocrazia (oggi diremmo democrazia classica) si fonda sulla partecipazione al potere da parte del popolo (che non è assolutamente l’origine del potere) in forma responsabile ed ordinata. Ogni civis (onesto, ragionevole e virtuoso) deve avere la possibilità di partecipare, se capace e degno, alla vita politica delle piccole comunità della Nazione. Qualunque sia la forma del potere, è essenziale che chiunque lo eserciti legittimamente abbia la consapevolezza di non essere l’origine della sovranità: “Nulla potestas nisi a Deo” (Rom., XIII, 1), e dunque, di non aver alcun diritto all’esercizio potere in senso assoluto. Chi governa – sia esso il re, il presidente di una repubblica, i membri di un governo – deve considerarsi vassallo di Dio, ossia subordinarsi all’Unico Signore origine dell’autorità e della sovranità che – attraverso lo strumento del “popolo/canale” – soltanto trasmette il potere, senza esserne la causa, a chi è legittimamente destinato a guidare lo Stato, che è l’istituzione deputata a governare la vita del consorzio umano associato.
Fine Della Seconda E Ultima Parte
d. Curzio Nitoglia
[1] S. Th., I-II, q. 95, a. 4; ivi, q. 105, a. 1; Suppl., q. 37, a. 1, ad 3; I-II, q. 50, a. 1, ad 3.
[2] Per Platone (Repubblica, 544e, 545d, 547c) l’aristocrazia è il governo della virtù e della ragione, realizzato dai saggi o i migliori.
[3] Per Platone (Repubblica, 550c-553a, 553c-555b) l’oligarchia (olìgoi / pochi o ricchi) è fondata sulla ricchezza, guidata dalla cupidigia e dalla viltà di pochi. Il Liberismo settecentesco britannico non ha inventato nulla di nuovo.
[4] Per Platone (Repubblica, VIII, 545a-548d) il thymòs è la volontà o il cuore, designa il coraggio ragionevole in quanto regola l’impulsività sensibile/passionale, il quale è la virtù propria dei guerrieri, i quali debbono saper combattere prima col cervello che con le braccia.
[5] Per Platone (Repubblica, VIII, 555b-558c) la democrazia è in sé una forma degenerata di governo, ossia è il governo del disordine, della licenza, della lotta di classe (Carlo Marx, come i Liberisti, non ha inventato nulla…). L’uomo democratico è l’uomo dell’illogicità e dell’immoralità (558c-562a). Per Aristotele (Politica, III, 11-13; IV, 4) la democrazia è l’ingovernabilità, come buon senso vorrebbe, ma il “politicamente corretto” proibisce di dire. La democrazia (per gli antichi e per gli scolastici aveva già di per sé una valenza negativa – la quale può degenerare in demagogia[5].
[6] VIII Etica, cap. 10, lezione 10; si può leggere con profitto Pedro de Rybadeneira, Il Principe cristiano, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2018, che è la confutazione del Principe di Nicolò Machiiavelli, alla luce della filosofia tomistica e della Rivelazione divina.