Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto come San Paolo (Rom., IX, 1-29) ha dimostrato 1°) che Dio ha permesso l’apostasia della maggior parte d’Israele, manifestando così la Sua giustizia; mentre 2°) solo un “piccolo numero” di Giudei ha accolto il Messia e questo manifesta la Sua misericordia; nel medesimo tempo 3°) la stragrande maggioranza dei Gentili ha abbracciato la fede di Abramo, si è convertita a Cristo, ha rimpiazzato i Giudei increduli ed anche questo terzo punto manifesta la misericordia del Signore.
Nella seconda parte di questo articolo abbiamo spiegato che l’Apostolo dei Gentili, (Rom., IX, 30 - 33; X, 1-21), ha mostrato la responsabilità e la colpevolezza dei Giudei increduli, che hanno rifiutato il Messia Gesù di Nazareth, la quale colpa fa risaltare la giustizia di Dio, che li ha riprovati.
Infine durante tutto il capitolo XI (1-36) dell’Epistola ai Romani (che affrontiamo in questa terza parte, solo sino al versetto 24) San Paolo mostra come a) Dio sia stato non solo giusto verso i molti Giudei increduli, ma anche misericordioso verso i pochi Giudei che hanno creduto e b) sarà misericordiosissimo, prima della fine del mondo, accogliendo la maggior parte d’Israele (vv. 25-32) che tornerà a Cristo (ma questo punto lo vedremo nella prossima parte di questo articolo).
Dal versetto 1 al versetto 10 dell’XI capitolo l’Apostolo spiega che Dio nonostante la giustizia usata nella riprovazione dell’incredulità d’Israele, non ha cessato di essere pure misericordioso verso il popolo una volta eletto, poiché un “piccolo resto” d’Israele si è convertito a Cristo. Inoltre questa caduta e riprovazione d’Israele ha permesso - grazie all’infinita misericordia divina - l’entrata dei Gentili nella Chiesa del Nuovo Testamento (vv. 11-24), ed infine attorno alla Parusia anche Israele in massa si convertirà (vv. 25-32).
Misericordia Di Dio Riguardo Ai Pochi Giudei Convertitisi Durante L’Avvento Di Cristo (Rom., XI, 1-10)
Aprendo il capitolo XI, innanzitutto, l’Apostolo (Rom., XI, 1) ci tiene a specificare che Dio non ha rigettato lontano da Sé tutto Israele senza alcuna eccezione. No! Certamente non si tratta di una riprovazione totale ed eterna, infatti il Signore ha scelto i Suoi Apostoli tra i Giudei (fra i quali vi è San Paolo medesimo: “Io pure sono Israelita, del seme di Abramo, della tribù di Beniamino”), per cui pochi Israeliti si sono mantenuti fedeli a Dio, ma proprio essi sono stati inviati da Gesù a predicare il Vangelo ai Pagani.
Inoltre Dio non ha rigettato tutto il popolo che aveva scelto ai tempi di Abramo come suo prediletto, per la sua pura misericordia, senza alcun merito precedente da parte di esso. Perciò non solo San Paolo, ma anche altri Israeliti (12 Apostoli, 120 Discepoli, 5 mila e 3 mila battezzati attorno al dì della Pentecoste …) si son convertiti a Cristo per la pura misericordia di Dio.
Dio da tutta l’eternità aveva “pre/visto” coloro che sarebbero restati fedeli a Lui e che non sarebbero dunque stati rigettati. L’Apostolo cita la storia del profeta Elia, per dimostrare scritturisticamente la sua asserzione. Infatti al tempo di Elia (III Re, XIX, 10-18) sembrava anche allo stesso profeta che tutti avessero apostatato da Jaweh e che egli fosse rimasto solo ad adorarLo, ma Dio gli rivelò che si era riservato un “piccolo numero” di fedeli. Così, deduce l’Apostolo, anche ora benché sembri che tutto Israele abbia apostatato e sia stato riprovato, alcuni (anche se relativamente pochi rispetto ai molti che hanno rinnegato il Messia) Israeliti saranno salvati.
Infatti il Signore rivelò ad Elia: “Mi sono riservato 7 mila Israeliti fedeli al Dio unico, che non hanno adorato Baal”, 7 mila rappresenta un numero pieno e perfetto, che indica una certa quantità piccola per rapporto a coloro che apostatarono, ma non disprezzabile in se stessa (v. 4).
San Paolo passa, quindi, ad applicare quello che successe ai tempi di Elia alla sua epoca e scrive che come allora “un resto” del popolo rimase fedele a Dio; allo stesso modo anche ora, nonostante l’infedeltà della maggior parte d’Israele “quelli che furono riservati o scelti secondo l’elezione della grazia sono stati salvati” (v. 5). Ciò è avvenuto per pura e gratuita misericordia divina, senza meriti precedenti da parte degli uomini, che non possono dunque glorificarsi della loro elezione, come l’Israele antico non avrebbe dovuto gloriarsi di essere stato scelto da Jaweh ed invece si inorgoglì di sé stesso e cadde miseramente.
Al versetto 6 l’Apostolo scrive che i Giudei credevano di potersi salvare solo con l’osservanza esteriore della legge, senza convertirsi interiormente e cambiare vita; invece lo stato di grazia santificante lo si consegue per dono gratuito di Dio al quale bisogna corrispondere liberamente e non mediante i soli sforzi puramente naturali dell’uomo. Quindi, se coloro che hanno raggiunto la santificazione o giustificazione, l’hanno ottenuta per misericordia e per dono gratuito; allora significa che non vi sono arrivati per i loro meriti e per i loro sforzi naturali, altrimenti la grazia divina non sarebbe più soprannaturalmente gratuita, ma sarebbe dovuta allo sforzo naturale.
San Paolo espone qui il principio teologico secondo cui l’elezione e la giustificazione dell’uomo da parte di Dio avviene per grazia, ossia per Suo dono gratuito e soprannaturale; mentre il merito umano presuppone per giustizia un diritto alla ricompensa. Quindi la grazia non è dovuta alla natura umana, ma è data gratuitamente da Dio ad essa: “Coloro che furono scelti secondo l’elezione della grazia sono stati salvati, e se sono stati salvati per grazia non lo sono per i meriti delle opere naturali umane” (v. 5).
Per quanto riguarda Israele come popolo, esso non ha conseguito la giustificazione nella sua grande maggioranza, poiché la cercava tramite i meriti delle opere puramente umane e naturali; invece un “piccolo resto” d’Israele per grazia di Dio ha ottenuto la santificazione mediante la fede nel Messia Gesù di Nazareth, che l’Israele infedele aveva ripudiato, essendosi accecato da sé, ossia avendo chiuso volontariamente gli occhi per non vedere ed ammettere i miracoli di Cristo, che dimostravano la Sua Divinità e Messianicità (v. 7).
Questo accecamento, non è stato prodotto da Dio, ma è stato voluto dall’Israele incredulo, che si fidava delle sue sole iniziative naturali e umane, al quale Dio ha rifiutato la grazia in séguito alla sua colpa orgogliosamente volontaria e libera. L’accecamento d’Israele era già stato predetto dalla Santa Scrittura (Deut., XXIX, 4; Isaia, XXIX, 10): “In castigo della sua volontaria incredulità, Dio gli ha sottratto il suo aiuto e permise che cadesse in uno spirito di stordimento”. Quindi l’Apostolo spiega che l’Israele o i Giudei di cui parlavano Mosè e Isaia erano la figura dei Giudei infedeli del tempo del Messia Gesù di Nazareth (v. 8).
L’Apostolo, poi, cita David (Sal., LXVIII, 23-24), il quale annunziava, divinamente ispirato, che “i beni i quali erano stati dati da Dio a vantaggio d’Israele, sarebbero stati utilizzati da esso per la sua rovina”. Infatti la legge e la Scrittura divennero per gli Israeliti una trappola o un laccio, quando le utilizzarono malamente per rigettare il Messia (v. 9).
Misericordia Divina Per I Molti Pagani Convertiti Dagli Apostoli (XI, 11-24)
Dal versetto 11 al 15 San Paolo passa a dimostrare che la riprovazione d’Israele non solo non è totale, ma non è che temporanea. Tuttavia, se Dio non ha rigettato totalmente il popolo che si era scelto; cosa si dovrà dire riguardo a quelli che ha riprovato a causa della loro incredulità?
Certamente Jaweh, permettendo che Israele nella sua maggioranza inciampasse nella “Pietra d’angolo” (che è Gesù Cristo), non volle far cadere tutti i Giudei senza dar loro nessuna speranza di conversione futura. Infatti la loro colpa d’incredulità nei confronti del Messia è stata occasione della conversione e della salvezza dei Gentili, poiché il Vangelo doveva essere predicato prima ai Giudei (Mt., XXI, 43) e questi per primi (cronologicamente e non ontologicamente) avrebbero dovuto entrare nella Chiesa di Cristo e poi nel Regno dei Cieli; però siccome la maggior parte dei Giudei non volle ascoltare la predicazione del Vangelo ed anzi vi si oppose, allora gli Apostoli lo predicarono ai Pagani, i quali si convertirono in massa, rimpiazzando gli Ebrei increduli. Tuttavia il Signore ebbe pure un altro scopo nel permettere la caduta d’Israele e la conversione dei Pagani: volle, cioè, provocare a gelosia i Giudei increduli e spingerli ad accogliere il Messia Gesù Cristo, vedendo che le promesse fatte ai Patriarchi erano state sottratte ad essi e trasferite ai Gentili (v. 11).
Al versetto 12 l’Apostolo dimostra - con una breve anticipazione di ciò che tratterà dal versetto 25 sino al 32 - che la futura conversione dei Giudei a Cristo apporterà al mondo molte benedizioni; infatti, se il loro peccato d’incredulità - con la conseguente riprovazione da parte di Dio - fu occasione della conversione dei Pagani, quanto maggiore vantaggio porterà al mondo intero la loro conversione in massa, che avverrà attorno alla Parusia? Quindi non bisogna disperare quanto alla sorte d’Israele.
Benché San Paolo sia l’Apostolo delle Genti, egli si occupa anche dei Giudei, ossia dei pochi che hanno accettato Cristo, dei molti che Lo hanno rifiutato e sono stati abbandonati da Dio ed infine di quelli che si convertiranno alla fine del mondo. San Paolo ancora durante il suo apostolato ha cercato di convertire i Giudei alla fede, anche se era stato inviato alle Genti e qui si cimenta nel dare consigli ai Pagani affinché non impediscano, col loro comportamento, la conversione degli Ebrei (v. 13). Infatti San Paolo, con la sua predicazione, fece entrare molti Pagani nella Chiesa di Cristo, ma non rinunciò ad un altro suo grande scopo, che era quello di lavorare anche alla conversione dei Giudei, provocandoli ad emulare i Pagani convertiti, nella speranza che alcuni di loro si salvassero, non essendo ancora venuto il tempo della loro conversione in massa attorno alla fine del mondo, di cui parlerà esplicitamente dal versetto 25 al 32 (v. 14).
Per cui, se la loro riprovazione o esclusione dal Regno di Dio, a causa della loro incredulità, è stata occasione della riconciliazione dei Pagni con Dio; allora la loro conversione apporterà tanti beni e tanti doni, come se fosse una risurrezione dalla morte alla vita (v. 15). A partire da quest’ultima frase alcuni Padri hanno dedotto che la conversione in massa d’Israele sarà il segno dell’avvicinarsi della “risurrezione dei morti e del giudizio finale”, ossia la fine del mondo.
Ci si può domandare su cosa San Paolo si appoggi per avere questa ferma speranza sulla conversione dei Giudei. Innanzitutto sull’ispirazione divina, che ha rivelato all’Apostolo questo arcano. In secondo luogo egli si basa sull’insegnamento della S. Scrittura. Infatti i Giudei hanno una relazione tutta particolare con i Patriarchi, coi quali Dio strinse la Vecchia Alleanza. Ora, se le primizie (i Patriarchi) sono sante e i Patriarchi lo furono, allora i rami che derivano (anche se solo carnalmente) da queste primizie partecipano in un certo qual modo della natura delle radici e del tronco; ma la santità dei Giudei figli carnali di Abramo, Isacco e Giacobbe era solo esterna e legale, il che non li giustificava, però essa può essere una certa disposizione alla futura conversione ottenuta soprattutto per la grazia divina (v. 16).
Eccoci giunti ai consigli che San Paolo dà ai Pagani affinché non intralcino la conversione dei Giudei a Cristo: “Se tu, o Pagano, che sei un olivastro selvatico, sei stato innestato al posto di alcuni rami svelti (Giudei infedeli) dal tronco dell’olivo fruttifero (Patriarchi) e sei stato fatto partecipe della radice e della linfa di esso (Patriarchi); non voler vantarti contro quei rami svelti (Giudei increduli). Infatti non sei tu a portare la radice (Patriarchi), ma è la radice che ora porta te” (vv. 17-18).
San Paolo ha appena insegnato che anche i Giudei, in ragione della loro discendenza dai Patriarchi, possono ancora essere chiamati ad entrare nel regno di Dio, se accettano la fede in Cristo e si convertono. Ora esorta i Pagani a non inorgoglirsi della loro chiamata e a non disprezzare i Giudei che son caduti: “Chi pensa di stare in piedi, faccia attenzione a non cadere!”.
Egli, per far capire meglio questo mistero, disegna un magnifico quadro, in cui paragona la Chiesa di Dio del Vecchio e del Nuovo Testamento ad un albero di ulivo fruttifero, il cui seme fu gettato durante la promessa del Redentore fatta da Dio ad Adamo dopo il peccato originale; le radici furono i Santi Patriarchi; i Giudei il tronco e i rami. I Pagani sono rappresentati dai rami di un ulivo selvatico, che di per sé non è fruttifero. Tuttavia alcuni rami furono staccati dall’ulivo fruttifero: i Giudei increduli, che per la loro infedeltà furono riprovati da Dio e separati dalla promessa fatta ai loro antenati: i Patriarchi. Ora il Pagano, che è come un olivastro non fruttifero o selvatico, è stato innestato da Dio nella radice dell’ulivo fruttifero, ossia nella fede di Abramo nel Messia venturo, al posto dei rami recisi (Giudei increduli), ma senza alcun proprio merito precedente e per sola misericordia divina; allora, tu Pagano, non volerti vantare contro i Giudei increduli, ossia i rami svelti. Infatti prima tu, o Pagano, eri fuori dell’Alleanza stretta da Dio con i Patriarchi. Quindi non hai nessun motivo d’inorgoglirti contro i rami naturali, che sono stati svelti per loro disgrazia, poiché tu non eri stato chiamato all’Antica Alleanza con Dio, mentre i Giudei sì. Tu sei stato innestato sulla radice dei Patriarchi e partecipi della vita di essi (v. 18). Perciò non voler gloriarti, dicendo: “Dio ha permesso la colpa dei Giudei, affinché i Gentili fossero innestati al posto loro sul vero olivo fruttifero e ciò prova che ora Dio ama più i Gentili che i Giudei” (v. 19).
San Paolo risponde che in parte ciò è vero, infatti è la pura constatazione di un fatto: Dio ha permesso la caduta dei Giudei ed essa è stata l’occasione dell’entrata dei Pagani nella Nuova Alleanza con Dio, ma - d’altra parte - i Giudei furono divelti dall’ulivo fruttifero a causa della loro incredulità nel Messia; invece i Pagani, che erano un olivastro selvatico sono stati innestati sull’olivo fruttifero perché hanno creduto al Vangelo, che è stato loro predicato dagli Apostoli, ossia il “piccolo resto” dell’Israele fedele. Siccome la fede è un dono puramente gratuito e soprannaturale di Dio e si può perdere - come è successo ai Giudei increduli - per mancanza di umiltà, se ci si glorifica di sé stessi, i Gentili devono far attenzione a non insuperbirsi per non cadere anche essi nell’infedeltà, ma debbono temere di poter venir meno come tutti gli uomini (v. 20).
Infatti (v. 21) è più facile strappare dalla radice dell’albero (Patriarchi) i rami che sono stati innestati (Pagani) che non quelli i quali erano naturalmente uniti ad esso (Giudei). Perciò, se i Pagani non sentono umilmente di sé, potrebbero essere svelti anche loro.
Per raccomandare sempre maggiormente l’umiltà e la diffidenza di sé, l’Apostolo, invita ora i Gentili a considerare profondamente i due aspetti della condotta di Dio verso i Giudei e i Pagani. Il Signore ha mostrato 1°) la Sua bontà e misericordia verso i Pagani, avendoli chiamati senza alcun loro precedente merito alla grazia e alla fede; 2°) la Sua giustizia e severità verso i Giudei, i quali urtarono contro la “Pietra d’inciampo”, che è Gesù e non vollero accettarLo come Messia. Perciò, se i Pagani continueranno a perseverare nell’umile professione della fede, che è un dono gratuito di Dio, allora Dio continuerà ad essere misericordioso verso di loro; altrimenti se non resteranno umili, anche essi saranno svelti e rigettati, proprio come è successo ai Giudei increduli (v. 22).
Al contrario, come se i Pagani saranno infedeli alla grazia saranno recisi; così i Giudei, se non resteranno nell’incredulità, saranno di nuovo innestati sull’albero fruttifero (v. 23).
Se Dio ha innestato i Gentili sul tronco dei Patriarchi d’Israele, col quale non avevano nessuna affinità non essendo loro figli, molto più facilmente potrà innestarvi di nuovo anche i Giudei, che per natura sono figli dei Patriarchi (v. 24).
Nella prossima parte vedremo il mistero della futura conversione in massa di Israele a Cristo, che avverrà attorno alla fine del mondo (Rom., XI, 25-32).
d. Curzio Nitoglia
Fine della Terza Parte
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