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Mal di quorum e altre patologie, ovvero: Silvio lascia
14 Giugno 2011
Non saranno le truppe cammellate del pretoriano Scilipoti a salvare il Governo. Ma non saranno i referendum a resuscitare il Centro-sinistra. A Napoli come a Milano non ha vinto la politica, ma l’antipolitica. Ha vinto la pancia, la nausea, il vomito per un sistema politco bipartisan, in cui maggioranza e opposizione hanno ex equo condiviso lo sfascio d’Italia. È una vittoria populista quelle che esce dalle urne, una vittoria giustizialista che invoca il ricambio dell’intera classe politica, che chiede risposte concrete a problemi concreti, che non ne può più dell’ammuina di un Ventennio (o quasi) in cui nessuna delle parti è stata capace di fare altro che dare scacco all’avversario, ma senza chiudere mai davvero un solo problema che l’architettura costituzionale, istituzionale, economica e politica della cosiddetta prima repubblica (che mai, né costituzionalmente, né istituzionalmente, né economicamente, né politicamente, è diventata seconda) ci hanno consegnato.
Non è la strategia politica del PD ad avere arrestato quella che solo un anno fa sembrava l’inarrestabile marcia trionfale del Cavaliere: è stato anzitutto il suo insaziabile peccato di lussuria ad averlo trascinato nel fango della propria disfatta ed ad avergli accecato la vista, al punto di non permettergli di accorgersi che, mentre lui stipendiava le sue starlette a colpi di 5.000 euro a serata, la gente perdeva il lavoro, le fabbriche chiudevano e la gente comune arrivava a stento alla terza settimana. Nella battaglia contro i giudici, se fosse stato un Cavaliere senza macchia e senza paura, che mentre combatteva per sé dava anche risposta ai problemi degli altri, avrebbe trovato ancora forze pronte a sostenerlo contro le ingiustizie di un sistema giudiziario che a molti appare dominato da una casta, non meno privilegiata, potente e intoccabile di quella che siede in Parlamento o di molte altre che ammorbano la vita dei cittadini comuni. Ma ora non può più. Non faccio il moralista, parlo politicamente.
Pazienza la D’Addario, ma le orge di palazzo mentre la gente perde il lavoro, questo è apparso intollerabile. E pazienza se fosse almeno apparso come un supermacho impenitente, che ad onta degli anni e pur con qualche aiutino non disdegnava, tra un impegno e l’altro, qualche distrazione rivitalizzante. Ma è venuto fuori il basso impero. E allora tutta l’incredulità, la tolleranza, la comprensione, la benevola invidia sono riemerse tramutate in odio, livore, disprezzo, vomito appunto.
L’immagine è stata quella di una lussuria decadente e bavosa, da chiappe flosce (per dirla con la Minetti) e strumento moscio, da sensali e maitresse, in una specie di voyeurismo perverso in cui l’icona stessa del potere mostra oramai l’impotenza più umiliante ed in cui lo sguardo fiammante di una marocchina nemmeno diciottenne ha svelato a noi, prima che a lui, il destino inarrestabile della nostra stanca, vecchia, decadente, sterile società. Sì, perché su questo è bene chiarirsi: Lele Mora ed Emilio Fede non sono i vecchi depravati sporcaccioni delle laide serate di Arcore. Sono icona e immagine di una società in cui a migliaia vecchi e vecchi giovani si strusciano nei privè degli strip club e fanno carne di porco con ragazze altrettanto belle, altrettanto disponibili, altrettanto intristite, altrettanto sole di quelle che per cinquemila euro a serata hanno allietato le serate di Arcore. Ecco perché quell’odio, quel livore, quel disprezzo, quel vomito appunto hanno l’odore acre del fariseismo. Ed ecco perché il sentimento di risentimento che oggi sale verso il Palazzo porta in sé forse una filosofia politica apparentemente diversa, ma una filosofia della prassi che altro non è che un berlusconismo in dodicesimo, la stessa che 24 ore prima del trionfo referendario sfilava lungo le vie di Roma nell’Euro Pride e celebrava con la sacerdotessa Lady Gaga la versione pop, moderna, colorata, multisex delle medesime depravazioni che l’attempato Cavaliere si ostina a rappresentare col datato copione del Bagaglino.
Perché ora che l’orgia elettorale è finita occorrerà vedere davvero chi sono i soggetti che sembrano i protagonisti dell’evento, dove stanno e chi sono gli uomini nuovi: a Napoli i napoletani potranno mai trasmutarsi ed angelicarsi nella contemplazione di De Magistris? Forse che i romani, sotto l’augusto Alemanno, hanno acquisito doti civiche tali da rendere la Città eterna un paradiso terrestre o a Corviale e Tor bella monaca il panorama e la vita continuano ad essere quelli di una squallida periferia?
Intendo dire anzitutto che se non c’è riforma dello Spirito, non c’è riforma dell’uomo e quindi della politica. E nel contingente intendo dire che le due sberle al Governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti non sono altro che l’erompere dell’antipolitica da sinistra, non la ricomposizione politica di una protesta che trova innanzi a sé una progettualità capace di incanalarla e ordinarla ad un fine. E come potrebbe se manca un’idea di verità dell’uomo e del suo Bene?
È protesta allo stato puro, una voglia di cambiare il mondo che parte dalle sparate tribunizie e giustizialiste di Di pietro, si nutre delle suggestioni alternative della sinistra in parte extraparlamentare, della straordinaria capacità evocativa della vecchia squadra di Telekabul, della multiforme e incontrollata e incontrollabile anarchia della rete, delle suggestioni antipartitiche di Grillo e del profetismo riverniciato del ragazzo della via Gluck. Come sta insieme tutto questo?
Con un collante formidabile, che si chiama Silvio Berlusconi. Nella basic-politik il binomio amico-nemico è infallibile. Muove gli istinti, impedisce di vedere, di pensare, di valutare, di ragionare: che importa se in 60 anni di municipalizzate nessuno gli acquedotti li ha riparati? Come potranno le dissestate finanze pubbliche fare oggi ciò che non si è fatto in tempi di vacche grasse? Chi spegnerà anche solo una luce per rinunciare al nucleare? Il popolo della notte vivrà alla luce di qualche candela e al suono di una chitarra acustica, o sabato sera, già sabato sera, chiederà energia per i locali in cui attenderà tra cocktail, pasticche, alcool e malinconia l’alba del giorno dopo? Nella basic-politik tutto questo non conta, perché non conta il tempo, ma l’effimero oggi. E oggi il nemico è battuto.
Non ha vinto la politica, ma l’antipolitica: paradossalmente è ancora Berlusconi ad avere vinto, con le facce dei nuovi tribuni della plebe, che vogliono la sua testa, la sua poltrona, il suo portafoglio. Non è il PD ad avere vinto, non è il grigio, prudente Bersani che può cantare vittoria. Non è stata la politica ragionata ad avere travolto le difese del Cavaliere. Sono stati suoi vizi ed i suoi viziosi emuli della parte opposta. Non è stato il sentimento a vincere, ma il risentimento, non il pensiero, ma i sensi.
C’è una furia giustizialista che arde i vincitori di oggi e li acceca, proprio come le ossessioni del Cavaliere hanno accecato lui, incapace di vedere altro che giudici e complotti (pure reali) pronti a volerlo eliminare. Questa ubriacatura impedirà di affrontare i problemi reali e precipiterà la nazione all’interno del gorgo che rischia di annientarla: la demagogia aggraverà una situazione già precarissima e – con buona pace di Tremonti – si cercherà di sfamare la fame di giustizia col veleno della seduzione del popolo. Peccato che il populismo abbia sempre un esito tecnocratico e sia la via maestra per consegnare un Paese stremato alle cure interessate dei poteri forti.
Per questo Berlusconi può, dopo avere illuso i suoi, fare quell’atto rivoluzionario che almeno lo riabiliterebbe di fronte a se stesso: lasciare e consegnarsi ai propri giudici, senza farsi vendere per meno di quello con cui ha pagato una delle proprie ragazze da uno Scilipoti qualsiasi ed aprire prospettive diverse non solo per il Centro-Destra a guida Tremonti, ma per l’intera politica italiana. Perché la sua scomparsa manderebbe in frantumi, svelandone tutta l’inconsistenza, la maschera effimera dei suoi emuli poveri e forse impedirà che l’Italia cada in mano ai seguaci di Lady Gaga, Pisapia, De Magistris, Beppe Grillo e Celentano.
Il Bagaglino rimasterizzato in chiave pop ci costerebbe carissimo: molto più delle ragazze dell’Olgettina. E almeno quelle Berlusconi se le pagava coi soldi suoi.
Domenico Savino
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