Gli schiavi che nessuno ricorda
06 Novembre 2008
Nel luglio 1641 Cromwell, stroncata la rivolta irlandese, era a Dublino. Il suo scopo: diffondere la democrazia e la fede protestante, nonchè pagare i soldati e gli azionisti della società «Adventurers for Land in Ireland», che l’aveva finanziato
(1).
La soluzione fu presto trovata: creare latofondi da vendere ai ricchi inglesi. Le nuova «plantations» furono facilmente ottenute recintando i pascoli comuni, che gli irlandesi usavano da secoli.
Restava il problema: cosa fare della molesta, affamata e insubordinata popolazione papista, che ostacolava la privatizzazione.
Nel 1652, Cromwell ordinò che tutti gli irlandesi fossero deportati nell’area ad occidente di Shannon; gli irlandesi resistettero, essendo l’area arida e inabitabile; furono puniti in altro modo.
«Coloro che mancano di trapiantarsi a Connaught o nel (la contea) di Clare», si legge in un decreto britannico, «entro sei mesi, saranno convinti di alto tradimento... E spediti in America o in altre parti oltremare». Coloro che tentassero di tornare «soffrano la pena di morte come traditori in base a questa legge, senza beneficio di clero», ossia senza i conforti religiosi.
I soldati di Cromwell furono lesti a vedere il lato lucrativo dell’affare: alla morte del dittatore, almeno 100 mila irlandesi, donne e bambini compresi, catturati per rifiuto di deportazione, erano stati venduti nelle Indie Orientali, in Virginia e nel New England, o in Bardados e in Giamaica a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.
In realtà, il commercio degli schiavi bianchi era cominciato anche prima. La prima vendita di irlandesi, in una piantagione del Rio delle Amazzoni, risale al 1612: fu il re Giacomo primo ad incoraggiare lo spopolamento dell’isola papista in questo modo utile al commercio.
Nel 1625, il re emise un proclama che sanciva il trasporto di tutti i ribelli irlandesi nelle piantagioni delle Indie Orientali; secondo un censimento del 1637, il 69% degli abitanti di Monsarrat nelle Indie Orientali era formato da schiavi irlandesi. Ma fu Cromwell a dare al business una dimensione industriale.
Gli schiavi bianchi cattolici avevano la tendenza a morire nel clima tropicale, e ad essi finirono per essere preferiti gli schiavi africani. Ma gli africani dovevano essere comprati, e dunque costavano; gli irlandesi erano gratis - arrestati come «ribelli», «terroristi», «insubordinati» o «delinquenti», le scuse non mancano mai al libero commercio britannico - e quindi rimasero i preferiti per un paio di secoli.
Ancora nel 1742, in un documento intitolato «Thurloe’s State Papers» e pubblicato a Londra, si legge che la deportazione di massa «E’ stata una misura benefica per l’Irlanda, che è stata così alleviata da una popolazione che poteva provocare disordini con i piantatori; benefica per la gente rimossa, che poteva così essere resa inglese e cristiana... E un grande beneficio per i piantatori di zucchero delle Indie Orientali, che desideravano uomini e ragazzi come servi («bondsmen», servi della gleba), e le donne e fanciulle irlandesi come loro sollazzo».
Molti, imbarcati a forza, non videro mai più la terra. V’è almeno un caso in cui, non bastando le razioni di cibo, la ciurma britannica gettò in mare 132 bocche da sfamare irlandesi. Il fatto è noto perchè ne nacque una vertenza assicurativa: risultò che l’annegamento di massa era stato scelto in quanto poteva passare come un sinistro (perdita del carico) che l’assicurazione avrebbe rifuso, mentre non pagava niente per gli schiavi che morivano a bordo, sia di fame sia di percosse. Il tasso di mortalità delle navi schiaviste andava dal 37% al 50%.
Quelli che sopravvivevano, al momento dello sbarco venivano ispezionati come bestiame, esattamente come gli africani. Ma siccome i papisti erano di pelle bianca e potevano essere confusi con la razza padronale, li si marchiava a fuoco con le iniziali del proprietario: le donne sulle braccia, i maschi sulle natiche. Le donne più graziose i proprietari le tenevano come loro oggetti sessuali, o le rinvendevano ai bordelli. Ai sorveglianti neri o mulatti delle piantagioni restavano le meno piacenti: essi costringevano spesso le schiave a lavorare spogliate, e le «usavano sessualmente».
Gli schiavi bianchi erano alloggiati nelle stesse baracche degli africani, in completa promiscuità; ma siccome gli africani erano più costosi (50 sterline in media), venivano trattati relativamente meglio - la loro perdita costuituiva un danno monetario - degli irlandesi, valutati mediamente 5 sterline.
Questi erano assoggettati, per qualunque minima mancanza, alla frusta e ad una tipica tortura: appesi per i pollici ad un albero in modo che i piedi non toccassero terra, e i piedi avvolti in paglia che veniva poi incendiata.
«Veramente ho visto una tale crudeltà usata ai servi, che non credevo un cristiano potesse fare a un altro», scrisse Richard Ligon, un cronista locale, nella sua «True and Exact Story of Barbadoes», Londra 1657 (ristampato nel 1976).
Poichè non sopravvivano bene nelle piantagioni e (al contrario degli africani) sapevano leggere e scrivere, molti schiavi irlandesi finirono per essere impiegati come domestici, e persino come insegnanti e contabili. Ma ciò non alleviò loro le punizioni tipiche: erano trattati dalle padrone di casa con la frusta e il bastone; non si faceva particolare attenzione alla perdita per percosse di uno schiavo bianco, così economico.
In casa, i padroni maschi trovarono un modo di guadagno aggiuntivo e piacevole nell’ingravidare le schiave irlandesi (anche bambine di 12 anni): la prole che nasceva manteneva la condizione di schiavo, e aumentava la forza-lavoro del padrone, gratuitamente. Accadeva che ad una irlandese fosse restituita la libertà, ma i suoi figli restavano schiavi col padrone.
Col tempo, fu trovato un modo migliore per far fruttificare la fertilità irlandese: le ragazze cominciarono ad essere accoppiate con gli schiavi africani. Con ciò si ottenevano schiavi mulatti, più pregiati, che spuntavano sul libero mercato prezzi migliori dei macilenti papisti bianchi; in più, i piantatori risparmiavano denaro contante con questa prole colorata, perchè ogni nuovo mulatto evitava loro la necessità di comprare uno schiavo negro
(2). Questa pratica divenne così diffusa, che nel 1681 fu necessario vietarla per legge.
«E’ proibito accoppiare schiave irlandesi con schiavi africani allo scopo di produrre schiavi da vendere», diceva la legge, perchè ciò danneggia la profittabilità della Royal African Company, la compagnia di navigazione specializzata nel trasporto di schiavi dall’Africa.
Gli accoppiamenti producevano un «vantaggio competitivo» locale, che la Corona giudicò indebito secondo la dottrina liberista di Adam Smith, e sleale a danno della compagnia.
Nel decennio 1680-90, la Royal African Company aveva operato 249 carichi di schiavi, consegnando ai piantatori 60 mila schiavi negri irlandesi. Il commercio non era così lucroso come si può pensare, lamentava la compagnia, per la gran quantità di sfridi e scarti: di quei 60 mila, almeno 14 mila erano morti durante il trasporto marittimo.
Il traffico di schiavi irlandesi cominciò a calare dal 1691; ma conobbe una travolgente ripresa nel 1798, quando gli sconfitti e catturati della Ribellione Irlandese furono presi a migliaia e spediti in America e in Australia per esservi venduti come «lavoratori forzati». Molti, erano schiavi a termine, che riavevano la libertà dopo dieci anni. Nessuno di loro tornò in Irlanda a raccontare la storia.
Nel 1688, nel celebre processo alle streghe di Salem, Massachusetts, fra le accusate risultò una vecchia rlandese di nome Anne Glover, che era stata catturata e venduta come schiava nel 1650. Anne non parlava inglese; ma ricordava, e lo recitò, il Padre Nostro in gaelico e in latino. Il gudice, Cotton Mather, famoso politico e ministro puritano, molto esperto in stregoneria, riconobbe nel gaelico la lingua parlata dal diavolo; la prova gli fu sufficiente per far impiccare la vecchia
(3).
«Se si osserva la storia degli Stati Uniti, si constata che il razzismo non è affatto un piccolo difetto della democrazia bianca; ne è il fondamento. Fin dall’inizio i coloni inglesi non davano grande importanza al valore dell’eguaglianza, nè in famiglia nè fuori. Ciò che ha permesso di assimilare degli europei di origine diversa, è la fissazione della differenza sugli indiani e sui neri. Nell’America jacksoniana, il presidente è un eroe delle guerre contro gli indiani. Il razzismo è stato il motore dell’emergenza democratica. Oggi, si assiste all’avvento di una plutocrazia irresponsabile: la crescita delle ineguaglianze costituisce la dinamica fondamentale della società americana. L’America cessa di essere democratica in senso economico. Il razzismo è in ribasso, ma la democrazia è malata. Marcisce sotto i nostri occhi».
Emmanuel Todd, storico e sociologo francese
(4)
1) John P. Prendergast, «The Cromwellian Settlement of Ireland», Dublino, 1865.
2) Sean O'Callaghan, «To Hell or Barbados: The Ethnic Cleansing of Ireland», (Dingle, Ireland: Brandon, 2001).
3) Cotton Mather, «Memorable Providences, Relating To Witchcrafts And Possessions» (1689).
4) Emmanuel Todd, «Les Américains ont réalisé la plus grande escroquerie financière de l’histoire de l’humanité» , La Tribune de Genève, 1 novembre 2008. La «democrazia jacksoniana» si riferisce all’ideologia del Partito Democratico USA, fondato da Andrew Jackson, settimo presidente (1767-1845): che estese il diritto di voto ai maschi bianchi adulti anche se non proprietari terrieri. Jackson divenne popolare per lo sterminio degli indiani Seminole attraverso l’incendio dei villaggi e dei loro campi. Come le forze armate d’oggi inseguono i «terroristi» violando i confini di Pakistan e Siria, Jackson proclamò, ed esercitò, il diritto americano di inseguire i Seminole fuggiaschi nel territorio della Florida, che apparteneva alla Spagna. Ciò creò un incidente internazionale. A difendere la violazione di Jackson fu l’allora segretario di Stato, John Quincy Adams. Alla Spagna che aveva chiesto un’adeguata punizione del generale, Adams replicò: «La Spagna deve immediatamente decidere se piazzare in Florida forze adeguate alla protezione del proprio territorio... o cedere agli Stati Uniti una provincia di cui non ha nient’altro che il possesso nominale, e che è un luogo di molestie per essi». Jackson aveva occupato già di fatto la Florida; la Spagna dovette cederla formalmente; Jackson divenne il primo governatore dello Stato.
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