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Crepuscolo degli dei?
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Non sapete dove mettere i vostri risparmi per salvarli dalla bufera? Non siete i soli. Anche George Soros, il genio della finanza, non sa bene come investire. Ha ordinato al suo fondo speculativo principale, il Quantum Fund, di vendere quasi tutto: ora, dei 25 miliardi di dollari che gestisce, il Fund ne tiene liquidi il 75%, ossia 19 miliardi.

Siccome Soros ha fama di uno che capisce le cose prima, che anticipa l’aria che tira, e molti nell’ambiente della speculazione imitano le sue mosse, si è sparsa la voce che anche questa sia una strategia, che ci sia dietro una ragione astuta.

Soros «prevede un cigno nero», ossia un evento catastrofico e raro che lui sta sentendo arrivare, ha scritto un blog finanziario. Quanto al Sole 24 Ore, ha scritto che Soros tiene tutta questa liquidità «pronta ad essere investita da qualche parte, appena si riuscirà a capire dove». E tutti a cercare di indovinare dove Soros investirà (anche Soros resta liquido).

Ma Soros sembra aver perso la sua bussola magica, o i suoi suggeritori celesti (o inferi). La sua decisione di tenersi liquido (di fatto, ritirarsi dal gioco), l’ha presa dopo che il Quantum Fund ha preso una batosta molto brutta, perdendo -6% ad inizio anno, uno dei peggiori risultati tra gli hedge funds, e il suo bilancio è attualmente in rosso. Soros è anche quello che a maggio ha smobilitato tutti i suoi investimenti in oro, da lui definito «lestrema bolla», prevedendone il crollo imminente...

«Trovo la presente situazione parecchio confusa e molto meno prevedibile di quanto fosse nel pieno della crisi finanziaria (del 2008-2009)», aveva confessato.

Incredibile: l’uomo celebre per la sua supposta capacità di navigare nelle tempeste finanziarie, anzi di approfittare della confusione e dell’imprevedibilità, a cui attribuivamo un epico gusto del rischio, ora si mostra incerto, e timoroso di rischiare.

E che dire di Goldman Sachs? Gli dèi immortali della speculazione. Quelli che, mentre dèi minori cadevano e morivano, accumulavano profitti (e bonus) da favola con astuzie sottilissime o brutali, generalmente discutibili o anche da codice penale, ma sempre vincenti. Ebbene: ha accusato perdite notevoli nel secondo trimestre, le sue commissioni per il trading (spaccio) di debito, divise e materie prime sono scese del 63%; Goldman ha perso soldi sui crediti ipotecari e sulle carte di credito, ha persino perso su oro e argento: in breve, ha fatto peggio dei suoi concorrenti Morgan, Chase, Citigroup e Bank of America.

Di colpo, gli arroganti navigatori intrepidi nelle tempeste monetarie e debitorie sono diventati paurosi come vecchiette pensionate che temono lo scippo del loro libretto di risparmio postale; il secondo trimestre, Goldman ha ridotto le prese di rischio al più basso livello dal 2006. Proprio questo ha ridotto i suoi profitti, e parecchio: del 53% rispetto all’anno prima. Tanto che, per risparmiare, ha annunciato il licenziamento di mille dipendenti (su 35 mila).

A quanto pare, sono tanti i centri speculativi fino a ieri spericolati ad essere colti da improvvisi dubbi, tentennamenti, indecisioni.

Scrive Il Sole 24 Ore: «... Anche il Moore Capital, fondato da Louis Bacon, ha perso il 6% nei primi sei mesi del 2011: una sorte comune a quasi tutti i fondi che adattano le loro strategie alle condizioni macroeconomiche. A parte chi opera con gli algoritmi dei sistemi ad alta frequenza, è un potutto il mondo degli investitori a sentirsi addosso il peso del dubbio. Lo si vede tra gli hedge fund, poiché la percentuale di chi ha deciso di assumere meno rischi della media è raddoppiata da maggio a giugno (al 26%). Lo si vede nelle analisi dei grandi broker, che consigliano di alzare il peso (al 10-20%) della liquidità nei portafogli azionari. È il prezzo dellincertezza’», commenta Douglas Cliggott del Credit Suisse.

E qual è il motivo di fondo dell’incertezza? Lo ha spiegato al Wall Stret Journal proprio il direttore finanziario di Goldman Sachs, David Viniar, stella dell’audacia speculativa fino a ieri: lo smarrimento dei politici, e le loro reazioni disordinate alla crisi, provocano un disordine eccessivo.

Questi esperti del rischio sanno navigare lucrosamente dentro tempeste dove si sviluppano tendenze (al rialzo o al ribasso) come onde costanti, ma oggi la tempesta avviene in un mare «spezzato» (chopped), dove le onde arrivano da tutte le parti. Ed è difficile reggere il timone.

«Troppe cose dipendono da questioni politiche», confessa Viniar, un ambiente «molto duro da analizzare, molto difficile per noi».

David Viniar
   David Viniar
Paradossale, illuminante ammissione. È stata l’alta finanza, coi suoi teorici universitari dell’ultraliberismo, ad espellere la politica dall’economia, bollando ogni velleità in questo senso come statalismo o «socialismo». Il mercato deve agire senza lacci e intromissioni etiche, sociali, nazionali o comunque «qualitative», non misurabili in termini di «quantità» di profitti contabili, perchè il mercato sa meglio dei politici come investire, e dunque crescere e sviluppare.

È stata la finanza a finanziare, promuovere e far vincere leader politici secondo i suoi desideri: gente che ha tagliato le spese sociali (costi improduttivi, secondo la dottrina) privatizzato tutto il privatizzabile, consentito la libera circolazione globale dei capitali (un reato per la politica di una volta, attenta all’interesse nazionale). Classi politiche che, in USA come in Europa, hanno imposto norme monetarie che rendono impossibili gli investimenti a lungo termine nell’economia reale («pianificazione socialista»), in nome del rigore e del pareggio dei conti pubblici, ma che nell’ottobre 2008 hanno sborsato immediatamente 7 mila miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario e bancario. Classi politiche che la finanza ha voluto irresponsabili verso le rispettive società, popoli e lavoratori (o disoccupati), ma incapaci di negare niente alle banche; al punto da farle decidere di salvare le banche anzichè prendere le misure necessarie per stabilizzare l’economia; e da trasferire i colossali debiti e perdite della speculazione privata (creati da giochi d’azzardo fraudolenti e stupidi, come la diffusione dei derivati e dei titoli sub-prime) dai libri contabili delle banche ai bilanci nazionali. Insomma, hanno voluto politici volonterosamente pronti ad abbandonare la loro sovranità (che è poi quella che ricevono dai loro popoli) al mercato, e per conseguenza abbandonare al mercato i loro lavoratori, donne, bambini, malati e disoccupati.

Ed ora, con la voce del capo finanziario di Goldman Sachs, si lagnano che questi politici non sanno prendere le decisioni giuste, che sono incerti e provocano disordine nell’ambiente finanziario stesso, con i loro tentennamenti. Politici che non solo non hanno idee, ma non hanno nessuna autorità per far accettare ai loro popoli le medicine amare richieste dalla finanza (preoccupata delle sue esposizioni a debiti come quello greco, spagnolo, italiano); o che questa autorità – o favore mediatico-sondaggista, che sostituisce la legittimità in regime di mercato – perdono con rapidità prodigiosa, siano Obama che non riesce a farsi obbedire da nessuno, o il premier nipponico Naoto Kan, siano Angela Merkel o Sarkozy o il Berlusconi (questo, con un di più di farsa, superficialità, disonestà e incultura, che ci qualifica come italiani). (Economics Professor: "[We’ll Have] a Never-Ending Depression Unless We Repudiate the Debt, Which Never Should Have Been Extended In The First Place")

Tutta gente che lorsignori hanno fatto eleggere in quanto si proclamavano liberisti assoluti (o europeisti assoluti) che ha evitato accuratamente di mettere redini alla speculazione globale dopo lo scoppio della crisi, come la necessaria legge Glass-Steagal (che vietava alle banche commerciali l’attività speculativa) che pure la politica americana potè ancora fare negli anni ‘30. Gente che ha lasciato crescere il turbinoso spaccio di CDS (assicurazioni contro il rischio di default, truffaldine per natura, in quanto la finanza non è in grado di pagare il risarcimento se il default avviene davveri) titoli subprime, prodotti derivati e strutturati pari – oggi – a 50 volte il prodotto lordo del mondo intero; gente che ha indebitato i propri Stati, regioni o comuni con prodotti derivati, accrescendo il debito pubblico ed accumulando perdite esplosive, tutto a vantaggio della sola speculazione.

Ebbene, ora la finanza, con Soros, si spaventa di questi politica, e della confusione che la finanza stessa ha generato, credendo di trovarvi il proprio vantaggio; e per bocca di Goldman Sachs, trova questi politici non all’altezza, irresoluti nel prendere decisioni sia davanti al debito greco così come davanti al crollo dei valori immobiliari in America.

Ma che fare, se le istituzioni finanziarie sono oggi – fatto senza precedenti nella storia – più grosse, minacciose e potenti di qualunque governo? Se questi governi – in ossequi alla teoria economica dei banchieri – si sono privati degli strumenti sovrani d’intervento e dunque di sviluppo dell’economia reale, solo modo legittimo di onorare i debiti contratti coi grandi usurai? Governi proni alle intimazioni delle Banche Centrali, che agiscono negli interessi esclusivi dei banchieri, che loro stessi oggi non sanno bene cosa fare, in USA creano oceani di moneta dal nulla, in Europa la restringono?

La loro impotenza aumenta il disordine a tal punto, che Soros e Goldman Sachs non riescono più a guadagnarci, che sbagliano investimenti. Che si tengono liquidi perchè in giro c’è troppo cattivo debito (non riconosciuti: si pretende che la Grecia, la Spagna e l’Italia onorino il loro cattivo debito impagabile) e l’ambiente «è duro, difficile da analizzare».

È il governo che hanno voluto loro. L’abolizione della politica è il risultato che oggi deplorano i Soros. Opponendosi allo stesso tempo ad ogni misura politica necessaria e urgente: sia la reintroduzione della Glass-Steagall, sia il ritorno di una tassazione progressiva per i ricchi, sia misure per lo sviluppo e la crescita economica. Cosa farebbe infatti il potere sovrano, se ancora esistesse?

Quel che suggerisce un economista di nome Steve Keen: «Dovremmo ripudiare il debito, mandare in bancarotta le banche, nazionalizzare il sistema finanziario e ricominciare tutto da capo».

Qualcosa di simile fecero negli anni ‘30 (nazionalizzando le banche e cacciandone senza risarcimeno gli azionisti) i governi che non a caso sono stati bollati come fascisti; De Gaulle lo fece ancora negli anni ‘50, nazionalizzando la Banque de France. Ma i banchieri non lo vogliono certo. Nè la politica, oggi può trovare la forza di ripetere quelle misure essenziali. (Economics Professor: "[We’ll Have] a Never-Ending Depression Unless We Repudiate the Debt, Which Never Should Have Been Extended In The First Place")

Come potrebbe? Non è solo che ormai le classi politiche sono diventate caste parassitarie, intese solo a tagliarsi una fetta più grossa della torta pubblica in quel saccheggio generale cui s’è ridotto il capitalismo terminale, nè solo che l’abitudine alla irresponsabilità le rende incompetenti, sorde all’interesse nazionale. È che, dopo 20 anni e più di turbocapitalsmo anti-Stato, i popoli stessi hanno perso le virtù necessarie a dar forza alla politica sulla finanza. È in qualche modo l’esito finale e fatale della secolarizzazione, del consumismo quella che stiamo vivendo – e che gli speculatori lamentano.

Le democrazie terminali hanno vissuto a lungo consumando virtù pubbliche e sociali – disciplina, spirito di sacrificio, frugalità amore del lavoro tenace e ben fatto prima che amore della ricchezza facile, solidarietà fra membri della nazione, visione seria della vita come dovere e sacrificio – che erano, nel fondo, virtù cristiane, essenzialmente valori qualitativi, che non hanno voce nei libri contabili. Ovviamente, la democrazia e il capitalismo degli ultimi giorni non solo sono incapaci di creare queste virtù, risorse invisibili e non-quantificabili, ma le distruggono deliberatamente.

Dove mai i nostri uomini e donne, per non dire dei nostri politici, hanno avuto occasione di vedersi proporre, ed ammirare, le virtù, di onorare la verità sulla menzogna comoda? Dove vede più lo spettacolo della grandezza, della magnanimità, della generosità comune? Dove si insegna ad ammirare la competenza reale, lo studio tenace, il lavoro onorato, l’eroismo del sacrificio dell’io per il bene del noi?

Tutte queste virtù erano residuali; la loro radice fondamentale, che era la fede, è stata liquidata come non-funzionale alla finanza, all’arricchimento finanziario privato, al consumo privato, alla società-spettacolo e pubblicitario. Ora sono state tutte consumate, e non a caso l’Occidente diventa incivile e declina, anche materialmente e politicamente.



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