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Ancora la Casta: nuova sede per la Provincia di Bergamo
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E’ stato pubblicato il progetto di massima per la nuova sede della Provincia di Bergamo. Le pubblicazioni tecnicamente sono ineccepibili, non si poteva fare meglio. Tuttavia, poiché si tratta di spendere i soldi del contribuente, crediamo sia necessario rendere nota qualche riflessione.

La prima riflessione è sulla inopportunità «politica» di costruire una nuova sede per gli uffici della Provincia, attualmente sparsi in diversi edifici. Dopo la creazione delle Regioni, che hanno compiti ancora non ben definiti, il ruolo svolto dalle Provincie si sarebbe dovuto ridurre, sino all’ipotesi della loro soppressione.

Da alcuni anni ormai tutti i partiti politici condividono l’idea di ridurre la presenza dello Stato e delle istituzioni nelle attività industriali ed economiche. Non crediamo che questa sia una strada veramente utile, ma avendola scelta sarebbe opportuno percorrerla con un minimo di coerenza. Invece si assiste alla moltiplicazione degli uffici e degli impiegati dei Ministeri, delle Regioni e delle Provincie.

In questo momento di difficoltà economiche con prospettive a breve di una crisi della quale ora non si vede lo sbocco, non sarebbe stato opportuno offrire lo spettacolo dell’esibizione della costruzione di una «faraonica» sede che non farebbe altro che mettere in mostra l’inutilità o la duplicazione di certi compiti svolti oggi dalla Provincia.

La seconda riflessione riguarda il messaggio che viene lanciato dalle forme che si vogliono dare alla nuova costruzione. Si tratta di edifici in vetro e acciaio per i quali valgono le critiche che da alcuni anni da più parti vengono mosse a questa architettura che si realizza in forme astratte dove gli uomini sono un ingombro poiché nuocciono alla purezza assoluta.

Si vuole che queste forme siano la giusta e vera manifestazione dell’anima della nuova Bergamo (1) e della modernità, quella modernità inarrestabile, che continua ad essere moderna da quasi un secolo e che nel frattempo è diventata sempre più invivibile, dispendiosa ed alienante.

Ma qual’è poi la nostra modernità oggi? In altre parole che cosa ci aspettiamo dal futuro prossimo venturo?

Le nostre fabbriche chiudono e quelle che resistono sopravvivono solo grazie al lavoro sottopagato di italiani e di extracomunitari. La nostra fantasia creativa si è molto appannata.

Nel 1951 veniva costruito il secondo palazzo Montecatini opera di Giò Ponti. L’aspetto più interessante di questo edificio resta il fronte posteriore, che presenta uno spettacolare movimento di superfici disposte a diamante. Nel 1960, sempre di Giò Ponti, con il contributo di altri architetti tra cui Luigi Nervi, veniva terminato il grattacielo Pirelli.

Dietro questi monumenti architettonici esisteva una realtà industriale e finanziaria molto solida. Si trattava di edifici concepiti nella speranza di costruire un nostro futuro basato sulla nostra tecnica.

Oggi la Montedison è scomparsa e la Pirelli non si sa bene dove abbia i suoi impianti di produzione, dopo essersi dissanguata nella certezza di poter fare industria ignorando la tecnica. Oggi viviamo di espedienti e di subforniture, cercando di fare speculazioni finanziarie che immancabilmente si concludono con qualche fallimento.

La nostra assenza dall’alta tecnologia è garantita anche dall’immiserimento delle scuole di ingegneria. Per decenni le nostre grandi industrie sono state gestite da tecnici incompetenti promossi esclusivamente per la loro personale attitudine ad accontentare i ghiribizzi strampalati degli  amministratori delegati e a dimenticare le ragioni della tecnica e soprattutto a seppellire l’inventiva. In contemporanea i tecnici migliori venivano disprezzati e umiliati sino a costringerli ad andare all’estero.

Il futuro della modernità per noi non esiste.

Abbiamo ancora qualche muro sbrecciato, qualche affresco, qualche antico palazzo che attira ancora un po’ di turisti. Evitiamo l’architettura moderna trionfale, non si addice al nostro presente ed al nostro futuro. Costruiamo qualche cosa che sia volutamente vernacolare, il termine che gli sprezzanti architetti temono più della peste. Salviamo almeno quel poco che ancora resta dello spirito delle nostre cosiddette città d’arte. Chiamiamo a progettare architetti «tradizionali», quei pochi che hanno conservato lo spirito della nostra antica Architettura.

Consiglio la lettura di un libro che lo stesso autore, Luciano Gallino, non ha troppo propagandato: «La scomparsa dell’Italia industriale», Einaudi, 2003. Nel poco tempo trascorso da quando il libro è stato scritto la situazione è ancora peggiorata. Inoltre molti casi, che sono poi esplosi come quello della Pirelli non vengono neppure sfiorati.

Sulla copertina si legge: «Politici e manager senza visione del futuro hanno trasformato l’Italia in una colonia industriale. Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso uno sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza».

Quella politica che nel libro si auspicava venisse intrapresa, non c’è stata. Quindi puntualmente il nostro declino è proseguito venendo a coincidere con una crisi mondiale.

Non credo che sia il momento di mettersi a costruire opere inutili, diseducative e fuori tempo. Potrebbe diventare una di quelle opere che al termine di un ciclo storico restano incompiute.

Professor ingegnere Raffaele Giovanelli

27 novembre 2008



1) Nella Relazione Progettuale contenente l’Accordo di programma finalizzato alla realizzazione della nuova sede della Provincia di Bergamo si incontrano dichiarazioni che non lasciano dubbi circa le intenzioni e gli obbiettivi cercati con la realizzazione dell’opera. Nelle «Scelte progettuali linee guida» leggiamo:… «Riconoscibilità/identificazione del manufatto rispetto al resto del costruito (edificio a sviluppo verticale come simbolo per la città pubblica)… unicità ed irripetibilità della natura architettonica e funzionale rispetto all’intorno… Il complesso edilizio è quindi collocato in posizione strategica rispetto la nuova centralità che sta nascendo, con l’ambizione di manifestarsi come valore simbolico a scala dell’intera città di Bergamo. Documento preliminare di PGT - DP22… Anche in quest’ottica il progetto in esame risulta compatibile rispondendo agli obiettivi strategici previsti per quella zona: accorpando gli uffici distaccati sul territorio comunale la nuova unica sede provinciale permetterà una mobilità più sostenibile… e diventerà allo stesso tempo simbolo di un nuovo centro di Bergamo…
La nuova centralità non deve porsi,… in contrasto con la centralità storica e culturale di Città Alta». Come due parallelepipedi di vetro e acciaio possano costituire il simbolo di un nuovo centro di Bergamo è difficile anche solo da immaginare, a meno che il futuro appartenga a uomini robot, privi di anima.


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