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Fatima e il «segno» della distruzione della società cristiana (parte II)
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Il racconto dell’Anticristo

C’è una comunicazione del Signore a suor Lucia di Fatima che ella trasmise al suo vescovo nell’agosto del 1931: «Fa sapere ai miei ministri che siccome essi hanno seguito l’esempio del re di Francia nel ritardare
l’esecuzione della mia domanda, lo seguiranno nella disgrazia. Mai sarà tardi per ricorrere a Gesù e Maria»! (FAE pagina 97).
Questo avveniva l’anno dopo che la domanda divina, affinché la Russia fosse consacrata all’immacolato Cuore di Maria dal Papa insieme con tutti i vescovi per ottenere la pace, era stata inoltrata a Pio XI (come fu assicurato alla veggente).
Ma la domanda continuava a rimanere inascoltata.
Questa terribile comunicazione del Signore che si lamentava dell’omissione della gerarchia nell’eseguire la Sua domanda, fatta attraverso la pastorella di Fatima, propone ai cattolici un paragone tra alcuni re cristiani del passato, i Borboni di Francia e i papi del nostro tempo.
Entrambe queste Autorità avrebbero dovuto essere esecutrici dei disegni di Cristo-Re, espressi in forma di richiesta tanto semplice quanto necessaria.
Ieri come oggi, dipende dalla fede dei Papi come dei re, riconoscerla per compierla, preservando i loro sudditi da grandi mali.
Questo collegamento nel campo devozionale é stato ricordato dal cardinale Cerejeira: «Per me, la missione di Fatima nel mondo é simile a quella di Paray-le-Monial. Quello che Paray-le-Monial é stato per la devozione al Sacro Cuore di Gesù, Fatima sarà per la devozione al Cuore Immacolato di Maria».
La Rivoluzione si scatenava contro la civiltà cristiana e i suoi re.
La Misericordia divina aveva voluto preservare la Francia da simile disgrazia, ma non fu ascoltata.
Forse la domanda fu considerata inverosimile.
Tornando ad essa, risulta che anche a Pére La Chaise, il gesuita confessore di Luigi XIV, furono promesse benedizioni alla sua Compagnia di Gesù se, portando la domanda al re, si fosse impegnato affinché il re la accogliesse.
Questo non avvenne.
Da allora, i Gesuiti hanno sofferto varie avversità e persecuzioni.
Furono poi espulsi dalla Francia, dal Portogallo, dalla Spagna, dal Regno di Napoli e, più tardi, nel 1773, furono soppressi da Papa Clemente XIV.
La Provvidenza divina era intervenuta con un segno, tanto soave come preciso, nell’inizio di quella crisi umana che avrebbe precipitato l’umanità in un abisso di pianto e di morte.
Ma quel segno non fu riconosciuto da chi di dovere ed ecco che il rifiuto si ripete nei nostri giorni, e in modo ancora più grave riguardo a Fatima.
Infatti ora si tratta di papi e non soltanto di re e ora riguarda il mondo e la salvezza delle anime e non solo la Francia.

Breve storia della rivoluzione segreta del pensiero

Le persecuzioni e le eresie disgregatrici del Cristianesimo furono, però, contenute allora, dalla provvidenziale conversione dell’Impero Romano per mezzo di Costantino.
La storia racconta che l’imperatore, prima di una decisiva battaglia, a Roma, nel 312 avanti Cristo, avendo avuto la visione del Segno di Cristo in cielo con la scritta «In hoc signo vinces», che lo aveva portato alla vittoria militare, credette e si convertì.
Seguirono mille anni che, sebbene tempestati da divisioni, errori e delitti, hanno fato fiorire la Civiltà Cristiana senza pari.
Neppure il grande scisma d’Oriente del 1054, contro il principio dell’unità cattolica, e neppure le dispute attorno al Seggio del Successore di San Pietro, hanno potuto indebolire la solidità della Chiesa.
La tentazione rivoluzionaria è tornata forte nel secolo XIV con l’introduzione, in Europa, di una cultura neopagana che, appoggiata da nuove idee filosofiche, prendevano il sopravvento sul rigore scolastico, e affievolendo lo zelo religioso e le difese della civiltà cristiana, derideva l’austerità cristiana in favore di manifestazioni artistiche sempre più sensuali e festive.
L’umanesimo rinascimentale fu una forma rivoluzionaria che, mescolando speculazioni filosofiche e teologiche, alimentò dubbi morali e religiosi, l’avidità di ricchezze e di benessere e divisioni nazionali nella società, che avrebbero minato la vita e l’autorità della Chiesa.
Papa Leone XIII nella sua Enciclica «Diuturnum» del 29 giugno 1881 scrisse: «Fu dalla Riforma che nacquero, nel secolo scorso, la falsa filosofia e quello a cui si dà il nome di diritto moderno, così come la sovranità del popolo e quella licenziosità scatenata, senza la quale molti già non sanno distinguere la vera libertà».
Dottrinalmente, perciò, la riforma protestante ha contribuito al processo rivoluzionano, completando la sua opera con la collaborazione politica dei suoi capi, ragion per cui «la rivoluzione francese non è stata altro che una vendetta della Riforma», secondo quanto ha scritto il canonico Roul, menzionato dallo scrittore Jean Ousset, che continua: «I Riformisti hanno contribuito indirettamente a questo, per mezzo dei filosofi e delle società di pensiero, che avevano prima pervertito e che, a loro volta, si sono incaricate di diffondere ovunque la confusione. Basta pensare a Rousseau e all’influenza che ha esercitato sulla rivoluzione e i rivoluzionari. Ebbene, in tutti i sensi dell’espressione, ‘Rousseau veniva da Ginevra’ (protestante)».

Papa Pio VII scriveva che la religione cattolica in Francia era ferita dalla Costituzione per cui «si permette la libertà di culto e di coscienza...; per ciò stesso si confonde la verità con l’errore, e si pone al pari delle sètte, eretiche, e anche della perfidia giudaica, la Sposa santa e immacolata di Cristo, la Chiesa,  fuori della quale non vi è salvezza. Inoltre, promettendo favore e appoggio alle sètte eretiche e ai loro ministri, si tollerano e favoriscono non solo le persone, ma anche i loro errori. E implicitamente la disastrosa e deploratissima eresia che Sant’Agostino ricorda con queste parole: ‘Afferma che tutti gli eretici sono nella buona via e dicono il vero, assurdità tanto mostruosa che io non posso credere che qualche sètta la professi realmente. Quanto alla libertà di stampa: è stata la principale causa, dapprima, della depravazione dei costumi dei popoli, poi, della corruzione e sconvolgimento della Fede e, infine, del sorgere delle sedizioni, disordini e rivolte».
Insomma: «Sotto l’uguale protezione di tutti i culti, si nasconde la più pericolosa persecuzione, la più astuta che sia possibile immaginare contro la Chiesa di Gesù Cristo, e, purtroppo, la meglio attrezzata per lanciarvi la confusione e anche distruggerla, se fosse possibile, con il prevalere delle forze dell’inferno contro la Chiesa».
«Infatti - scrive monsignor Delassus - ovunque Napoleone ha portato i suoi eserciti,  faceva quel che aveva fatto in Francia, stabilendo l’uguaglianza tra i culti, cacciando religiosi, imponendo la spartizione forzata, vendendo i beni ecclesiastici, abolendo le corporazioni, distruggendo le libertà locali, rovesciando le dinastie nazionali; in una parola, distruggendo l’antico ordine e dandosi da fare per sostituire la civiltà cristiana con una civiltà il cui principio e fondamento sarebbero stati i dogmi rivoluzionari».
Certo, uno di questi dogmi è la «libertà di religione».
Esso era parte anche della legge sovietica di Stalin come quella di Gorbaciov.
In questo senso, oggi, il lavoro è fatto; manca solo la conciliazione su un umanitarismo accettabile sia dai neo-socialisti che dai neo-cristiani.
Nel 1818, il cardinale Consalvi scriveva al principe di Metternich-Winneburg dell’Austria: «Penso che la rivoluzione abbia cambiato soltanto marcia e tattica. Già non attacca a mano armata troni e altari: si limita a minarli...».
Ma gli avvisi di Roma a niente servirono ai monarchi di allora!

Il Liberalismo nella Chiesa

Per prevenire e rinforzare la Chiesa contro questi poteri terreni che avanzavano, ci fu, nel 1830, undici giorni prima del colpo di Stato orleanista, l’Apparizione della Madonna, a Parigi, nella Cappella della «rue du Bac», alla giovane religiosa Caterina Labouré, che fu poi invitata a diffondere la «Medaglia Miracolosa» che sarebbe stata di immenso sostegno per tutto il Cattolicesimo.
Qui si deve ricordare un punto molto importante anche per la lettura di Fatima: le forze terrene non avrebbero avuto presa sulla Chiesa salda nella fede; ecco perché il vero pericolo, nel ’89, come nel 1830, nel ‘17 come ora, non viene tanto dal furore rivoluzionario, quanto dalle insidie di una "apertura" religiosa da parte di ecclesiastici liberali.
Malgrado le condanne del Magistero pontificio c’è sempre stata confusione sul termine liberalismo.
Ricordiamo, perciò, concisamente, che liberalismo è, essenzialmente, attribuire alla libertà umana priorità sulle verità rivelate nella legge di Dio.
Ne consegue che questa ribellione contro la verità, custodita dalla Chiesa, è tanto più insidiosa quando perpetrata da chierici o da prelati.
Molti di questi si erano manifestati scandalosamente dal 1789, addirittura apostatando per servire la Rivoluzione; altri si erano adattati acrobaticamente alle alternanze del potere, come il vescovo Talleyrand.
Ma i pericoli interni nella vita ecclesiale dovevano ancora manifestarsi come ben videro i Papi a conoscenza del Segreto di La Salette: Pio IX e specialmente Leone XIII, che, avvertendo i mali incombenti contro la Chiesa stabilì gli esorcismi contro i poteri di Satana.
Nel 1871, Pio IX, ricevendo una delegazione di cattolici francesi, diceva: «C’è un male più temibile che la Rivoluzione, più temibile che la Comune, con i suoi uomini scampati dall’inferno che hanno seminato il fuoco a Parigi. Quel che io temo è questa infelice politica; è il liberalismo cattolico ad essere il vero flagello!...».
Il terzo tentativo ottenne un successo pratico sotto Leone XIII che, sebbene fermo nella Dottrina, concesse il cosiddetto «ralliement», ossia un’alleanza dei cattolici francesi con  il governo che operava con principi liberali condannati dalla Chiesa.
Ma, siccome Leone XIII concedeva in Francia quello che negava nella «Questione Romana», sarà bene adesso approfondire questa, per capire come quel «ralliement» transalpino si trasferisse poi a Roma e in campo religioso e oggi, dopo il Vaticano Il, non sia più nemmeno distinguibile, tanto è ben riuscito!
Eccone un brano soppresso nelle edizioni correnti: «Le orde astuziosissime hanno riempito di amarezza la Chiesa, Sposa Immacolata dell’Agnello, e l’hanno inebriata con l’assenzio; si sono messi in opera per realizzare tutti i loro empi disegni. Là, dove è costituita la Sede del Beatissimo Pietro e  Cattedra della Verità per illuminare i popoli, là, hanno collocato il trono dell’abominazione della loro empietà, affinché, ferito il Pastore, le pecore fossero disperse!».

Il Piano della Rivoluzione Romana

Dal libro «Le infiltrazioni massoniche nella Chiesa» del P.E. Barbier, edito nel 1910, e favorito da molte approvazioni episcopali, abbiamo il seguente brano: «La Massoneria ha concepito il proposito infernale di corrompere insensibilmente i membri della Chiesa, anche dello stesso Clero e della Gerarchia, inoculando in essi, sotto forme seduttrici e di apparenza inoffensiva, i falsi princìpi con i quali pianificava di sovvertire il mondo cristiano».
I documenti dell’«Alta-Vendita», caduti i mano del Papa Leone XIII, comprendono il periodo che va dal 1820 al 1846, furono pubblicati, secondo la richiesta di Gregorio XVI e, dopo di Pio IX, dallo scrittore Crétineau JoIy nella sua opera: «L’Eglise Romaine et la Révolution».
Dal «Breve» di approvazione del 25 febbraio 1861 di Pio IX all’autore, si può dire che il Papa consacrava l’autenticità dei documenti menzionati, di cui uno diceva: «Per ottenere un papa nella misura richiesta, si tratta, per primo, di preparargli una generazione all’altezza del regno che ci prefiggiamo...; si lasci da parte la vecchiaia e anche l’età matura; andate alla gioventù...: è questa che dobbiamo convocare senza che sospetti essere sotto la bandiera delle Società Segrete... Non abbiate innanzi ad essa nemmeno una parola di empietà o di impurità. Una volta assodata la vostra reputazione nei collegi, nelle università e nei seminari ..., questa reputazione aprirà l’accesso a le nostre dottrine nel mezzo del Clero giovane come nei conventi... E’ necessario perciò diffondere i germi dei nostri dogmi: - che il Cristianesimo è una dottrina essenzialmente democratica; - che è necessario restituire all’universo la sua dignità originale per la libertà e l’uguaglianza, attributi essenziali dell’uomo; che il pericolo sta nel fanatismo (= integralismo) e che il benessere sta nell’uguaglianza sociale e nei grandi princìpi della libertà religiosa».
E il «profeta» illuminato di questo processo di «nuovo Cristianesimo» fu l’ex canonico Roca (1830-1893) convertito alle Società Segrete, vero precursore dei tempi di Teilhard de Chardin: «L’umanità, nella mia visione, si confonde con Cristo in un modo tanto reale come i mistici non lo avrebbero immaginato fino ai nostri giorni. Se il Cristo-uomo è, come Verbo Incarnato, l’unico Figlio di Dio, Egli è perciò anche l’Universo intero e, soprattutto, tutta l’Umanità in cammino... e quel che si prepara nella Chiesa Universale... è un’evoluzione. Quel che la Cristianità (nuova) vuole modificare non è una pagoda, è un culto universale dove tutti i culti saranno incorporati... Dal momento in cui sembrerà agli occhi di tutti che il nuovo ordine provenga dal vecchio, il vecchio papato, i vecchi sacerdoti rinunzieranno ben volentieri di fronte al Pontefice e di fronte ai futuri preti, che saranno quelli del passato, convertiti e trasfigurati, in vista dell’organizzazione del pianeta alla luce del Vangelo (nuovo). E questa nuova Chiesa, anche se non deve forse conservare niente della disciplina scolastica e delle forme rudimentali della vecchia Chiesa, riceverà lo stesso da Roma la consacrazione e la giurisdizione canonica. Credo che il culto divino, ben come la norma della liturgia, la cerimonia, il rito e i precetti della Chiesa Romana, soffrirà prossimamente, in un Concilio ecumenico, una trasformazione che, restituendogli la venerabile semplicità dell’età dell’era apostolica, lo metterà in sintonia con il nuovo stato della coscienza e della civiltà moderna».

E ancora, sul futuro Concilio indetto da un futuro papa: «Il Concilio del Vaticano (nuovo) non dovrà, come Cristo, rivelare ai suoi fratelli un nuovo insegnamento, non dovrà portare la Cristianità né il mondo in pieno nella direzione di altre vie che quelle seguite dai popoli sotto l’ispirazione segreta dello Spirito, ma semplicemente confermarli in quella civiltà moderna, i cui princìpi evangelici, le cui idee e opere essen-zialmente cristiane divengano, senza che se ne accorgano, i princìpi, le idee e le opere delle nazioni rigenerate prima che Roma sognasse di preconizzarle. Il Pontefice si contenterà di confermare e di glorificare il lavoro dello Spirito di Cristo, o di Cristo-Spirito, nello spirito pubblico, e, grazie al privilegio della sua infallibilità pontificale, egli dichiarerà canonicamente - urbi et orbi - che la civiltà presente è la figlia legittima del Santo Vangelo e della redenzione sociale (‘Glorieux Centenaire’, pagina 111)».
«... La Sinarchia ha le dimensioni per operare questo rinnovamento generale (opera citata, 1889, pagine 457 e 469) con ammonimento dell’accordo perfetto tra l’ideale della civiltà moderna e quella di Cristo e del Suo Vangelo. Questa sarà la consacrazione del nuovo ordine sociale e il battesimo solenne della civiltà moderna». (Dal libro: «Le Ralliement de Rome à la Révolution» di Albert Briault e Pierre Fautrad, Ed. Fautrad, Fyé 7249, 1978, Bourg-le-Roi).

La Rivoluzione pianificava, soprattutto, di assorbire il Papato con l’erezione di un Pontefice che avesse le nuove idee sulla libertà, uguaglianza e fraternità; ma siccome questo era impraticabile nel secolo scorso, si faceva necessaria prima l’umiliazione e la neutralizzazione dei poteri pontificali: la presa degli Stati della Chiesa, prima, e poi della città di Roma.
Cavour giustificò tale impresa addirittura come una «purificazione» della Chiesa dal fardello del potere temporale, non diversamente da quello che oggi si crede vero nel Vaticano conciliare che ha voluto il Concordato del 1984.
Ma, allora come oggi, l’applicazione pratica dell’abbattimento dell’influenza temporale risulta solo a favore delle idee di Garibaldi e del Ricciardi che combattevano la Chiesa anche con l’alfabeto, cioè con l’istruzione secolarizzata che inculca l’idea dell’incompatibilità della Fede e della Morale con la libertà civile.
C’è qualcosa di diverso, oggi, in questo campo?
Solo l’estensione del danno compiuto contro la stessa società italiana.
Ma sembra che la secolarizzazione raggiunta, ancora non basti per le sinistre clericali!

La resistenza della Roma cattolica

Nei pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX era nitida ancora la coscienza cattolica sul fatto che un piccolo cedimento della Chiesa comporta sempre danni inimmaginabili nel futuro.
Perfino Pio IX è stato considerato liberale per aver amnistiato dei rivoltosi dello Stato Pontificio all’inizio del suo mandato.
Ma, in poco tempo, lo stesso Papa deplorò la mancanza di parola d’onore per parte dei beneficiati del suo atto di tolleranza e si persuase che lo spirito di rivolta è un male incurabile, che la rivoluzione è incapace di transazioni e, se qualcuna ne ammette, non è che per riprendersi per il nuovo assalto.
Del resto, i Pontefici erano vincolati da un giuramento che vietava cedimenti o alienazioni negli Stati della Chiesa.
A Napoleone III, che aveva consigliato Pio IX a rinunziare a gran parte degli Stati ecclesiastici in pro di una nuova Italia, il Papa aveva risposto di non poter cedere ciò che non gli apparteneva, ma per cui era vincolato sia da ragioni che da un giuramento.
Vediamo, perciò, cos’era questo giuramento nella Costituzione di San Pio V «Admonit Nos» (1567), che certamente non era centrata su semplici problemi terreni.

Poiché taluni «si sono sforzati di dimostrare e persuadere alcuni Romani Pontefici, con suggestioni ed insinuazioni, essere più utile e conveniente alla Santa Romana Chiesa ed alla prelata Sede che alcune città (ecc.) fossero alienate..., con questa nostra Costituzione, che varrà in perpetuo, decretiamo e dichiariamo che le città (ecc.)... siano riguardate come pel fatto stesso... incorporate alla Sede Apostolica e ritornate al primario diritto e proprietà e dominio e possesso... In conseguenza, il Sommo Pontefice proibisce a chiunque d’alienare e perfino di trattare di siffatta  alienazione di Città e luoghi della Chiesa. I contravventori di questa proibizione si dichiarano scomunicati ed i ribelli alla Chiesa ed alla Santa Sede Apostolica si dichiarano rei di lesa maestà, traditori ed infami, ... persone di qualsiasi dignità, stato, grado, anche a noi e ai nostri successori in parentela congiunti, anche cardinali, ecc. (...). Vogliamo poi che, siccome tutti i singoli cardinali presenti promisero e giurarono nel nostro Concistorio segreto d’osservare per quanto possano questa Costituzione... così i cardinali assenti... e dai futuri, nell’occasione che assumeranno il cappello ... e chiunque di essi venisse eletto in Romano Pontefice, debba, dopo la sua assunzione, ciò stesso promettere e giurare... in conferma delle presenti».

E’ pensabile che tutto ciò non sia fondato su una grave questione di principio, e cioè la libertà e l’indipendenza della Sede Apostolica?
Del resto, se nello Stato Pontificio c’è l’esempio di come la legge divina deve essere il fondamento di ogni legge, proprio per evitare l’avanzata della ribellione e degli errori umani, questo non è forse vero sempre e in ogni ordinamento civile?
Forse si argomenterà, oggi, che l’autorità morale del Papa si può esercitare senza il dominio temporale, e anche il governo italiano d’allora negava con le parole di voler condizionare il governo della Chiesa, ma la realtà era ed è altra.
Allora, perché tutto quello che rivestiva carattere religioso o si riferisse al culto della Chiesa era manomesso, vincolato o espropriato?
Così furono abolite le confraternite, proibita la monacazione, secolarizzata l’istruzione, controllate le nomine dei vescovi, sottomesse all’exequatur e censurate le proclamazioni papali sottomesse al «regio placet».

Nel vecchio Testamento, il Signore dice a Samuele, a cui il popolo chiedeva un re: «Loro non han rigettato te, ma Me, affinché Io non regnassi su di loro»! (Deuteronomio 17, 12, Re 8,12).
Ma non è cosa lecita domandare al profeta di Dio un sovrano?
Sì, se non fosse già provveduto di uno legittimo.
Ma gli ebrei, allora, chiedevano un re con il pensiero dei gentili, rigettando il paterno governo di Dio per Samuele!
Dice San Gregorio: «A questi uomini che non fanno conto dei diritti di Dio, si propongono i diritti degli uomini, ed a questi che hanno disprezzato i consigli di clemenza e di salute del loro Dio, si annunciano i duri pesi della servitù sotto gli uomini».
E questa ingratitudine e oltraggio al dono della Provvidenza, che aveva per secoli provveduto al popolo eletto un governo che univa in una sola persona i due poteri, spirituale e temporale, ha avuto come conseguenza il degrado del potere umano nella decadenza dei re e governanti.
Non è successo cosa simile con gli italiani?
Non vi erano allora condizioni aggravanti?
Ma se vi era già una occulta defezione cattolica nel campo civile e religioso, nazionale e internazionale, questa non era prima un cedimento dottrinale per cui svaniva nelle menti dei fedeli qualsiasi collegamento
religioso tra la presa dei domini papali e la separazione della Chiesa e dello Stato, implicito rifiuto della legge di Dio?
Queste ragioni religiose che sembrano oggi incomprensibili, già non lo erano abbastanza alla fine del secolo scorso?
Alla luce di queste brevi considerazioni, applicate alla realtà rivoluzionaria, si dovrebbe concludere che la vera rivoluzione mondiale ha avuto sempre per mira più l’ordine cristiano che le fortezze o bastiglie dei monarchi; più il mondo delle idee che fluiscono dal pensiero religioso che i sistemi politici, gli ordinamenti sociali o le istituzioni governamentali.
E la sua avanzata solo è possibile occupando i vuoti di fede, di sacro, di carità cristiana.
Ecco, allora, che non si descrive bene la storia della Rivoluzione pensando a Parigi, alla Russia e a Cuba, scordandosi del suo bersaglio più alto: Roma!

Il Papa Leone XIII, il 15 ottobre 1890, scriveva: «Il piano delle sètte che si svolge ora in Italia, specialmente nella parte che tocca la Chiesa e la religione cattolica, ha come scopo finale e notorio di ridurla, se è possibile, al niente... Questa guerra, al presente, si combatte più che altrove in Italia, dove la religione cattolica ha gettato più profonde radici, e soprattutto in Roma, dove è il centro della Cattolica Unità e la Sede del Pastore e Maestro universale della Chiesa».
E’ nel Vangelo: «Colpirò il Pastore, e le pecore del gregge saranno disperse!» (Matteo 26,31; Marco 14,27).
Ecco il momento notturno in cui tutti si scandalizzeranno di Gesù, Pastore e Maestro mandato da Dio.
Ma quando e come è che il Pastore è colpito?
Oggi lo sappiamo tristemente.
Quando la sua intelligenza e giudizio sono oscurati al punto di ritenere possibile e perfino conveniente un’alleanza con i nemici della Chiesa.
Come avviene?
Quando è lui stesso ad allontanarsi, rinunciando alla difesa dei pascoli tradizionali, che sono occupati dai lupi che divorano il gregge.
Ebbene, Pio IX certamente non fu colpito, ma, al contrario, seppe di dover resistere proprio con le armi della dottrina e dei princìpi tradizionali che non hanno la vulnerabilità umana, ma la forza dei diritti divini.
Contro il naturalismo rivoluzionario, carico degli errori moderni, egli rispose con il «Sillabo», il cui ultimo articolo testualmente condanna l’asserzione che il Romano Pontefice possa e debba riconciliarsi e andare d’accordo col progresso, con il liberalismo e con la civiltà moderna.
Lo Stato Pontificio aveva allora il ruolo di mantenere l’autonomia e l’indipendenza della Supremà Cattedra universale, eretta dal Signore per la difesa della Fede e della Verità.
Nella società civile sarebbe ottimale l’unione e l’armonia dei due poteri, religioso e civile, che in quegli Stati erano uniti nella persona del Papa, come modello di un principio assoluto: la legge civile deve avere per fondamento la Legge divina, di modo che l’unione della Chiesa e dello Stato sia come l’unione dell’anima con il corpo.
La società è un mezzo, non un fine, per la persona umana che la precede nell’ordine ontologico.
Parimenti, lo Stato, in rapporto alla società che non può né assorbire né assoggettare, come non lo può fare con le persone, al cui fine ultimo è ordinato.
Ecco perché deve favorire, servire, ordinare le persone al fine ultimo della vita sociale: il bene comune, e questo al fine ultimo della vita umana: «Conoscere, amare e servire Dio per salvarsi».
Potrebbe lo Stato fare questo liberandosi dall’insegnamento e giudizio della Chiesa?
Dove questo avvenne, San Pio X condannò l’assurda e mostruosa separazione tra Stato e Chiesa in termini dottrinali.
Ecco, in brevi linee, i concetti dimenticati, ma che sono parte integrante della dottrina cattolica.
Essi sono oggi semplicemente ignorati dai cosiddetti «democratici cristiani» la cui opera politica e governativa si poggia su una vaga ispirazione cristiana, per cui la religione è fatto sociale optativo che deve rimanere più che altro nell’intimo delle coscienze.
Ma potrebbero dirlo di fronte al Magistero dei Papi?
Potrebbero pensano di fronte al rifiuto di Pio IX a considerare ogni riconciliazione con governi imbevuti da tali ribellioni rispetto alla legge divina?

La questione del «non expedit», che illustreremo in seguito, rimasta in atto per più di mezzo secolo, e in verità mai sospesa, dimostra il contrasto tra la mentalità dei democratico cristiani» e l’insegnamento dei Papi.
Ecco che anche le democrazie «cristiane» desideravano una rivoluzione che intronizzasse pacificamente un papa secondo le loro intenzioni.
Purtroppo, erano molte le forze europee che si coalizzavano, il secolo scorso, contro la Chiesa.
Quando dal 1868 si parlò dell’approvazione del dogma dell’infallibilità pontificia nel Concilio Vaticano I, che era stato convocato da Pio IX, un grande movimento di rifiuto si formò anche dentro la Chiesa, dove si costituì un comitato internazionale per combatterlo.
Nel 1869 ci fu perfino una riunione di rappresentanti dei governi europei, mobilitati per la difesa dei diritti che spettano alle autorità civili.
Quando poi il dogma fu proclamato, ci furono dure dimostrazioni di opposizione e rottura di relazioni, fino al colpo del 20 settembre 1870 e la presa di Roma, per cui il Papa si senti prigioniero, ma mai colpito nella sua libertà e indipendenza come Vicario di Cristo, chiamando i cattolici alla vigilanza.
«Se la Sede pontificia non è la prima a rivolgersi al sentiero dell’emendazione, è certo che tutta la terra dovrà giacere per molti e molti secoli nell’abisso dell'errore e della iniquità. E’ d’uopo che la riforma proceda da lei come da quella che è pietra angolare della salute. E d’uopo che la riforma proceda dal clero superiore, giac-ché non havvi nequizia d’uomo tanto perniciosa quanto quella dei sacerdoti. Con la lingua si predicano le parole della sapienza, ma le conferma la vita del maestro» (San Pier Damiani).

Il «Non Expedit» e il rifiuto della «Conciliazione»

Dal «Monitore Ecclesiastico» di Roma (aprile 1905) si sollevarono le seguenti questioni: se il «Non Expedit» del 1862, che durava sotto tre Pontificati - cioè: il divieto fatto ai cattolici di collaborare col governo italiano, responsabile della spogliazione dello Stato Pontificio e poi della presa di Roma nel 1870 - sia soltanto una legge ecclesiastica e perciò, dopo tanti cambiamenti nel quadro politico italiano, possa considerarsi superato il motto «né eletti, né elettori».
La ragione del dubbio, malgrado la conferma del divieto anche da parte di San Pio X fin dall’inizio del suo Pontificato, stava nell’eccezione fatta dallo stesso Pontefice per le elezioni di Bergamo e di Milano.
Dunque la domanda: era illecito l’accorrere alle urne politiche in Italia, perché ciò era proibito dal Papa, o ciò era proibito perché illecito?
La ragione sta nel concorrere alla formazione di una Camera dove si operava a danno della religione.
Ma l’elezione di cattolici probi non poteva invertire questa tendenza?
Ebbene, un deputato è un membro del Parlamento, in cui risiede in gran parte il diritto legislativò dello Stato.
Sarebbe illecito appartenere a questo corpo di legislatori la cui autorità proviene da una sede che ha operato un’usurpazione, e in special modo contro il Papato e la Chiesa?
Questo delitto contro il dominio temporale dei Papi non ha colpito la necessaria indipendenza che deve avere il governo della Chiesa?
Trattandosi, perciò, di un attentato allo stesso Regno di Gesù Cristo in terra, non è un atto intrinsecamente cattivo?
In questo caso ci possono essere eccezioni?

Posti questi problemi, rispondeva nei seguenti termini: la sovranità e indipendenza dell’Autorità Pontificia sono un bene della Religione e, perciò, non c’è un motivo più alto che lo possa superare.
Ma che cosa sia bene per la Religione è giudizio che appartiene anch’esso all’autorità papale, che solo non può derogare dai diritti e dai principi da cui proviene la sua investitura.

Dunque, rimane fermo:
1) che è il Papa il giudice legittimo di ciò che conviene alla Chiesa e perciò, andare alle urne politiche in Italia senza il suo permesso, era associarsi alla usurpazione del suo diritto sovrano, atto intrinsecamente malo.
Inoltre, il Papa e i cattolici non possono rappacificarsi e associarsi mai ai misfatti dell’odierno incivilimento chiamato progresso e liberalismo (confronta «Sillabo»);
2) nella questione c’è l’attentato al principio divino; e cioè, che si possa legiferare senza, e anche contro, quello che è la Legge divina proclamata dalla Religione.
Il «Non Expedit» induce l’obbligo non solo di diritto positivo, ma ancora di diritto naturale.
Perciò i cattolici erano invitati alla «preparazione nell’astensione» con opere religiose di grande efficacia sociale: «Opera dei Congressi».
Cioè, perseverare nei principi del «non expedit», mentre si preparavano a ristabilire il principio che la Legge divina dell’essere fondamento di ogni legge.

A quell’epoca, però, facevano pressione contro il «Non Expedit» principalmente i gruppi dei cosiddetti «democratici cristiani autonomi» che sostenevano la necessità di superare un divieto di diritto «ecclesiastico», anche perché il cristiano impegnato nella società può fare bene anche senza dipendere dall’Autorità della Chiesa, diretta soltanto al campo spirituale e non politico.
Solo la reazione del Papa a questa «autonomia cristiana» differiva dalla situazione politica successiva.
Il Sommo Pontefice condannava, allora, questa audacia con la lettera al cardinale Svampa del 1° marzo 1905.
Ricorda le «ragioni gravissime» del «Non expedit» nella Enciclica «Il fermo proposito» dell’11 giugno 1905 ai vescovi d’italia, quando concede dispensa, in casi particolari, dalla legge, «per ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi...» ma, «nello stesso tempo, dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli alti principii che regolano la coscienza di ogni vero cattolico».
Non sarebbero passati tre lustri che il caso particolare sarebbe divenuto regola generale, al punto da far dimenticare le «ragioni gravissime».
Queste si dimostravano altrove con guerre e rivoluzioni.

Don Bosco difendeva i diritti della Chiesa e del sommo Pontefice con tanto ardire, che destò lo stupore universale.
Egli aveva fatto ciò durante due visite a Roma nel 1871, e il primo maggio di quell’anno, Pio IX gli aveva scritto una lettera autografa per manifestargli tutta la fiducia che aveva nella bontà di Dio e nella perenne protezione da Lui promessa alla Chiesa.
La lettera rimessa all’imperatore dell’Austria, nel luglio del 1873, diceva: «Ciò dice il Signore all’imperatore dell’Austria: Fatti animo; provvedi ai miei servi fédeli e a te stesso. Il mio furore si versa su tutte le nazioni della terra, perché si vuole fare dimenticar la mia Legge, portare in trionfo quanti la profanano e opprimere quelli che la osservano. Vuoi tu essere la verga della mia potenza? Vuoi compiere gli arcani miei voleri e divenire il benefattore del mondo? Appogiati sulle potenze del nord, ma non sulla Prussia. Stringi relazioni con la Russia, ma non fare alcuna alleanza. Associati alla Francia cattolica; dopo la Francia, avrai la Spagna. Fate un solo spirito, una sola azione. Somma segretezza con i nemici del mio santo Nome. Con la prudenza e con l’energia diverrete invincibili. Non credere alle menzogne di chi ti dice se il contrario. Aborrisci i nemici del Crocifisso. Spera e confida in Me, che sono il donatore delle vittorie agli eserciti, il Salvatore dei popoli e dei sovrani!».
Fu quello un periodo di tregua nei conflitti europei, con anni favorevoli sia per l’Austria, sia per la Francia, il cui presidente, il Maresciallo MacMahon, riuscì a far a provare una buona Costituzione, malgrado l’aperta ostilità dei massoni e dei liberali di tutte le estrazioni.
L’imperatore d’Austria, Francesco Giuseppe, però, forse fiducioso nella sua politica accentratrice di potere, non diede segno di voler ascoltare tale avviso e si rovinò insieme al suo potente impero.
Forse fu l’ultima grande occasione per evitare le colluvie di mali ci incombevano minacciosi.
Il potere massonico aveva disegni precisi.
Gambetta, nel 1877, diceva: «Noi, in apparenza, combattiamo per la forma di governo e per l’integrità della Costituzione; ma la lotta è più profonda: la lotta si svolge contro tutto quel che resta del vecchio mondo, tra gli agenti della teocrazia romana e i figli del 17892!».

Nel 1899, Papa Leone XIII, con l’Enciclica «Annum Sacrum», ordinò la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù.
In quell’occasione scrisse ai vescovi per invitarli a sviluppare questa devozione e la pratica della comunione dei nove primi venerdì e la consacrazione del mese di giugno al Sacro Cuore.
Al vescovo di Marsiglia scrisse il 6 luglio 1899: «Si può dire senza paura di sbagliare che era nei disegni della Divina Provvidenza unire la Francia al Sacro Cuore con lacci privilegiati di affetto!».
In questo spirito, la richiesta di consacrazione della Francia e dei suoi eserciti al Sacro Cuore e con la Croce dipinta sulla bandiera nazionale, fu ripetuta ancora nel 1917, durante la presidenza di Poincaré.
Egli, che aveva fatto appello a «L’Union Sacrée» dei francesi durante la guerra, ricevette la richiesta attraverso la mistica Claire Ferchaud.
Anche qui la storia è complicata e risulta che Benedetto XV, consultato in proposito, abbia considerato la pro-posta inopportuna e che di questo stesso parere sia stato il cardinale Billot, Gesuita, che parlò di contraddizione applicato alla bandiera; un sogno impossibile anche perché, essendo questa portata in guerra, sarebbe stata contro l’ugual diritto dei popoli di onorare (o dimenticare) il Sacro Cuore di Gesù (FPM., pagina 231).
La Misericordia Divina, dopo la morte di Papa Leone XIII, si manifestò suscitando un santo Pastore che predicò «urbi et orbi», senza sosta, che la vera pace consiste nell’instaurare tutto in Cristo.
Fu San Pio X che visse fino a quando l’odio rivoluzionario, che da secoli tramava la distruzione di ogni potere cattolico, fece scoppiare la I Guerra Mondiale che avrebbe smembrato l’Impero  (Apostolico) dell’Austria.
Il mondo fu sordo agli appelli del Santo Padre, il cui cuore si fermò alla vigilia di questo orrendo conflitto che marcò l’inizio del tramonto della Civiltà Cristiana che aveva portato in tutto il mondo la Religione rivelata!

La Rivoluzione che ha degradato il Portogallo

Il Portogallo fu preservato dagli effetti della rivoluzione protestante per la sua devota unità cattolica, retta dai tradizionali ordinamenti del Regno, per cui la bestemmia, l’apostasia, il sacrilegio e l’eresia erano delitti.
La rottura di questa fedeltà secolare è opera del marchese di Pombal che, chiamato al governo dal re, don Giuseppe, fu il cavallo di Troia delle idee rivoluzionarie massoniche, da lui assorbite alla corte di Vienna sotto il giuseppismo.
Egli così promosse, nel Paese, la Massoneria e il filosofismo che vegetavano inermi, l’idea di chiesa nazionale e il Protestantesimo che, nel 1761, fondava a Lisbona la sua prima chiesa, e rinfocolò nel re l’assolutismo che si faceva prepotente verso la Santa Sede di cui controllava e censurava le Bolle, esercitando pressione e rompendo i rapporti diplomatici finché non liquidasse i Gesuiti.
Se rimase qualche contatto con Roma fu soltanto per partecipare con più forza alla congiura internazionale per estinguere la Compagnia di Gesù, fatto purtroppo avvenuto sotto Clemente XIV che cedette per la preoccupazione dello scisma in Francia e la rottura dei rapporti con un Paese cattolico come il Portogallo che, in passato, considerandosi un feudo del Pontefice, Vicario di Cristo, si riteneva territorio del Signore.
Dopo questo infausto governo, il Paese era contaminato ampiamente dal razionalismo anticlericale e massonico, ma l’effettivo dominio di tali idee venne per mezzo delle truppe di Napoleone.
Così, finita l’invasione, il nuovo governo non tornava alla tradizione ma diveniva persecutore della Chiesa, arrivando ad espellere il cardinale Patriarca e proporre al re, don Giovanni VI, ancora in Brasile, dove era esiliato, l’approvazione di una nuova Costituzione ispirata a quella francese del 1791, in deroga al vecchio ordinamento.
Siccome la risposta del re a questa proposta di cambiamento sembrava cedevole, un ministro di tale governo dichiarò entusiasta: «Si è completata la grande opera! L’Arbitro Supremo dell’Universo ha coronato il nostro lavoro! Sua Maestà cede alla nostra causa!».
Quando don Giovanni VI tornò dal Brasile dimostrò di pensare diversamente, ma la divisione rivoluzionaria aveva già toccato la stessa casa reale, generando, in seguito alla morte del re, la questione successoria che portò il Paese alla guerra civile.
Don Pietro I, rinunciando ad essere l’imperatore del Brasile, tornava in Europa appoggiato dagli inglesi e dalla Massoneria, alla quale era stato iniziato a Rio de Janeiro, come pretendente al trono portoghese che, a quel punto, spettava a suo fratello, il cattolico don Miguel.
Ma più che di trono, la disputa trattava di scelta costituzionale: tradizionale o liberale, per cui don Pietro, che era per quest’ultima, fu sostenuto sia dalla Francia di Luigi Filippo, sia dall’Inghilterra di Palmerston, sia dalla Spagna di Maria Cristina, stranamente alleati, contro i quali a poco valsero le vittorie locali di don Miguel.
Così i vincitori della nuova «carta» riuscirono a intronizzare la figlia di Maria II, figlia di Pietro I del Brasile e IV del Portogallo.
Da allora, cioé dal 1832 al 1910, i governi monarchici ebbero solo dei primi ministri massoni!
Pio IX, conoscendo la portata di tale influenza rivoluzionaria, parlando a pellegrini portoghesi nel 1877, denunciava il male: «Avete un terribile e potente nemico: è l’impetuosa massoneria che vuole distruggere tra voi ogni segno del cattolicesimo!».

All’inizio di questo secolo, questo dominio si fece apertamente repubblicano e anticlericale e lo stato di sovversione fu tale che, nel 1908, il re don Carlo e suo figlio, il giovane principe, furono uccisi a rivolverate in pieno centro di Lisbona.
Seguirono saccheggi e incendi di chiese ed edifici religiosi, profanazioni e caccia a sacerdoti e religiosi che furono inseguiti e assassinati come belve.
Con la repubblica veniva consumata, nel modo più drastico, la separazione della Chiesa dallo Stato e veniva subito istituito il divorzio e cacciata l’istruzione religiosa.
Per illustrare il risultato, basti questo: nella «Festa dell’albero» del 1911, a Lisbona, candidi scolari portavano la scritta: «Senza Dio, né Religione!».
Il Papa San Pio X pubblicò, allora, l’enciclica «Jamdudum in Lusitania» per prevenire i fedeli contro i pericoli decorrenti dall’assurda e mostruosa legge di separazione tra Chiesa e Stato.
Nel 1915, quattro anni dopo la proclamazione della Repubblica, il delirio giacobino e anticattolico, nella capitale, era estremo.
Soltanto nel nord del Paese non si seguiva l’ondata di violenza e si otteneva che la destra repubblicana conferisse poteri dittatoriali al generale Pimento de Castro, affinché ristabilisse l’ordine.
Ma anche questo governo speciale finiva, dopo cinque mesi, in un bagno di sangue e in un caos così grave da far avvicinare a Lisbona navi da guerra inglesi e spagnole, pronte ad intervenire.
Fu allora che i cattolici portoghesi formarono un grande movimento di preghiera, processioni e suppliche per invocare dalla Vergine Maria, Regina del Portogallo, la salvezza della sua terra.
Nel 1916 si organizzò, in tutto il Paese, la crociata del Rosario con l’adesione di migliaia di famiglie nelle città e nelle campagne.
Non solo imperversava quello spaventoso disordine interno, ma la rivoluzione portoghese, impegnata sul fronte internazionale, trascinò anche quella povera nazione alla guerra europea.
Ecco qual era la situazione in Portogallo alla vigilia delle Apparizioni di Fatima.

«Vogliamo organizzare un’umanità senza Dio!», diceva Jules Ferry.
E Clemenceau, spesso ripeteva: «La Rivoluzione è un blocco da dove niente può essere levato...».
In pieno secolo XX l’impero degli Asburgo rappresentava - per usare la felice espressione del conte Emmanuel Malinsky: «Un’immagine della Pentecoste storicamente cattolica» che si opponeva alla Babele laica e apolide internazionalista.
Era la continuazione dell’unità nella diversità che nel luminoso Medioevo aveva fondato la civiltà europea, e per ciò era quanto poteva esservi di più avverso e odioso per le forze anticristiane coalizzate e tese ad un imperium mundi sorretto unicamente sulla volontà di potenza di ristretti cenacoli.
La Grande Guerra fu preceduta da misteriose riunioni come quella di cui rende conto l’«Unità Nazionale» di Montreal del giugno-luglio 1957: «Nel 1913 un gruppo di banchieri internazionali si riunì d’urgenza sull’isola Jekill, di fronte a Brunswick (Georgia, USA). Per questa riunione secreta tutti gli abitanti dell’isola erano stati evacuati. Guardie impedivano ai non invitati di avvicinarsi durante la Conferenza.
In seguito si apprese che in quell’occasione il ‘Governo invisibile’ del mondo occidentale aveva deciso l’istituzione della Federal Reserve Bank che avrebbe dovuto sottrarre al governo americano e al Congresso il loro potere di emissione della moneta e del credito; in questa stessa occasione l’orientamento della guerra già decisa (si tratta della prima Guerra mondiale) era così stato stabilito».

L’arciduca Francesco Ferdinando

L’imperatore Francesco Giuseppe superò con stoicismo l’assassinio della sua bella sposa Elisabetta come qualche anno prima aveva superato la tragedia di Mayerling (1889), del suicidio del figlio Rodolfo, di vita dissoluta e di amicizie liberali ed anche anti-monarchiche.
Con tali tragedie la successione al trono del suo impero passava al fratello Carlo Luigi che, malgrado il peso degli anni, fino alla sua morte nel 1896 si rifiutò di rinunciare a favore del figlio.
Si trattava di Francesco Ferdinando, educato da suo zio, l’austero arciduca Albrecht, che aveva un concetto medioevale della posizione di prestigio della famiglia regale nel seno del Sacro Impero Apostolico, e questi princìpi della casa imperiale furono pienamente recepiti dal giovane arciduca, preparato per una eventuale successione studiando il diritto e la storia dello Stato.
Ciò va notato qui: Francesco Ferdinando sul trono, essendo pienamente cosciente dei pericoli che minacciavano l’Impero, e i danni provocati dalla passività del vecchio imperatore, che amava e rispettava disapprovandone però l’operato, avrebbe cercato con la sua personalità autoritaria di cambiare i rapporti di forza in Europa e nel mondo.
E non faceva mistero di sentimenti antiungheresi specialmente a causa della loro crescente influenza in politica estera.
Ma il problema principale era la Germania di Bismarck, mirante a un Reich tedesco unificato e potente.
«Chi potrebbe impedire in seguito alla Germania di reclamare il possesso di tutti i Paesi abitati da tedeschi?».
Perciò avrebbe considerato un riavvicinamento con la Francia, su cui contare per impedire un’egemonia prussiana.
Non diversamente Napoleone III aveva sperato che, in caso di scontro con la Germania, l’Austria-Ungheria sarebbe stata dalla sua parte.
Il fatto è che la neutralità dell’Austria nella guerra franco-tedesca del 1870-1871 rese un immenso servizio ai prussiani e a Bismarck.
Francesco Ferdinando capiva inoltre che, prendendo posizione contro la Germania, l’Austria-Ungheria avrebbe gettato quest’ultima tra le braccia della Russia.
Per questa ragione, pur facendo dichiarazioni profrancesi, approvava l’avvicinamento alla Germania.
Ma lo voleva fare in posizione di forza.
Francesco Ferdinando riteneva che la politica protedesca degli ungheresi da un lato, ma anche il panslavismo di altri, fossero responsabili dell’aggravamento dei conflitti nazionali.

Il progetto di espansione pangermanica prevedeva la fusione della Germania e dell’Austria-Ungheria, che, attraverso la Romania e la Turchia europea e asiatica, avrebbe esteso la sua influenza fino all’Arabia.
Sembrava un piano fantasioso, ma i poteri economici mondiali presentivano e speravano che il passaggio al suffragio universale avrebbe dato ai diversi popoli la possibilità di autodeterminarsi e avrebbe consolidato sufficientemente l’Austria-Ungheria perché essa si proteggesse dall’espansionismo del suo potente alleato.
Divenuto delfino, Francesco Ferdinando aveva nella sua cerchia intima rappresentanti delle diverse nazionalità e posizioni, autonomisti ma anche federalisti.
Uno di essi scrisse allora un’opera che fece scalpore, «Gli Stati Uniti della ‘Grande Austria’»; un «brain-trust» dove non mancavano anche liberali e nazionalisti, ma principalmente rappresentanti delle minoranze nazionali che avrebbero giocato un ruolo politico importante nei loro rispettivi Paesi, perché quel che mirava era la riorganizzazione della monarchia su una base di autonomie etniche.
Contro l’opposizione di Francesco Giuseppe e della corte, l’Arciduca concluse un matrimonio morganatico con la contessa ceca Sofia Chotek, il che implicava rinunciare alla successione per i suoi figli.
Voleva rinnovare il Paese dalle posizioni antiliberali e autoritarie.
E così se ebbe delle intuizioni spesso geniali in politica interna come estera, mancò del tatto e della pazienza necessari a concretizzarle; sdegnò ambienti intellettuali influenti, che considerava come decadenti, ma ruppe anche con militari intraprendenti, che cercavano legami col partito militarista tedesco.
Si può immaginare che se non fosse stato ucciso a Sarajevo, avrebbe evitare delle inutili prove di forza con la Serbia, come volevano i militaristi austriaci e gran parte dell’opinione pubblica, mentre era deciso a rivedere gli equilibri di forza con gli ungheresi anche a costo di provocare una crisi civile dalle conseguenze imprevedibili tra Austria e Ungheria.
Comunque aveva un’idea avanzata di governo organico fondato su piani di riforme fondamentali elaborati dai suoi fidati consiglieri, tra cui l’estensione del suffragio universale, già in vigore in Austria dal 1907, e l’uguaglianza dei diritti per tutte le nazioni.
La sua difficoltà più grande era con i magnati e con i liberali ungheresi che lo vedevano come un «clericale reazionario», mentre aveva un contatto di calore eccezionale coi contadini ungheresi, che dichiarava «di portamento assai nobile».
Francesco Ferdinando, accusato di «assolutismo cesariano» nel suo piano di riorganizzazione della monarchia austriaca, manifestò in politica estera una tendenza alla tolleranza e al buon senso e avversione ad una politica balcanica espansionista che rischiava di provocare sia la Germania che la Russia a favore di interessi unghere-si.
Si opponeva anche al militarismo del suo ex consigliere Conrad von Hötzendorf, divenuto capo di Stato Maggiore, nel suo disegno di regolare il contenzioso con la Serbia e fare una guerra preventiva all’Italia, che - malgrado l’alleanza - manteneva le sue rivendicazioni territoriali sull’Austria.
Era pure idea di Conrad, contrariamente a Francesco Ferdinando, che la guerra contro la Russia fosse inevitabile a causa dei rapporti balcanici delle due potenze, e inoltre, come pensava il partito militarista tedesco, «tedeschi e austriaci dovevano passare all’azione finché vi era ancora tempo, oppure rinunciare alle loro pretese da grandi potenze».

Ma la risposta di Francesco Ferdinando, anche se aveva simpatizzato con il rinnovamento della Santa Alleanza del 1870 dei tre imperatori austriaco, russo e tedesco, contro il pericolo rivoluzionario della socialdemocrazia, fu: «Che Conrad la finisca di spingerci alla guerra»…
L’anno prima dell’attentato di Sarajevo, Francesco Ferdinando scriveva a un amico: «Dovremo fare di tutto per mantenere la pace».
Non si nascondeva che la guerra avrebbe isolato l’Autria.
«Supponiamo che si intraprenda la guerra con la Serbia - scriveva. Vinceremo la prima manche, ma poi? L’Europa ci additerebbe come affossatori della pace. [...] Quanto ai nostri slavi del sud, potremo conciliarli con una politica d’amicizia giusta e generosa. Oggi conosco bene i croati e i dalmati, e garantisco che non mi servirebbero più di quarantotto ore per riportare da loro la stabilità e la fiducia nei confronti della monarchia».
Inoltre, «Prima di pensare a una politica di espansione bisognerebbe far ordine in casa nostra e avere alle spalle tutti i nostri popoli».
Ma: «Nello stesso tempo dovremo far di tutto per respingere gli elementi antidinastici, ebrei e massonici la cui influenza è penetrata fin nelle più alte sfere!».

Ora, molti massoni ed ebrei dell’Austria-Ungheria si ritenevano tra i sostenitori piu leali della dinastia (François Fejtö, «Requiem per un Impero defunto», Mondadori, 1988, pagina 183).
E dopo la paurosa ecatombe della II Grande Guerra un cancelliere austriaco di origine ebrea, Krausky, affermò senza tentennamenti che se ci fosse stata allora nel 1939 la potenza equilibratrice dell’Impero austro-ungarico, Hitler non avrebbe avuto la mano libera con cui si è trovato.
Conclusione: si può supporre, documentatamente, che se Francesco Ferdinando non fosse stato assassinato,
la politica austriaca sarebbe stata differente da quella militarista spinta dai tedeschi e non avrebbe ragionevolmente fornito pretesti per iniziare una guerra incontrollabile.
Si può quindi dedurre che gli avversari interni e esterni che hanno tramato l’assassinio di Francesco Ferdinando non l’hanno fatto contro un guerrafondaio ma proprio perché era contrario alla guerra inutile.
La prima guerra mondiale fu un tragico incendio; l’Europa fu in fiamme dopo l’assassinio dell’erede al trono imperiale d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, il 28 giugno 1914 a Sarajevo per opera del l’attentatore era l’ebreo Gravilo Princip insieme ad altri terroristi.
L’Encyclopedia Britannica (VIII, 1975, pagina 216) precisa che Princip fu indirizzato al terrorismo dalla società segreta serba conosciuta come Mano Nera... che pianificò l’assassinio e armò Princip e diversi altri.
«Albert Mouset, nel suo libro tratto dal resoconto stenografico del processo svoltosi nell’ottobre seguente, ‘L’Attentat de Sarajevo’, Pajot, Parigi, 1930, riferisce che sia Gavrilo Princip che N. Cabrinovic dichiararono che Francesco Ferdinando era stato condannato a morte dalla massoneria. Notizia che coincide con le rivelazioni del colonnello Paty de Clam e pubblicate da monsignor Jouin a Parigi sul numero di settembre di ‘La Revue Internationale des Sociétes secrètes’: ‘Può darsi che un giorno si faccia luce su queste parole di un alto massone svizzero circa l’erede al trono d’Austria: ‘Ha delle qualità, peccato che sia condannato, morrà sui gradini del trono’ (numero 5 del 15 settembre 1912, pagine 787-88, avenue Portalis 8, Paris)». («Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia», Epiphanius, Ichthys, Albano Laziale, pagina 186).

Molte sono state le trame che hanno portato alla I Grande Guerra, la cui miccia fu accesa il 28 giugno 1914 dall’attentato di Serajevo contro il principe ereditario, il cattolico e combattivo Francesco Ferdinando e sua moglie, e che ciò fu tramato nella Loggia della società segreta di Belgrado, «Narodna Obradna», non senza il concorso di elementi governativi.
Ma come non osservare la notevole coincidenza, per cui il 17 giugno tutta l’armata inglese era stata mobilitata e il presidente francese Poincaré era partito per Pietroburgo in Russia, nazione con cui la Francia avrebbe stretto alleanza contro l’Austria?
Un episodio del 1917 è indicativo di quanto questa guerra distruttiva dell’ordine cristiano in Europa fosse stata auspicata da molti.
Nel momento più cruciale del conflitto, vi fu l’appello rivolto a Francia e Inghilterra di Benedetto XV e del nuovo Imperatore Carlo d’Austria tramite l’impegno di sua moglie Zita, i cui fratelli Sisto e Saverio di Borbone-Parma erano ufficiali dell’esercito alleato, con cui cercò di stabilire contatti confindenziali in Francia con i generali Foch e Petain per raggiungere, con il presidente Poincaré, una pace separata dalla Germania bellicista di Guglielmo Il.
L’iniziativa era a buon punto quando fu conosciuta dal Primo Ministro Giorgio Clemenceau.
La «Tigre», come egli era conosciuto, si dichiarava apertamente contraria ad ogni accordo.
«E’ necessario espellere gli Asburgo, la monarchia papista!».
E l’accordo non fu considerato dai belligeranti, poiché la guerra doveva continuare fino alla completa distruzione degli Imperi Centrali, conditio sine qua non per avviare un processo di unione mondiale.
E così la guerra continuò.
La Germania infettava la Russia con il virus rivoluzionario di Lenin e, dopo il massacro, l’Austria fu ridotta a un piccolo Paese; ma è sotto gli occhi di tutti che cosa ciò sia costato al mondo.
I poteri anticristiani che sono sorti in seguito hanno fatto rimpiangere la mancanza del controppeso austriaco.
Questo si è visto con i crimini, le violenze e le persecuzioni di uno stato di guerra rivoluzionaria che si è propagato in tutto il mondo per abbattere i segni rimasti di quanto essi chiamavano la «teocrazia romana»; la Chiesa Cattolica.

Ma potrà la Rivoluzione avere il sopravvento su di essa, con le forze e le logge del mondo coalizzate all’esterno e all’interno della Chiesa?
Ecco che, tempestivamente, nel 1917, a Fatima, si ha la risposta negativa, e la conferma che alla fine sarà la Fede a trionfare per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria!

Daniele Arai

«Fatima e il «segno» della distruzione della società cristiana» (prima parte)


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