Prologo
Aldo Maria Valli, circa una settimana fa, ha postato un accorato appello, in cui ha messo bene in luce l’allontanamento dell’insegnamento di papa Francesco da quello di Gesù, degli Apostoli, della Tradizione patristico/scolastica e del Magistero della Chiesa (da San Pietro sino a Pio XII).
Tuttavia, Valli, in quest’appello ha scritto anche che “Roma è rimasta senza Papa …”, senza fornire ulteriori spiegazioni.
La suddetta frase ha suscitato molti interrogativi; infatti, non è chiaro se la sua esternazione sia un’esplicita presa di posizione “sedevacantista”.
Spero che sarà lui stesso a chiarire, prossimamente[1], la sua opinione a riguardo e, se essa riguardi anche monsignor Viganò, di cui Valli – in un certo senso – è de facto il portavoce almeno ufficioso, se non ufficiale.
Mi permetto, in quest’articolo, soltanto di precisare – senza pretendere di risolvere ogni problema e di fugare qualsiasi dubbio o difficoltà – alcune questioni, che non mi sembrano trascurabili riguardanti il pungente dibattito odierno.
In particolar modo, specialmente oggi, occorre tener presenti alcuni princìpi e fatti, che possono illuminare la strada, sempre più buia, che deve percorrere il cattolico fedele in questo tristissimo periodo, paragonabile a quello che dovettero affrontare Gesù e i Suoi Apostoli al Getsemani, quando Egli disse agli sgherri che venivano ad arrestarlo: “Haec est ora vestra et potestas tenebrarum” (Lc., XXII, 53).
Purtroppo, la triste realtà è che siamo “un gregge” di pecore matte “senza pastore”, che è stato “colpito” (Mt., XXVI, 31), anche se non ucciso, ma senz’altro ferito; proprio come l’uomo con il Peccato Originale: “Vulnerato nelle facoltà naturali, spogliato dei doni gratuiti, ma la sua natura è rimasta sostanzialmente integra e non annichilata”, il quale è stato ben rappresentato dall’uomo aggredito dai ladroni sulla strada che portava da Gerusalemme a Gerico: “despoliaverunt eum … plagis impositis … semivivo relicto” e che venne soccorso da un Samaritano, mentre il Sacerdote e il Levita passarono oltre (Lc., X, 30 ss.).
Vi sono, dunque, due scogli da evitare: a) l’eccesso di falsa obbedienza o il vile servilismo, che porta a obbedire pure a ordini evidentemente contrari al bene comune temporale dei cittadini e spirituale dei fedeli, alla Legge naturale e rivelata, alla retta ragione e, infine, al Dogma rivelato; come pure b) il difetto di anarchismo luterano, secondo il quale ognuno si dirige da sé, senza bisogno di sottostare a un’autorità.
Purtroppo, oggi rischiamo costantemente di sbandare a “destra”, cadendo nel burrone del servilismo; oppure a “sinistra”, diventando ognuno il Papa di se stesso e sprofondando nella voragine dell’anarchismo.
Certamente “l’uomo è, e per natura, un animale socievole”; quindi, abitualmente o normalmente, ha bisogno di un’autorità; tuttavia, eccezionalmente, l’autorità può deviare dal suo fine (“salus animarum et populi, suprema lex Ecclesiae et Civitatis”); quindi, solo in questi casi eccezionali sopra descritti, si può e si deve non tener conto dei suoi ordini, ma al contempo bisogna cercare di ritornare alla normalità senza che l’eccezione diventi la regola, con un’autorità temporale e spirituale, che ci diriga – sicut cives et fideles – al nostro fine ultimo: il benessere comune temporale (Stato e Governanti) subordinatamente a quello soprannaturale (Chiesa, Papa e Vescovi).
***
Principio I
Bisogna distinguere:
il Papa nell’«essere» e nell’«agire»;
la chiesa come “oggetto” e come “soggetto”
Oggi, soprattutto con il pontificato di papa Bergoglio, si costata ancor più facilmente la rottura tra la dottrina del Concilio Vaticano II e del post/concilio con la dottrina della Tradizione apostolica (l’oggetto o l’agire degli uomini di Chiesa).
Vale a dire che è sempre più evidente a tutti, la non-conformità tra la dottrina (oggetto) insegnata (agire) dalla Chiesa nei primi venti Concili Ecumenici-dogmatici con la dottrina insegnata dal Concilio Vaticano II (Giovanni XXIII, 1958/1963 – Paolo VI, 1963/1965) e nel post/concilio (Paolo VI, 1965/1978 – Francesco, 2013/…).
Tuttavia, se l’oggetto dell’insegnamento (agire) è realmente cambiato dopo il Vaticano II; il soggetto insegnante, ossia la Chiesa, che è stata fondata da Cristo su Pietro e i suoi successori, non può essere mutato sostanzialmente; altrimenti avremmo due Chiese essenzialmente diverse: una preconciliare e l’altra conciliare, il che è contrario alla fede, la quale c’insegna: “Credo una Chiesa…”; infatti, la Chiesa (soggetto) che ha insegnato (agire) dogmaticamente e infallibilmente prima del Vaticano II è, quanto alla sostanza, lo stesso soggetto “Chiesa” anche dopo il Vaticano II, pur se il suo insegnamento (oggetto) è mutato; ossia essa è sempre la Società dei battezzati, fondata da Cristo sopra Pietro con i suoi successori (Papi) e gli Apostoli (Vescovi).
La Chiesa è un “Corpo Mistico”, ossia è non solo una società giuridica naturale (composta di membri umani: fedeli, Vescovi, Papa), ma è anche soprannaturale; infatti, essa è 1°) fondata divinamente da Cristo; 2°) fornita di Credo, Sacramenti e Comandamenti divini; infine, 3°) ci conduce all’eterna Visione Beatifica del Cielo.
La Chiesa, secondo la dottrina cattolica, è la Società dei battezzati, che hanno la stessa fede, partecipano agli stessi Sacramenti e soprattutto al Sacrificio della Messa, osservano la stessa Morale e riconoscono come loro legittimi superiori i Vescovi e il Papa quali successori degli Apostoli e di San Pietro (cfr. San Pio X, Catechismo minore della Dottrina cristiana, 1912, n. 105).
Inoltre la Chiesa, nella sua gerarchia (soggetto), a partire dal Vaticano II – quanto al modo – ha parlato “pastoralmente”, non dogmaticamente e quindi non infallibilmente[2], per cui il suo insegnamento (oggetto/agire) ha potuto discostarsi dall’oggetto costantemente professato dalla Chiesa.
Ecco perché si deve dire che la Chiesa come soggetto è sempre una e la medesima, ma nel suo insegnamento dogmatico o pastorale (l’oggetto Chiesa o il suo agire) ha subìto alcune variazioni (cfr. Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica, Milano/Napoli, Ricciardi, 1985; II ed., Torino, Linadu, 2009; Verona, Fede & Cultura, 2009).
Il fatto che l’oggetto dell’insegnamento, ossia la dottrina ante-Concilio Vaticano II e quella del Vaticano II, discordino in molti punti non pone problemi all’indefettibilità del soggetto Chiesa gerarchica (Papi e Vescovi come successori di Pietro e degli Apostoli), poiché l’insegnamento “pastorale” del Vaticano II non è infallibile, avendo esso rinunciato a voler definire e obbligare a credere[3].
Nessuno nega che il Vaticano II sia stato un Concilio Ecumenico: infatti vi era il Papa con l’Episcopato riuniti in Vaticano; tuttavia, si deve anche ammettere che esso non ha voluto definire, obbligare a credere; anche in alcune Costituzioni dette dogmatiche, ossia che hanno trattato temi dogmatici (ad esempio, la Chiesa…). Come un Manuale di Teologia dogmatica, che tratta il Dogma cattolico, non è infallibile, così il Vaticano II pure nelle Costituzioni dogmatiche (Lumen Gentium, su “La Chiesa”, 21 novembre 1964 e Dei Verbum, su “La Rivelazione divina”, 18 novembre 1965), non avendo voluto definire né obbligare a credere sotto pena di dannazione, non è infallibile; tuttavia il suo è un insegnamento di Magistero Straordinario (non avviene ordinariamente, abitualmente e normalmente che il Papa e l’intero Episcopato si riuniscano in Assise), ma in maniera “pastorale”, ossia che applica i princìpi dottrinali e universali ai casi particolari e di vita concreta; senza alcune volontà di definire e di obbligare a credere e quindi senza essere garantito infallibilmente.
È molto importante fare questa distinzione; infatti, il Magistero Ordinario o abituale anche del solo Papa (Magistero Ordinario Pontificio) o del Papa che interpella i Vescovi sparsi nel mondo, ognuno nella propria diocesi (Magistero Ordinario Universale), se definisce e obbliga a credere è già infallibile, senza dover ricorrere alla Definizione solenne e straordinaria del solo Papa (Immacolata Concezione, 8 dicembre 1854) o universale (Papa e Vescovi: Infallibilità e Primato di giurisdizione del Romano Pontefice, Concilio Vaticano I, 20 settembre 1870).
«La Definizione Dommatica è la solenne dichiarazione della Chiesa intorno a una verità contenuta nelle due fonti della divina Rivelazione (S. Scrittura e Tradizione) e proposta ai fedeli, che perciò sono tenuti a crederla per l’autorità di Dio che l’ha rivelata. […]. La dichiarazione della Chiesa può essere fatta per via di Magistero Ordinario (predicazione unanime dei Vescovi uniti col Romano Pontefice) o per via di Magistero Straordinario (solenne dichiarazione del Papa o di un Concilio Ecumenico). […]. Si noti, però, che generalmente a costituire un dogma ossia una verità rivelata divinamente e definita dalla Chiesa, basta già la funzione del Magistero Ordinario, come dichiara il Concilio Vaticano I (sessione I, capitolo 3, DB 1792): “Bisogna credere di fede divina e definita, tutte quelle verità che sono contenute nella S. Scrittura o nella Tradizione divina e che vengono definite e proposte dalla Chiesa – sia con una Definizione Straordinaria e solenne, sia con il Magistero Ordinario e Universale – da credersi obbligatoriamente come divinamente rivelate”» (P. Parente, Dizionario di Teologia Dommatica, Roma, Studium, III ed., 1957, pp. 107-108, voce “Definizione Dommatica”; rist., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2015).
Anche qui occorre specificare che se il “Papa gode della stessa infallibilità di cui Cristo volle dotare a Chiesa” (Concilio Vaticano I, DB 1839), non per questo vi sono due infallibilità: quella della Chiesa e quella del Papa; infatti, «l’infallibilità data da Cristo alla sua Chiesa è una sola: quella conferita a Pietro e ai suoi successori, i Papi. Tuttavia questa prerogativa è stata elargita per il bene della Chiesa (causa finale) a Pietro e ai Papi affinché la esercitino loro stessi (causa efficiente). Quindi, come la vita dell’uomo è una sola, che deriva ed è prodotta o causata dall’anima come causa efficiente, ma si diffonde in tutto il corpo per il bene di tutto l’uomo (come causa finale); così l’infallibilità è diffusa in tutta la Chiesa e circola in essa per il bene di tutta la Chiesa (causa finale), ma è esercitata e dipende dal suo Capo visibile, ossia il Papa (causa efficiente)» (A. Piolanti, Dizionario di Teologia Dommatica, cit., pp. 214-215, voce “Infallibilità Pontificia”)[4].
Vi è, dunque, sostanzialmente un solo e identico soggetto (Chiesa), che ha insegnato in maniera diversa quanto al modo: a) con Magistero abitualmente dogmatico (definitorio e obbligante) e, dunque, infallibile sino a Pio XII; mentre ha parlato b) con un Magistero abitualmente pastorale non infallibile a partire da Giovanni XXIII[5], e, addirittura neppure con Magistero pastorale, ma solo in maniera esortativa (Francesco, Esortazione apostolica, Amoris laetitia, 2016).
Ora, se si nega che il soggetto Chiesa sia lo stesso, prima e dopo il Concilio Vaticano II, implicitamente e praticamente, si nega l’articolo di fede “Credo unam… apostolicam Ecclesiam”; poiché il soggetto Chiesa, che Cristo ha fondato su Pietro e i suoi successori: i Papi, dovrà durare ininterrottamente sino alla fine del mondo, sostanzialmente inalterata nella sua struttura divinamente istituita, vale a dire quanto a 1°) la “causa efficiente”: Dio; 2°) la “causa finale”: la Visione Beatifica del Cielo; 3°) la “causa formale” o mezzi soprannaturali per giungere al fine: la grazia santificante infusa tramite i Sacramenti; 4°) la “causa materiale”, cioè gli uomini che la compongono: le membra secondarie o la Chiesa discente fatta da fedeli e sacerdoti, più le membra primarie o Chiesa docente, composta dal Papa e dai Vescovi in comunione col Papa.
Se la Chiesa petrina (soggetto Chiesa) fosse finita col Vaticano II (1965) le “porte degli Inferi” avrebbero vinto, sconfessando la promessa di Gesù: “Io sarò con voi tutti i giorni [compresi quelli che vanno al 1962 al 1965, ndr] sino alla fine del mondo”.
Invece, il fatto che la dottrina o l’oggetto dell’insegnamento (agire) della Chiesa differisca prima e dopo il Vaticano II, poiché nel Vaticano II non si è voluto definire e obbligare a credere e quindi si è esclusa – scientemente e volutamente – l’assistenza infallibile dello Spirito Santo, non intacca l’apostolicità e l’indefettibilità del soggetto Chiesa (essere), che, nonostante il Vaticano II, continuerà sostanzialmente inalterata nella sua divina costituzione (Papi e Vescovi) da Pietro sino all’ultimo Papa e all’Episcopato, viventi alla fine del mondo.
Perciò, si può parlare – in senso largo o non strettamente teologico e polemico – di soggetto “Chiesa conciliare” (come hanno fatto i cardinali Benelli e Koch) in opposizione al soggetto Chiesa, cattolica romana (l’essere). Infatti, l’oggetto o l’insegnamento (l’agire) pastorale (Concilio Vaticano II) o addirittura neppure pastorale, ma puramente “esortativo” (cfr. Francesco, Esortazione apostolica, Amoris laetitia, 19 marzo 2016) sono in contraddizione con l’oggetto dell’insegnamento dogmatico e costante della soggetto Chiesa cattolica da S. Pietro a Pio XII.
In questo senso lato (o non strettamente teologico) si può parlare degli uomini di una “contro-chiesa”, che cercano di erodere modernisticamente la Chiesa cattolica dal didentro (cfr. San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907). Questo è il vecchio piano che la “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) ha sempre avuto in mente sin dalla fondazione della Chiesa di Cristo “configgendo il Verbo incarnato in croce” (Pio XI, Enciclica Mit Brennender Sorge, 14 marzo 1937) ed ha cercato di attuare nel corso dei secoli, perseguitando la Chiesa o “Cristo continuato nella storia” a partire dall’Apostolo Giuda, del quale “Gesù disse: non fui Io ad eleggere voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo” (Gv., VI, 70).
Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi dell’inferno e dei suoi accoliti (da Giuda ai modernisti: da Roncalli a Bergoglio), “le porte dell’Inferno non prevarranno contro Essa”. La fede ci assicura che anche quest’ultimo tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo (esploso col Vaticano II) è destinato a fallire come tutti gli altri che l’hanno preceduto e come la grande persecuzione dell’Anticristo finale, che concluderà la storia dell’umanità e della Chiesa con la vittoria definitiva di Cristo. “Dio, salvi la Chiesa dalle colpe degli uomini di Chiesa!” (don Francesco Putti). Occorre sempre fare questa distinzione basilare.
Onde, bisogna ben distinguere i termini quando si parla della crisi nella (non della) Chiesa, 1°) sia per non negare il fatto oggettivo della discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II; 2°) sia per non negare il dogma della perenne continuità del soggetto Chiesa sostanzialmente identico, sino alla fine del mondo e la sua apostolicità (che è una delle quattro Note della Chiesa), ossia la serie formalmente ininterrotta di Papi e Vescovi, che da Pietro e dagli Apostoli si sono susseguiti e si susseguiranno come una catena mai interrotta – neppure solo formalmente – di anelli (la pura successione apostolica materiale dei Vescovi che discendono dagli Apostoli ma non “cum Petro et sub Petro”, come quella degli scismatici detti “Ortodossi”, non basta ad assicurare l’Apostolicità della vera Chiesa) sino alla Parusia.
Occorre, a tal fine, fare molta attenzione a non confondere la continuità del soggetto Chiesa con la continuità dell’oggetto o della dottrina della Chiesa, la quale dottrina, quando non è insegnata dal Magistero infallibile, può essere – per definizione o per tautologia – fallibile e, quindi, eccezionalmente in rottura con la Tradizione apostolica[6]; così come la dottrina del Vaticano II è in più punti in rottura con quella della Tradizione apostolica e del Magistero tradizionale e dogmatico (quindi infallibile) della Chiesa[7].
Certamente la Chiesa è “soggetto insegnante”; tuttavia, gli uomini di Chiesa (a pedibus usque ad Capitem) non devono appropriarsi della Rivelazione divina, contenuta nella Tradizione apostolica e nella S. Scrittura per interpretarla soggettivamente o eterogeneamente come a loro sembra, ma devono custodirla, mantenerla invariata sostanzialmente omogeneamente o oggettivamente (anche se approfondita, penetrata e spiegata sempre meglio) e poi trasmetterla spiegandone il significato genuino senza contraddizioni (Concilio Vaticano I, Pastor aeternus, cap. IV).
L’interpretazione della Rivelazione è condizionata dalla sua conservazione ed è ordinata alla sua trasmissione.
I teologi insegnano che “il governo della Chiesa è un regime monarchico. Tuttavia – per quanto sia assoluta – la volontà del monarca è limitata dal diritto divino naturale o positivo. […]. Il potere di giurisdizione del Papa, non conosce sulla terra altri limiti che quelli a esso assegnati dal diritto divino e dalla costituzione divina della Chiesa” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. II, p. 1253 e 1255, voce Pontefice, Sommo).
Ora, Francesco ha oltrepassato (in re morali con Amoris laetitia nel marzo 2016; in re dogmatica con l’idolatria del Pachamama nell’ottobre 2019; aspettando Astana, in re satanistica, nel giugno 2021) oggettivamente i limiti impostigli dal diritto divino e dalla divina costituzione della Chiesa. Perciò, è non solo lecito, ma doveroso metterlo davanti alle sue responsabilità e ammonirlo di ritrattare i suoi errori oggettivi. Tuttavia, non si può pretendere di arrivare alla sua deposizione dopo la constatazione dei suoi errori notori ed evidenti in materia di fede e di costumi.
Dunque, per concludere questo primo principio, affermare che “Bergoglio è Papa” (quanto all’essere), non significa sostenere la conformità (quanto all’agire/insegnare) della dottrina di Bergoglio (oggetto) con la dottrina tradizionale insegnata dalla Chiesa nel suo Magistero costante, ma vuol dire solamente asserire che, purtroppo, Bergoglio è il soggetto che governa (malamente) la Chiesa[8].
***
II Principio
Il cambiamento è iniziato non solo con Bergoglio, ma già da papa Roncalli sino a papa Ratzinger
Per provare quanto appena affermato sopra, basta fare alcune citazioni:
1°) La Costituzione Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, (convocato da Giovanni XXIII nel 1959 e poi aperto da lui medesimo nel 1962), al n. 22, recita così: “In Cristo la natura umana è stata assunta, senza venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche innalzata ad una dignità sublime: con l’Incarnazione, il Figlio di Dio si è unito, in un certo modo, a ogni uomo”.
2°) Al n. 24, Gaudium et spes, specifica: “L’uomo in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa (propter se ipsam)”. Attenzione “propter se ipsam”, ossia non “per Se stesso”, cioè ordinandola a Dio come Fine ultimo, ma “per se stessa” vale a dire che il Fine dell’uomo è l’uomo stesso, l’antropocentrismo diventa “antropolatria” o, meglio ancora, idolatria.
3°) Paolo VI, il 7 dicembre 1965, ha detto: “La religione di Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa l’ha tutto pervaso. […]. Voi, umanisti moderni, che […] riconoscete il nostro nuovo umanesimo, datele [alla Chiesa cattolica, ndr] merito in tutto questo; infatti, anche noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo!” (Enchiridion Vaticanum, Documenti. Il Concilio Vaticano II, Omelia IX sessione del Concilio, EDB, Bologna, IX ed., 1971, p. [282-283]).
4°) Giovanni Paolo II, nella sua prima Enciclica (del 1979) Redemptor hominis n. 9, afferma: «Dio in Lui [Cristo] si avvicina a ogni uomo dandogli il tre volte Santo Spirito di Verità» ed ancora Redemptor hominis n. 11: «La dignità che ogni uomo ha raggiunto in Cristo: è questa la dignità dell’adozione divina». Sempre in Redemptor hominis n. 13: «Non si tratta dell’uomo astratto ma reale concreto storico, si tratta di ciascun uomo, perché […] con ognuno Cristo si è unito per sempre […]. L’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché, con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero [della redenzione] del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre».
5°) Nella sua seconda Enciclica (del 1980), Dives in misericordia n. 1, Giovanni Paolo II afferma: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».
6°) Sempre Giovanni Paolo II, nella sua terza Enciclica Dominum et vivificantem (del 1986), al n. 50, scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito a ogni carne [creatura], specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal didentro. […] L’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di … tutto il mondo visibile e materiale […]. Il Generato prima di ogni creatura, incarnandosi … si unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] e in essa con ogni carne, con tutta la creazione».
7°) Infine, anche il card. Joseph Ratzinger (poi papa Benedetto XVI dal 2005 al 2013) non ha interrotto questa serie di tesi modernistiche iniziata con Giovanni XXIII; infatti, nell’articolo “L’eredità di Abramo dono di Natale” (in L’Osservatore Romano, 29 dicembre 2000, p. 1), ha ribadito che l’Antica Alleanza non è mai stata revocata e che gli Ebrei non solo sono i “Fratelli maggiori” dei Cristiani nella fede di Abramo (come disse Giovanni Paolo II nel 1981), ma addirittura i loro “Padri”; inoltre papa Benedetto XVI, in Pontificia Accademia Vaticana, Riflessioni etiche sui vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti, 5 giugno 2005, ha ammesso la liceità morale dell’impiego di feti abortiti per la vaccinazione; nel Discorso alla Curia Romana, Natale 2005, è ritornato sull’Antica Alleanza mai revocata; nella Introduzione a, M. Pera, Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, (Milano, Mondadori, 2009), ha tessuto l’elogio della conciliabilità tra il Liberalismo kantiano e crociano con il Cristianesimo; infine, nel suo libro Molte religioni un’unica Alleanza. Il rapporto ebrei-cristiani. Il dialogo delle religioni (Cinisello Balsamo, San Paolo, [1998] 2007), scritto da cardinale ma ripubblicato col suo placet da Papa, ha ribadito e rafforzato la dipendenza del Cristianesimo dal Giudaismo talmudico; nel volume San Bonaventura. La teologia della storia, (Assisi, Edizioni Porziuncola, 2008) – pubblicazione in italiano – col suo placet papale – della sua Tesi di laurea in tedesco, per la quale fu bocciato dal professor M. Schmauss – ha sostenuto l’ortodossia della teologia millenarista di Gioacchino da Fiore; nel suo Discorso tenuto presso la Sinagoga di Roma, il 17 gennaio 2009, ha ribadito la teologia giudaizzante, della Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate del 1965 e di Giovanni Paolo II, il 17 novembre 1981 a Mainz e il 13 aprile / 31 dicembre 1986 a Roma; nel suo libro Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011) e infine – da “Papa emerito” – nel suo libro Ebrei e Cristiani (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2019), addirittura ha scavalcato anche Giovanni Paolo II per quanto riguarda la dottrina del Giudeo/cristianesimo.
Tirando le somme
Da Giovanni XXIII sino a Francesco, senza escludere Benedetto XVI, ci si è aperti al mondo moderno. Francesco non è l’unico, né il primo ad averlo fatto. Le frasi citate sopra ci fanno capire che vi è un filo conduttore, il quale unisce come un continuum i Papi del Concilio Vaticano II e del post-concilio. L’unica differenza tra di loro è la velocità, che in Francesco è arrivata al parossismo: “motus in fine velocior”, ma la sostanza della dottrina modernista di apertura alla modernità è comune a tutti i Papi del Concilio e post-concilio.
Tutto ciò ci fa capire che oramai solo un intervento speciale divino potrà rimettere le cose a posto. Infatti, il morbo modernista non solo è penetrato nella Chiesa, ma è giunto al suo vertice. Ora, al disopra del Papa c’è soltanto Dio e siccome gli artefici della teologia neo-modernista sono stati ben cinque Papi: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, solo Dio potrà porre un rimedio alla valanga di errori che ha invaso l’ambiente ecclesiale a partire dal 1959 e non dal 2013.
***
III principio
GIUDA “APOSTOLO” E… “DIAVOLO”
Può una stessa persona (per esempio, Giuda Iscariota o Mario Bergoglio) essere assieme Apostolo di Gesù Cristo e diavolo?
In San Paolo è divinamente rivelato che gli Apostoli sono “Ministri di Dio e dispensatori dei Misteri di Dio” (2a Cor., V, 20); mentre – sempre nella S. Scrittura (Gen., III, 1; Apoc., XII, 9; XX, 2) – si legge che il diavolo è l’Angelo rivoltatosi contro Dio e perciò precipitato all’Inferno (cfr. anche Concilio Lateranense IV, DB 428; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 63 ss.).
Come conciliare questi due concetti (“Ministro di Dio” e “nemico di Dio”) senza negare il principio d’identità e non contraddizione?
La retta ragione
Innanzitutto, occorre formulare bene questo principio per sé noto ed evidente a tutti: “Uno stesso ente non può essere una cosa e il suo contrario, nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto”.
Infatti, io posso essere piccolo (rispetto a un elefante) e grande (rispetto a una formica), senza alcuna contraddizione, non in sé ma sotto diversi rapporti; oppure, sempre io posso essere piccolo a tre anni e grande a trent’anni, senza contraddizione alcuna, ma in tempi diversi.
Così Giuda può essere Apostolo, quanto all’essere o come soggetto, mentre quanto all’agire, egli può comportarsi come un diavolo, tradendo Gesù; parimenti Bergoglio può essere Papa quanto all’essere o come soggetto, ma quanto all’agire o all’insegnare, egli può andare contro Colui di cui è Vicario in terra, senza ledere il principio d’identità e non contraddizione.
È la medesima distinzione che abbiamo visto sopra riguardo alla Chiesa, al Papato, al Concilio Vaticano II.
La divina Rivelazione
Oltre la ragione naturale e filosofica, cerchiamo una risposta teologicamente soprannaturale, ricorrendo alla divina Rivelazione (S. Scrittura e Tradizione, interpretate dal Magistero della Chiesa).
Giuda “è un diavolo” (Gv., VI, 71-72)
Nel Vangelo secondo San Giovanni, la Rivelazione divina ci fa leggere: “Rispose Gesù: Non ho forse Io scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Egli parlava di Giuda Iscariota, figlio di Simone: questi, infatti, stava per tradirlo ed era uno dei Dodici” (VI, 71-72). Il suo “seggio” di Apostolo non era, quindi, “vacante”, a Gerusalemme, durante l’Ultima Cena, c’erano Dodici Apostoli; così oggi a Roma c’è un Papa quanto all’essere anche se egli quanto al modo di agire tradisce Colui di cui è il Vicario prossimo e immediato.
La Tradizione Patristica
S. Agostino
S. Agostino d’Ippona, il maggiore dei Padri latini, nel suo Commento al Vangelo di S. Giovanni (Roma, Città Nuova, III ed., 1973, vol. I, pp. 415-416), spiega che la colpa di Giuda fu un peccato d’incredulità, il quale lo portò a tradire Gesù sino a farlo crocifiggere. Egli non credeva che Gesù fosse il Messia. Eppure, nonostante ciò, Giuda è annoverato tra gli Apostoli.
La Tradizione Scolastica
S. Tommaso d’Aquino
Il “Dottore Comune”, ossia “ufficiale” della Chiesa commenta: “Diavolo non per natura, bensì per l’imitazione della malizia diabolica” (S. Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di San Giovanni, Roma, Città Nuova, 1990, vol. I, p. 537). Infatti, Giuda per natura o quanto all’essere era un uomo e non un diavolo, ma, imitando la cattiveria del demonio nell’odiare e tradire a morte Gesù, era simile al diavolo quanto al modo di agire.
Perciò, è accertato che si può essere Apostoli o Papi quanto all’essere e diavoli quanto al modo di agire.
L’esegesi Neoscolastica
Padre Alfred Durand
Il valente esegeta gesuita, Alfred Durand, nel suo Vangelo secondo Giovanni del 1928 (tr. it., Roma, Studium, 1966) mette bene in risalto che “Nonostante il suo ancora occulto peccato, il traditore farà parte del Collegio degli Apostoli sino a quando uscirà dal Cenacolo (XIII, 30). […]. Poi, Gesù aggiunse pure che uno dei Dodici era simile al diavolo, il quale da buono si fece malvagio e per questo cadde dal cielo nell’abisso. Gesù, alludeva a Giuda Iscariota, perché era lui che lo avrebbe tradito benché fosse uno dei Dodici” (p. 296 e 301-302).
La “Sede apostolica” di Giuda non era, quindi, “vacante”, nonostante la sua incredulità e la volontà ostinata di tradire Gesù e i Suoi Apostoli; a Gerusalemme – sino al Cenacolo e al Getsemani – c’erano sempre, quanto all’essere, Dodici Apostoli, Giuda compreso, anche se quanto all’agire uno di essi si comportava come un diavolo.
Chi sono gli “Apostoli” del “Nuovo Testamento”?
Se si studia – dal punto di vista della teologia dogmatica – cosa è l’Apostolo e quali sono le sue prerogative si resta meravigliati da ciò che si è detto.
I Dodici Apostoli furono scelti da Gesù[9] (Mt., X, 5; XX, 17; Mc., VI, 7) e inviati (“missi”) a continuare la Sua missione, ossia per diffondere il Vangelo e la Chiesa in tutto il mondo. Infatti, Cristo ha fondato la Chiesa al fine di continuare la Sua opera redentrice sino alla fine del mondo (Concilio Vaticano I, DB 1821).
Gli Apostoli furono inviati (“missi”) da Cristo come Lui fu inviato (“missus”) da Dio Padre (Giov., XVII, 18; XX, 21). La missione degli Apostoli è di rendere testimonianza a Cristo, raccontando agli altri ciò che hanno visto e udito da Lui e professando la loro Fede in Lui, se necessario sino allo spargimento del sangue.
Gli Apostoli ricevettero l’incarico missionario da Gesù per continuarlo. Gesù stesso è detto “Apostolo” ossia “inviato” dal Padre (Ebr., III, 1). Ora, Gesù fu inviato dal Padre per insegnare la Verità (Magistero), per condurre le anime in Cielo (Imperio o Giurisdizione) e per santificarle (Sacerdozio). Perciò, quel che conta di più nell’Apostolo non è tanto la sua persona quanto la Persona che l’ha inviato (Dio Padre) e la Persona che rappresenta, ossia Cristo, anche se personalmente l’Apostolo è “un diavolo” quanto al modo malvagio di agire.
Gli Apostoli sotto il Capo degli Apostoli e i loro successori (Vescovi/Papa), sono inviati da Cristo a continuare la Sua missione (Concilio di Trento, DB 960; Concilio Vaticano I, DB 1821-1828). I Dodici furono istruiti, formati da Gesù personalmente ed essi hanno dovuto istruire e formare anche coloro che, avrebbero inviato a continuare la loro missione (Vescovi/Papi) e a perpetuare la Chiesa, sino alla fine del mondo.
***
IV Principio
Bergoglio è il successore di Pietro?
Ora, a questo punto, sorge spontanea una domanda che riguarda i nostri giorni: se, Giuda ha potuto essere Apostolo e diavolo, incredulo e traditore di Cristo; i successori degli Apostoli (i Vescovi) e del capo degli Apostoli (il Papa), possono essere Vescovi e Papi (successori degli Apostoli e di Pietro quanto all’essere) pur essendo “diavoli” quanto al modo di agire?
A partire dalla lezione del Vangelo di Giovanni, sembrerebbe proprio di sì.
Si può, quindi, essere Papa (quanto all’essere) pur non avendo la volontà oggettiva di fare il bene della Chiesa (quanto all’agire), ossia avendo la volontà di tradire Cristo, consegnandolo alla morte e pur essendo increduli o infedeli. Perciò, non ripugna poter dire che Francesco è Papa quanto all’essere ed è “un diavolo” quanto al modo di agire, perché nemico della Dottrina e della Chiesa di Cristo, senza negare il principio per se noto d’Identità e la divina Rivelazione.
Conclusione
a partire dai quattro princìpi su esposti
Come si vede l’insegnamento evangelico (Giov., VI, 71-72) ci aiuta nella crisi odierna 1°) ad evitare l’impasse di chi, constatando la “diabolicità” oggettiva – quanto al modo di agire – di Bergoglio, nega che egli sia Papa quanto all’essere; oppure 2°) di chi, constatando la sua avvenuta elezione canonica – accettata comunemente dal Collegio cardinalizio, dall’Episcopato, dai Sacerdoti e dai fedeli – non solo non osa asserire che è “un diavolo” quanto al suo agire, ma addirittura lo segue nelle sue sciagurate innovazioni dogmatiche (Pachamama), morali (Eucarestia ai peccatori pubblici e impenitenti) e liturgiche (Eucarestia obbligatoriamente sulle mani, neo/Pater noster, neo/Gloria in excelsis Deo, nuova epiclesi con tanto di Rugiada…).
Certamente, questa è una situazione eccezionale (come pure straordinario fu il caso di Giuda: uno su Dodici).
Perciò, dobbiamo pregare Iddio che la faccia passare al più presto, ma nonostante ciò non dobbiamo chiudere gli occhi davanti alla realtà delle cose e, dunque, possiamo lecitamente costatare che, come Giuda era “un diavolo”, pur essendo un Apostolo scelto e formato da Gesù; così da Giovanni XXIII sino a oggi ci troviamo davanti ad una serie di Papi (nell’essere) e “diavoli” (nell’agire) che stanno operando oggettivamente il male nella Chiesa di Cristo.
Dunque, per concludere, si può dire che 1°) la Chiesa come soggetto e quanto all’essere è rimasta e resterà sempre la stessa; tuttavia, 2°) quanto all’oggetto dell’insegnamento dei suoi Pastori, con il Vaticano II, la dottrina ecclesiastica ha subìto delle mutazioni sostanziali, ma se Dio lo permette (“non casca foglia che Dio non voglia”) è perché Egli è capace di produrre da questo male un bene maggiore, come fu per il tradimento di Giuda da cui scaturì la nostra Redenzione (“O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem”).
d. Curzio Nitoglia
[1] Mercoledì 24 febbraio Aldo Maria Valli ha corretto il tiro – con un secondo articolo sulla medesima questione, che era stata sollevata qualche giorno fa – specificando che il “Papa (mal)regnante in atto” è Francesco; mentre Benedetto XVI è solo “Papa emerito”, ossia in pensione. Pubblico, comunque, il presente articolo, poiché penso che esso sia attuale egualmente quanto a questo problema, che viene sollevato abbastanza sovente da varie parti dell’ambiente cattolico, che è assai spaesato in quest’ora tenebrosa, ma che ben presto verrà rischiarata dalla luce del Sole che sorge per illuminare le menti e riscaldare i cuori di tutti gli uomini desiderosi di verità e di pace spirituale.
[2] Cfr. Giovanni XXIII, Allocuzione nella solenne inaugurazione del Concilio, 11 ottobre 1962; Paolo VI, Omelia durante la IX Sessione del Concilio, 7 dicembre 1965, ripetuta il 16 gennaio 1966.
7 «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare a un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale» (card. Joseph Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988).
[4] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Quodlibetum 9, q. 7, a.16.
[5] Tranne il caso della non ammissibilità del sacerdozio femminile, definita e imposta da credersi obbligatoriamente, e quindi infallibilmente, da Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994. Questo è un caso di Magistero Ordinario Pontificio infallibile poiché il Papa parla 1°) come Pastore universale della Chiesa; 2°) di fede; 3°) definisce e 4°) obbliga a credere.
[6] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari? “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
[7] Il fatto (quia) certo è quello sopra esposto (discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II), mentre i princìpi da tenere fermi sono: a) l’indefettibilità e la perennità dell’Unica Chiesa fondata su Pietro e i Papi e b) l’infallibilità, che viene impegnata solo quando il Magistero vuol definire una verità come rivelata ed obbligare a crederla per andare il paradiso o sotto pena di dannazione. Il come e il perché (propter quid) sia stato possibile l’attuale disastro spirituale nella Chiesa è un mistero che soltanto Dio conosce. Noi dobbiamo continuare a credere e a sperare che da ogni male permesso Dio trae un bene maggiore. Anche il Poeta ci invita a non voler conoscere le imperscrutabili vie di Dio e le loro cause (propter quid). Quindi dobbiamo contentarci di sapere il fatto (quia) senza presumere di conoscere il perché di ogni cosa (cfr. Dante Alighieri, Purgatorio, III, 36-37; S. Tommaso d’Aquino, S. c. Gent., I, 3).
[8] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione, a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.
[9]Prima di scegliere i Dodici Apostoli Gesù si appartò nella montagna, pernottando nella preghiera. Quando si fece giorno chiamò i Suoi Discepoli e tra di essi ne scelse Dodici, che inoltre nominò pure Apostoli (Lc., VI, 12-13).