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L’omosessualità nella Sacra Scrittura
Don Sandro Carbone
12 Agosto 2011
Sin dall’inizio, quando Dio creò l’uomo (Adam) lo creò a sua immagine e somiglianza come maschio e femmina (zecher/ish- neqvah/isha) come a dire che l’Adam esiste in due versioni, maschio e femmina, e che ciascuna di essa ha la sua completezza nella relazione con l’altra, come mostra il racconto di Genesi 2,23-24: «Allora l’uomo disse: ‘Questa volta è osso delle mie ossa e carne della mia carne! Costei si chiamerà donna perché dall’uomo fu tratta’. Per questo l’uomo abbandona suo padre e sua madre e si attacca alla sua donna e i due diventano una sola carne (basar)». «Una sola carne» qui significa un solo corpo, dovendo intendere il termine basar come complessivo della natura umana, come specificato dal profeta Malachia: «Anche quest’altra cosa fate: ricoprite di lacrime, di pianti e di lamenti l’altare del Signore, perché non si volge più alla vostra offerta né più la gradisce dalle vostre mani! E vi domandate: ‘Perché?’. Perché il Signore è testimone tra te e la donna della tua giovinezza che tu perfidamente tradisci, benché ella sia tua consorte e la donna del tuo patto! E non ha egli fatto un essere solo, di carne in cui è spirito? E che cosa cerca quest’essere unico? Una posterità donata da Dio. Vegliate dunque sul vostro spirito e non tradire la donna della tua giovinezza. Io infatti odio il ripudio, dice il Signore, Dio d’Israele, e chi copre d’ingiustizia la sua veste, dice il Signore degli eserciti. Vegliate dunque sul vostro spirito e non tradite!» (Malachia 2,13-16). L’uomo (Adam) quindi è chiamato a vivere una relazione stretta maschio-femmina perché questo costituisce il suo stesso essere, ad immagine delle persone divine che pur essendo tre sono in un’unica natura, che è amore, quindi relazione (1Giovanni 4,8). Esse si realizzano con le loro relazioni ad intra, generando e procedendo, e si esprimono con le loro relazione ad extra, creando. Così l’uomo si realizza nella relazione maschio-femmina e si esprime generando, secondo il compito che Dio stesso gli ha affidato: «Crescete e moltiplicatevi» (Genesi, 1,28). Il serpente cercò subito di spezzare questa unità incontrando la coppia separatamente e mettendo la donna contro l’uomo e viceversa (Genesi 3,1-12). La qual cosa gli riuscì benissimo con la collaborazione di Eva e di Adamo stessi che, rompendo il rapporto con Dio, si trovarono immediatamente in conflitto fra di loro (Genesi 3,12). Da questo momento la storia dell’Antico Testamento è una storia di continuo conflitto fra l’uomo e la donna che porta a progressive degenerazioni della coppia come la poligamia, il concubinato, l’adulterio, il divorzio, la prostituzione. A queste si aggiungono le forme sessuali deviate particolarmente gravi come l’onanismo, l’omosessualità e la bestialità. Secondo l’Antico Testamento ogni forma di amore sterile è un peccato contro la vita, quindi contro il quinto comandamento (non uccidere) e come tale secondo la legge del taglione deve essere punito con la vita se si vuole espiare la maledizione che altrimenti grava su tutto il popolo (confronta Genesi 38,9-10; Levitico 20,8-27). Esiste un comandamento specifico per l’adulterio che è il sesto (Esodo 20,14: diversamente poi dai comandamenti della tradizione ecclesiastica che invece derivano da una sistemazione di Sant’Agostino) perché la rottura della coppia è il peccato originale di ogni successivo peccato sessuale. Come a dire: spaccando la coppia si uccide l’uomo e la vita che da esso deve generare, quindi si diventa possibili omicidi e passibili di morte cadendo sotto la legge del taglione. Similmente le forme sessuali deviate che nascono dalla rottura dell’unità uomo/donna sono paragonate all’omicidio perché uccidono la vita. «Volevano uccidermi!», dice il levita di Efraim a tutta l’assemblea di Israele riunita a Mizpa per descrivere quello che gli volevano fare gli iniqui uomini di Gabaa di Beniamino che cercarono di sodomizzarlo (Giudici 18,5). Il risultato fu che gli israeliti dovettero eliminare fisicamente tutti i responsabili di quell’atto ignominioso per impedire che la maledizione divina cadesse su tutto il loro popolo! (Giudici capitoli 19-21). Il peccato sessuale nell’Antico Testamento ha effetti di enorme risonanza pubblica, esattamente come l’idolatria e l’ingiustizia sociale. Infatti nella Bibbia l’effetto del peccato è soprattutto la maledizione sulla terra che causa la morte dell’uomo (Genesi 3,14-19); (1) il peccato di omosessualità e di bestialità (2) poi hanno un particolare effetto di morte causando la sterilità della terra e facendo sì che essa vomiti i suoi abitanti: confronta Genesi 19; Levitico 18,22-25: «Con un uomo non giacerai come si giace con una donna: è un abominio! A nessun animale darai il tuo giaciglio, rendendoti impuro con esso; né una donna si presenterà a un animale per l’accoppiamento: è una oscenità! Non contaminatevi con tutte queste cose; con tutte queste cose si contaminano le genti che io sto scacciando davanti a voi. Se ne è contaminata la terra: io punisco in essa il suo peccato e la terra vomita i suoi abitanti». Per questo essi sono puniti con morte, l’unica che può espiare simile maledizione: «Chiunque abbia giaciuto con un uomo come si giace con una donna, hanno compiuto tutti e due un’abominazione; siano messi a morte. Il loro sangue ricada su di essi. … Chiunque abbia dato il suo giaciglio a un animale, sia messo a morte, e anche l’animale ucciderete. Se una donna si avvicina a un animale per accoppiarsi con esso, ucciderai la donna e l’animale; ambedue siano messi a morte. Il loro sangue ricada su di essi» (Levitico 20,13.15-16). Nell’Antico Testamento la morte in questo caso ha valore di espiazione del peccato a vantaggio di tutto il popolo e della terra che sono liberati dalla maledizione e del peccatore che è liberato dalla dannazione (3). Particolarmente dura è la maledizione di Saul contro suo figlio Gionata che presume abbia una tresca omosessuale con Davide: «Figlio della perversione e della ribellione, non so io che tu preferisci il figlio di Jesse, a tua vergogna e a vergogna della nudità di tua madre?» (1Samuele 20,30). Se questa espiazione non avviene, allora la morte si abbatte su tutta la terra, come riprende il testo della Sapienza 10,6-7: «La Sapienza liberò dallo sterminio degli empi un giusto (Lot) che fuggiva il fuoco disceso sulla Pentapoli (4). A testimonianza di quella malvagità resta ancora una terra fumante e delle piante che producono frutti immaturi». Lo scenario che ci si presenta qui è particolarmente apocalittico: quello di un day after di una terra completamente deserta e distrutta, priva di vita. Poiché gli uomini di Sodoma facevano l’amore sterile, tutta quella terra è diventata sterile sino ad oggi. Nel Nuovo Testamento Gesù motiva il suo divieto sul divorzio proprio partendo dal testo di Genesi in cui si afferma che marito e moglie sono una sola carne (Genesi 2,24) a cui aggiunge con somma autorità divina: «Così non sono più due, ma una carne sola. Dunque l’uomo non separi ciò che Dio ha unito» (Matteo 19,6). San Paolo poi sviluppa questa tematica in modo più complesso mettendo in luce tutta la dinamica della reciproca dipendenza dei sessi: la donna, afferma l’Apostolo, non può accedere al principio del suo essere stesso e quindi neanche a Dio, se non per mezzo dell’uomo (definito archè: inizio o archetipo), mentre l’uomo non può accedere alla sua completezza (doxa: gloria), quindi alla pienezza della vita divina, se non per mezzo della donna (confronta 1Corinti 11,1-2.7-9). Tuttavia ciò che è vero a livello di fondazione storica dell’essere spirituale (pneumatico) che è l’Adam escatologico (1Corinti 15,44-46) si ribalta, e quindi si completa, a livello biologico naturale, perché l’uomo ha la sua origine dalla donna e questa non può trovare una sua completezza se non per mezzo dell’uomo (1Corinti 11,11-12) (5). La finalità di tutto ciò è che entrambi possano entrare nel mistero nuziale di Dio ed essere di volta in volta immagine di Cristo (il maschio) e della Chiesa (la femmina: Efesini 5,25) ed entrambi immagine della vergine casta che purificata nel suo corpo dal sangue di Cristo viene presentata a quest’ultimo come sua sposa (2Corinzi 11,2; Apocalisse 21,2). Così l’uomo, sacerdote della casa (1Timoteo 2,8) è chiamato a dare la sua vita per la sposa come Cristo sulla croce (Colossesi 1,24) e questa è chiamata ad accogliere con gratitudine e massimo rispetto questa offerta (Efesini 5,23-24) onde non disprezzare il sangue di Cristo (Ebrei 10,29), perché il mistero nuziale della loro purificazione ed unione in Cristo possa completarsi in una vera vita nello Spirito nel servizio e nella sottomissione reciproca secondo le modalità proprie del loro sesso (Colossesi 3,18-19). Circa poi l’omosessualità San Paolo, dando uno sguardo alla storia di tutta l’umanità, afferma che essa è un peccato tipico dei popoli pagani che non riconoscono questo disegno di Dio iscritto nella loro natura (fusis), risultato ultimo della depravazione di quegli uomini che si son rifiutati di riconoscere ed adorare il Dio unico che pur era a portata della loro ragione. Quando l’umanità abbandona il vero Dio e si rivolge ad adorare gli idoli, distrugge con il peccato tutti i valori della vita. Allora Dio stesso abbandona l’uomo alle conseguenze terribili del suo peccato, lasciando che in ultimo l’idolatra rivolga contro se stesso questa arma terribile della maledizione del male e cerchi di uccidere se stesso col distruggere l’immagine di Dio che è in lui, cioè la sua sessualità, con la relativa capacità relazionale verso l’altro sesso realizzante il suo stesso essere e con la sua stessa capacità generativa. È la fine. Da qui in poi per l’uomo c’è soltanto un cammino di non ritorno verso l’apocalisse. Ma ascoltiamo direttamente l’Apostolo: «Difatti l’ira di Dio si manifesta dal cielo sopra ogni empietà e malvagità di quegli uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia. Poiché ciò che è noto di Dio è manifesto in loro; infatti, dopo la creazione del mondo Dio manifestò ad essi le sue proprietà invisibili, come la sua eterna potenza e la sua divinità, che si rendono visibili all’intelligenza mediante le opere da lui fatte. E così essi sono inescusabili, poiché, avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono come Dio né gli resero grazie, ma i loro ragionamenti divennero vuoti e la loro coscienza stolta si ottenebrò. Ritenendosi sapienti, divennero sciocchi, e scambiarono la gloria di Dio incorruttibile con le sembianze di uomo corruttibile, di volatili, di quadrupedi, di serpenti. Perciò Dio li ha lasciati in balìa dei desideri sfrenati dei loro cuori, fino all’immondezza che è consistita nel disonorare il loro corpo tra di loro; essi che scambiarono la verità di Dio con la menzogna e adorarono e prestarono un culto alle creature invece che al Creatore, che è benedetto nei secoli: amen! Per questo Dio li ha dati in balìa di passioni ignominiose: le loro donne scambiarono il rapporto sessuale naturale con quello contro natura; ugualmente gli uomini, lasciato il rapporto naturale con la donna, bruciarono di desiderio gli uni verso gli altri, compiendo turpitudini uomini con uomini, ricevendo in se stessi la ricompensa debita della loro aberrazione. E siccome non stimarono saggio possedere la vera conoscenza di Dio, Dio li abbandonò in balìa di una mente insipiente, in modo da compiere ciò che non conviene, ripieni di ogni genere di malvagità, cattiveria, cupidigia, malizia, invidia, omicidio, lite, frode, malignità, maldicenti in segreto, calunniatori, odiatori di Dio, insolenti, superbi, orgogliosi, ideatori di male, ribelli ai genitori, senza intelligenza, senza lealtà, senza amore, senza misericordia; essi, conoscendo bene il decreto di Dio, per cui coloro che compiono tali azioni sono degni di morte, non solo le fanno, ma danno il loro consenso, approvando chi le compie» (Romani 1,18-32). Come si vede si tratta di un peccato sociale, di cui il singolo individuo è contemporaneamente vittima di un processo per certi versi ineluttabile date le premesse in cui si trova a vivere, e responsabile per la sua accettazione e ripetizione. È la prova evidente che chi nega l’esistenza di Dio si trova ad agire in un quadro irrazionale che lo porta verso l’assurdo, sino a negare ogni etica e morale personale e sociale. Tutto ciò è effetto e causa della fine di un vecchio mondo pagano che sta per crollare su se stesso: «La creazione, infatti, è stata sottomessa alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottomessa – … noi sappiamo infatti che la creazione tutta insieme geme e soffre le doglie del parto sino ad oggi» (Romani 8,20.22). Siccome però certi vizi sessuali cercano di permanere nei pagani che pur si erano convertiti a Cristo, San Paolo stigmatizza molto fortemente questo peccato nella Chiesa e lo accusa in modo particolare in quei soggetti che continuano a praticarlo anche da convertiti, dicendo chiaramente che nessun effeminato entrerà nel Regno dei cieli e mettendo in guardia da coloro che cercano di autoilludersi o illudere gli altri del contrario: «O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né gli impuri, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i depravati, né i ladri, né i cupidi, né gli ubriaconi, né i maldicenti, né i rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!» (confronta anche 1Corinti 6,9-11: confronta ad esempio Galati 5,20; 1Timoteo 1,9-10; 3,1-5; Tito 3,3 e passim). Stessa cosa troviamo in più riprese nell’Apocalisse di San Giovanni: «Beati coloro che lavano le loro vesti, così da poter mangiare dall’albero della vita ed entrare attraverso le porte nella città. Fuori i cani (6), venefici, impudichi, omicidi, idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (Apocalisse 22,14-15: confronta 21,8). Naturalmente tutte queste cose il Nuovo Testamento le dice non per distruggere il peccatore, come fa il pensiero laico moderno che avendo ridotto l’etica alla politica (al diritto positivo) accusa il trasgressore per distruggere l’avversario, ma lo afferma all’interno del quadro della misericordia di Dio che si manifesta come «ira divina» (Romani 1,18) solo come azione propedeutica alla salvezza, perché in Gesù ogni uomo può essere perdonato, cioè salvato con il sangue di Cristo e ri-creato con la sua resurrezione: «Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia» (Romani 11,32). Bisogna comunque tener sempre presente che c’è differenza tra chi è vittima di un peccato che è piombato su di lui per circostanze esterne o interne avverse e in qualche modo ne prova disgusto anche se in quanto vizio non riesce a liberarsene, e chi invece si fa apostolo del peccato. Questo atteggiamento, che è sempre accompagnato da molte esternazioni violente contro gli apostoli della verità (confronta l’esortazione ai cristiani dell’autore della Lettera agli Ebrei: «Non avete ancora resisto sino al sangue nella vostra lotta contro il peccato» (Ebrei 12,4), è chiamato dal Catechismo della Chiesa cattolica «zelo satanico», «peccato che grida vendetta al cospetto di Dio», già particolarmente stigmatizzato nell’Antico Testamento come causa della fine della convivenza civile, nonché di maledizione da parte di tutte le generazioni che verranno: «Guai a quelli che chiamano il male bene e il bene male, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (Isaia 5,20). «Chi dice all’empio: ‘Tu sei giusto’, lo malediranno i popoli, lo esecreranno le genti» (Proverbi, 24,24). Esso infatti, oltre che distruggere l’individuo, maledice la terra e estingue i popoli. Ci sembra molto opportuno concludere stigmatizzando il tutto con questo inno di A. Ch. Swinburne, omosessuale, poeta, che declama l’uomo satanico in rivolta contro Dio: «… potessimo ostacolare la natura, allora sì il delitto diventerebbe perfetto e il peccato una realtà. Se l’uomo potesse far questo, se egli potesse intralciare il corso delle stelle e alterare il tempo delle maree; se potesse cambiare i moti del mondo e trovare la sede della vita e distruggerla; se potesse entrare in cielo e contaminarlo, nell’inferno e liberarlo dalla soggezione; potesse trar giù il sole e consumare la terra e ordinare alla luce di spargere veleno o fuoco nell’aria; potesse uccidere il frutto nel seme e corrodere la bocca del pargolo col latte di sua madre; allora si potrebbe dire d’aver peccato e d’aver fatto del male contro natura» (7). Don Sandro Carbone, professore di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana
1) Nell’Antico Testamento la realtà introdotta nel mondo dal peccato originale è proprio la maledizione, di cui però l’autore primo è sempre JHWH (confronta Genesi 3,14.17; 4,11; 5,29; 12,3; Geremia 11.3; Malachia 2,2; Sapienza 1,16; 2,24). Egli può bloccare la maledizione e trasformarla nel suo contrario (Numeri capitoli 22-24), come però può trasformare la benedizione degli uomini in maledizione a causa del loro peccato (Isaia 1,13; Malachia 2,2). JHWH proclama arur il malvagio (rasha Pr 3,33), l’assassino (Genesi 4,11); colui che presume di essere troppo saggio (Genesi 3,17); colui che trasgredisce i suoi comandamenti (Deuteronomio 28,20; Geremia 11,3), oppure che esercita male il suo ufficio sacro (Malachia 1,14; 2,2; 3,9). E poiché dopo il peccato di Adamo ed Eva non c’è nessun uomo che non pecchi o non abbia peccato (Genesi 4,7; 6,5; 8,21; Deuteronomio 15,19; 22,26; 1Re 8,46; Qo 7,20; Salmi 51,7: «Nel peccato sono stato concepito»), nessuno può sfuggire al peccato, anche se fatto per ignoranza (Levitico capitoli 4-5) o involontariamente (Genesi 20,6; Numeri 22,349) e tutti sono così sotto il dominio della maledizione e delle sue conseguenze: malattia e morte, per aver offeso Dio (Salmi 38,4.19, 41,5, Numeri 18,22; 27,3, Deuteronomio 21,22; 22,26, Amos 9,10) sino a Cristo che si è fatto per noi maledizione perché a noi passasse la benedizione (Galati 3,13-14). Confronta C. A. Keller, arur, in Dizionario teologico dell’Antico Testamento, volume I; Marietti, Torino, 1978. 2) La sequenza dei peccati è sempre la stessa secondo una linea di decadenza inarrestabile: dall’adulterio, all’omosessualità alla bestialità. 3) Confronta il caso di Acan in Giosuè 7,20-26 e la lettura rabbinica di questo episodio in B Sanhedrim 43b; Levitico 17,11: Salmi 7; 2Cronache 36,20-21; 2Maccabei 12,38-45; Sapienza 3,5-6. 4) Pentapoli: le cinque città coinvolte nel castigo divino: Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Zoar. 5) Fondamentale in questo è considerare il ruolo di Maria, che come donna da sé non può fare nulla «perché – dice – non conosco uomo» (Luca 1,34), ma dal momento che conosce, per mezzo dello Spirito, il Cristo, in un istante, quando dice il suo «sì» all’angelo, pone il fondamento metastorico/escatologico del suo vero essere e arriva alla pienezza storica della sua femminilità realizzando la sponsalità e la maternità in Dio. In questo è vergine e immacolata, perché raggiunge la pienezza di se stessa non conoscendo altro uomo che Cristo. D’altra parte Cristo ha origine da lei e per mezzo di lei realizza il primo frutto, quello più bello e completo, modello della sua redenzione e di tutta l’umanità nuova. In lei possiamo dire che il Cristo raggiunge la sua gloria in quanto glorifica il Padre avendo compiuto la sua volontà di glorificare l’umanità redimendola ed unendola sponsalmente a sé. 6) Il termine «cane» è spesso nella Sacra Scrittura sinonimo di «prostituto sacro», dedito cioè alla prostituzione maschile all’interno dei templi pagani, dove era considerata un atto cultuale: confronta Deuteronomio 23,18; Giobbe 30,1; Filemone 3,2. 7) Citato in M. Praz, La carne, la morte ed il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, 1999, pagina 199.
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