Deflazione, follie e idiozie
21 Dicembre 2008
Come tutte le misure astronomiche, l’entità della cifra può sfuggire al
lettore. Nè basta dire che essa corrisponde ad oltre il 60% del PIL
americano.
Un analista di nome Jim Bianco ha provato a mettere questa cifra a confronto con le storiche grandi spese dell’America.
L’acquisto della Louisiana:
nel 1803, Napoleone vendette agli USA il territorio della Louisiana
francese, oltre 2 milioni di chilometri quadrati, per 15 milioni di
dollari dell’epoca. Al valore attuale, sarebbero 217 miliardi di
dollari. Per il solo «salvataggio» di Citigroup, tutt’altro che
riuscito, il Tesoro e la FED hanno speso fino ad oggi 290 miliardi di
dollari.
Il New Deal costò
32 miliardi di dollari dell’epoca, nel decennio 1931-1939. Sono 500
miliardi di dollari di oggi. Un po’ meno di quanto la FED ha finora
speso per acquistare attivi dalle finanzarie per far rivivere il
mercato monetario.
La Guerra di Corea
costò all’epoca 54 miliardi di dollari, ossia - al valore attuale - 454
miliardi. Il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac è costato agli
americani 600 miliardi, fino ad oggi.
Guerra del Vietnam: costo totale 111 miliardi di dollari, pari ad attuali 698 miliardi.
La Corsa alla Luna:
l’entusiasmante impresa tecnico-scientifica, che ebbe enormi ricadute
positive sull’economia USA (microchips, miniaturizzazioni, nuovi
materiali, avionica), è costata in tutto 36,4 miliardi di dollari; pari
a 237 miliardi degli svalutati dollari attuali.
La NASA
è costata fino ad oggi un totale di 416,7 miliardi di dollari; ai
valori attuali, sono 851,2 miliardi. Il TARP, il programma di acquisto
di attivi tossici dalle banche speculative voluto dal ministro Paulson
costa poco meno, ossia 700 miliardi.
Crisi delle Casse di Risparmio
(Saving & Loans Crisis): negli anni ’80 il Governo dovette salvare
747 Casse di Risparmio, che s’erano messe a speculare follemente sui
mercati finanziari e immobiliari (primo effetto di una deregulation
dell’epoca). L’operazione costò 153 miliardi di dollari, pari - tenuto
conto dell’inflazione - a 256 miliardi di dollari odierni.
L’invasione dell’Iraq: il costo ad oggi si aggira sui 597 miliardi di dollari.
La somma di queste storiche spese ammonta a 3,92 trilioni, ossia 3.920
miliardi di dollari, spesi nel giro di due secoli. La stessa cifra il
governo USA ha speso da settembre - dilapidato in meno di tre mesi -
non allo scopo di lanciare programmi di ricerca e sviluppo, di
migliorare infrastrutture fisiche, di portare il Paese ad un più alto
livello tecnologico, educativo, produttivo, bensì nell’unico tentativo
di preservare lo status quo finanziario-speculativo. Uno status quo
fallito, e che bisogna cambiare.
Chi paga? Le future generazioni di lavoratori e contribuenti. Oppure la
generazione presente, che soffrirà dell’iper-inflazione; evidentemente
la strada scelta da Bernanke per svalutare il debito USA.
Ma per ora, si spera che anticipino questa montagna di denaro i
creditori, i capitalisti mondiali ancora dotati di soldi, acquistando i
nuovi Buoni del Tesoro che gli USA emetteranno: almeno 1.600 miliardi
di dollari in più nel 2009, secondo gli analisti di Natixis e Royal
Bank of Scotland.
Questa nuova colossale emissione americana concorrerà con quella che
dovranno emettere gli europei (856 miliardi di euro di nuovi titoli di
debito pubblico, ossia il 30% in più rispetto al 2008) e la Gran
Bretagna (165 miliardi, il 114% in più).
I «mercati» dovrebbero assorbire queste alluvioni di debito pubblico. Lo faranno? Paradossalmente, per adesso lo fanno.
«Gli investitori sono talmente terrorizzati che non comprano altro» che
BOT dei vari Stati, dice Alain Gallon di Natixis. Poichè hanno perso un
sacco di soldi (e temono di perderne ancora) con gli altri prodotti
finanziari, con le azioni, i derivati, le obbligazioni emesse da
aziende, si rifugiano nel debito di Stato, proprio perchè lo credono
garantito dallo Stato.
Arraffano BOT a tale ritmo, che il loro rendimento cala. I terrorizzati
accettano BOT americani che rendono lo 0,02%, Bund tedeschi a cinque
anni che rendono il 2,5%.
In questo momento, gli Stati si indebitano a costo zero; ma è un
beneficio del tutto illusorio, che prepara il collasso finale. Perchè?
Perchè il mercato mondiale del debito è un serbatoio più o meno fisso,
valutato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali sui 60.400 miliardi
di dollari (60,4 trilioni): nella crisi, i capitali che vengono
prestati agli Stati sono quelli che vengono sottratti alle imprese,
alle obbligazioni emessi dalle aziende per finanziare le loro
produzioni.
L’economia privata - la sola a cui è affidata la speranza della ripresa
futura - non riesce più a finanziarsi sul mercato azionario; e nemmeno
può godere del momentaneo e triste privilegio che la deflazione dà alle
obbligazioni: quelle emissioni a reddito fisso che la inflazione
penalizza, perchè ne erode il rendimento, diventano infatti appetibili
in deflazione, perchè rendimenti fissi anche modesti sono privilegiati
quando i prezzi scendono.
Ma oggi, le obbligazioni private non sono desiderate; troppo rischiose.
Il debito pubblico sottrae risorse al debito privato, dunque
all’economia reale.
Quanto durerà il beneficio dell’indebitamento pubblico a basso costo?
Finchè dura la crisi, dicono gli analisti. Perchè appena l’economia
desse segni di ripresa, allora le obbligazioni delle imprese
tornerebbero appetibili, ovviamente a più alto interesse, e gli Stati
dovrebbero offrire rendimenti molto più alti per invogliare compratori
dei loro BOT.
«La prossima crisi finanziaria potrebbe nascere dal costo schiacciante
accollatosi dagli Stati per combattere la crisi finanziaria presente»,
dice David Walker, già capo della contabilitù generale USA (Government
Accountability Office).
«Possiamo avere una super-crisi subprime associata con il collasso del
governo federale». Appena si muovesse l’economia, il debito pubblico
schizzerebbe alle stelle (specie per Stati come l’Italia, molto
indebitati e poco stimati); l’inflazione esploderebbe, provocando
ulteriore rincari degli interessi; per consumatori e imprese, il
ricorso ai prestiti diverrebbe più costoso, e ciò soffocherebbe di
nuovo la sperata ripresa.
Come una centrale nucleare ultimo modello, il capitalismo terminale è
diventato auto-spegnente. Se si innescherà un principio di ripresa, la
soffocherà coi suoi meccanismi interni.
Ma l’ipotesi è in ogni caso remota. La più probabile è invece un’altra:
che i compratori del debito di Stato perdano fiato, ossia soldi da
prestare acquistando BOT. I compratori sono per lo più fondi pensione,
compagnie di assicurazione, fondi sovrani petroliferi ed asiatici,
cinesi, russi, giapponesi.
Col petrolio a 50 dollari, la Russia ha già consumato un quarto delle
sue ragguardevoli riserve - dissanguandosi al ritmo di 15 miliardi di
dollari a settimana - nel tentativo di frenare la fuga di capitali e la
svalutazione del rublo: ora ha persino rinunciato, svalutando il rublo
due volte in una settimana e aumentando il tasso d’interesse al 13%.
I soldi da piazzare in BOT americani stanno mancando ogni giorno di
più, la Russia rimpicciolisce a vista d’occhio - anche politicamente,
come potenza mondiale - perchè non ha approfittato della precedente
fortuna petrolifera per finanziare la sua scienza e la sua tecnologia,
e per disciplinare i suoi oligarchi «compradores», che ora fanno
fuggire i loro capitali all’estero. Paga il prezzo di essersi voluta
esportatrice di materie prime, anzichè di prodotti finiti di alto
livello
(1).
E la Cina? Anche la grande prestatrice al suo indebitato super-cliente
USA sta perdendo i suoi orgogliosi primati con una velocità
impressionante: milioni di disoccupati in più ogni settimana, disordini
di piazza che minano la solidità stessa del regime capital-comunista,
nonostante i 600 miliardi di dollari stanziati per il rilancio interno
a compenso delle esportazioni crollate.
Ma anche Pechino continua ad applicare la sola ricetta che conosce,
incapace di pensare al di fuori del capitalismo globale: ha svalutato
lo yen per rendere più appetibili i suoi prodotti all’estero, un estero
che comunque ha smesso di spendere in carabattole. Lungi
dall’acquistare BOT in euro e dollari, dovrà emetterne prima o poi
Pechino stessa
(2).
«Stiamo per constatare», scrive Evans Pritchard sul Telegraph, «se la
Cina ha fatto la scelta sbagliata a puntare su una strategia di
sviluppo basata su grandi investimenti nelle industrie esportatrici, a
modesto valore aggiunto, verso USA ed Europa»
(3).
Secondo la Banca Mondiale, la parte dei salari nel PIL cinese è calata
dal 52% al 40% dal 1999 ad oggi: «E’ la prova di un modello economico
disastrosamente squilibrato» - meno retribuzione al lavoro, più al
capitale - che ha già mostrato la sua grinta bancarottiera in
Occidente. Ora, il popolo cinese si rivolta giustamente, e siamo solo
all’inizio.
Quanto al Giappone, l’altro grande prestatore USA, è tornato nella sua
decennale deflazione, crescita zero e grave crisi interna.
I Paesi arabi petroliferi hanno lo stesso problema della Russia, il
petrolio non paga i loro consumi e lussi. E’ probabile che tutti, prima
o poi, dovranno emettere BOT.
Allora, fra due o cinque anni, chi continuerà a comprare i Treasury
Bills americani, che l’America getta sul mercato in masse enormemente
crescenti?
Ormai, l’America si è impegnata per 8 e passa trilioni, ha aggiunto al suo debito già immane il 60% del PIL.
E’ uno Stato insolvente. Ed è semplicemente ridicolo che le agenzie di
rating USA - create e pagate dalle banche americane d’affari, fallite o
prossime al fallimento - continuino a valutare il debito pubblico
americano AAA; quelle stesse agenzie che minacciano di declassare il
debito pubblico italiano (provocandone il rincaro per lo Stato) se
sfora di un 1%, dichiarano solvente un’America che sfora del 60%.
Il capitalismo terminale termina con queste immani frodi e ridicoli
trucchi, a cui tutti fingono di credere solo perchè non sanno cos’altro
fare.
Ma la palma dell’idiozia cieca va sicuramente all’Europa.
Se USA e Inghilterra hanno scelto la strada dell’iper-inflazione
abbassando i tassi primari rispettivamente allo 0,50% e al 2%, la BCE
ci porta diritti al gelo deflazionista, con paralisi dell’economia.
Infatti tiene duro coi tassi al 3,25%, ormai proibitivi; giovedì forse
li abbasserà, ma solo di 0,50% dicono.
Insomma Trichet continua a combattere un’inflazione che non esiste più,
tenendo caro il costo del denaro quando sarebbe necessario regalarlo a
chi volesse ancora investire in qualcosa.
L’eurocrazia non-eletta di Bruxelles ci aggiunge di suo la stupidità del robot che è.
Le Francia ha speso 10,5 miliardi di euro per ricapitalizzare sei delle
sue grandi banche che hanno un piede nell’abisso? Ecco che la
kommissaria Kroes alla concorrenza dichiara questo aiuto «illegale»
perchè falsa la concorrenza europea
(4).
Il robot Kroes sta applicando alla lettera il trattato di Lisbona,
articolo 107, che vieta gli aiuti di Stato. Crolli pure il mondo, ma
niente aiuti di Stato.
Naturalmente i robot di Bruxelles sono molto meno formali quando a violare i trattati sono loro.
Per esempio: l’articolo 123 di Lisbona proibisce alla BCE di fare
prestiti «alle amministrazioni centrali, alle autorità regionali e alle
altre autorità pubbliche degli Stati membri».
Ebbene: la Banca Centrale Europea ha appena prestato 5 miliardi di
dollari ad uno Stato - e per di più a uno Stato che non fa parte della
zona-euro, ossia all’Ungheria. Quell’Ungheria che si è rovinata perchè
ha stipulato mutui in... franchi svizzeri, e dunque il suo crollo
avrebbe provocato il collasso finanziario della Svizzera; altro Paese
che sta fuori dall’euro.
L’articolo 126 è quello che limita il deficit al 3% del PIL: il nodo
scorsoio storico dell’Europa, oggi è stato un poco allentato. Non
perchè i robot si preoccupino del nostro strangolamento, ma perchè
hanno capito che gli Stati - di fronte ad una depressione di
straordinaria gravità - stanno comunque spendendo miliardi di euro per
salvare banche e per cercare di rianimare i consumi.
Per non perdere di autorità, Bruxelles ha dato il permesso agli Stati
di fare quel che fanno già, gonfiare il loro debito pubblico alla
spera-in-dio. Anche perchè, dato che la depressione ridurrà
drasticamente l’introito fiscale, in ogni caso i debiti pubblici
europei aumenteranno.
Insomma, la UE si comporta come il gallo di un proverbio africano: il
gallo che intima al Sole: «Non puoi sorgere, io non ho ancora cantato!».
E quanto alla concorrenza su cui la signora Kroes veglia occhiuta, non
ha letto tutti gli articoli su cui, da sacerdotessa robotica, presiede.
L’articolo 101, per esempio, proibisce la costituzione di posizioni
dominanti, e più generalmente ostacola le concentrazioni. Ma sulle
enormi concentrazioni bancarie avvenute in questi anni e acceleratesi
in questi mesi, la signora Kroes non ha avuto nulla da dire.
BNP-Paribas ha ingoiato Fortis, Commerzbank ha inglobato Dresdner, Lloyd ha risucchiato HBOS.
Questo non riduce un tantino la concorrenza?
Le banche si sono prese tutte le libertà nei tempi d’oro (in Italia,
fino al 2007, con profitti del 100%); si sono concentrate; la Kroes, e
l’eurocrazia in generale, ha lasciato ingigantire finanziarie come la
Deutsche, al punto che la Deutsche ha «attivi» probabilmente
inesigibili pari all’80% del prodotto interno lordo tedesco, e la UBS è
diventata così grossa che può trascinare nella sua caduta la sana
Svizzera. Nulla da dire su questo.
«Madame Kroes se ne fa una ragione, perchè è la ragione del capitale,
il mercato ha sempre ragione», scrive Fréderic Lordon sul Monde
Diplomatique: «ma se lo Stato interviene, allora è l’orrore; lasciarlo
fare è mancare in modo inammissibile ai principi, su questi non si
transige, perchè lo Stato è l’anti-mercato per eccellenza. Tra tutte le
violazioni del trattato europeo già perpetrate, non è un caso che siano
gli aiuti di Stato a far inviperire la commissaria, e per la prima
volta».
La Kroes ha avvertito minacciosa che la violazione dell’articolo 107 da parte della Francia deve essere «punita». E come?
Le banche che hanno ricevuto l’aiuto di capitali pubblici dovranno...
ridurre i loro prestiti all’economia. Ciò, proprio nel momento in cui
il mondo intero sta cercando di fare il contrario, spezzare il
terribile «credit crunch» (restrizione del credito) innescato dalla
crisi americana; proprio mentre gli USA - e gli Stati in genere -
stanno cercando di sostitursi alle banche che non prestano più (il che
mette un dubbio fondamentale sull’utilità delle banche private: se il
denaro può prestarlo lo Stato, come fa sempre in cicli di crisi, a che
cosa servono?).
E’ la prova definitiva della cecità robotica dell’eurocrazia. Questi
kommissari sono pronti a farci precipitare in una depressione mai
vista, pur di imporci il bacio ai sacri testi da loro confezionati.
La UE e la sua Banca Centrale agiscono esattamente come la Federal Reserve nel 1929, spingendoci come allora nell’abisso.
Lordon dice che è il momento di far saltare «questa» Europa, di aprire una crisi politica contro gli eurocrati.
Gli articoli che la necessità (o la avidità delle banche) ha obbligato
a violare sono ormai tanti: il 107, il 123, il 126, il 130.
E’ permesso cominciare a dire che, se la pseudo-costituzione europea
deve essere ripudiata di fatto alla prima grave crisi, è perchè è stata
pensata male, e va riscritta da cima a fondo?
(5)
Che i tanti risonanti «no» che l’hanno accolta ogni volta che questo
trattato è stato sottoposto a referendum erano il grido della realtà e
del buonsenso vitale (di coloro che vogliono vivere) contro il
dottrinarismo di robot occupati solo della purezza ideologica?
Se in Cina il popolo si rivolta, non lo dobbiamo fare anche noi?
Purtroppo, credo che Lordon si illuda sulla energia vitale degli
europei. Mentre scrivo, tutti i media italioti sono allarmati di una
cosa: che il Vaticano sia contrario alla depenalizzazione mondiale
dell’omosessualità.
In questo frangente, davanti all’abisso della depressione, la Francia -
il solo Stato che abbia un barlume di senso storico - ha ritenuto
urgente proporre questo all’ONU: la felicità legale degli omosessuali.
Questo è il problema politico primario.
E il secondo è questo: la sinistra italiota si batte per il diritto di
Murdoch a non pagare l’IVA al 20% come tutti; per il diritto di quelli
che si sono abbonati a Sky per vedere le partite, a farlo con lo sconto.
In queste ore, giornali e TG di sinistra parlano poco della crisi. Ma
danno con scandalizzato rilievo la notizia che Beppe Grillo s’è
comprato una villa in Svizzera.
Ma scusate, Veltroni non s’è appena comprato l’attico a Manhattan, con
vista su Central Park? E D’Alema non partecipa alle regate con il suo
proprio yacht? E che mi dite delle ville di Bertinotti, e di Ciampi? E
non avete niente da dire se Fantozzi, nella sua veste di curatore
fallimentare di Alitalia, si becca un emolumento di 15 milioni di euro?
Almeno Grillo spende soldi suoi; quelli, i soldi nostri.
Con questi dirigenti andiamo verso la crisi più grave della storia. E ce li teniamo pure cari.
Maurizio Blondet
(articolo pubblicato il 2 dicembre 2008)
1) Taj Adelaja, «Central Bank devalues ruble twice in a week», Moscow Times, 1 dicembre 2008.
2) Chris Oliver,
«China’s currency falls by record against US dollar – Decline may
signal official policy shift toward devaluation, analysts say»,
Marketwatch, 1 dicembre 2008.
3) Ambrose Evans-Pritchard, «World stability hangs by a thread as economies continue to unravel», Telegraph, 30 novembre 2008.
4) Frédéric Lordon, «Cette Europe-là est irréparable», Le Monde Diplomatique, 1 dicembre 2008.
5) Altro plateale
esempio della demenza europide è il piano ambientale «20-20-20», ossia
l’imposizione agli Stati di ridurre entro il 2020 del 20% le emissioni,
e di aumentare del 20% le fonti di energia rinnovabile. L’Italia
protesta giustamente: per noi è difficile ridurre le emissioni del 20%
perchè siamo già più efficienti (consumiamo gas nelle centrali, il
costo dell’energia da noi è così caro che abbiamo dovuto ingegnarci nel
risparmio) e per di più siamo già vicini alla richiesta di energie
rinnovabili, grazie ai soffioni boraciferi. Per converso, la Germania
usa centrali a carbone: dunque è più facile lì tagliare il 20%, e i
tedeschi hanno macchine più grosse. «Noi abbiamo auto che fanno 20
chilometri con un litro mentre quelli degli altri ne fanno 15. Portare
le nostre auto a 24 chilometri con un litro (miglioramento del 20%) è
molto più costoso che far passare quelle degli altri da 15 a 18 sempre
più 20%» (Carlo Stagnaro, Avvenire 22 ottobre 2008). Credete che questo
limpido ragionamento convinca la euro-idiozia? Nemmeno per sogno: si
sono innamorati della loro formula «20-20-20» e non vogliono cedere di
un millimetro. Ovviamente, la sinistra italiota dà ragione agli
eurocrati, per dare addosso al governo Berlusconi.
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