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La vita di Eluana e nostra
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Mai nessuna vera civiltà lasciò nella storia segni contrari al principio che il valore della vita umana oltrepassa i corpi carnali; la civiltà stessa è definibile da principi e valori che vanno oltre la carne e la materia. Cos’altro sono la giustizia, il diritto e il dovere, la tolleranza e gli imperativi sociali; ma lo stesso progresso? E ciò senza accennare ai più alti valori spirituali scaturiti dalla fede e dall’amore.Lo stesso termine per definire quanto anima la vita oltrepassa la nozione materiale.

E’ l’anima che definisce la vita sia di un filo d’erba che dell’essere umano. Essa è intangibile e misteriosa e nessun laboratorio, nessun gigantesco ciclotron; nessun chilometrico e miliardario cerchio atomico macchinato dai maggiori cervelloni in piazza ha prodotto o potrà produrre mai un millimetro di quel filo nato da un’invisibile e imponderabile anima.

Nell’era della comunicazione globale ormai tutti lo dovrebbero sapere. Da questa coscienza, anche se spesso sotto una forte tentazione di sufficienza auto evoluzionista, è sorto il moderno ecologismo e poi un modernissimo animalismo. I cervelloni del campo capirono - e a ragione - che riguardo alla vita nel pianeta tutto va preservato e copiato, perché irriproducibile. Così si va in giro per foreste e montagne, per fiumi ed oceani, nel mondo macroscopico e microscopico, a collezionare e conservare di tutto per un immenso banco dati; tutto quanto è vita vegetale, animale va acquisito ad ogni costo, preservato e venerato.

Ci si preoccupa sempre più che questo patrimonio materiale ereditato dai discendenti d’Adamo ed Eva sia perso. E c’è intelligenza in quest’idea. Ma non si può dire che ci sia parimenti saggezza nel voler acchiappare più le farfalle di esseri viventi che le ragioni del loro essere; concentrarsi più sulla collezione di tanti esseri, che sulla conoscenza della Ragione del loro esistere.

Forse a questo punto si dovrebbe ricordare la parabola cinese (antica) del nido d’uccello: chi ruba il nido ha il nido; chi sa dove il nido è, ha la saggezza.

La «cultura» moderna è convogliata sul possesso di cose, ma aliena della comprensione dell’uomo; della sua natura, stato e fine ultimo si smarrisce. Sì, perché «A cosa vale all’uomo avere il mondo intero se perde la sua anima?».

Infatti, il mondo moderno da sempre più segni di voler più che perdere, uccidere la sua anima. Il caso di Eluana ne è uno spaventoso esempio. Chi può negare che la vita che anima il suo corpo, capace di vivere respirando, deglutendo, palpitando, proviene dall’anima che è in lei? Quale vera civiltà e diritto ha mai ignorato che il principio della vita va oltre la materia e il corpo?

Se così non fosse dovrebbero stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, da quale principio proviene, perché se non lo fanno, negano lo stesso principio delle civiltà e del diritto, sulle cui ragioni pretendono poggiarsi per giudicare. Le ragioni e l’intelligenza delle cose sono forse oriunde da princìpi materiali? Può la realtà della vita umana essere decantata dalla materia; sarà il cervello umano prodotto da selezioni naturali di una natura senza origine né fine?

E’ vero che l’anima umana è definibile dalla sua libertà e razionalità, che sembrano mancare oggi a Eluana. Ma quel che era e rimane nella sua potenza umana legata al corpo, alla vita vissuta e arricchita di pensieri e di amori, può sparire come se non fosse più parte della sua vita, ma solo nei ricordi altrui?

Ciò senza accennare ai più alti moti spirituali che possono essere scaturiti da una visione intrinseca all’anima della fede e dall’amore. E ciò è detto senza accennare ancora a quell’anima che oltre ad essere razionale è spirituale e poiché creata ad immagine e somiglianza del Creatore, immortale.

Qualcuno può immaginare che la vita dell’anima, che si manifesta attraverso il corpo e l’organo del cervello umano, sia riassunta in questo stesso cervello? Può concepire che, se gli occhi non più vedono, le immagini registrate nella memoria svaniscano e muoiano per sempre? Ma quale scienza umana potrà mai dimostrare che è il cervello che pensa?

Non è forse chiaro che l’organo del cervello, come super computer, non può pensare da sé e quindi sarebbe assurdo dire che il principio dell’intelligenza del pensare sia meccanico, elettronico o carnale e non super corporeo; appartenga all’anima razionale e spirituale? E se così è, il principio del pensare che definisce la vita umana, rimane vivo nella sua memoria e potenzialità, anche con impulsi celebrali piatti. Come affermare allora con sostenuta certezza che quella vita è finita e il suo corpo vada, per ragioni giuridiche irreversibili, cancellato dall’elenco dei vivi?

La dignità umana può non essere nella stessa universale natura dell’uomo come essere corporale animato da un principio spirituale irripetibile e immortale? Quale riduzione nefasta non sarebbe ridurlo per ragioni ideologiche al funzionamento di un cervello di vita soltanto materiale.

Nessuno, penso, vorrà mai affermare che il cervello di Eluana sia la stessa Eluana. Ma poiché esso ha fermato le sue funzioni principali si afferma che la sua vita è finita. Come mai? Quale il principio logico, giuridico, esistenziale di tale verdetto, che condanna alla morte tutte le altre funzioni vitali? Sarà il cuore pulsante e tutto il resto, meno parte di Eluana e meno degno di pulsare finché animato da quel motore, da quel principio che non si conoscere né si vuole riconoscere?
Se non possono uccidere l’anima, non vorranno mica uccidere la sua indelebile idea?

Perché per provarci dovrebbero prima cancellare secoli di storia del pensiero umano e di quella «saggia ignoranza» per cui ogni effetto ha una sua superiore causa. Un vero suicidio mentale e morale d’ogni intelligenza e diritto.

Oggi si dice spesso che la pena di morte va contro la vita. Eppure essa durò, anche nel Vaticano animato ancora da ragioni apostoliche, fino al 1969, sostenuta proprio dall’idea di difesa del diritto alla vita in una società minacciata da quelli che di questo diritto hanno fatto scempio uccidendo: dimostrando con atti un disprezzo per il diritto altrui alla vita.

Ora, quando si considera che la vita di Eluana è nella sua anima che continua a far vivere il suo corpo, anche se menomato, farla morire deliberatamente di sete e di fame significa eseguire una lenta e dolorosa condanna a morte, affinché la sua anima finalmente si stacchi da un corpo martoriato da cause indotte.

Non è questa una sentenza di morte contro una vita? Ma se lo è, come potrebbero essere chiamati a testimoniare miliardi di uomini di ogni epoca e luogo, per quali motivi è comminata e portata a termine tale condanna?

Non si può allontanare il grave sospetto che su queste morti in generale, forse non di questa in particolare, pendano gli interessi di una società immersa e malata di un profondo morbo utilitaristico; per l’illusoria riduzione di pene, di costi e per il riciclo di organi vitali, la cui asportazione dipende dal concetto nuovo e indimostrato del decesso come curva piatta assicurata da un grafico indicante la morte cerebrale.

La riduzione della pena di un padre e di una famiglia afflitta potrebbe essere una ragione per questa morte apparente del cervello di una bella ragazza, che si dimostra prematura per il resto del corpo?

E’ ancora nella storia del genere umano che si trova la risposta negativa, poiché il rifiuto della pena e del dolore è rifiuto di qualcosa legato alla vita e alle anime in questa terra. In tal senso il rifiuto deliberato della sofferenza, che comporta l’uso della volontà e dell’intelligenza, un rifiuto categorico, implica una scelta di male assoluto, come spiegava il grande pensatore cattolico Romano Amerio, proprio negli ultimi giorni della sofferenza che lo hanno portato alla morte.

Per noi cristiani non vi è dubbio: «Ora io gioisco nelle sofferenze che sopporto per voi, e completo nel mio corpo ciò che manca dei patimenti di Gesù Cristo per il suo corpo, che è la Chiesa ...» (Col, 1, 24).

Il dolore è male se non conduce a un bene ed è inutile pensare che il suo rifiuto assoluto possa non comportare un male maggiore, che è quello vero. La sofferenza, tanto dura da affrontare, è alla fine, comunque, un dato di vita spirituale, che la appiattisce mortalmente se respinta, ma che la può esaltare nella dimensione dell’eternità da sempre aspirata, se accolta per amore.

Questa sublimazione vissuta nella comunione delle anime può essere il fatto universale che compensa l’imperfezione terrena. Mentre il suo contrario potrà essere solo una sanzione disastrosa per la generazione presente in cui, mentre nelle alte sfere si perde la nozione dell’essere uomo, fatto di anima e corpo, in generale si perde la coscienza di avere un’anima spirituale.

Se questa non ci fosse, allora tutto sarebbe permesso; non si dovrebbe rispondere a nessuno per quanto avuto e ogni spirito di sacrificio per l’edificazione della vita in terra sarebbe roba di quel passato oscuro di cui l’evoluzionismo e ogni libertà di religione dovrebbe affrancare l’ormai stramaturo uomo moderno.

Non è forse questa la mentalità verso la quale si avvia, per sua disgrazia, un mondo ostinato a cancellare l’esistenza delle anime, proprie e altrui?

Arai Daniele



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