Sistema copernicano alla prova
Alfonso Marzocco
01 Gennaio 2009
Al nome di Galileo si associa comunemente il metodo sperimentale.
Questo «è in generale, il metodo con cui si perviene all’enunciazione delle leggi scientifiche, mediante conferma (o smentita) sperimentale di ipotesi. Ad esso quindi è intrinseco il concetto di esperimento, il quale per molti aspetti è coincidente con quello di esperienza (in quanto presuppone la diretta percezione sensibile degli oggetti naturali, intorno a cui verte il problema scientifico)… I principali teorizzatori del nuovo ideale e metodo dell’esperimento sono da un lato Galileo e dall’altro Bacone [‘Lessico universale italiano di lingua, lettere, arti, scienza e tecnica, Roma, Treccani, 1979, Volume 21, pagina 496’]».
Nella classica configurazione copernicana-newtoniana che ci è familiare sin dalla scuola elementare, la Terra gira intorno al Sole, che è fermo.
Più tardi ci verrà spiegato, ma questo è un dettaglio, che anche il Sole si muove nello spazio con una velocità di 2-300 km/sec (circa l’uno per mille della velocità della luce) perché partecipa con la Terra alla rotazione della Via Lattea che è una galassia a spirale.
Assimiliamo in questo modo, quasi in maniera impercettibile, che l’eliocentrismo sia una teoria vera, perché provata sperimentalmente.
Infatti la teoria copernicana, che postula che il Sole sia fisso al centro dell’Universo e/o del Sistema Solare, e che i pianeti vi girino intorno, viene associata e quasi garantita da Galileo, fautore del metodo sperimentale, detto anche galileiano.
Niente di più lontano dal reale.
Galileo aveva, per dirla con Zichichi, tanti argomenti a favore dei movimenti della Terra ed era riuscito a spiegare molte proprietà osservate nel movimento delle Stelle erranti («pianeti») e nella caduta delle pietre qui sulla Terra.
Ma non aveva prove dell’eliocentrismo, anzi la prova «principe» gli mancava. [«Divin uomo», pagina 89].
Ora la prova «principe», la misura che Galileo tanto desiderava sulla « parallasse», venne effettuata circa duecento anni dopo nel 1837 dall’astronomo F.W. Bissel.
Peccato che anche questa prova possa essere spiegata altrettanto bene sia se la Terra giri su una piccolissima orbita attorno al centro del mondo con il quale rimane sempre in contatto (bascula secondo Crombette) con il Sole attorno ad essa, sia che la Terra giri su una vasta orbita attorno al Sole (basta «posizionare» le stelle alla distanza giusta).
Pertanto nell’affermazione dell’eliocentrismo né la ragionevolezza né il famoso metodo sperimentale galileiano c’entrano poco o niente: la cultura anticattolica
(1) aveva trovato in Galileo, abile comunicatore e scienziato e grande scrittore, il testimone idoneo e il fulcro dell’azione contro la Chiesa, che all’epoca «
si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica»
(2).
Tutte le prove sperimentali effettuate non riescono ad evidenziare il supposto moto della Terra intorno al Sole.
Sono tutti negativi:
1) Gli esperimenti con l’interferometro dal 1880 al 1887 di Michelson e Morley;
2) L’esperimento con la banderuola elettrica di Trouton e Noble (1905);
3) L’esperimento di Michelson e Gale (1925) a Chicago;
4) Gli esperimenti con il gravimetro ultra-sensibile di Tomaschek e Schaffernicht (descritto in «La Nature» del 1° aprile 1933).
La retta ragione, come si diceva una volta e come del resto aveva chiesto anche il cardinal Bellarmino, dovrebbe arrendersi di fronte all’evidenza e, alla luce di esperimenti sempre negativi, riconoscere che l’eliocentrismo e il geocentrismo allo stato dell’arte sono due ipotesi cinematiche egualmente valide.
Il cardinale Ratzinger in una conferenza tenuta alla Sapienza il 15 febbraio 1990 tra l’altro citava, oltre l’agnostico filosofo Feyerabend, anche il marxista Ernst Bloch, per il quale il sistema copernicano e tolemaico hanno la stessa plausibilità.
Secondo Bloch, il sistema eliocentrico - così come quello geocentrico - si fonda su presupposti indimostrabili.
Tra questi, rivestirebbe un ruolo di primo piano l’affermazione dell’esistenza di uno spazio assoluto; opzione che tuttavia è stata poi cancellata dalla teoria della relatività.
Egli scrive testualmente: «Dal momento che, con l’abolizione del presupposto di uno spazio vuoto e immobile, non si produce più alcun movimento verso di esso, ma soltanto un movimento relativo dei corpi tra loro, e poiché la misurazione di tale moto dipende dalla scelta del corpo assunto come punto di riferimento, così qualora la complessità dei calcoli risultanti non rendesse impraticabile l’ipotesi adesso come allora si potrebbe supporre la terra fissa e il sole mobile»
(3).
Ma si potrebbe obbiettare: Galileo (e il mondo scientifico ufficiale odierno) a cosa attribuiva la superiorità dell’ipotesi eliocentrica?
Non era appunto la maggior semplicità (all’epoca non esistevano i computer) dei calcoli necessari alla sua spiegazione in rapporto alle combinazioni imbrogliate dei suoi predecessori?
Osservazione magnifica, anche se non proprio scientifica.
Ma se l’eliocentrismo fosse più semplice, perché la NASA si ostina a considerare la Terra ferma, quando fa i calcoli per seguire il movimento delle sonde spaziali?
(4)
A questo punto vorremmo proporre agli onesti ricercatori della verità
(5) di verificare con esperienze ripetibili la veridicità dell’una o dell’altra ipotesi.
Proponiamo, pertanto, alle Università o Centri di ricerca o Osservatori astronomici in possesso degli strumenti necessari, questo esperimento per rilevare il moto (se si vuole «ipotetico») di rivoluzione della Terra.
In astronomia attualmente si fa uso del radar per determinare le distanze tra la terra ed i pianeti come Mercurio e Venere (distante dalla Terra tra 40 e 259 milioni di km) e i ricercatori ormai sono così bravi che riescono a determinare la distanza istantanea stazione-satellite misurando il tempo impiegato da un impulso di luce per percorrere il tragitto stazione-satellite-stazione (ogni impulso, quando viene trasmesso, contiene circa 1.018 fotoni: di questi solo qualcuno riesce a compiere il percorso completo e ad essere rilevato dal sistema ricevente. I tempi di percorrenza del tragitto stazione-satellite-stazione sono di qualche centesimo di secondo e, per essere misurati con la precisione del centimetro, devono essere determinati con incertezze non superiori al millesimo di miliardesimo di secondo. Università di Padova
http://www.pd.astro.it/MOSTRA/G2140ERT.HTM ).
La distanza istantanea Terra-Luna viene già determinata misurando il tempo impiegato da un impulso di luce (onda radio) per percorrere il tragitto Terra-Luna-Terra.
Si potrebbero effettuare più misurazioni giornaliere dell’impulso di luce tra Terra-Luna-Terra nell’arco di almeno un anno:
1) quando la Luna nel suo movimento di rivoluzione viene nella direzione del movimento (presunto) di rivoluzione della Terra;
2) quando invece va in direzione contraria;
3) nei punti in cui la Luna interseca la presunta orbita terrestre, nei «nodi», sia in direzione sud-nord che nord-sud.
I ricercatori avrebbero circa 2,5 secondi per fare le misurazioni: un’enormità per chi ragiona in miliardesimi di secondi.
La velocità della luce poi, secondo me, non sarebbe un problema.
Infatti, anche se non fosse sempre la stessa nei due tragitti, le condizioni sarebbero analoghe nei due momenti di misurazione (all’andata va in un verso e al ritorno nell’altro, eventualmente compensandosi).
L’esperimento deve prevedere un confronto delle misure a coppia sia a 14 giorni 18 ore e 22 minuti (la metà di 29d 12h 44m mese lunare) sia a 6 mesi di distanza (metà dell’anno terrestre).
Occorre prendere le misure prima in un verso dell’orbita lunare e a 14 giorni e mezzo nell’altro e ripetere le misurazioni dopo sei mesi di distanza nell’altro verso dell’orbita terrestre.
In questo modo si dovrebbe evidenziare, a parità di distanza, la differenza di misura e pertanto di distanza tra la Luna e la Terra, dovuta al moto di rivoluzione della Terra.
Supponendo inoltre che, in un dato periodo dell’anno in cui l’esperienza venga fatta, l’«etere» e la Terra siano l’uno relativamente all’altra immobili perché, ad esempio, l’«etere» o il «vortice cartesiano» riempiente tutto lo spazio si muova con la stessa velocità orbitale della Terra con il verso della tangente alla traiettoria in quel momento, ebbene una misura a sei mesi di distanza, con la Terra dotata di velocità in verso opposto, dovrebbe evidenziare un effetto doppio.
Figura 1
Si consideri la figura 1: L indica la Luna e T la Terra che in senso antiorario gira intorno al Sole in 365 giorni circa.
Consideriamo la posizione della Terra T alle ore 20 del giorno 1° gennaio dell’anno x: si trasmetta un impulso di luce verso la Luna L che sarà di ritorno dopo circa 2,5 secondi: si misuri, con la precisione al millesimo di miliardesimo di secondo, il tempo impiegato all’impulso a percorrere il tragitto T-L-t (nel frattempo la Terra si sarà spostata lungo la sua
orbita nel suo moto (se si vuole presunto) attorno al Sole.
Si effettui la stessa misurazione a distanza di 14 giorni 18 ore e 22 minuti (la metà del mese lunare) in modo che la Luna si trovi dall’altro lato rispetto al Sole nell’altro verso dell’orbita lunare.
Così via di metà mese lunare alla volta, in modo particolare dopo tre mesi, quando saremo in figura L1-T1-t1, dopo sei mesi (in figura L2-T2-t2), dopo nove mesi (in figura L3-T3-t3) e di nuovo dopo un anno (in figura L-T-t).
L’esperimento sarà durato un anno.
A questo punto i dati raccolti saranno analizzati.
In base alle differenze delle misurazioni, in particolare di quelle raccolte in T, T1, T2, T3, T, si potrà calcolare la velocità della Terra nel sistema «inerziale» solare, con l’approssimazione dipendente dalla precisione delle misure (al metro se non al centimetro per misure al millesimo di miliardesimo di secondo).
Alfonso Marzocco
1) Confronta Antonio Socci, «Il lato debole di Giordano e Galileo», in, Il Sabato, 18 gennaio 1992, numero 3, pagine 52 e seguenti); confronta ancora Umberto Bartocci, «Sulle origini della scienza moderna», capitolo galileiano, dove «tra l’altro si mette in evidenza ad esempio che nel 1589 Galileo riuscì ad ottenere un posto di lettore di matematica presso lo Studio di Pisa pur senza essersi mai laureato, e quando ancora per la verità non aveva dato così chiari segni del suo grande talento», e dove «ancora L.Geymonat interpreta certi riguardi della Chiesa nei confronti di Galileo con il ‘desiderio di non offendere il grande scienziato, tanto protetto da una famiglia potente e cattolicissima come quella dei Medici’.
Per quanto riguarda i Medici non ci vorrà un eccessivo sforzo di fantasia per interpretare le ‘palle’ del loro stemma come... i vertici di un doppio triangolo intrecciato, una volta con la punta rivolta verso l’alto, e una volta verso il basso» (in modo da formare una virtuale tipica stella di David) (vedi la figura, ripresa dall’edizione del 1610 del «Sidereus Nuncius» di Galileo;
figura 2). Immagine che si trova nel frontespizio del Sidereus Nuncius (1610): raffigura i satelliti di Giove, scoperti da Galileo con il cannocchiale e dedicati alla famiglia dei Medici (perciò detti anche «pianeti medicei»); intorno ad essi lo stemma appunto dei Medici.
2) P. Feyerabend, «Wider den Methodenzwang», FrankfurtM/Main, 1976, 1983, pagina 206.
3) E. Bloch, «Das Prinzip Hoffnung», Frankfurt/Main, 1959, pagina 920; confronta F. Hartl, «Der Begriff des Schopferischen», «Deutungsversuche der Dialektik durch E. Bloch und F. v. Baader», Frankfurt/Main, 1979, pagina 110.
4) Robert Sungenis, Ph.D. e Robert Bennett, Ph.D, «Galileo was wrong, The Church was right», 2008. Opera in due volumi di 1.006 pagine, pubblicata da Catholic Apologetics International.
5) «Per esaminare la verità si deve, una volta nella vita, porre tutto in dubbio, quanto è possibile» (Cartesio, «Principia Philosophiae»).
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