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Perchè un libro sul Risorgimento?
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Grazie a un editore, attento alla difesa culturale dell’identità tradizionale cattolica, come EFFEDIEFFE ho potuto pubblicare, nell’anno del centocinquantenario, un libro sul Risorgimento, non a caso intitolato, con tono interrogativo, «Risorgimento?! Considerazioni per una riflessione storico-filosofica a disincanto di una mitologia civile».

Senza l’ambizione di fare storiografia nel senso scientifico del termine, il testo tuttavia ha la pretesa di fornire al lettore, in particolare a quello cattolico, un utile strumento che metta insieme il revisionismo storiografico ed una esegesi degli avvenimenti, nella fattispecie di quelli risorgimentali, non appiattita, banalmente, sul piano esclusivamente storico, ma aperta alla Trascendenza.

L’idea mi è balenata nei giorni precedenti il 17 marzo, mentre la retorica celebrativa andava raggiungendo vertici impensabili in un Paese che poi pretende di essere civilmente, il che dovrebbe significare anche culturalmente, avanzato e che invece si è dimostrato ancora troppo fondato sulla religione civile liberalnazionale: quella che dal deamicisiano Libro Cuore sfociò nello Stato etico gentiliano che si proclamava erede dell’Italia risorgimentale.

Certamente quella religione civile ha, poi, nel dopoguerra aggiunto al Risorgimento anche l’epopea mitizzata di una Resistenza intesa come secondo Risorgimento, nel contesto di una lettura ideologica protesa a cantare le «magnifiche sorti progressive» in attesa di un «sol dellavvenire» che, però, non è mai spuntato se non nella forma, forse imprevista e per molti suoi fautori deludente, del neo-liberismo globale, vero esito della filosofia marxiana nella sua purezza integrale (il comunismo, in tal senso, non ha mai rappresentato l’inveramento del marxismo quanto invece lo rappresenta la globalizzazione capitalista).

Di fronte ad un Roberto Benigni che, dimentico, come quasi tutta la sinistra italiana, delle parole di fuoco che un Gramsci scriveva in difesa dei contadini meridionali schiacciati dal potere liberale piemontese, dal palcoscenico canoro di San Remo ha decantato un Risorgimento tutto purezza che non è mai esistito, accompagnando tale decantazione con una serie di menzogne storiche sul conto della Chiesa del tempo e dei sovrani pre-risorgimentali, in particolare sui Borboni, non ho potuto tacere, innanzitutto per amore di quella verità storica tradita dal sistema scolastico vigente e dai media.

Per questo ho messo giù il testo che l’editore EFFEDIEFFE ha avuto la bontà di pubblicarmi, inserendolo nel suo importante catalogo editoriale.

È lontana dallo scrivente qualsiasi tentazione separatista o di restaurazione pre-risorgimentale. Non perché, un domani, non possa perfino accadere che l’Italia trovi una forma confederale fondata su realtà simili a quelle pre-unitarie (nella storia nulla è mai dato per acquisito stabilmente). Ma perché non è questo l’obiettivo del mio libro quanto, piuttosto, quello di protestare, per quel che è nelle mie modeste possibilità, contro la menzogna storica eretta a sistema.

Questo uno degli scopi del mio testo.

L’altro scopo, rivolto, come dicevo, in particolare al mondo culturale cattolico tradizionale, è quello di contribuire al recupero da parte di quel mondo della capacità di leggere gli avvenimenti della storia in una prospettiva teologica e cristocentrica. Una capacità che purtroppo, come lamentava Augusto Del Noce, è da troppo tempo scemata all’interno della cultura cattolica, la quale è andata, invece, mutuando esegesi storiche dalla cultura immanentista, nelle sue varie forme, dal marxismo al liberalismo, dal positivismo all’idealismo, con la tragica conseguenza di separare la fede dalla storia e di non essere più in grado di comprendere il significato ultimo – che è poi quello più vero – degli avvenimenti.

È verissimo che se si vuol fare mera storiografia, e quindi rimanere per quanto possibile (perché qualsiasi storico sarà sempre almeno in parte parziale) sul piano dell’oggettività scientifica, bisogna prendere atto, come finalmente ha preso atto la scienza storica che si è lasciata alle spalle qualsiasi «teologia immanentista della storia», che non esiste alcuna ragione immanente alla storia sicché essa sarebbe diretta verso il migliore dei mondi possibili, verso quel «sol dellavvenire» che mai è effettivamente sorto all’orizzonte.

Ma, per quanto riguarda lo scrivente, il fatto che tutte le teologie immanentiste della storia siano miseramente fallite non può significare che abbia vinto il pensiero debole. Un pensiero, quest’ultimo, che si rassegna all’accettazione di una sorta di nichilismo, di non senso, della storia. Questo perché cristianamente la storia un senso ce l’ha, eccome! Solo che questo senso non è immanente ma trascendente.

L’unica teologia della storia che non potrà mai fallire, perché non è una invenzione filosofica umana ma un dato rivelato dall’Alto, è quella che legge gli eventi alla Luce di Cristo. In altri termini, la teologia cattolica della storia ci restituisce la provvidenzialità mediante la quale Colui che guida la storia la governa verso il suo fine ultimo che, a differenza di quanto erroneamente postulato dalle teologie immanentiste, non sarà affatto intra-mondano o intra-storico, ma post-mondano e post-storico: i cieli nuovi e la terra nuova che saranno donati da Dio e non prometeicamente realizzati per sola volontà auto-deificatoria dell’uomo.

In questa nostra difficile epoca, nel passaggio dal moderno e dal pensiero forte immanente al post-moderno ed al pensiero debole sub-razionalista, continua, però, ad un livello di massa, a persistere la religione hegeliana del progresso ateo. Essa continua a persistere un po’ come, nella tarda romanità, persisteva l’antico paganesimo, ossia in forma di religione civile. Ma in quell’epoca nessuno però più credeva al tramontante paganesimo – persino i suoi sacerdoti di Stato riconoscevano nei loro riti qualcosa di civile e non di metafisico – perché tutti volgevano altrove lo sguardo inquieto nella ricerca del senso del mondo. Molti, in quell’epoca, iniziarono a trovare la risposta, l’unica possibile risposta, nella Fede cristiana che giungeva da Gerusalemme.

Ho potuto constatare personalmente la persistenza dell’hegelismo applicato alla storia alla fine dello scorso giugno, in un processo a Garibaldi, tenutosi a Saludecio, in Romagna, per il quale mi è stato chiesto di far parte della corte giudicante, insieme al magistrato di Cassazione, nonché storico, dottor Francesco Mario Agnoli (autore di una prefazione a questo libro) ed all’avvocato Renzo Fogliata del foro di Venezia.

La pubblica accusa era affidata al magistrato e storico dottor Edoardo Vitale mentre la difesa al magistrato del Consiglio di Stato dottor Domenico Cacopardo.

Sebbene la sentenza di responsabilità, a carico di Garibaldi, pronunciata dalla corte, della quale facevo parte, ha voluto dichiaratamente restare sul piano del diritto internazionale all’epoca vigente, nonché su quello del diritto naturale, non scritto, delle genti (1), le due arringhe, accusatoria e difensiva, sono state invece svolte tenendo conto soprattutto della storia.

Ma mentre l’accusa sciorinava l’ormai noto repertorio di fatti e misfatti storici a carico dei padri del Risorgimento, con particolare riferimento all’imputato Giuseppe Garibaldi, che la storiografia ha oggi appurato e tali da smontare la mitologia e l’agiografia del Risorgimento immacolato ed eroico, la difesa, forse a corto di argomenti a sostegno della non più proponibile agiografia mitologica di cui sopra, ha invocato le «ragioni della storia».

In sostanza, per la difesa qualsiasi cosa poco eroica e piuttosto disonorevole della sua mitizzata figura abbia commesso Garibaldi, non potrebbe diventare capo di imputazione per il semplice fatto che il nizzardo avrebbe operato per il progresso dell’Italia e dell’umanità e, così facendo, egli si sarebbe posto nel senso della storia.

Come si vede, piuttosto che le «ragioni della storia», la difesa ha invocato una ben precisa «filosofia della storia» di chiara matrice hegeliana. La stessa che, però, ha in passato giustificato anche gulag e lager e giustifica oggi le guerre umanitarie per la globalizzazione dei mercati e la finanziarizzazione dell’economia planetaria.

Se il mondo cattolico non torna a leggere gli eventi, compresi quelli in corso, in chiave teologica e cristologica, nulla esso potrà opporre all’oscuro regno, ormai incipiente, del principe di questo mondo.

Il libro ora proposto dall’editore EFFEDIEFFE vuole essere solo un contributo in tal senso.

Luigi Copertino





1) Questo è il testo integrale della sentenza in questione: «La Corte, ritenuto che la materia sulla quale questa Corte è chiamata a decidere è limitata ai fatti contestati dalla pubblica accusa a Giuseppe Garibaldi, cioè linvasione del Regno delle Due Sicilie; ritenuto che la Corte debba limitare la sua valutazione al piano giuridico, prescindendo da ogni valutazione di carattere precipuamente storico e, quindi, di dovere far applicazione di norme e regole comportamentali comunemente riconosciute nellambito europeo anche allepoca dei fatti; ritenuto in questa prospettiva di non poter prescindere anche dai princìpi espressamente recepiti dal diritto internazionale, P.Q.M. La Corte, ritenuto che non può essere irrogata condanna nei confronti di un imputato defunto; dichiara Giuseppe Garibaldi responsabile:
a) di aver violato la sovranità di uno Stato sovrano dichiaratamente in pace con lintera comunità internazionale, organizzando ed utilizzando formazioni di combattenti irregolari;
b) di aver violato il diritto del popolo meridionale alla propria autodeterminazione, favorendo gli interessi di plurime potenze straniere. Saludecio, 25 giugno 2011. La Corte: presidente: dottor Francesco Mario Agnoli, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, storico e scrittore; membri: dottor Luigi Copertino, saggista; avvocato Renzo Fogliata, del Foro di Venezia; Pubblico ministero: dottor Edoardo Vitale, magistrato, direttore de LAlfiere; difesa: dottor Domenico Cacopardo, magistrato Consigliere di Stato e scrittore».



 
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