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E ora fosforo bianco!!!
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Antonio Santagati scrive da Dubai. Beato lui, si risparmia i dolori articolari di questo inverno, finalmente inverno. Non so se si trovi lì per lavoro, per ferie o a seguire le virtù pedatorie di David Beckam e signora. Fa piacere comunque che anche lontano dall’Italia il nostro sito sia seguito.

Di solito non riesco a rispondere alle obiezioni dei lettori e neppure alle felicitazioni ed ai complimenti. Vivo del mio lavoro e scrivo ritagliando ore alla famiglia, ad una moglie fin troppo paziente ed al sonno. Quindi scusate, scusatemi tutti, ma il tempo è una risorsa limitata e per giunta un giorno non ce ne sarà più. Allora ci mancherà il tempo per fare il bene che non abbiamo fatto, ma sarà tardi. E dovremo renderne conto.

Ad Antonio, tuttavia, debbo rispondere, perché in una sua mail assimila una mia affermazione contenuta nell’ultimo articolo a quella di Angelo Panebianco e citata dal Direttore Blondet. Panebianco afferma che per gli islamici «la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani».

Secondo il nostro lettore io, molto più subdolamente, la penserei allo stesso modo quando affermo che «l’orgogliosa follia islamica impedisce loro [ai palestinesi di Gaza] di fare l’unica cosa possibile: una collettiva protesta di tipo ghandiano, scegliendo di morire, combattendo senza armi», condividendo quindi con Panebianco l’idea che i palestinesi siano folli estremisti, che dovrebbero  arrendersi incondizionatamente.

No, caro lettore, non è così. Panebianco riprende l’idea che gli islamici siano dei vigliacchi, che si riparano dietro l’innocenza dei bambini e i veli delle donne, cercando di farne dei martiri da esibire all’opinione pubblica. Ha ragione Maurizio Blondet: «Quando Panebianco esalta il superiore ‘valore della vita’ umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica».

Propaganda - aggiungo - fatta di menzogna, provocazione e ritorsione. Il giudaismo ha un’obiettivo solo: realizzare una pulizia etnica integrale, fare dello Stato di Israele un Stato razziale ebraico, «Eretz Israel» appunto, la terra di Israele.
Quando Olmert venne in Italia «obbligò» Prodi a dire che Israele era uno Stato ebraico e dopo, ipocritamente, si dichiarò commosso per aver udito da Prodi affermare il carattere giudaico dello Stato di Israele.

Ve lo ricordate? Maurizio Blondet  aveva fatto un pezzo. Guardate il filmato e scaricatevelo, prima che scompaia dalla rete!



Pensate se domani qualcuno si alzasse in Italia e dicesse che la Gran Bretagna non è una democrazia, abitata da genti di etnia e religione diversa, ma Mr. Brown rivendicasse il carattere etnico, anglofono e anglicano della nazione. Pensate se la Russia invadesse la Georgia, vi attirasse dentro tutti i russi sparsi per il mondo, promettendo loro di insediarsi gratuitamente nelle terre georgiane in nome di un secolare diritto storico e poi, se i georgiani osassero ribellarsi, cominciasse a tirar loro bombe sulla testa.

Ma come? Lungo tutti gli anni Settanta non ci avevano spiegato e ripetuto fino alla noia, per mostrare la laicità dello Stato sionista di Israele, che israeliano non equivaleva ad ebreo, perché vi erano oltrechè gli ebreo-israeliani anche gli arabo-israeliani? Ma se il carattere dello Stato di Israele è invece ora giudaico, gli arabo-israeliani cosa sono in quella terra che hanno abitato da sempre e che fine faranno?

La risposta è semplice: morte o trasferimento.

Se invece che in Israele fossimo nei Balcani e se invece di Olmert parlassimo di Milosevic il termine sarebbe pulizia etnica o genocidio. Ma gli slavi, si sa, non sono mai stati un popolo eletto, anzi slavo sta per schiavo e - piccola nota storica - infatti già dal IX secolo il commercio degli ebrei Radhaniti (così come venivano chiamati perché insediatisi lungo le rive del Reno) esportava verso il mondo mussulmano schiavi (1) e pellicce.

Pulizia etnica, questo è il destino che il giudaismo è pronto a riservare ai concittadini arabi: sono stranieri da cacciare per purificare Eretz Israel, per attendere purificati il Messia, anzi - secondo alcuni - per fare di quello Stato, la Stato di Israele, il Messia.

Ma non possono farlo, l’opinione pubblica comincerebbe a dire ad alta voce ciò che già mormora e cioè che quello palestinese è un genocidio. Il contesto internazionale non lo potrebbe ammettere. L’ONU sarebbe costretta ad intervenire, mica a fare spallucce come sta facendo ora. Invece se è guerra tutto cambia.

Certo non si poteva fare la guerra a dei ragazzini che tiravano i sassi della prima Intifada. Così si è lasciato crescere Hamas.

Michael Warshawski, un ebreo coraggioso ha pubblicato nel 2004 un coraggiosissimo libro, edito in Italia da Bollati-Boringhieri e intitolato «A precipizio: la crisi della societa israeliana» (c’è nella libreria EFFEDIEFFE).

A pagina 13 Warshawski svela come la pianificazione di questo massacro avvenga già nel 2000, quindi - osserviamo noi - un anno prima dell’11 settembre! E nella logica del «cui prodest» (cioè a chi quel mega-«attentato» è stato utile) il libro di Warshawski spiega l’esistenza di un piano premeditato, diabolico e lucidissimo:

«Per più di trent’anni l’esercito israeliano ha usato un ossimoro per descrivere la propria azione nei territori palestinesi che si trovano sotto la sua autorità dal giugno 1967: ‘l’occupazione liberale’. Questo costrutto semantico fa il paio con altri ossimori dello stesso genere, come ‘purezza delle armi’ o ‘Stato ebraico e democratico’. Dietro questo concetto di ‘occupazione liberale’ vi sono, tuttavia, due elementi importanti: da un lato, la volontà di offrire una immagine di stampo liberale (nel senso americano del termine) e non brutale e colonialista; dall’altro, la dichiarata intenzione di porre in atto una politica di occupazione con un minimo di misure repressive e di vittime fra la popolazione occupata. Certo, la prima Intifada ha avuto ragione di questa immagine compiacente, e le circa 1.500 vittime palestinesi, in meno di tre anni, hanno dimostrato che una occupazione è per definizione sanguinosa e repressiva, soprattutto se la popolazione occupata esprime in massa la propria volontà di libertà e di indipendenza. Fu proprio il fatto che l’occupazione non poteva più pretendere di essere liberale che provocò un cambiamento nell’opinione pubblica a favore di un ritiro dai territori occupati e, due anni più tardi, promosse il sostegno massiccio al processo di Oslo. A partire dal settembre 2000, l’occupazione israeliana non finge più di essere liberale. Al contrario, assume pienamente il suo carattere ‘geniale e crudele’, per riprendere le parole dell’inno dell’Irgun, l’antenato del partito Likud oggi al potere. Una occupazione brutale e sanguinaria che gode dell’appoggio della grande maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. Nel settembre 2000, il governo israeliano impartisce l’ordine di attuare il piano di repressione generalizzata - uno dei suoi capitoli si intitola ‘salasso’ - predisposto due anni prima da colui che sarebbe diventato il comandante in capo dell’esercito israeliano. Quel piano era uno degli scenari proposti dallo Stato Maggiore a Ehud Barak come risposta a una eventuale dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte palestinese. Il denominatore comune a tutti questi scenari consisteva nel far pagare molto caro ai palestinesi l’insubordinazione e l’insolenza che una iniziativa unilaterale da parte loro avrebbe significato. Nel settembre 2002, l’iniziativa unilaterale consiste nell’inizio della seconda Intifada, rivolta popolare - e per molte settimane disarmata - contro l’occupazione israeliana. Non lo si sottolinea mai abbastanza: la partecipazione dei militari palestinesi agli scontri con l’esercito israeliano comincia solo dopo che molte decine di giovani manifestanti erano stati assassinati da soldati superarmati, muniti spesso di fucili a cannocchiale. Quanto agli attentati in Israele, essi cominceranno solo tre mesi più tardi, dopo la morte di molte centinaia di palestinesi. Gli ordini sono chiari: spezzare ogni forma di resistenza, con tutti i mezzi. Poco importa il bersaglio, poco importano le circostanze, poco importano i ‘danni collaterali’. All’inizio, in conformità con lo scenario già menzionato, la repressione ha carattere essenzialmente punitivo: dare una lezione ai palestinesi per aver osato sfidare l’occupazione, e soprattutto per aver osato respingere le ‘generosissime offerte’ di Ehud Barak a Camp David (ci tornerò). Quel che importa capire è che, in questa fase, l’obiettivo fissato da Barak e dallo Stato Maggiore non è quello di assicurare il ‘ritorno all’ordine’, ma di condurre una operazione punitiva che si trasformerà rapidamente in campagna di pacificazione. Una simile campagna implica un uso massiccio di mezzi militari per terrorizzare una popolazione civile, per costringerla ad accettare il potere coloniale e le forme di dominio che esso vuole imporle. Per giustificare dinanzi all’opinione pubblica locale ed internazionale la violenza nei confronti dei civili, è indispensabile ‘decivilizzare’ tale popolazione. Di qui l’uso sistematico, nei territori palestinesi occupati come in Cecenia, del concetto di terrorismo: la sanguinosa repressione di una popolazione è mascherata sotto il nome di ‘guerra contro il terrorismo’. Non sono più donne e bambini che vengono dilaniati dalle bombe a frammentazione; non sono più intere famiglie che lo stato d’assedio condanna alla miseria e talvolta alla morte per fame: sono dei terroristi. Anche il concetto di guerra ha la sua importanza: lascia intendere che, di fronte alla quinta potenza militare del mondo, non c’è una popolazione civile, ma un’altra forza militare, e che ciò giustifica l’uso di carri armati, di elicotteri da combattimento e di aerei da caccia».

Con la stessa doppiezza con cui negano e fanno affermare da altri, dichiarandosene commossi, il carattere ebraico dello Stato di Israele, (a proposito cari amici dossettiani vedete che Prodi vale Berlusconi?) i capi giudei trattano la questione dello Stato palestinese. Per dirla ancora con Warshawski secondo la politica dello Stato israeliano, esiste un solo popolo, quello ebreo, e un problema: quello palestinese. Insomma siamo di fronte ad un unilateralismo totale che mira a chiudere la partita con una seconda «nakba» (2).

Apparente concessione, repressione, provocazioni continue fino a generare una reazione che legittima una nuova repressione, soffocando lentamente, ma inesorabilmente l’ipotesi di uno Stato palestinese: impossibile trattare - dicono i giudei - i palestinesi sono bestie. Ed i vari Panebianco ripetono scodinzolanti.

Quindi, per cortesia, Antonio non facciamo confusione: ai palestinesi islamizzati imputo la stoltezza di cadere in trappola, di ostentare un orgoglio muscolare che risponde al carattere virile e guerriero della religione mussulmana e su cui il giudaismo, che ben conosce il temperamento e la spiritualità islamica, fa leva. Provocare, esasperare, umiliare, consentire il passaggio di armi quasi-innocue come i missili-petardo, per mostrare al mondo le «prove» della responsabilità di Hamas nel conflitto.

«Historia magistra vitae»: accadde o no lo stesso nell’incidente di frontiera provocato ad arte dalla Germania nazista per scatenare la guerra contro la Polonia?

Io, al contrario di Panebianco, non imputo ai palestinesi cinismo, ma stoltezza. Ha fatto molto più male al giudaismo l’Intifada dei sassi e dei bambini, che quella dei miliziani di Hamas. Basterebbe al nostro lettore andarsi a rispolverare qualche capitolo dei libri di Blondet per capire con quanta cura, infatti, Israele ha allevato, curato e fatto crescere un nemico su misura come Hamas. (si legga «Chi Comanda in America», oppure «Israele, USA, il terrorismo islamico»)

Oggi ai palestinesi non manca qualche «sceicco del terrore». Per un capo militare ucciso, dieci ne nascono. Israele lo sa e ci gioca come il gatto col topo. Più ne nascono, più ci ranno occasioni di raid e omicidi mirati. Manca in Palestina un uomo che possa volere davvero il bene della sua gente e della sua terra, fino al punto di mostrare a Giuda un Logos diverso da quello della spada: guardare i suoi carnefici in silenzio, ripetendo solo contro di loro le profezie che essi stessi si autoattribuiscono:

«Non ho opposto resistenza,/ non mi sono tirato indietro./ Ho presentato il dorso ai flagellatori,/la guancia a coloro che mi strappavano la barba;/ non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi./ Il Signore Dio mi assiste,/ per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra,/ sapendo di non restare deluso».

Ma l’orgogliosa follia islamica (non è un insulto, è una constatazione) è incapace di pensare che Dio si lascia crocifiggere, piuttosto che conformarsi alla logica del Mondo. Per i mussulmani, che presero questa teoria dall’eresia docetista e dell’eretico Basilide, Gesù (che pure per loro non è Dio) non morì in croce, ma fu sostituito da un sosia. La Croce, follia per i giudei, stoltezza per i pagani, accomuna nella perdizione chi non crede in essa e li accomuna oggi nella logica della spada.

Ma oggi la spada di Giuda è d’acciaio, quella di Hamas di latta. Forse solo l’atomica potrebbe indurre Israele alla ragione, quindi almeno la prudenza umana imporrebbe di non lasciarsi trafiggere: ma un popolo, quello palestinese, nevrotizzato dai giudei e fanatizzato dai fondamentalisti, si offre suo malgrado vittima di questa mattanza.

Datemi pure del visionario, ma in Israele non è in atto solo una guerra militare, ma uno scontro di «potenze». Delle volte provo il dubbio che la paranoia del giudaismo sia giunta al punto di voler usare dei palestinesi come vittime surrogatorie, che l’uso di proiettili al fosforo bianco, che causa ustioni mortali, per coprire con schermi fumogeni l’avanzata delle truppe di Tshal nella Striscia di Gaza (la notizia è uscita sul Times) (3), sia la cifra di un olocausto propiziatorio, con cui Giuda crede di guadagnare la benevolenza di JHWH.

E l’inerme popolazione di Gaza è davvero un gregge condotto al mattatoio!

Perciò ai palestinesi andrebbero ripetute fino alla noia le parole di un ebreo di Tarso: «La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti».

Usare la prudenza e misurare le proprie forze, scegliendo le armi migliori (l’Intifada dei sassi lo fu) è solo saggezza umana. Oltre questa, non cadere nella logica del giudaismo è garanzia per resistere, altro che resa incondizionata.

Infine - e questo tocca a noi - occorre fare i conti con un certo Jeshuah di Nazaret. La Sua morte ed il Suo perdono hanno «disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» per due millenni, finchè i tempi dei Gentili si sono compiuti. La nostra apostasia ha spianato di nuovo la strada a Giuda e impedito di nuovo il Suo annuncio all’Islam.

Il Logos cristiano, solo Lui, può sbarrare il passo al Leone di Giuda, finchè si converta. Preghiamo, altro che missili-petardo!

Post scriptum: concordo pienamente con Luigi Copertino contro ogni possibile deriva marcionista [per i lettori: «Marcione fu un eretico oppositore del mondo giudaico, che negò l’importanza per i cristiani del Vecchio Testamento e propugnò il concetto dualista di due dei, il Dio del Vecchio Testamento (che peraltro egli totalmente rigettava) vendicativo e terribile Demiurgo creatore del mondo, e il Dio del Nuovo Testamento, descritto dal Cristo come buono e misericordioso e che aveva mandato Suo Figlio per riscattare il genere umano. Inoltre Marcione riteneva che tutta la materia fosse male e seguì la dottrina del Docetismo, per la quale il corpo di Cristo era del tutto immateriale in contrasto con i cattolici, che credevano nella totale incarnazione del Cristo].

Preciso e concordo ancora con l’amico Copertino che il mio richiamo a Merkavà sta proprio ad indicare come un riferimento biblico di gloria (il Trono di Dio, al quale si ascende per il tramite del Fuoco dello Spirito) possa essere pervertito rispetto al suo senso originario a causa della sua deformazione qabbalista.

Concordo anche sul fatto che splendido e da comperare (se lo trovate ancora) è il volume del teologo tradizionalista Julio Meinvielle dal titolo «Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano», ove sul tema è scritto: «Il più grande esperto in materia, il giudeo (...) Gershom Scholem, ne ‘Le grandi correnti della mistica ebraica’, sostiene che ‘la mistica ebraica iniziò in Palestina, con il circolo di Yochanàm ben Zakkày, verso la fine del primo secolo dopo Cristo. Furono proprio i circoli farisaici, durante il periodo del secondo Tempio, a seguire una disciplina esoterica che ‘rielaborava’, segretamente, il primo capitolo della Genesi (la storia della Creazione = Ma’ asé Bereshit) e il primo capitolo di Ezechiele (la visione del carro col trono divino: la Merkaba). Questo lavorio segreto durò appunto per secoli, fino in epoca talmudica, quando, come scrive Scholem, varie ‘conventicole esoteriche (...) con tutta una letteratura cercavano di conseguire una sintesi della loro nuova visione religiosa del mondo’. L’autore sostiene che per gli ebrei la Merkaba era ciò che per i mistici ellenici e protocristiani era il Pleroma, il mondo luminoso della divinità con le sue potestà, eoni e dominazioni. ‘Il preesistente Trono di Dio - che in sé contiene in forma esemplare tutte le forme del creato - è mèta dell’estasi e della visione mistica’. Nel V e VI secolo dopo Cristo tutto ciò inizia ad essere messo per iscritto. Come si può notare, qui consiste il nucleo essenziale di tutta la Càbala ebraica, ovvero l’origine dello gnosticismo anticristiano ed eretico lungo il corso dei millenni. La conoscenza della Merkaba era per pochi eletti: all’inizio solo per certe categorie di persone per il tramite di Isaia 3,3. Poi addirittura si varò un’elencazione di condizioni necessarie per poter accedere ai misteri, non ultime condizioni di genere fisiognomico, somatico ed anche negromantico, che più nulla avevano a che vedere con le solite qualità sociali e morali. Siamo così in piena gnosi e magia. Scrive Scholem: ‘Coloro che, secondo i criteri menzionati, erano considerati degni, potevano avviarsi verso la Merkaba, con un pericoloso viaggio che, attraverso i sette palazzi celestiali, li portava davanti al Trono di Dio. Questo pellegrinaggio attraverso il cielo, la sua preparazione, la sua tecnica e la descrizione di ciò che si vede nel suo percorso, costituisce il contenuto degli scritti sulla mistica della Merkaba’. Come dire, un’altra rivelazione, un’altra ‘via, verità e vita’ per giungere a Dio. In poche parole, è la via della gnosi, ove il concetto di ascesa a Dio è l’elemento centrale».

Domenico Savino




1) Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio 1948, data in cui lo Stato d’Israele si è impossessato delle terre, delle case e delle vite del popolo palestinese.
2) Le informazioni sono riferite da «Abu’l Qasim Ubaid’Allah ibn Khordadbeh», geografo persiano e funzionario mussulmano del  IX secolo che ne riferisce ne «Al-Kitab al Masalik w’al Mamalik» («Libro delle rotte commerciali e dei regni»).
3) http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/middle_east/article5447590.ece


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