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Verso la tragedia, coi pagliacci sulla scena
07 Settembre 2011
Secondo gli analisti della Société Generale, Moody’s, Fitch e Standard & Poors si apprestano, tutt’e tre, ad abbassare il rating del debito italiano. Se avviene, sarà il precipizio verso il default alla greca, data l’impossibilità di sostenere un servizio del debito al 7, o 10, o 13% d’interesse che i mercati ci chiederanno per prestarci i miliardi di euro che siamo costretti a chiedere cappello in mano. tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt ttttttttttttttttt ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt Risparmiamoci le proteste contro le tre agenzie: rispecchiano semplicemente il degrado della nostra guida politica. È inutile, perchè tutti l’abbiamo visto, descrivere lo spettacolo disonorevole e turpe che sulla tragica scena della crisi mondiale hanno dato i due subnormali che restano al loro posto benchè come popolo li abbiamo licenziati: le furberie dei finti tagli ai costi della politica e la convinzione che i mercati e la BCE (che ci sta pagando la sopravvivenza comprando i nostri BOT) si sarebbero bevuti la lotta all’evasione come posta credibile. I continui ritocchi, cancellazioni e giravolte nella manovra lacrime e sangue, le mille cose che hanno annunciato e poi si sono rimangiate per non scontentare nessuna lobby elettorale o casta parassitaria che alzava la voce, per cedere ad interessi anche microscopici. La grottesca incompetenza che li rende incapaci di identificare i centri di spreco, per cui adottano tagli lineari che ovviamente prestano il fianco alle critiche e proteste delle caste: governatori di regione, capetti di provincie e sindaci della maggioranza si sono sollevati contro il governo per i loro interessi e centri di potere, in perfetta armonia con l’opposzione, a dimostrazione che la Casta è Una e Indivisibile. Eppure questa sollevazione bipartisan era lì a dimostrare che lo spreco e il grasso-che-cola è lì, nella spesa delle Regioni; bastava denunciarla e metterla sotto il controllo della Corte dei Conti (a cui oggi è sottratta in nome delle autonomie): ma per questo ci vuole carattere, fermezza, autorità. Virtù che l'erotomane Bunga-Bunga non ha mai avuto, e quel poco l’ha consumato nell’esibizione delle sue attività sessuali con minorenni, nei ridicoli tentativi di farsi leggi ad personam per sfuggire ai giudici (risibilmente fallite). Nel piacere di raccontare barzellette sconce in riunioni importanti, nei cucù alla Merkel e nei colloqui telefonici con magnaccia e procacciatori. Di Bossi, l’invalido encefalico, nemmeno a parlare: dai fumi della sua testa vengono solo dei no a qualunque riforma seria, e una difesa totale delle sue clientele nordiste, che comunque non voteranno più Lega. Il vero mistero è che Tremonti metta la sua faccia e la sua firma su quelle pagliaccesche prove di finanziaria. Non vale dire, come fa un insistente lettore, che Tremonti è dell’Aspen e del Bilderberg: quel che vogliono Aspen, Bilderberg e poteri forti globali è che continuiamo a servire il debito, e invece l’attuale governo dei pagliacci ci porta dritto al default greco. Dei 3,6 punti di spread fra i nostri BTP e i Bund tedeschi, ossia di quel che noi contribuenti dobbiamo pagare in più ai debitori, almeno 2 sono dovuti all’esistenza e alla condotta di Bunga-Bunga e del Trota Primo. Il costo della loro abietta esistenza al timone dell’Italia ammonta dunque a 30 miliardi. Di tasse in più. E ciò, mentre nel mondo occidentale si consuma la più grande serie di crack della storia, e la depressione più inaudita, e dunque la sparizione del credito facile per almeno un ventennio. Lo si vede dai commenti dei blog finanziari, dalle ammissioni che adesso escono dalle grandi banche internazionali e dai loro analisti. Altrove, i politici si preparano apertamente alla più grande crisi e miseria della storia. Essi vedono chiara quella realtà che all'invalido e all'erotomane sfugge. Il ministro delle Finanze polacco Rostkowski: «Le elites europee, comprese le tedesche, devono decidere se vogliono che l’euro sopravviva, anche a caro prezzo, oppure no. Se no, dobbiamo prepararci a uno smantellamento controllato della zona monetaria». Il presidente della UE Van Rompuy: «Siamo in una crisi di sopravvivenza... Se non sopravvive la zona euro, allora non sopravviveremo come Unione Europea». Angela Merkel: «È la più grave prova che l’Europa affronta dai tempi del trattato di Rolma firmato nel 1957». Stehpane Deo, Paul Donovan e Larry Hatheway analisti della UBS: «Gli Stati membri sarebbero in forma economica migliore se non fossero mai entrati nell’euro. L’unione monetaria è stata venduta a metà alle popolazioni europee». Vi risparmio gli allarmi di Christine Lagarde la capessa del FMI, e Mervyn King governatore della Banca d’Inghilterra. Chi parla (Tremonti) di un salvataggio attraverso l’emissione di eurobond, sogna ad occhi aperti. La prospettiva è stata esclusa dal governatore della Bundesbank; l’89% della popolazione è contro i salvataggi dei Paesi meridionali, non solo per motivi economici (sarebbero i tedeschi a pagare), ma lucidamente politici. «Siamo avviati alla dittatura finanziaria dei banchieri», ha gridato Peter Gauweiler, membro CSU del Bundestag: «Non sosteniamo la Grecia, sosteniamo 25-30 banche d’investimento globali e le loro pazzesche attività». Un analista su Zero Hedge offre la sua consulenza a pagamento così: «Se non avete ancora fatto i passi per preparare il vostro portafoglio e i vostri cari, il momento è questo: perchè col ritmo in cui vanno le cose, possiamo vedere un crollo del mercato nelle prossime due settimane... e non è tutto. Se il sistema bancario europeo collassa, possiamo subire un rischio sistemico con chiusura obbligata delle banche, scarsità di cibo, disordini civili... ». «Siamo al finale di partita di un trentennio di deterioramento insostenibile dei salari», e lo scrive non un sinistrorso, bensì il principale analista della Societé Generale, Geremy Grantham: deterioramento mal compensato dai prestiti bancari facili e seconde ipoteche che la classe media s’è vista offrire in cambio della perdita del potere d’acquisto perduto in favore degli ultra-ricchi. Ma ormai, «la scelta di qualche forma di condono del debito sui mutui (americani) diventa sempre più necessaria», insieme con una riforma fiscale che «abbassi le tasse sul reddito e sui consumi per il 75% dei salariati inferiori, e tasse più alte per il 10% superiore. Non si tratta di egualitarismo comunista, ma di tornare alla più equa distribuzione dei benefici che vigeva nel decennnio della presidenza Eisenhower. E non si dica che ciò danneggia la crescita economica: gli anni ‘50 e ‘60 furono di continua e sostenuta crescita». (The Grantham manifesto) E se questi discorsi vengono da analisti ufficiali al servizio del capitale, vuol dire che la paura è davvero grande, e in quegli ambienti s’è pronti a moderare la rapina speculativa e ad abbandonare i dogmi liberisti vigenti, non solo per scongiurare la nuova Età dei Ghiacci, ma le rivolte sociali. S’intende, questi signori continuano a difendere l’obbligo di servire il debito da parte degli Stati, e sono per la durata dell’euro «a qualunque costo». Perchè, interloquisce Albert Edwards (UBS), «il costo economico è in molti sensi la minore preoccupazione che gli investitori debbono avere nel caso di una fratturazione dell’Euro. Molto peggiori sono i costi politici. Il soft power, l’influsso internazionale dell’Europa cesserà», dice Edwards, ma aggiunge: «Vale la pena di osservare che nessuna unione monetaria basata su moneta creata dal nulla s’è rotta senza qualche forma di governo militare o autoritario, o guerra civile». L’esempio, qui, è la rottura della zona del rublo dopo la frammentazione dell’URSS. Esempio non del tutto pertinente: se è vero che a Mosca vige l’autoritarismo di Putin e nelle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale sono avvenuti disordini civili, è anche vero che i Paesi baltici sono usciti dal rublo senza suscitare interventi militari. Ma l’analisi di Edwards intende far paura a chi «parla alla leggera di una spaccatura dell’euro». Interessante lo scenario che Edwards ha stilato per l’uscita dall’euro di un Paese forte, come la Germania: oltre alle difficoltà per il governo che possono arrivare all’insediamento di regimi autoritari per reprimere la protesta, o fratture civili sulle linee di faglia sociale (per esempio, ipotizzo, fra Germania Est e Germania Ovest?) oltre alla disoccupazione per il calo delle esportazioni (la nuova moneta tedesca si rivaluterebbe di un 40%, l’export crollerebbe del 20%), il bisogno urgente di ricapitalizzare le banche, l’analista calcola press’appoco il costo dell’operazione in termini puramente monetari: da 6 a 8 mila euro a persona il primo anno, 3.500-4.500 l’anno seguente. «Ciò equivale al 20-25% del PIL, molto più costoso che salvare Grecia, Irlanda e Portogallo con un 50% di perdite (per le banche creditrici tedesche): questo costerebbe poco più di 100 euro pro capite, una volta sola». Ben altrimenti grave, ci dice l’analista, la secessione dall’euro di un Paese debole (Grecia, ma anche Italia? Su questo tace). «Lo studio UBS suppone che lo Stato debole vedrebbe crollare la sua nuova moneta del 60% rispetto al blocco euro rimasto... il massiccio default sovrano e delle imprese genererebbe un accresciuto ‘premio di rischio’ per ottenere capitali, ammettendo che il sistema bancario interno restasse ancora capace di fornire capitale: una stima prudente pone questo aumento del premio di rischio a 700 basis points»; ciò significa uno spread di 7 punti interi tra il Bund tedesco e il nuovo BTP in lire: un 9-10% di interessi. Un po’ meno di quanto ne pagavano i titoli di Stato quando avevamo la lira, e non è morto nessuno, anzi vi sono stati anni di miracolo economico. Ma non basta. «Lo studio suppone un declino del valore dei commerci del 50%, nell’assunzione che dall’area euro rimasta sarebbero imposte tariffe per compensare il deprezzamento dello Stato secessionista’, ossia la sua aumentata competitività. Ben deciso a farci paura, l’analista ‘pone il costo iniziale della secessione, per una nazione sud-europea, a 9.500-11.500 euro a persona per cittadino, crescente a 3-4.000 a persona negli anni seguenti data la stagnazione di governo e l’indebitamento ad alti costi». (Who is the doomiest of all?) Ma l’analista evita di ricordare che questo costo, così proibitivo, è solo la metà del costo che pesa su ogni cittadino italiano a causa del terzo debito pubblico del mondo: 30 mila euro a testa, bambini e suore francescane comprese. Un costo che, in tutto o in parte, sarebbe alleggerito da un nostro default. Supponendo una ristrutturazione del debito parziale al 50%, essa compenserebbe il costo aggiuntivo valutato dalla UBS: pari e patta, e in più il recupero della sovranità monetaria, l’acquisto di competitività e la batosta inflitta ai creditori speculativi. Il vero problema sarebbe che lo Stato, per anni, non potrebbe finanziarsi se non con le imposte, non potendo ricorrere facilmente ai mercati esteri; il che non pare, dopotutto, un male assoluto, perchè lo Stato sarebbe costretto a ridurre la spesa pubblica parassitaria in cui sguazzano le Caste. Più che terrore, la prospettiva che ci dà lo studio UBS genera qualche tentazione... Il fatto che grandi banche comincino a discutere e a valutare apertamente la possibilità di un default di Stato – argomento fino a ieri tabù – è per sè indicativo. Sono loro ad aver più paura. Vedo che, per questo, qualche blogger italiano sembra attribuire al Cavaliere e Trota Primo, o almeno a Tremonti, il disegno di portare il Paese proprio al default salvifico. Ciò sembra attribuire ai pagliacci un eccesso di astuzia, una finezza machiavellica di cui non hanno mai dato prova: essi sono pieni sì di furberie, ma minime, provinciali, clientelari. In 17 anni, il Cavaliere non è riuscito a portare a termine nessuna riforma di struttura, nemmeno quella che gli interessava di persona, il disciplinamento della magistratura. Bossi concepisce il federalismo come un portare qualche uffico ministeriale a Monza, e ciò dice tutto sulla sua grande visione. Tremonti s’è fatto sorprendere dagli eventi più volte in due settimane, ed ha dovuto aggravare l’IVA, la supertassa che teneva da parte per coprire i costi proibitivi del federalismo – quando ormai all’opinione pubblica è chiaro che le autonomie regionali sono già un disastro e una spesa inutile. Tutti e tre hanno lasciato, col loro vuoto inconcludente, uno spazio enorme all’azione politica diretta (e illegale) del capo dello Stato; si trovano a capo della BCE non solo un uomo di Goldman Sachs, ma un nemico giurato della loro parte. Non sono riusciti nemmeno ad eliminare gli enti inutili «con meno di 70 dipendenti», e ben a ragione hanno suscitato proteste, perchè fra questi c’è l’Accademia della Crusca, che costa solo 250 mila euro l’anno ed è uno storico pilastro della cultura italiana; cosa che essi non hanno valutato prima, perchè sono privi di cultura, anzi persino di istruzione. Alla disperata, hanno adottato il programma di torchia fiscale di Vincenzo Visco, segno inequivocabile e definitivo della loro vuotezza ideale e progettuale. Hanno suscitato la bestia dormiente dello sciopero generale CGIL, la rivolta dei lavoratori tanto temuta dai banchieri – ma non a loro vantaggio, bensì contro il governo. Di fatto, saranno messi sotto amministrazione controllata e sostituiti con un governo non-eletto (le grandi intese) che a questo punto è forse il minor male, sempre meglio, nel tifone che incombe, che avere due pagliacci sulla scena. I pagliacci non sanno recitare la tragedia. S’intende che i delegati degli interessi altrui dovranno badare che l’Italia continui a servire il debito, che non sfugga alla torchia. L’Italia sarà, come sempre, governata dagli interessi stranieri, i quali hanno già scelto i loro delegati: basta vedere quali nomi i media nostrani incensano e coprono di lodi. Ma d’altra parte, con quale coraggio lodare Bossi coi suoi fedelissimi neanderthaliani, Berlusconi l'erotomane euforico, Calderoli, Tremonti? No. Verso il default ci andremo, ma per forza delle cose, non perchè qualcuno ci pilota. E una cosa è fallire perchè i mercati non ci fanno più credito, altra cosa è ripudiare il debito sovrano deliberatamente e coscientemente, con un atto di volontà. Per questo, occorrono fermezza, conoscenza chiara dei meccanismi delle istituzioni che a loro, dopo tanti anni, manca ancora; occorre la mano energica di chi sovviene ai bisogni urgenti delle vittime del default, che nei primi due anni (si veda l’Argentina) avranno bisogno, a centinaia di migliaia, di essere alimentate, vestite e riscaldate; l’ampia visione e l’energica durezza richiesta sui tavoli internazionali. Soprattutto, l’autorevolezza personale essenziale per far accettare alla nazione i sacrifici iniziali, in nome della crescita futura (l’Argentina cresce dell’8% annuo). Non ce l’hanno, e l’hanno comprovato da tempo. Chissà se Berlusconi si duole, fra sè, di aver speso la sua dignità ed autorità – così necessarie oggi – con le escort di Lele Mora e Tarantini. Sembra di no, del suo fiasco dà la colpa agli altri, ai mercati alle agenzie di rating, alla Casa Bianca che «proprio adesso» ha deciso di far la faccia feroce con qualche banchiere... è fatto così, e non cambierà. Chiamatelo «povero cretino», e lui diramerà all’ANSA il seguente comunicato: «Smentisco, non sono affatto povero». Bossi farà il gesto dell’ombrello, del dito levato, pronuncerà qualche borborigmo minaccioso e insultante, credendo così di dimostrare il carattere che non ha. Pagliacci senzapalle, è brutto che ci lasciamo guidare da costoro. Ma a ben pensare, la formazione di caratteri non è una virtù che venga coltivata in Italia, in nessuna sede scolastica o militare o politica. In nessun ambiente, tenace onestà e costanza della volontà costituiscono una carta vincente per alte carriere e responsabilità; anzi al contrario, si premia l’arrendevolezza, l’opportunismo, la mancanza di carattere. Il solo a memoria d’uomo che avesse dimostrato qualche misura di risolutezza, l’abbiamo cacciato a morire esiliato in Tunisia, ancor oggi colpito da damnatio memoriae. Cosa volete, siamo noi italiani così, e ci scegliamo politici così, molli, di spina dorsale flessibile, infidi e senza principii. Salvo poi massacrarli quando hanno deluso, come accade ad un popolo imbelle ma capace di occasionali ferocie: il massacro di Masaniello, il linciaggio del povero Prina a Milano (tassava troppo, a nome di Bonaparte), e ovviamente Ben e Claretta appesi per i piedi che, chissà come, meritarono il pianto di un epicedio altissimo da Ezra Pound, «formica solitaria d’un formicaio spaccato dalle rovine d’Europa, ego scriptor»: ma Ezra era americano. Ecco, forse Berlusca e Bossi dovrebbero temere, più che la non-rielezione, Piazzale Loreto. E senza alcun canto.
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