Il Samaritano norvegese, ed altre parabole
10 Gennaio 2009
Devo due risposte a due lettori. A quello che dice: «A Gaza Allah e Geova dormono o sono diventati sordi e muti»: e a quell’altro che dice «essere cattolici con la C maiuscola vuol dire essere anche contro l’Islam».
Chiedersi «dov’è Dio» a Gaza (o ad Auschwitz) è umano, ma troppo umano. Dio non è un «deus ex machina» che viene a raddrizzare i torti commessi da noi. Dio, quando si spara sugli inermi, è dove siamo noi: domandiamoci da che parte stiamo. Se non siamo «noi» a fare quel che vorremmo facesse Dio, allora Dio «non c’è». Noi dobbiamo farlo essere.
Un cristiano dovrebbe sapere almeno dove sta Gesù: Gesù è quei bambini lasciati quattro giorni accanto alla madre morta, che non riescono a stare in piedi per la fame, e che la Croce Rossa ha potuto raggiungere a malapena; sono le centinaia a cui manca l’acqua da una settimana, e che i soccorritori sono impediti di raggiungere dai soldati israeliani; è la bambina sepolta nelle macerie della sua casa, con la bocca sporca di sangue.
Dove c’è un essere umano a cui «noi» facciamo soffrire la fame, a cui ammazziamo la mamma, quello è Gesù. E’ il contrario di un deus ex machina; è il Crocifisso, il suppliziato.
Lo ha detto Lui, come si sa. Ha annunciato che, nell’ultimo giudizio, quando dividerà l’umanità in due, dirà: «Avevo fame e non mi deste da mangiare; sete, e non mi deste da bere; straniero, e non mi ospitaste; malato e in carcere, e non mi visitaste». Allora quelli (io, noi, voi) chiederemo: «E quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare?...». Lui, come noto, risponderà: «Ciò che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me».
Per troppa abitudine, questa cosa non ci sembra strana. Invece dovrebbe. Un cattolico «con la C maiuscola» si aspetterebbe che, nel giudizio finale, Gesù chieda: sei stato cattolico? Qui a destra. Musulmano? Ebreo? Ateo? Luterano? Buddhista? A sinistra.
Invece non ci chiederà che cosa crediamo, ma cosa abbiamo dato di nostro a chi aveva bisogno, se abbiamo negato l’acqua. Non farà l’esame di ortodossia, e questo è il fatto strano, per cui io talvolta oso dire che Cristo non è cristiano. Alla fine dei conti, proprio ai conti finali, Cristo giudica sulla carità. E quella più pratica, più vicina.
Simone Weil, ebrea attratta dal cristianesimo, ricorda che questo tipo di giudizio si trova persino nel Libro Egiziano dei Morti, dove si tratta di come l’anima deve rispondere quando viene «pesata»: «Migliaia di anni fa, gli egiziani credevano che un’anima non potesse giustificarsi dopo la morte se non può dire: non ho fatto patire la fame a nessuno», scrive ne 'La prima radice'.
Figurarsi quelli che, come Israele, da un anno e mezzo fanno volontariamente soffrire la fame a un milione e mezzo di palestinesi; che ostacolano deliberatamente l’arrivo di soccorsi, di latte e di acqua – che non si negano a nessuno. E che per giunta, ora, li bombardano in massa.
Gesù insiste molto su questo Suo «agnosticismo» rispetto all’ortodossia. Lo fa nella parabola del buon Samaritano. Passano dottori della legge, passano farisei accanto all’uomo ferito dai briganti; ma solo il samaritano si ferma e se ne prende cura, spendendoci del suo.
Probabilmente, un cristiano con la C maiuscola trova la parabola incompleta. Gesù avrebbe dovuto aggiungere:
«... naturalmente, poi, questo samaritano lo getterò nella Gehenna, perchè è un eretico».
Perchè i samaritani erano eretici dell’ebraismo; e Gesù, vero ebreo, lo dice esplicitamente alla samaritana: «Voi adorate ciò che non conoscete, noi ciò che conosciamo». Eppure, per descrivere «chi è il prossimo», Egli sceglie nella parabola proprio un samaritano. Poteva scegliere un pubblicano, una peccatrice, gente disprezzata (sarebbe già stato uno schiaffo per i farisei che lo ascoltavano) ma pur sempre ebrei. Invece sceglie un eretico. Non è un caso; lo fa apposta.
A Gaza, non è difficile vedere chi è il Samaritano. E’ il medico norvegese, dottor Gilbert, che sta lì sotto le bombe ed opera mutilati atrocemente lacerati, 24 ore su 24; sono i medici palestinesi, i portantini palestinesi che vanno a prendere i feriti e sono bersagliati nelle loro ambulanze da criminali di guerra; sono i volontari, anche italiani (mi spiace di non averne i nomi sottomano: Dio li conosce), che sono rimasti lì.
Al Tg della sera, abbiamo visto persone cui Giuda ha dato il permesso di uscire, c’erano suore, persino di Madre Teresa. Non sono da giudicare, giovani vergini in un inferno bellico è meglio che si salvino, avranno obbedito agli ordini, la guerra è un posto per uomini. Ma ci sono rimasti il medico norvegese, i palestinesi, gli italiani. Forse luterani o forse atei, cattolici o no, musulmani praticanti o no.
Personalmente, considero il luteranesimo la più falsa delle religioni. Ma ho paura che il dottor Gilbert, nel giudizio finale, si sentirà dire: «Entra nella Mia gloria», mentre io cattolico non sarò scelto. Sulla carità, so che io sono mancante. Non potrò negarlo, ed è questa la bellezza del giudizio finale: che anche i dannati ne riconosceranno la giustizia. E’ la perfezione finale del mondo che si rivela, e ciascuno saprà di aver avuto esattamente quello che gli spettava.
I musulmani, che ne avrebbero il diritto, non si chiedono «dov’è Allah a Gaza». Perchè?
Anche l’Islam è, per me, una religione imperfetta, incompleta. Eppure sono certo che Dio abbia dato ai musulmani un compito, abbia per loro un progetto.
Mi affretto a dire: non è una mia invenzione o elucubrazione. La misteriosa missione musulmana si trova nel testo che un cattolico con la C maiuscola deve ritenere sacro: nell’Antico Testamento, precisamente nel Genesi (16 e 21):
Lì si parla di Agar, da cui discendono gli arabi, e specificamente i palestinesi. Sapete la storia: la moglie legittima di Abramo, Sara (capostipite degli ebrei) è sterile; allora propone ad Abramo: «Accostati alla mia schiava, così potrò avere figli». Abramo «accostò» Agar, e questa restò incinta. Il figlio che nasce, Ismaele, è dunque sangue di Abramo (secondo la carne, dice Paolo) e per 15 anni è il primogenito, l’erede delle promesse fatte ad Abramo. Poi però, Sara resta incinta, e partorisce Isacco. Allora ingiunge al marito: «Scaccia questa serva e il figlio di lei, perchè egli non deve essere erede con mio figlio Isacco». Abramo «si dispiacque molto», dice la Bibbia. Ma il Signore gli disse: «Ascolta la voce di Sara in quanto ti dice, perchè è attraverso Isacco che sarà nominata a te una discendenza». Poi, Dio aggiunge: «Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della serva, perchè è tua discendenza».
Quel che segue ha molto a che vedere con gli eventi in corso a Gaza. Abramo caccia Agar e il figlio nel deserto, con un solo otre d’acqua. L’acqua finisce presto, là nel deserto di Berseba. Agar mette il figlio sotto un arbusto e si allontana «perchè diceva: non voglio vedere quando il ragazzo morrà!».
E’ quel che sentono tutte le mamme palestinesi, in questi giorni; tutte la Agar di Gaza; immagini della «Rachele che piange i suoi figli e non vuol essere consolata», Rachele arabe nella strage degli innocenti.
Ma leggete anche il seguito. Ismaele, sotto il cespuglio, piange, per la sete e la fame. E «Dio udì la voce del ragazzo ed un angelo di Dio chiamò Agar: 'Non temere, perchè Dio ha ascoltato la voce del ragazzo là dove si trova. Alzati! Leva il ragazzo e stringi con la tua mano la sua, perchè io ne farò una grande nazione'». Agar, avendogli Dio aperto gli occhi, vede un pozzo, e ne dà da bere a Ismaele. «Dio fu col ragazzo che crebbe, abitò nel deserto e divenne un arciere».
Agar ha avuto una annunciazione, dunque. Una annunciazione minore, da «serva», ma misteriosamente analoga all’annunciazione di Maria.
Qui ogni parola andrebbe soppesata, come indice di un destino: Dio ode la voce del figlio «là dove si trova»; e dove si trova Ismaele? Nel deserto beduino. La sua discendenza vivrà fino alla fine della storia a rischio della fame e della sete, la sete beduina, con l’acqua contata; la fiera fame beduina, austera e guerriera, che diede slancio alla conquista; anche con Ismaele Egli è.
Anzi, Agar di annunciazioni ne ha avute due. Genesi 16: quando era ancora incinta, si inorgoglì, «la sua padrona non era più nulla per lei». Allora Sara la sterile stride ad Abramo: «Il mio torto è a tuo carico! Sono stata io a metterti in grembo la mia schiava, ma da quando si è accorta di essere incinta non sono più niente per lei. Il Signore sia giudice tra te e me».
Terribili parole. Che sento ripetere in Israele: questi arabi fanno troppi figli, ci sovrasteranno perchè sono fertili.
Abramo dà a Sara la schiava: «E' in tuo potere, fanne quel che ti pare». Sara allora, come oggi, «la maltrattò, sì che quella fuggì dalla sua presenza». Agar, donna incinta, cacciata nel deserto. Presso una sorgente, sulla strada di Sur. Ma qui la trova l’angelo del Signore: «Ritorna alla tua padrona e sottomettiti al suo potere... Moltiplicherò la tua discendenza, e non la si potrà contare dalla sua multitudine».
Anche qui sembra raffigurato un destino collettivo. Un destino di sottomissione recalcitrante al potere ebraico, e tuttavia una fertilità prorompente. E anche un modo specifico di rivelarsi di Dio. Tanto che la Bibbia attesta: «Agar diede questo nome al Signore che le aveva parlato: 'Tu sei il Dio della visione'».
Agar chiama Dio in quel certo modo, che non è lo stesso modo degli ebrei, nè dei cristiani: «Dio della visione». Non sarà la Trinità, non il Padre, ma è «il Dio della Visione» che il Corano annuncerà, secoli dopo, quando il Profeta discendente di Ismaele sarà visitato da visioni.
Ma torniamo alla Genesi. L’angelo annuncia un destino che ci dobbiamo ricordare, quando sentiamo – a ragione, dal nostro punto di vista – denunciare la spietatezza di Hamas, il fatto che senza scrupoli lasci versare a fiumi il sangue dei palestinesi per tirare quattro razzetti
(1), la sua irrazionalità e forse follia.
Ismaele, dice l’angelo ad Agar, «sarà come un onagro della steppa; la sua mano sarà contro di tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà contro tutti i suoi fratelli».
Magnifica profezia. Precisissima, quando si sono conosciuti dei palestinesi.
L’onagro cui somigliano è – ora credo estinto – l’asino selvatico della steppa. Non è il più bello degli animali – non ha l’eleganza della zebra – e nemmeno forse il più intelligente; ma è robusto, ostinato e testardo; frugale, campa di cardi e spine. Non è nemmeno una belva, nè un leone e nemmeno uno scorpione velenoso; ma scalcia e morde, e nessuno potrà mai assoggettarlo a un carretto; è meglio stargli a distanza.
«La sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui».
Non sembra che si parli di attualità? Non c’è nessuna simpatia, al mondo, per questi poveri, testardi onagri.
«Abiterà contro tutti i suoi fratelli».
Quei fratelli che gli stanno prendendo il deserto, che lo braccano e lo sterminano, pretesi figli di Abramo. Ma anche l’onagro è carne di Abramo (certo più dei khazari che si dicono ebrei), e continuerà ad «abitare contro i suoi fratelli» fino alla fine della storia.
Senza astuzia nè veleno di scorpione, senza strategia e senza appoggi nei piani alti del potere ma ostinato, scalciante. Versa il sangue dei suoi figli; ma ogni beduino ha appreso per esperienza che il sangue, nel deserto, è più abbondante dell’acqua (e tuttavia, chiedete acqua a un beduino, e non mancherà di darvela. Anche se siete infedele. E’ obbligato a darvela; è la generosità beduina, del predone del deserto).
E’ l’acqua che Israele fa mancare ai palestinesi; cosa risponderanno nel giorno del Giudizio?
Mi ha scritto un lettore che alcuni gli dicono: «Sono cattolico, non blondettiano». Troppo onore, non pretendo esista il blondettismo come eresia del cattolicesimo. Ma mi scuso se qualcuno sente indebite queste mie «interpretazioni» della Scrittura, e mi dice di lasciare questo compito ai sacerdoti; hanno ragione, confesso la mia simpatia per questo asino testardo di Gaza, fatto così da Dio, erede di una povera promessa di cardi e spine, di calci e di morsi, così assetato di dignità.
Ai suoi figli, noi cattolici dobbiamo almeno l’acqua della dignità. E’ un’eresia?
Il Pontefice ha detto finalmente le parole giuste: occorrono politici che sappiano fare la pace. Ciò vale per Hamas (che è spacciata) e anche per Israele, che ha risposto in modo tracotante; tale Minerbi, ex ambasciatore di Giuda in Europa (lo conosco: di fronte a lui, la Nirenstein è una colomba) ha risposto che la Chiesa «è come Hamas».
Ciò può far prevedere che comincerà la vendetta, la persecuzione contro i cristiani; già intravvedo i motori che creano lo «etat d’esprit» collettivo necessario, di insofferenza per il Papa e per quel che dice; qui, nell’Europa «cristiana».
Se avverrà, ricordiamo che Quello fu perseguitato per primo, e i discepoli non sono più del Maestro.
Ai figli d’Ismaele è stato dato l’arco, ai cristiani la croce.
1) Se poi li tirano. In queste ore, con Gaza occupata, Israele mostra immagini dei suoi soldati che scoprono i tunnell da cui passavano «le armi di Hamas»: se gli isareliani sono ormai in grado di scoprire i tunnell, com’è che non scoprono da dove si tirano i razzi? Invito a diffidare di tutta la propaganda, preparata accuratamente da sei mesi – da quand Israele ha deciso di colpire non per i razzi, ma per impedire che ad Hamas venga riconosciuta una qualunque legittimità. Quanto alle motivazioni di Hamas, ecco quel che hanno detto i capi all’ex presidente Jimmy Carter, in visita lo scorso aprile: «E’ il solo modo per attrarre l’attenzione internazionale sul nostri imprigionamento e la situazione umanitaria». Da un anno e mezzo la quantità di rifornimenti che Israele lascia passare non è che il 20 per cento del normale. Non restava che combattere, o morire di fame in silenzio, mentre il mondo chiudeva gli occhi. Almeno, hanno attirato l’attenzione. Carter spiega che i dirigenti di Hamas a Damasco s’erano dichiarati pronti ad accettare tutti gli accordi di pace già firmati dall’Autorità Palestinese (Abu Mazen) dopo ratifica con referendum a Gaza. A dicembre Carter ha tentato una mediazione d’emergenza: la risposta israeliana è stata portare il livello dei rifornimenti dal 20 al 15 per cento rispetto al normale fabbisogno, in cambio di un arresto dei lanci di Kassam di 48 ore. Hamas ha ovviamente rifiutato. (Jimmy Carter, «An unnecessary war», Washington Post, 8 gennaio 2009).
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