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Anche Erdogan accusa Israele
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«La Striscia di Gaza è una prigione»: chi parla così – in consonanza notevole con il cardinal Martino – è Recep Tayyp Erdogan, il primo ministro turco. E non solo: in una intervista ad Al-Jazeera, Erdogan ha avuto chiarissime parole di disprezzo per la doppiezza israeliana. Parole di alta dignità che non si sentono dalle nostre parti (1).

Nei giorni dell’attacco israeliano a Gaza, Erdogan aveva detto che l’aggressione «non è solo un colpo agli sforzi di pace», ma «un insulto alla Turchia». Il giornalista di al Jazeera gli chiede il perché:

«Anzitutto», risponde Erdogan «si deve dire che ciò che accade a Gaza è una vera tragedia umana. Questa tragedia non è cominciata con l’offensiva israeliana; è cominciata con i mesi di affamamento e l’assedio che ha reso la vita difficile alla gente di Gaza. La Striscia è una prigione, e gli abitanti vivono chiusi in quella prigione, isolati dal mondo».

«Mentre l’assedio continuava, il primo ministro israeliano ha visitato Ankara, qualche giorno fa (l’intervista è del 4 dicembre, ndr) per discutere la quinta tornata della mediazione indiretta tra Siria e Israele, in cui noi siamo i mediatori. Abbiamo discusso di quest’argomento per sei ore, e non abbiamo parlato affatto del tema di Gaza. Però, gli abbiamo detto che potevamo dare una mano anche nella questione palestinese. Più precisamente, ci siamo offerti di mediare con Hamas e gli abbiamo detto che se libera le donne e i bambini tra i palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane, noi potevamo salvare il soldato israeliano che Hamas tiene in cattività».

«Il primo ministro israeliano (Olmert) mi ha risposto che ne avrebbe parlato il giorno dopo coi suoi consiglieri, e mi avrebbe dato una risposta. Invece, non abbiamo saputo più niente».

Insomma, Olmert ha tenuto nascosto ad Erdogan che stava per lanciare l’attacco a Gaza.

«Questo», dice il premier turco, «è un comportamento privo di rispetto, e che configura un insulto alla Turchia. Ecco come vedo io la cosa. Non sto parlando in modo emozionale, sono dalla parte della giustizia. Un politico deve agire con onestà. Avrebbe dovuto tenere fede alla sua parola, ma invece, che cosa è accaduto sabato 27 dicembre? Deplorevolmente ha cominciato a bombardare Gaza dal cielo. Come sapete, 180 persone sono state uccise nel primo giorno, e 300 ferite. Non è una tragedia umana da ogni punto di vista? Io, anzitutto come essere umano e come primo ministro responsabile, non posso pazientare e tollerare questo, e stare solo a guardare. Mi metto nei loro panni e penso come mi comporterei sotto simili bombardamenti. Ciò mi dà incentivo a fare il mio dovere e ad agire per il bene del mio popolo e mio. Siamo di fronte a un crimine contro l’umanità, perchè Israele usa una forza sproporzionata. Quelli dall’altra parte non dispongono di tanta forza».

«Spesso, gli israeliani usano il pretesto che i palestinesi sparano razzi contro di loro. Io ho chiesto loro: quanti israeliani sono stati uccisi dal lancio di questi razzi? Non ho avuto risposta».

«... Tu attacchi la striscia di Gaza con tutta questa forza, e la tua scusa è la questione dei razzi? Perchè tutta questa esagerazione? Questo argomento per me non è convincente. I risultati di tanta violenza israeliana sono evidenti a tutti. Gaza City è liquidata. Tutte le sue infrastrutture civili sono distrutte. Israele ha fatto lo stesso in passato, in altre zone della Palestina. Ha distrutto le coltivazioni e ucciso la popolazione, e nessuno viene chiamato a rendere conto di ciò che si fa.  Anzi, non ha mai applicato alcuna delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, perchè nessuno la chiama a rispondere delle sue violazioni del diritto internazionale».

«Vorrei sottolineare una cosa importante. Ricordate bene gli eventi in Georgia e Sud-Ossetia. Lì, tutti sono intervenuti immediatamente: le Nazioni Unite, l’America, la UE, la NATO, e anche noi. Ma oggi vedi qualcuno agire per soccorrere Gaza? E’ successo solo questo: che io ho fatto una rapida visita negli Stati arabi vicini per valutare la situazione. Ma non si vede uno sforzo reale ed effettivo da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali».

«Anzi, c’è chi dice che Israele agisce per auto-difesa. Come può uno dire questo? Non ci potete convincere di questo. Se fossimo convinti che Israele ha ragione, non avremmo esitato a stare dalla sua parte. Io ho deplorato Israele, certamente non è dalla parte della ragione, e sta ripetendo un errore storico».

Erdogan infatti ha visitato il regno saudita, l’Egitto, la Siria e la Giordania; inoltre ha incontrato il presidente dell’Autorità Palestinese e il capo dell’ufficio politico di Hamas a Damasco, Khalid Mish’al. Ecco cosa dice dei quei colloqui:

«... Certo avremmo tutti voluto che Hamas tornasse al tavolo negoziale e prolungasse il periodo di calma. Certo sarebbe stato il meglio. Ma questa è un’altra questione. Mantenere l’assedio e far pressione sugli abitanti di Gaza mettendoli alla fame, impedire la fornitura di medicinali e di aiuti umanitari, far aspettare i camion per lunghi periodi ai valichi, tutto questo ha reso la situazione a Gaza intollerabile. Il governo di lì era anche sotto grande pressione, perchè richiesto di provvedere ai bisogni del popolo che lo ha eletto».

«... Rinnovo la mia richiesta a Israele perchè cessi il fuoco, perchè Israele può arrivare a uno stadio da cui sarà difficile tornare indietro. Secondo: l’assedio va tolto. Se ciò avviene possiamo fare passi per ottenere una conciliazione nazionale tra Fatah e Hamas. Pur di ottenere tale riconciliazione, ogni considerazione personale dovrebbe essere lasciata completamente da parte, e in seguito si dovrà prendere la decizione di eleggere il presidente (del governo palestinese di unità nazionale, ndr) e il Consiglio legislativo palestinese. Noi in Turchia siamo pronti a dare una mano in questa cornice... L’Egitto è stato il primo a prendere questa via e noi appoggiamo l’Egitto, e possiamo aiutare. Penso che possiamo influenzare Hamas, perchè Hamas ha in qualche modo perso fiducia in alcune delle parti (sic). Possiamo lavorare con Hamas per ricostituire questa fiducia».

«Certe persone dicono che Iran o Siria stiano ostacolando la riconciliazione (fra palestinesi). Dobbiamo lasciar da parte simili discorsi, dobbiamo concentrarci sul raggiungimento di un accordo, onde non dover assistere alla morte di altri ancora».

«Alcuni sostengono che Hamas è responsabile ed ha preparato il terreno a questo... E’ un discorso inaccettabile, che non si può permettere. Dobbiamo concentrarci su quelli che ogni giorno vengono uccisi, ci sono centinaia di feriti che non possono essere portati negli ospedali...».

Secondo Debka (Mossad), Erdogan sta per congelare le esercitazioni militari congiunte israelo-turche già programmate, e ripensando la mezza alleanza militare con lo Stato ebraico. Più preoccupante per Israele, il destino del grosso accordo petrolifero che dovrebbe portare il petrolio di Baku al porto turco di Ceyhan, e da lì per petroliere ad Askelon, non solo per i bisogni interni israeliani, ma soprattutto per l’inoltro verso l’oceano Indiano e l’Estremo Oriente, scavalcando il canale di Suez, danneggiando dunque l’economia egiziana.

Certo è che nonostante tutti i condizionamenti internazionali a cui è legata (con gli USA, con la NATO, con la speranza di entrare in Europa), Ankara dimostra una indipendenza di giudizio politico introvabile nei nostri euro-politici.

D’altra parte, lo aveva già dimostrato nel 2003, quando il parlamento turco rifiutò il transito alle armate americane dirette contro l’Iraq, e durante la crisi in Sud-Ossetia, quando la Turchia è stata la prima ad attribuire la responsabilità del conflitto alla Georgia, anzichè – come hanno fatto tutti i nostri trombettieri – a Putin.

Erdogan si permette anche di essere duro con l’agnello di Sion: «Quando dico che Isaele ha insultato la Turchia, intendo che Israele legga tra le righe. Credo che Israele capisca cosa dico e cosa intendo».

Bisognerà ripensare le nostre posizioni? La Turchia in Europa (e gli eurocrati in Turchia)?

Ma Giuda ha un altro alleato, meno preoccupato della propria dignità. L’Arabia Saudita (2).

Come si ricorderà, alcuni razzi sono stati lanciati nei giorni scorsi non da Gaza, ma dal Libano meridionale, dal territorio Hezbollah. Ore tesissime, con il rischio che Israele riaprisse il fronte libanese. Hezbollah ha subito chiarito di non aver lanciato i razzi; il presidente libanese Suleiman ha detto apertamente che si trattava di «una provocazione di Israele».

Ora, fonti autorevoli chiamano in causa l’Arabia Saudita.

L’entità ritenuta responsabile dei lanci sarebbe infatti la «Arab Islamic Resistance», un gruppo nato due anni fa con l’esplicito scopo di rivaleggiare con Hamas.

Il fondatore, Sayyed Mohammad Husseini, è sciita, è stato presentato al mondo dalla TV saudita (Al-Arabiyya), ed ha proclamato: «La nostra resistenza è arabo-islamica, con radici arabe», e non (come si ritiene essere Hezbollah) al servizio degli iraniani.

Improvvisamente strapieno di soldi, questo Husseini ha fondato ad ottobre una propria TV, per rivaleggiare con Al-Manar di Hezbollah, chiamata al-Ourouba («Arabismo»).

Si attribuisce 3 mila militanti armati e addestrati, pronti a combattere «ogni» nemico degli arabi (iraniani compresi). Questo personaggio ha vantato di avere un’arma esclusiva, che ha chiamato «il razzo arabo».

Non essendo riuscito a scalfire la popolarità di Nasrallah (il capo Hezbollah) nel Libano meridionale, Husseini è fortemente sospettato di voler raggiungere lo scopo utilizzando Israele per un nuovo round di combattimenti contro l’odiato rivale. I razzi misteriosi sparati dal territorio Hezbollah possono avere avuto proprio questo scopo.

Nel mondo arabo corrono voci secondo cui il regno saudita addirittura finanzierebbe le operazioni israeliane a Gaza, per neutralizzare in fretta Hamas la cui popolarità cresce nelle piazze sunnite.

Non c’è da stupirsi che corrano altre voci: la famiglia reale dei Saud discenderebbe da Mordakhai bin Ibrahim Musa, un mercante e avventuriero ebreo che avrebbe cambiato religione nel 1432, anno 851 dell’Egira (3).

Nella questione entra, naturalmente, l’interesse petrolifero. Secondo l’Observer, USA e Israele hanno pronto il progetto di un oledototto che dovrebbe portare il greggio iracheno ad Israele (oleodotto di Haifa) passando attraverso la Siria. Il progetto contempla ovviamente l’occupazione della Siria e la sua riduzione a «democrazia» sul modello dell’Iraq (4).

Il massacro di Gaza sarebbe dunque solo la prima fase di un vasto piano di controllo dell’intero Medio Oriente, in parte anche in funzione anti-turca, dato che l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan perderebbe importanza strategica.

Ciò potrebbe avvicinare ulteriormente Ankara a Teheran, che già collaborano contro il loro nemico comune nell’Iraq occupato: i curdi, manovrati dal Mossad.

Questo può dare un’idea della pericolosità delle avventure in questo settore del mondo. Senza contare che, per «giustificare» un ampliamento del conflitto alla Siria e all’Iran, sarà necessario un nuovo 11 settembre.

Che qualcosa del genere si stia preparando, gli indizi si moltiplicano; ne parleremo in un prossimo articolo.

Ma  Israele non fa nemmeno mistero dei suoi piani di conquista:

«Israele deve prepararsi a volgere la sua potenza militare da Gaza all’Iran», spiega il generale Amir Oren su Haaretz.




1) «Le fran-parler de la Turquie», Dedefensa, 8 gennaio 2009.
2) Sami Moubayed, «Rockets strikes reveal new foe in Lebanon», Asia Times, 10 gennaio 2009.
3) La curiosa storia si può leggere su «The Saudi dinasty: who are they?», al sito http://www.wakeupfromyourslumber.com/node/2853
4) Mike Whitney, «Israel dress reharsal for Lebanon», Global Research, 10 gennaio 2009.


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