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Corsa agli sportelli: la fanno i banchieri
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Siemens, il gigante industriale, ha ritirato mezzo miliardo di dollari che aveva in deposito presso la seconda più grossa banca francese, la Societé Generale, ed ha messo al sicuro il suoi soldi in un conto presso la Banca Centrale Europea.

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Beninteso, la notizia è stata smentita. Ma non è stato smentito che Siemens, zitta zitta, nelle ultime settimane, ha depositato via via 4,5 miliardi di euro (ritirabili con preavviso di 7 giorni). È chiaro che Siemens, come ciascuno di noi piccoli risparmiatori, non si fida di lasciare i suoi quattrini presso le banche francesi – esposte per 70 miliardi al debito greco, e quindi presto coinvolte nel default greco già in atto; ma non si fida nemmeno delle solidissime banche tedesche?

No. Il nazionalismo tedesco ha dei limiti. Siemens, oggi, ritiene che solo presso la BCE i suoi soldi siano (relativamente) al sicuro. E, contrariamente a noi piccoli, può aprire conti presso la BCE perchè da un anno ha ottenuto lo statuto di banca, o ha creato una propria banca, proprio per avere accesso alla BCE.

Frattanto, Bloomberg riferisce:

«I Lloyds di Londra hanno ritirato i loro depositi in alcune economie periferiche (leggi: PIIG), dubitando che gli Sati siano in grado di sostenere le banche nel caso di aggravamento della crisi del debito».

Nel frattempo, Bloomerg riporta voci secondo cui la BCE ha fornito dollari ad «una istituzione dellarea euro». (Lloyd’s of London Pulls Deposits From Banks on Debt Crisis)

Voce subito confermata da una notizia: la Federal Reserve americana ha deciso di dare fondi illimitati alle banche europee. Ciò significa che le banche europee non riescono a fornirsi di valuta sui mercati; nessuno dei grandi detentori e speculatori vuol far loro credito.

«Ci sono tantissime banche che i mercati hanno smesso di usare per mettervi i propri depositi, a causa dellincertezza in Europa», ha spiegato Luke Savage, direttore finanziario dei Loyd’s: «Quando temi che lo Stato stesso possa essere a rischio, allora certamente temi che la banche siano trascinate nellabisso con gli Stati».

Anche perchè le banche, per esempio quelle italiane, relativamente meno esposte verso l’estero, sono strapiene di titoli del debito pubblico italiano, e sono le grandi compratrici del nostro debito pubblico: cosa che da un momento all’altro non potranno più fare.

Passiamo alla Reuters: «La Bank of China interrompe gli swaps con alcune banche europee». E precisa che nell’esclusione sono compresi i tre colossi francesi, Societé Génerale, Credit Agricole e Paribas. (Bank of China halts FX swaps with some European banks: sources)

E veniamo al Telegraph: «Banche di grande livello, fra cui Barclays e Standard Chartered, hanno radicalmente ridotto lammontare dei prestiti che rendono disponibili alle banche della zona euro, accrescendo la prospettiva di un nuovo credit crunch per il sistema bancario europeo... Standard Chartered ha ridotto la sua esposizione di due terzi in poche settimane». (UK banks abandon eurozone over Greek default fears)

È il caso di ricordare che, ormai da mesi, zitta zitta la Deutsche Bank s’è liberata del 90% (8 miliardi di euro) dei titoli del debito pubblico italiano che deteneva?

Dò queste informazioni ai lettori che mi chiedono come impegnare i loro risparmi, o mettere al sicuro i 30 mila euro, risparmi di una vita, che tengono in banca. Se i grandi banchieri e le potenti istituzioni non sanno loro stessi come fare a salvare i loro quattrini, e stanno facendo la corsa agli sportelli prima che la facciano i piccoli depositanti (come avvenne nel 1929), la risposta dovrebbe esser chiara.

Le banche stesse non si fidano più l’una dell’altra: situazione che ricalca quello che avvenne nel 2008, quando le banche si rifiutarono di prestare soldi alle altre, anche i depositi a vista (overnight) per il funzionamento essenziale, e che portarono alla paralisi dei mercati monetari e al collasso di Lehman Brothers, con conseguente astronomica iniezione di liquidità dell’America... insomma accollando il conto astronomico ai contribuenti. Poichè nei seguenti due anni non è stata fatta alcuna regolamentazione della speculazione, la tragedia si ripete; e stavolta, con molti meno mezzi per farvi fronte.

Naturalmente, ciò implica un rincaro istruttivo del credito per le imprese italiane e le famiglie (pensate ai mutui); il tutto aggravato dalla prospettiva che il governo Berlusconi, deciso ormai a dissanguare i cittadini (e salvare gli stipendi della caste) farà di sicuro, come gli chiedono gli economisti bocconiani, una patrimoniale: ossia una supertassa sulle case che abitate e sulle seconde case, il che – fra l’altro – ha congelato il mercato immobiliare. Fino a quando Tremonti, il subnormale Bossi e Al Caprone non decidono, non potete nemmeno vendere la seconda casa, che è ormai solo un peso, e vi candida ad un esborso straordinario in denaro... che non avete.

In altre parole: un altro prelievo di 2-300 miliardi sui patrimoni illiquidi, invece del taglio da 200 miliardi alla spesa pubblica parassitaria, che si può e si deve fare: ma questo significa intaccare gli stipendi pubblici, le malversazioni, le tangenti della Sicilia, e dei parlamentari.

Non vi illudete: le caste sono lobby potenti, decise a difendere il maltolto, e voi siete miriadi di individui sparsi, senza forza sindacale nè lobbistica. Così finirà: saremo noi a pagare, non i ricchi di Stato con 15 mila euro mensili.

Sul piano teorico – cioè se abitassimo su Marte – è interessante constatare che mentre l’attuale sistema di Banche Centrali si difende abbastanza bene dal ritiro dei depositi dei piccoli correntisti (in parte già avvenuto), non sanno che fare di fronte al rischio nuovo che mette in pericolo di crollo il sistema della moneta ex-nihilo e della riserva frazionale: la corsa agli sportelli delle grandi controparti, a cui stiamo assistendo; banche e multinazionali. Poichè non abitiamo su Marte ma qui, diciamo subito che nessuna manovra lacrime e sangue, nessuna super-patrimoniale basterà comunque a ridurre il nostro debito, e ad allontanarci dal default sovrano.

Oscar Giannino ci catechizza da giorni, su Radio 24, sulla gravità del default e dell’uscita dall’euro per l’economia italiana: ha pure ragione, non sarà una passeggiata, ma la miseria per molti. Il punto è che il default sovrano è comunque ineluttabile; e la sola misura che, oltre alle lacrime e sangue per decenni, dia anche una prospettiva di rinascita.

Ormai, il rischio d’insolvenza valutato in base ai CDS non riguarda più la sola Italia, ma anche la Francia e persino la Germania, i cui CDS (pretese assicurazioni) sul rischio di fallimento del debito pubblico stanno rincarando. Gli interessi richiesti per prestare alle due nazioni forti stanno aumentando. Presto o tardi falliranno anche loro.

Perchè? A causa dell’euro.

Vediamo il caso degli USA: fanno follie, hanno un debito enorme e chiaramente impagabile, eppure i mercati sono disposti a prestare all’America a tassi addirittura negativi, fanno a gara per comprare Treasury Bills a tassi sottozero. Vabbè, direte, ma l’America è la superpotenza, ha le atomiche, le portaerei da mettere sulla bilancia di Brenno. D’accordo, allora guardiamo il Giappone: non ha lo status di potenza egemone, ha un debito ben superiore a quello italiano e pari al 250% del PIL, un’economia non tanto più florida, banche ugualmente dissestate, una demografia calante come la nostra: come mai allora, per attrarre i mercati, i nostri BTP a 10 anni devono promettere quasi il 6%, e i bond decennali emessi dallo Stato giapponese vanno a ruba nonostante diano un interesse dell’1,09%? (Why Italy and why not Japan the US or Germany?)

Delle molte cause che si possono citare, esse si riducono ad una sola: la sovranità monetaria. Il Giappone ha la sovranità sulla sua moneta, noi no.

Dove sta la differenza? In un regime di monete create dal nulla, lo Stato sovrano ha sempre la capacità, quando qualcuno gli presenta all’incasso una sua obbligazione (banconota o bond) da 100 dollari o 1.000 yen, di pagarla con un’altra obbligazione o banconota con sopra stampato lo stesso identico ammontare: 1.000 dollari, 1.000 yen o qualunque altro identico ammontare nella moneta che crea lo stesso Stato sovrano. Questa è la semplice, brutale ultima verità della sovranità in fiat-money. I mercati speculativi lo sanno, e per questo si guardano bene dall’attaccare lo yen come attaccano l’euro.

Certo, lo Stato emettitore della moneta che lui stesso crea può incorrere nel rischio inflazionario, nel rischio di svalutazione, eccetera; ma mai e poi mai può incorrere nel rischio di insolvenza. Di insolvenza involontaria, beninteso, come accade ora alla Grecia e presto, ineluttabilmente, accadrà all’Italia – e poi a Spagna, Francia e persino Germania.

Abbiamo spesso lamentato che, con l’adozione dell’euro, noi mediterranei abbiamo adottato una moneta straniera, forte come il marco. Il guaio è che l’euro non è una moneta sovrana per nessuno, nemmeno per la Germania. Anche per i tedeschi l’euro è una moneta estera. Anche Berlino, per spendere, ha bisogno di prendere a prestito, emettendo Bund, ossia indebitandosi.

America, Giappone e Regno Unito possono spendere creando moneta. Certo, con varie regole: per esempio, i governi sovrani oggi, posseduti come sono dai banchieri, hanno la regola che richiede che i governi vendano dei Buoni del Tesoro e ottengano depositi nella loro Banca Centrale prima di poter staccare un assegno per i loro pagamenti; ma questa è una regola che si sono dati loro – un po’ come le regole e cerimonie che il nevrotico Jack Nicholson, nel film Qualcosa è cambiato, si dà quando passeggia per i marciapiedi, e si impone di non calcare con le scarpe la linea fra una piastrellone e l’altro. È una regola arbitraria che al bisogno può abbandonare. (The Unusual Case of Euroland)

Ma allora perchè USA e Giappone emettono titoli di debito pubblico e Buoni del Tesoro?

L’importante è capire che per Paesi che operano con la loro divisa sovrana, non esiste la necessità di finanziarsi emettendo BOT o BTP. È essenziale capire che l’emissione di titoli di debito pubblici, in un Paese sovrano, è un’operazione volontaria. La quale offre al pubblico la possibilità di sostituire i loro titoli di debito governativi senza interessi (banconote) in debiti statali portatori di interessi; un sovrano favore e un piacere, e persino un segno di prestigio dello Stato sovrano. E quei titoli di debito non sono altro che un tipo di contabilità nella stessa Banca Centrale operata dallo stesso Stato. Diventa dunque irrrilevante – almeno per quanto riguarda il rischio d’insolvenza e i conseguenti tassi d’interesse richiesti – se esistano o no prenditori per i titoli di debito, o se tali titoli sono posseduti da cittadini o stranieri.

Ben diverso il caso di Paesi che operano con monete di cui non sono sovrani: come l’Argentina, che divenne insolvente perchè aveva agganciato la sua valuta al dollaro (e fece default con un debito pubblico del 60% sul PIL) o per i singoli Stati degli USA, i quali effettivamente non emettono dollari – e dunque per spendere, hanno bisogno di chiedere a prestito ai mercati, offrendo interessi che sono i mercati a determinare.

È lo stesso caso dell’euro, moneta non sovrana per nessuno. Nemmeno la Germania possiede la sua moneta euro, e per di più la Banca Centrale Europea ha il divieto di creare altro denaro dal nulla. Se vuole spendere, anche la Germania deve implorare ai mercati il denaro che non ha e non crea. Dal momento che tutti gli Stati europei hanno enormemente aumentato i loro debiti pubblici per salvare le loro banche – come se avessero la sovranità monetaria cui hanno rinunciato – si fanno oggi concorrenza su mercati sempre meno disposti a prestare, e cifre sempre più enormi.

Per questo gli spread tra i PIIG e le economie forti come Germania e Francia si ampliano; ma ora vediamo la crisi del debito migrare dai Paesi periferici al nucleo duro e preteso forte. La ricetta imposta in questo caso è l’austerità e il taglio delle spese, la riduzione dei salari, e l’aumento sanguinoso della tassazione, ossia con politiche virtuose. Ma, per quanto virtuose le politiche (come dimostra la virtuosissima Germania, che ha tagliato i costi del lavoro a livelli mai visti in Europa), alla fin fine tutti i Paesi dove la moneta non è sovrana finiscono come la Grecia: viene il momento in cui devono prendere a prestito anche solo per pagare gli interessi, il che ovviamente non piace ai mercati, che si rifiutano di acquisire altri BTO, Bonos, Bund. E corrono verso la bancarotta, a velocità diverse, ma ineluttabilmente. Quel rischio insolvenza che non tocca gli USA e il Giappone, anche se a questi non mancano tutti gli altri rischi di un’emissione eventualmente eccessiva.

L’Europa oggi avrebbe bisogno di una Tesoreria centrale di tipo americano, capace di spendere creando moneta sulla scala necessaria alla grandezza della crisi. Invece, i capi di Euroland sono andati avanti nella crisi a forza di mezze misure, di intenzioni punitive, di mezzi salvataggi della BCE che sono illegali secondo le sue stesse regole, più austerità su austerità. Tutti finiremo nel default, ma nel default involontario invece che nel ripudio sovrano del debito, per un atto deliberato di volontà politica.

La sola mezza consolazione è che il sistema sarà imploso ben prima che i capi europoidi abbiano capito quale è il motivo per cui sono in peggior forma rispetto agli USA e al Giappone, e siano spazzati via. Speriamo che ciò avvenga presto, prima che il nostro governo ci abbia dissanguato fino all’ultima goccia, e con le sue tasse abbia completamente strangolato le possibilità delle nostre imprese di ripresa economica, dopo il default.



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