Il Profeta
22 Gennaio 2009
L’America era WASP, White Anglo-Saxon Protestant: bianca, anglosassone, protestante.
Ora e BAAAH, Black, Afro-American, Agnostic-heretical: negra, afro-americana, agnostico-eretica.
Perfetto esempio di mimetismo, compiuta realizzazione di
razionalizzazione del sistema, luminoso paradigma di dialettica
ritornate, luogo mitico di eterno divenire, eternamente ritornante.
Sembrava l’America un gigante ferito, travolto dal suo titanismo e
dalla sua onnipotenza, dall’impotenza del suo stesso essere e
dall’avidità del suo istinto: sembrava l’America al crepuscolo.
Invece all’improvviso è spuntato «Lui», Obama, l’antitesi di questa
tesi che fu l’America, celebrata dagli stolti gnomi del
neo/teo-conservatorismo di casa nostra, dagli utili idioti di un
americanismo del secolo scorso, dagli epigoni di un mondo con un
immenso avvenire dietro di sé.
L’America è avanti, troppo avanti per noi.
Noi con le pezze al c… da emigranti, noi retrogradi cantori del sogno
americano, della contestazione, della beat generation e di Malcom X,
noi nostalgici dei JFK e di Martin Luther King, di Joan Baez e di
Kerouac, delle labbra di Marilyn e delle tette di Play Boy
avevamo/abbiamo ancora dell’America l’immagine del mito, travasata dai
tubi catodici oramai esauriti, mentre gli schermi ultrapiatti ci hanno
cambiato la prospettiva senza che ce ne possiamo rendere conto.
Noi per i quali - come cantava Francesco Guccini in quella poesia che è
«Amerigo» - «l’America era allora, per me i G.I. di Roosvelt, la quinta
armata, l’America era Atlantide, l’America era il cuore, era il
destino; l’America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata;
l’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino; l’America era
allora per me provincia dolce, mondo di pace, un paradiso perduto,
malinconia sottile, nevrosi lenta».
Ora che il volto di G. W. Bush si appresta a scomparire dalla scena,
tra gli insulti e i lazzi di chi lo aveva idolatrato, con quegli occhi
ravvicinati sotto una fronte spiovente, che avrebbero fatto la gioia
della frenologia, di Lombroso e della sua catalogazione dei tipi umani,
sorge, dialettico e speculare, «Lui»: Barack Hussein Obama II.
Pensate com’è grande l’America e quanto stupidi siamo noi di qua dall’Atlantico.
Basta un volto colorato, un sorriso dolce, l’eloquio dolce e melodico,
la voce potente e delicatamente gutturale di un afro-americano per
credere che l’America sia cambiata.
Obama-Biden il ticket americano contro Osama Bin Laden: anche la
fonetica sembra giocare un suo ruolo sul palcoscenico della Casa Bianca.
Ci credono tutti: «Se vince Obama, è una rivoluzione! Ora il mondo ha
diritto a sperare in un futuro sottratto al ricatto petrolifero e alle
guerre per l’oro nero, alla smania ideologica che punta a smantellare
scuola e sanità pubbliche, a controriforme fiscali che escludono
famiglie e persone»
(1).
Perbacco, perfino Francesco Storace (che forse si dimentica di essere
stato ministro del governo più codino verso G. W. Bush) è d’accordo!
Se anche la Destra è d’accordo, il copione è perfetto, ci credono proprio tutti; ma noi no.
L’America ha cambiato direttore d’orchestra, ma la sinfonia è identica: l’Apocalittica.
L’America ha da sempre un «destino manifesto», una missione nel mondo,
ruolo che Dio le ha assegnato: a questo credono gli americani!
America über alles: il Quarto Reich ha negli USA la profezia realizzata.
Il basso profilo intercorso tra la catastrofe del Vietnam e Jimmy
Carter è stato superato dal travolgente successo di Ronald Reagan, dal
crollo del comunismo, dal mito del Nuovo Ordine Mondiale, dalla prima
guerra del Golfo, dal trionfo della New Economy, dall’esplosione
informatica, dalla filantropia gnosticamente genialoide di Bill Gates,
dalle potenzialità di internet, dai pericoli di internet, dalle
dichiarazioni corali sulla fine della storia, dalle capacità orali di
Monica Lewinsky, dalle erezioni adulterine di Bill Clinton, dalle
elezioni taroccate della Florida, dalle selezioni dei dirottatori dei
voli AA11 e AA77 dell’American Airlines, dal crollo delle Twin Towers,
dall’Afghanistan, dal mullah Omar, dall’antrace di Stato, dalle
fialette di Colin Powell, dalle cosce di Condoleezza Rice, dalla guerra
lampo in Iraq, dal consolidamento delle posizioni in Iraq, dal
ripiegamento delle posizioni in Iraq, dalla cattura del dittatore
dell’Iraq, dallo stallo della guerra in Iraq, dal incognita del futuro
dell’Iraq, dal possibile attacco all’Iran, dall’aggressività della
Russia, dal petrolio a 150 dollari, dalle rivoluzioni colorate, dalla
guerra del Caucaso, dal dispiegamento dei missili in Polonia, dalla
crollo delle banche, dal crollo delle Borse, dal crollo della fiducia,
dal crollo del brent, dal crollo di Bush.
Davvero pensate che questo armamentario possa essere cancellato con un
tratto di penna del senatore afro-americano dell’Illinois?
Sarebbe, ancora una volta, voler ignorare la storia.
Tutto si è dispiegato sullo sfondo di quella visione epica, profetica,
messianica del ruolo dell’America, la convinzione cioè che gli Stati
Uniti abbiano da Dio stesso la missione di espandersi, diffondendo la
loro forma di libertà e democrazia, che ad essi compete: realizzare «il
grande esperimento di libertà», secondo l’espressione coniata dal
giornalista John L. O’Sullivan, all’epoca influente sostenitore del
Partito Democratico.
In un saggio intitolato guarda caso «Annessione», O’Sullivan incitava
gli Stati Uniti ad annettersi la repubblica del Texas (in cui la
schiavitù era proibita!), non solo perché il Texas lo avrebbe voluto,
ma perché era «destino manifesto dell’America di diffondersi sul
continente».
In realtà il Texas non lo voleva affatto, ma - si sa - il destino manifesto certe volte vuole anche ciò che noi non vogliamo.
Le apocalissi delle dottrine americane sono ricorrenti, cosi ricorrenti
che dal 1798 al 1945 le operazioni militari americane sono state 168.
Dopo la seconda guerra mondiale contatele voi.
Niente male per chi è paladino di pace e democrazia.
La profezia americana ha trovato nell’apocalittica neo/teo-con e nelle
folgoranti visioni cristiano-sioniste il proprio compimento, ma ora che
la spinta propulsiva di quella rivoluzione giudeo-trozkista,
riverniciata in chiave Cristo-mimetica si è esaurita, la maschera
conservatrice deve cadere per lasciare il posto alla maschera della
libertà, della speranza, del progresso, affinché nessuno si avvicini
troppo per strappare il velo a mostrare, al di là di progresso e
reazione, di democratici e conservatori, di libertini e puritani il
volto segreto dell’ essere e la sua negatività originaria.
Come scrive Matteo D’Amico, secondo la versione straussiana fino ad
oggi in voga, solo pochi eletti, gli aristòi, i migliori per natura,
hanno la capacità di vedere.
Pertanto con grande apparente convinzione questa negatività deve essere
velata da un simulacro di fede, da una forte simpatia per essa e per i
suoi valori, in modo da stabilizzare il quadro politico ed operare come
efficace instrumentum regni
(2).
Questa era la maschera di Bush, cui i vari Introvigne, Pera, Ferrara e
compagnia cantante hanno invitato ad indirizzare volute profumate di
incenso.
Ora quella fase è finita e per impedire che quei valori davvero possano
casomai attecchire e stabilizzare la storia, occorre un cambio
repentino di scena, uno smascheramento della maschera, una sua
deformazione negativa, il suo rogo in effige.
Ora è l’ora del cambiamento, ora è l’ora della speranza, ora l’America «ritrova se stessa».
Quell’America profonda e retriva, religiosa e intollerante, bianca e
moralista, guerrafondaia e imperialista lascia dialetticamente il posto
alla sua antitesi per una sintesi superiore, quando verrà.
La religione civile smette il Winchester e the Holy Bibleper per fare largo allo Spirito.
La profezia torna ad annunciare se stessa, pronta per autorealizzarsi.
Gli aristòi l’hanno capito.
Alla vigilia del voto Maria Laura Rodotà sul Corriere della Sera del 1
novembre 2008 annunciava: «Neocon, liberisti, antiabortisti: i
‘convertiti’ che votano per Obama».
E spiega: «Ci sono gli Obamacans (repubblicani per Obama),
intellettualmente meno complessi di certi Obamacons (conservatori per
Obama). Ci sono i liberisti per Obama, i libertari per Obama, gli
antiabortisti per Obama, i cavalieri di Colombo per Obama (ex, li hanno
appena cacciati), gli ex membri di amministrazioni Reagan-Bush-Bush per
Obama. C’è Colin Powell, figura rispettatissima, e personaggi meno
prestigiosi che magari contano sulle promesse del candidato
democratico; di governare unificando e facendo molte nomine bipartisan.
[…] Molti ex, in effetti: l’ex governatore del Massachusetts William
Weld, l’ex portavoce di Bush, Scott McClellan, l’ex consigliere di
Reagan e Bush padre Ken Adelman, che aveva rotto con Dick Cheney sulla
guerra in Iraq (era riluttante, si è dichiarato rispondendo a un
giornalista via e-mail, adesso scrive sul sito liberal Huffington Post
e pare contentissimo). Il momento più alto è stato l’endorsement
dell’ex segretario di Stato Powell»
(3).
Vi stupite? Non è la sindrome di Mastella, è il «destino manifesto» che chiama.
All’America Dio ha affidato un compito, come disertare?
E’ la «Profezia» al lavoro.
Quando l’Apocalisse si nutre di utopia, lo spirito anticristico vi soffia.
Tra i mille discorsi di Obama quelli più pericolosi sono quelli in cui il nuovo presidente americano ha citato il suo profeta.
Non è John Locke, nè Stuart Mill, ma un frate calabrese del XII secolo: Gioacchino da Fiore.
Gioacchino nacque nel 1130 circa a Celico in provincia di Cosenza e in
seguito ad un viaggio in Medio Oriente, decise di lasciare tutti i suoi
beni per vestire nel 1152 il saio nel convento cistercense di Sambucina
(a nord di Cosenza), prendendo ufficialmente i voti nel 1168.
Si dedicò totalmente allo studio della Bibbia e scrisse alcune delle
sue opere più importanti come la «Concordia», la «Expositio in
Apocalypsim» e il «Psalterium decem chordarum».
Nel 1189 decise di abbandonare l’ordine cistercense per fondare sulla
Sila un suo ordine, denominato «florense», facendo costruire una
abbazia dedicata - guarda caso - a San Giovanni Battista in una
località denominata Fiore da cui l’ordine prese il nome: florense.
La sua popolarità fu enorme e alla sua morte il 30 marzo 1202 fu
proclamato beato, non tuttavia in maniera ufficiale, ma solo con
l’erezione di un altare in suo onore a San Giovanni in Fiore.
Ma già al IV Concilio Lateranense del 1215 le idee di Gioachino, definite triteiste, furono condannate.
La ragione sta nella sua interpretazione della storia, in base a cui,
partendo da un brano dell’Apocalisse (14, 6-11), quello dei tre angeli
che annunciano il giudizio di Dio
(4),
sviluppa un’interpretazione in base a cui la storia dell’uomo è divisa
in tre fasi, ognuna riconducibile ad una figura della Trinità.
Nella prima avrebbe dominato il Padre, simbolo di potere e terrore, al quale si era ispirato l’antico Testamento.
Nel secondo periodo il riferimento sarebbe il Figlio, ispiratore del Nuovo Testamento.
Nella terza era, lo Spirito Santo, che avrebbe svelato il vero
significato dei Sacri Testi, al di là della sua interpretazione
letterale.
Oltrechè nel Concilio Lateranense la dottrina gioachimita fu confutata anche da San Tommaso d’Aquino.
Secondo l’eretico monaco calabrese, poi, l’incarnazione dello Spirito
Santo sarebbe stata una donna, destinata a diventare una Papessa e
rifondare la Chiesa secondo l’idea di apocatastasi: questa idea,
condannata dal Concilio di Costantinopoli del 543 e derivante dalla
parola d’origine greca apokatastàsis, (che significa restaurazione o
riconciliazione e che rende il concetto di salvezza per tutto il
creato: angeli e uomini, anche se peccatori o dannati, e demoni), tutti
- compresi giudei e saraceni - si sarebbero salvati.
Quasi 40 anni dopo la sua morte una commissione di cardinali, convocata
nel 1254 da Papa Alessandro IV (1254-1261), preoccupato del diffondersi
delle idee gioachimite presso i frati francescani spirituali, condannò
gli scritti di Gioacchino e del suo seguace Gerardo di Borgo San
Donnino e nel 1263 le idee di Gioacchino furono definitivamente
dichiarate eretiche.
Nonostante ciò, Gioacchino ebbe un’enorme influenza su tutti i
movimenti ereticali a partire da Guglielma di Boemia, considerata
l’incarnazione dello Spirito Santo.
La reazione della Chiesa cattolica contro il movimento di questa
visionaria fu scatenata circa vent’anni dopo la sua morte nella
domenica di Pasqua del 1300, quando, secondo la denuncia di alcuni
testimoni, la sua erede spirituale, Maifreda da Pirovano, in qualità di
sacerdote e Papessa, aveva celebrato una solenne messa.
L’influenza di Giocchino si estese anche ai movimenti ereticali dei
cosiddetti Spirituali, a quello dei Fratelli del Libero Spirito, a
quello dei cosiddetti Apostolici ed a quello dei Begardi e delle
Beghine.
Niente male come premesse.
Questo è il mondo di Utopia, l’incarnazione del Regno di Dio,
l’annuncio dell’era messianica: questo è il regno della Libertà, l’Età
del Progresso, l’Età dell’Acquario, il «mondo a venire».
Le idee del frate calabrese, infatti, pur senza esserne direttamente
influenzate, si nutrono alle stesse malie qabbalistiche dello Zohar e
alla relativa teoria delle sette Shemittoth, periodi di sviluppo
cosmico in cui si manifesterebbe il divenire di Dio.
Esso sarebbe orientato all’avvento dell’«Era messianica» e poi a quello
che il giudaismo chiama «Olam haba», «il mondo a venire», simile a
quello di oggi, solo che Israele ne sarà il dominatore.
Nel Talmud è scritto che l’attuale «mondo differisce da quello dei
giorni del Messia solo per la schiavitù a potenze (straniere)»
(Sahnedrin 98b).
Vi domando: non vi sembra strano che Obama citi in piena campagna
elettorale, tra crak finanziari, guerre del Golfo e del Caucaso, un
oscuro frate calabrese, che nessuno in America conosce e lo faccia per
ben tre volte?
Franco Cardini in effetti scrive: «Può apparire un po’ sorprendente che
Barack Obama citi Gioacchino Da Fiore, dal momento che non è tra i
rappresentanti della letteratura mistica e utopistica tra i più noti in
America. Tuttavia Obama conosce il pensatore medioevale calabrese
proprio grazie alla sua formazione religiosa. L’America è un Paese in
gran parte protestante, in cui ci sono molte sette a carattere
apocalittico, che oggi si definirebbero fondamentaliste. Molte di
queste sette hanno carattere millenaristico e certamente Gioacchino Da
Fiore è un rappresentante importante di quel mondo medioevale che
faceva riferimento a correnti profetistiche ed escatologiche»
(5).
Sì, certo c’è anche questo, ma… a chi Obama mandava un messaggio?
A chi mandava a dire Obama che è giunta la Terza Era della storia, quella dello Spirito?
A quali Illuminati mandava un segno di rassicurazione che la «Profezia» non sarebbe stata interrotta?
Non vi pare questa Apocalittica nient’altro che il rovescio della
medaglia di quelle doglie del Medio Oriente che Condollezza Rice evocò
all’indomani dello scoppio della guerra in Libano?
L’evento messianico a livello politico coincide con il ritorno del
popolo ebraico alla sua terra e con la pace tra tutte le nazioni.
Secondo la profezia di Isaia, «giustizia» e «pace» contraddistinguono i
tempi del Messia ed è in questa visione che la parola pace in ebraico,
«shalom», significa anche «completezza».
Rabbi Yochanan ha insegnato però che «il Messia verrà soltanto in una
generazione che sia o completamente giusta o completamente malvagia».
Non vedete che dopo l’epoca Bush l’Apocalittica ha cambiato strategia ma non obiettivo?
Dopo l’epoca completamente malvagia è tempo di una generazione completamente giusta?
Non è Obama, il discendente di schiavi giunto alla presidenza degli
Stati Uniti, la maschera perfetta per incarnare questa generazione?
Obama, il buono, non vi fa altrettanta paura di George W., il cattivo?
Non sentite già i tamburi giacobini invitare alla conversione, a
obbligare tutti alla bontà globale, al rispetto dei diritti, alla
tolleranza, all’eguaglianza?
Non lo dovranno fare forse in primo luogo gli Stati canaglia?
E non dovranno forse gli Stati, controllati da oligarchie selezionate, controllare nel nome del bene del popolo le ricchezze?
Il crack di Wall Street non ha forse preluso a quello che Gad Lerner ricordava essere paradossalmente il «socialismo americano»?
Non sentite odore dei soviet dei commissari del popolo?
Ricordate quando la Russia rivoluzionaria dichiarò la propria
insolvenza gettando sul lastrico i propri creditori internazionali? Chi
dirigeva quella Rivoluzione?
Non erano quegli stessi rivoluzionari che ispirarono i teorici della presidenza Bush?
E’ chiaro che ora, affinché il Messia possa comparire, l’umanità deve
raggiungere la perfezione, oppure sprofondare nella pura malvagità, nel
vuoto, nell’emergenza, nella violenza.
Perdoni il lettore se rimando ad un mio scritto del luglio 2007, quando
la stella nera di Obama ancora non splendeva: «Dopo gli ‘anni bui’ del
conservatorismo dei ‘teocon’ (non a caso spesso ex-trotzkisti, cioè
portatori di quell’idea di rivoluzione permanente, di agitazione
continua, tipica di certo spirito semitico cui Trotzkij […]
apparteneva), anni in realtà molto funzionali dialetticamente ad
innescare una nuova prossima antitesi progressista, il nuovo verbo
liberal si appresta sempre dialetticamente a spingere un po’ più in
avanti l’equilibrio della storia raggiunto a seguito di quella
‘rivoluzione giovanile’ degli anni ‘70. […] Se la nazione della ‘guerra
globale’ diverrà domani quella della ‘pace universale’ non si sente
odore di zolfo?» (
6).
Non ho anch’io il dono della profezia: semplicemente provo a pensare.
L’immagine anticristica di Soloviev è perfetta per dare il vero volto a Obama.
Tornano alla mente le parole del cardinale Biffi e di come egli
identificò l’«icona dell’Anticristo, personaggio affascinante che
riuscirà ad influenzare e a condizionare un po’ tutti. In lui, come qui
è presentato, non è difficile ravvisare l’emblema, quasi
l’ipostatizzazione, della religiosità confusa e ambigua di questi
nostri anni: egli - dice Solovev - sarà un ‘convinto spiritualista’, un
ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano
osservante, un animalista determinato e attivo».
Dovremo necessariamente essere buoni, tolleranti, ecumenici, pacifisti. Altrimenti guai a noi.
E temo che occorrerà un ultimo sforzo di bontà, uno sforzo suppletivo,
idealistico, rivoluzionario: la pace la dovremo volere a qualsiasi
costo, anche della guerra.
«Il costo della pace messianica potrà essere altissimo» - ci diranno.
La pace sarà l’emergenza, essa correrà il momento di massimo pericolo,
incomberanno le tenebre da cui non si vede alcuna via d’uscita.
Sarà l’ultima guerra, quella che dovremo combattere prima che la spada sia forgiata in aratro?
Non sono paranoie: mi domando: ora che, dopo Baghdad, nessuno è più
disposto a morire per Teheran, come potranno convincerci a farlo?
Non forse nascondendo gli artigli grondanti sangue dietro le ali della colomba?
Non forse trovando qualcuno disposto a sparare alla colomba?
Certo che sì, ci sarà qualcuno disposto a rompere il sogno del mondo nuovo!
Non occorrerà fabbricarlo questo qualcuno, basterà «coltivarlo» a dovere.
Nella mente di qualche fanatico c’è sempre la scintilla capace di provocare un incendio.
Certo che sì e allora saremo arruolati per costruirlo quel mondo e ci
andremo a combatterla quella guerra, sventolando le bandiere della pace!
Ma le guerre e le rivoluzioni non si fanno con la pancia piena; per questo hanno cominciato inesorabilmente ad affamarci.
Davvero pensate che la bolla speculativa sia il frutto di leggi naturali dell’economia?
Non solo, se volevano, potevano impedirla! L’hanno scientemente creata!
Ricordatevi che meno avremo e più diventeremo aggressivi: d’altronde non si fa così anche coi cani da combattimento?
Saremo noi questa volta a proclamarle le doglie del Messia, ce ne
convinceranno che non c’è altra soluzione! Peggio, ce ne convinceremo
da soli.
Come potremo dire di no, se perfino un discendente degli schiavi ci dirà di farlo?
Come potremo essere così cattivi da non rispondere alla sua chiamata?
Hollywood, con le sue invasioni aliene e i suoi meteoriti che devastano
la Terra, non ci ha forse già preparato a combattere ed affrontare
catastrofi tutti insieme sotto la guida di un presidente coloured?
Il nazionalismo messianico e il messianismo militarista vestiranno i
panni dell’internazionalismo messianico e del messianismo pacifista.
Non fu forse in nome di questo che si fecero le rivoluzioni e le guerre rivoluzionarie?
Non fu questo il Verbo dei decenni passati?
Già le sento quelle voci, quando saremo indotti a considerare il peggio
come una scelta reale e l’Apocalisse come un progetto politico.
Lo Spirito della Storia è al lavoro, la Profezia si compie, l’Utopia trova il suo luogo: Obama ne è il Profeta.
Se davvero fosse in buona fede, ne sarà pure la vittima sacrificale.
Domenico Savino
(articolo pubblicato il 16 novembre 2008)
1) www.storace.it/2008/11/05/obama-storace-centrodestra-studi-la-lezione/
2) Matteo D’Amico «Le radici culturali dell’ideologia neocon. Da Weimar alla ‘nobile menzogna’ », Alfa e Omega, marzo-aprile 2005.
3) Maria Laura
Rodotà, «Neocon, liberisti, antiabortisti: i ‘convertiti’ che votano
per Obama», Corriere della Sera, 1 novembre 2008.
http://archiviostorico.corriere.it/2008/novembre/01/
4) Apocalisse 14,
6-11: «Poi vidi un altro angelo che volando in mezzo al cielo recava un
vangelo eterno da annunziare agli abitanti della terra e ad ogni
nazione, razza, lingua e popolo. Egli gridava a gran voce: ‘Temete Dio
e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui
che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti delle acque’.
Un secondo angelo lo seguì gridando: ‘E’ caduta, è caduta Babilonia la
grande, quella che ha abbeverato tutte le genti col vino del furore
della sua fornicazione’. Poi, un terzo angelo li seguì gridando a gran
voce: ‘Chiunque adora la bestia e la sua statua e ne riceve il marchio
sulla fronte o sulla mano, berrà il vino dell’ira di Dio che è versato
puro nella coppa della sua ira e sarà torturato con fuoco e zolfo al
cospetto degli angeli santi e dell’Agnello. Il fumo del loro tormento
salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte
quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio
del suo nome».
5) www.adnkronos.com/IGN/Esteri/?id=1.0.2443050308
6) «Don Milani, no!», Domenico Savino, EFEFDIEFFE.com
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