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Lo scippo indebito di Pound e di Auriti
14 Ottobre 2011
Questo non è un articolo di quelli, culturali, che lo scrivente è solito proporre al pubblico di EFFEDIEFFE ma è una sorta di appello a tutti coloro che non hanno mai dubitato della verità di certe tesi e mai smesso di sperare nella loro capacità di abbattere il muro dell’omertà.
Infatti sta avvenendo una cosa che ha dell’incredibile.
Tutto il mondo, da New York a Tel Aviv, passando per Londra, Madrid, Roma ed altre capitali europee, si sta ribellando alla dittatura central-bancaria; le sedi bancarie, anche quelle delle banche ordinarie, vengono assaltate dalla gente, soprattutto da giovani, nauseata dallo strapotere della finanza autoreferenziale e disgustata dalla subordinazione della politica ai banchieri; ovunque si sta facendo sempre più palese, per un’opinione pubblica che sembra finalmente prenderne coscienza, il grande inganno nel quale la finanza speculativa ha irretito i popoli; l’intero sistema finanziario mondiale, per ammissione dei suoi stessi rappresentanti, come Trichet, è alle prese con una crisi ormai sistemica che rischia di travolgerlo; mentre, appunto, tutto questo accade sotto i nostri occhi, la cultura non conformista, che è sempre stata all’avanguardia su questi temi e vanta dalla sua autentici campioni della critica all’usurocrazia central-bancaria come Ezra Pound, Maurice Allais e Giacinto Auriti, ai quali affianchiamo ben volentieri il nostro direttore Maurizio Blondet, appare incomprensibilmente silenziosa, assente e priva di visibilità.
Cosa, dunque, è successo ai nipoti di Pound, di Auriti, di Allais e di Blondet? È mai possibile che si debba lasciare il monopolio della contestazione al central-banchismo alla sinistra, che si sta appropriando delle tesi degli autori sopra citati senza citarne, la fonte e l’origine?
Giulietto Chiesa, ad esempio, è in prima fila nella contestazione in atto contro l’egemonia delle Banche Centrali e della finanza e va parlando apertamente di moneta del popolo e di riattribuzione del potere di emissione monetaria allo Stato, ossia di riconquista della sovranità monetaria. Tutte tematiche a suo tempo sviluppate da Auriti, da Allais e prima di loro da Pound.
Aspettarsi un po’ di onestà intellettuale dalla sinistra, e che essa riconosca il primato della cultura non conformista nella denuncia dell’usurocrazia, è un’illusione. Non saranno certo i Giulietto Chiesa, che certe cose le conoscono benissimo, a ricordare in pubblica piazza agli indignados nostrani che la critica al central-banchismo è il cavallo di battaglia secolare di un filone culturale appartenente all’area non conformista. Un filone culturale che, da oltre un secolo, ha elaborato le armi filosofiche, giuridiche ed economiche per affrontare criticamente i problemi posti dalla pericolosa ed antisociale finanziarizzazione dell’economia.
Mentre la sinistra, in un’età ancora industriale, guardava solo al conflitto di classe, i pensatori riconducibili a quel filone già avevano individuato nel cosiddetto pseudo-capitale il vero nemico dei popoli. Considerati eretici dall’ortodossia monetaria vigente (quella dei bocconiani) oltre ai citati Ezra Pound, Maurice Allais, Giacinto Auriti, Maurizio Blondet, si possono ricordare anche Silvio Gesell, H. G. Douglass, Chesterton, Belloc, Giano Accame, Francesco Avigliano, Ferdinand Ritter ed altri ancora.
La sinistra, pur indebitamente appropriandosi delle loro elaborazioni, giammai farà mostra di dipendere, nella contestazione al central-banchismo, da questi autori per il semplice fatto che essi, nonostante fossero raffinati studiosi, sono stati screditati, anche con la complicità dei media, in nome della ancor persistente, benché stupida, pregiudiziale antifascista. La sinistra intellettuale conosce benissimo gli autori dei quali si sta appropriando, indebitamente. La sinistra militante, invece, nella sua atavica ignoranza, non ne conosce quasi nulla.
La sinistra intellettuale sa che quegli autori sono stati profeti ed hanno visto giusto in anticipo di quasi cento anni, laddove essa invece mai fino ad oggi ha messo in piedi una sia pur moderata critica al capitale finanziario.
D’altro canto, Pound, Auriti, Allais, Blondet ed altri, nell’età post-industriale, che è la nostra epoca, sono molto più a sinistra di un Marx, che del problema costituito dal capitale finanziario si occupò solo in una striminzita paginetta de Il Capitale.
Anche il mondo cattolico sembra del tutto dimentico della denuncia che Pio XI, nella Quadragesimo Anno del 1931, a ridosso della grande depressione del 1929, faceva del pericolo costituito (testuale) dall’«imperialismo internazionale del denaro e dal potere più che mai dispotico (di)… quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare».
Il SIR (Servizio di Informazione Religiosa) riecheggiato da Andrea Tornielli ha meritoriamente ricordato, in questi giorni, una meno conosciuta enciclica di Pio XI, sempre del 1931, la Nova impedent nella quale quel Pontefice così si esprimeva: «Un nuovo flagello minaccia e in gran parte già colpisce il gregge a Noi affidato, e più duramente la porzione più tenera e più affettuosamente amata, cioè l’infanzia, gli umili, i lavoratori meno abbienti e i proletari. Parliamo della grave angustia e della crisi finanziaria che incombe sui popoli e porta in tutti i Paesi ad un continuo e pauroso incremento della disoccupazione. Vediamo infatti costretti alla inerzia e poi ridotti all’indigenza anche estrema, con le loro famiglie, tanta moltitudine di onesti e volonterosi operai, di null’altro più desiderosi che di guadagnare onoratamente col sudore della fronte, giusto il mandato divino, il pane quotidiano che invocano ogni giorno dal Signore. I loro gemiti commuovono il Nostro cuore paterno».
In quella stessa enciclica Pio XI concludeva così: «E poiché da una parte effetto della rivalità dei popoli, dall’altra causa di enormi dispendi, sottratti alla pubblica agiatezza, e quindi non ultimo coefficiente della straordinaria crisi presente è senza dubbio la corsa sfrenata agli armamenti, non possiamo astenerCi dal rinnovare la provvida ammonizione Nostra e dello stesso Nostro Predecessore, dolenti che non sia stata finora ascoltata ed esortiamo insieme Voi tutti, Venerabili Fratelli, perché con tutti i mezzi a vostra disposizione di predicazione e di stampa vi adoperiate a illuminare le menti e ad aprire i cuori secondo i più sicuri dettami della retta ragione, e molto più ancora della legge cristiana».
Sembra quasi – quella fatta da Pio XI – la descrizione dei nostri anni costretti tra una crisi finanziaria ormai sistemica e i venti di guerra dello scontro di civiltà da ultimo riaccesosi con il presunto tentato attentato iraniano all’ambasciatore saudita negli Stati Uniti.
Sappiamo, purtroppo, come è finita negli anni Trenta.
Ma Pio XI invitava a reagire con tutti i mezzi a disposizione, ad iniziare dalla stampa.
Ora, sta a noi reagire e riprenderci anche la primogenitura delle tesi poundiane, auritiane, allaisiane, blondettiane, che tengono banco nella contestazione inscenata da una sinistra che discrimina l’area non conformista ed il mondo cattolico.
Purtroppo da destra non c’è da aspettarsi alcun aiuto. I vari Fini, La Russa, Gasparri, Alemanno hanno dilapidato, nel giro di una manciata d’anni, per correre dietro al liberismo berlusconiano ed alle prebende di potere loro assicurate dal Salame, un patrimonio culturale e politico ereditato da chi aveva sofferto per preservarlo. Del resto, neanche prima dello sdoganamento la classe dirigente del vecchio MSI non ha mai dato mostra di apprezzare la cultura politica.
Quindi non resta che arrangiarci da soli.
Risulta allo scrivente, il quale ormai viaggia verso i 50 anni e non può certo più dirsi un giovane, che continua a sussistere una rete di piccoli editori non conformisti, associazioni culturali cattoliche non progressiste né teocon o neocon, circoli culturali auritiani, centri sociali poundiani, associazioni della destra sociale e/o della sinistra nazionale, siti web e blog contro il signoraggio bancario.
Esiste persino, per quanto risulta allo scrivente, una fondazione dedicata a Giacinto Auriti, fondata per preservarne l’opera ed il pensiero sotto l’egida della famiglia e gestita da alcuni suoi stretti collaboratori ed allievi, che tuttavia, a parte sporadiche apparizioni in televisioni locali abruzzesi, non sembra facciamo poi molto. Questa fondazione, a fronte di una rivolta in qualche modo epocale che avrebbe visto Auriti in piazza alla testa dei cortei anti-usura (chi lo ha conosciuto sa bene quale carattere da barricata avesse) non si è, finora, fatta sentire neanche sulla stampa locale abruzzese rivendicando al professore il ruolo, che merita, di profeta dell’attuale crisi monetaria e richiamando alla memoria almeno dei suoi concittadini regionali quanto fu da lui tentato per aprire gli occhi al pubblico sull’usurocrazia dominante.
E pensare che su Il Centro, il principale e più diffuso quotidiano dell’Abruzzo, solo qualche settimana fa, un docente di sociologia dell’Università G. D’Annunzio, chiudeva un articolo dedicato all’esame della crisi in atto invocando la doverosità di riprendere in mano ed approfondire gli studi monetari di Auriti, così riconoscendogli l’aurea del pioniere che ha aperto nuove vie con le sue straordinarie intuizioni sul «valore indotto».
La figlia di Auriti, oltretutto, è, così sembra, giornalista di un noto settimanale nazionale (infatti quando il professore effettuò, in quel di Guardiagrele, suo comune natale, l’esperimento del Simec, la ragazza ne scrisse sulla sua rivista). Ci si aspetterebbe ora, mentre l’opinione pubblica va prendendo atto della verità delle tesi auritiane, che la figlia del professore riprendesse i suoi servizi giornalistici a memoria del padre. Invece, per quanto ne sappiamo, ancora silenzio.
Non si può ridurre la memoria di Auriti ai pellegrinaggi, che pure sono stati organizzati da alcuni suoi devoti, nei luoghi nei quali il professore è vissuto quasi egli fosse un santo canonizzato. Così facendo si fa cadere nel ridicolo postumo la sua figura esponendola ai risolini degli accademici ortodossi che si fanno forza della proverbiale inconsistenza culturale troppo spesso mostrata da certi seguaci delle teorie auritiane (benché – va pur onestamente detto – è stato lo stesso Auriti, che si definiva un «contadino prestato alla cattedra», ad aver trascurato la creazione nell’università di una vera e propria scuola giuridico-economica, al fine di consentire, portando alla cattedra i suoi allievi, una prosecuzione accademica al proprio pensiero, per darsi invece ad un presenzialismo televisivo locale di tipo, sovente, populista che, negli ultimi anni della sua vita, finì per attirargli ulteriore discredito accademico da parte dei suoi colleghi incapaci della stessa libertà intellettuale e spirituale del Professore).
Orbene, tutti questi ambienti e questi soggetti dovrebbero agire, ora o mai più, per conquistarsi uno spazio di visibilità culturale e politica ed uscire dalle conventicole nelle quali finora hanno tirato a campare.
Si organizzino mega convegni nazionali sulle tematiche della speculazione finanziaria e lo si faccia nel nome di Pound, di Auriti e di Allais. Ma invitandovi relatori di fama, in modo da attirare l’attenzione dei media, come ad esempio il sociologo Zygmunt Bauman che, su La Stampa del 7 agosto scorso, così si esprimeva in ordine al mercato finanziario: «Gli Stati si sono sempre fondati su due cardini: il potere (cioè fare le cose) e la politica (cioè immaginarle e organizzarle). La globalizzazione si muove senza politica. Ha bisogno di rapidità. Detesta i vincoli. Un po’ come la malavita. Le regole sono un ostacolo. Così i mercati più fiorenti nel mondo sono quello criminale e quello finanziario. Non importa se sono sporchi o puliti. Non fa riflettere?».
I giovani poundiani dovrebbero essere in prima fila nelle manifestazioni contro il central-banchismo rivendicando la primogenitura culturale di questa rivoluzione. Gli indignados si sono cercati e ritrovati attraverso internet: dunque il collegamento è oggi possibile mediante il web ed allora se ne approfitti.
Si intervenga nei pubblici dibattiti rivendicando la dovuta cittadinanza culturale, anche nei confronti della sinistra, in nome di quella primogenitura. Lo scrivente, per quanto possa essere servito, ha tentato di farlo durante l’ultima trasmissione televisiva di Gad Lerner postando un ampio commento sul suo blog ed invitandolo all’onestà intellettuale di riconoscere la primogenitura poundiana-auritiana delle tesi critiche del central-banchismo che alcuni tra i suoi ospiti andavano esponendo.
Come, del resto, ha postato, in questi giorni, commenti critici di tenore auritiano ed allaisiano su un sito che difende l’ortodossia monetaria vigente (perché esistono anche di tali siti e non sembrano vergognarsi di esistere mentre l’intero loro sistema ha finalmente svelato le pericolose basi sulle quali è fondato).
Insomma, ci si dia, diamoci tutti, una mossa. E il pressapochismo che ci isola.
Poundiani, auritiani et similia svegliatevi!
Luigi Copertino
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