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Celebrazione del Giorno della Memoria
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Pubblichiamo, con tanto di lacrima


RESOCONTO STENOGRAFICO

La cerimonia inizia alle 12,15

Il Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati ed il Professor Elie Wiesel fanno ingresso in Aula. Il Presidente della Camera rivolge il suo indirizzo di saluto.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

GIANFRANCO FINI, Presidente della Camera dei deputati. Onorevoli colleghi, sono onorato e commosso di dare oggi, 27 gennaio, Giorno della memoria, il benvenuto della Camera dei deputati al Premio Nobel per la pace Elie Wiesel e di farlo alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e delle più alte autorità istituzionali.

Quello odierno è un evento eccezionale, perché è la terza volta, nella centenaria storia del Parlamento italiano, che un ospite parla solennemente all’Assemblea. È un onore che Elie Wiesel merita ampiamente, perché è davvero un personaggio eccezionale. Egli, infatti, è il più autorevole testimone vivente, tra i sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, degli orrori della Shoah. Gli sono particolarmente grato di aver accettato l’invito di rendere al Parlamento italiano la sua alta testimonianza umana e civile, in una giornata nella quale, doverosamente, si ricordano 6 milioni di ebrei e centinaia di migliaia di altri esseri umani, sterminati soltanto perché ebrei, sinti, rom, omosessuali, disabili, quindi diversi, « sottouomini » nel delirio nazista. I testi letterari di Wiesel raccontano in modo magistrale l’incredibile brutalità cui può giungere la natura umana e, al tempo stesso, esaltano la magnifica capacità dell’essere umano di sopravvivere anche a sofferenze infernali e di tramandare esperienze e valori.

« L’opposto di amore non è odio, è indifferenza. L’opposto di arte non è brutto, è indifferenza. L’opposto di fede non è eresia, è indifferenza. L’opposto di vita non è morte, è indifferenza». Sono parole di Wiesel, tremendamente attuali. Anche noi dobbiamo, infatti, guardare con viva preoccupazione all’indifferenza che ancora in questi giorni circonda il rinnovarsi di fenomeni antisemiti, razzisti, xenofobi e anche – sembra incredibile, ma è vero – il rinnovarsi di minacce di sterminio. È preciso dovere di tutti – in specie delle istituzioni – tenere desta la coscienza degli uomini, specie dei più giovani, contro la cecità, l’ignoranza ed il cinismo, che rischiano di aprire la strada a nuovi errori e a nuove atrocità.

Da decenni Elie Wiesel ci incoraggia in questo fondamentale impegno attraverso il suo magistero morale, l’energia del suo carisma intellettuale e umano, la forza del suo impegno civile, per non dimenticare e per far progredire la causa dei diritti umani e della pace nel mondo.

Oggi, a rendere testimonianza dello sterminio del popolo ebraico non è solo il doveroso ricordo di milioni di nomi, di storie, di incredibili vicende di martiri e di coraggio da parte ebraica e di inaudita crudeltà da parte nazista. Non è solo un invito al raccoglimento e alla riflessione: è anche un presidio morale e civile affinché mai più accada che l’aberrante logica di un potere totalitario si abbatta sugli inermi, sugli innocenti, su interi popoli, contro i quali decretare le discriminazioni più odiose per motivi di razza, di religione, di genere, di condizione sociale, in una folle progressione criminosa capace di raggiungere il genocidio.
Oggi il dovere della testimonianza è più che mai attuale e necessario per combattere l’inverosimile barbarie e l’aberrante stupidità del negazionismo della Shoah, che punta a dimostrarne l’inesistenza o a contestarne la dimensione accettata dagli storici, a irriderne le modalità o ancora, perfino, ad accusare gli ebrei di averne avuto una qualche responsabilità. Contro questa ricorrente aberrazione non perde di forza l’ammonimento di Primo Levi, che con Wiesel divise la baracca ad Auschwitz e di cui divenne grande amico. « Chi nega Auschwitz – scrisse Levi – è pronto a rifarlo ».

L’odio antiebraico si indirizza oggi, in particolare, contro lo Stato di Israele. L’antisionismo nega la fonte ispiratrice dello
 
Stato ebraico, attaccando ieri le ragioni della sua nascita e oggi quelle della sua sicurezza. Lo ha di recente ricordato il Presidente Napolitano, affermando che l’antisemitismo va combattuto anche quando esso si traveste da antisionismo. Dobbiamo essere consapevoli che oggi, quando si parla di distruggere Israele, si parla nuovamente di sterminare gli ebrei: lo dimostra una quantità di inquietanti episodi, a partire dai proclami, non solo di tante organizzazioni estremiste e integraliste, ma purtroppo anche di Capi di Stato, nei confronti dei quali – è mia personale opinione – è troppo flebile la protesta della comunità internazionale.
Oltre che testimone oculare della Shoah, Wiesel è una persona piena di fede e di amore. Con il suo impegno e il suo esempio ci dimostra che la sofferenza non sempre cancella la personalità, non rende necessariamente indifferenti, apatici, scettici. La sofferenza può, al contrario, rendere gli uomini più combattivi, più decisi. Accade quando sanno restare fedeli al proprio credo, alla propria storia, a quella del proprio popolo, fedeli fino all’estremo incolpevole sacrificio.
Onorevoli colleghi, nei mesi scorsi la Camera dei deputati – che nel 2000, su proposta degli onorevoli Colombo e Levi, istituì all’unanimità il Giorno della memoria –, ha istituito una speciale Commissione per un’indagine conoscitiva sull’antisemitismo, il cui lavoro durerà almeno per tutto il 2010. Nel dicembre del 2008, sempre all’unanimità, è stata decisa la posa di una lapide nella Sala della regina, a ricordo perenne della vergogna delle leggi razziali, che nel 1938 vennero approvate, per volontà del fascismo, proprio qui a Montecitorio, circostanza che è doveroso rammentare: leggi che rappresentano una delle pagine più buie della storia italiana.

È anche attraverso questi piccoli ma simbolici fatti che intendiamo seguire l’insegnamento di Elie Wiesel, perché, come egli ha scritto in quello che è considerato il suo capolavoro, La notte, « la matrice dell’inaridimento del cuore è l’oblio e la memoria è fattore di rigenerazione, speranza, pace fra gli uomini ». È con questa ferma convinzione, professor Wiesel, che a nome di tutta la Camera dei deputati la prego di prendere la parola.
 
INTERVENTO DEL PROFESSOR ELIEZER WIESEL, PREMIO NOBEL PER LA PACE

ELIEZER WIESEL. Signor Presidente della Repubblica italiana, onorevoli Presidenti della Camera e del Senato, signor Presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, onorevoli deputati e senatori, signor presidente della Corte costituzionale, sopravvissuti, membri delle comunità ebraiche, come non dirvi della mia grande emozione nell’essere qui.

Mia moglie Marion ed io, Presidente Fini, le siamo pro-fondamente grati del calore dell’accoglienza e della sincerità delle sue parole. Ci congratuliamo con l’Italia perché abbiamo partecipato a tante cerimonie, abbiamo visitato tanti Paesi dove viene celebrata la memoria, e posso dirvi che questo Paese costituisce un modello perché la commemorazione in Italia abbraccia tutte le sfere della società.

Abbiamo assistito oggi ad una cerimonia in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha consegnato dei premi ad alcuni studenti, a dei bambini e quando vedi i bambini ovviamente non puoi che sorridere e ti senti anche profondamente coinvolto.

Ieri abbiamo visto l’inaugurazione della mostra sull’Olocausto e quindi vogliamo ringraziarvi perché tutti noi siamo impegnati per ricordare. Siamo qui per ricordare e allora ricordiamo insieme quest’epoca della storia che ha avvolto nelle tenebre la speranza dell’uomo. Un’epoca in cui gli assassini hanno tormentato, torturato, isolato, affamato e ucciso sei milioni di uomini, donne e bambini non per qualcosa che avevano fatto, o detto, o scritto, o posseduto, ma semplicemente perché erano i discendenti di un popolo antico, l’unico popolo dell’antichità che sia sopravvissuto all’antichità.

Dove inizia la memoria ? Per l’ebreo che sono, parlare qui infonde un profondo senso di riflessione, di gratitudine e di rispetto perché Roma per noi occupa un luogo speciale. Gerusalemme e Roma hanno memorie che si intrecciano: i saggi della Giudea venivano a Roma per perorare, di fronte agli imperatori romani, la causa del loro popolo ed oggi io, che sono uno dei loro eredi e discepoli, sono qui di fronte a voi, leader di questa nazione straordinaria. Io, il numero A-7713, sono qui a portarvi un messaggio su avvenimenti accaduti duemila anni più tardi.

Proprio in questi giorni, sessantacinque anni fa, mio padre Shlomo, figlio di Nissel e Eliezer Wiesel, numero A-7712, moriva di inedia e malattia nel campo di sterminio di Buchenwald. C’erano italiani a Buchenwald ? Non ricordo, ma ad Auschwitz ce n’erano. Ricordo un certo Luigi, timido, gentile, introverso, non parlava né il tedesco, né lo yiddish, e senz’altro non parlava il polacco, sembrava più perso di altri.

Ho incrociato forse Primo Levi che poi è diventato mio amico, come lei Presidente Fini ha detto ? Ad un certo punto siamo stati assegnati alla stessa baracca, ma non era presente nella marcia della morte verso i vagoni che ci hanno portato a Buchenwald; è rimasto in ospedale.

Buchenwald, ricordo la notte in cui siamo arrivati. Molti erano morti per strada, ricordo i vagoni aperti sul treno, ricordo la tormenta di neve, molti sono morti, ma alcuni con le loro ultime forze gridavano « Shma Israel.., Hashem hu haelokim »: ascolta Israele, Dio è il nostro Dio !

Dio, lì ? Io ero uno studente devoto e non ho potuto reprimere il desiderio di unirmi agli altri in questo appello ai cieli. Sinceramente non posso spiegare perché.

Ricordiamo: nel 1945 la Germania praticamente aveva già perso la guerra contro gli alleati. L’ultima grande battaglia nelle Ardenne è finita con la sconfitta tedesca e, ciononostante, la guerra di Hitler contro il popolo ebraico è continuata senza sosta. I sei campi di sterminio in Polonia erano stati liberati, ma non i campi in Germania e in Austria. Gli ebrei erano ancora oggetto di distruzione, ma perché ? Levi dice che ad Auschwitz non c’era luce.

Mi hanno chiesto in un’intervista: quando andrà in cielo, quali saranno le parole che dirà a Dio ? Io dirò un’unica parola: perché ? Questa domanda non dobbiamo farla soltanto a Dio creatore, ma anche alle creature: perché Hitler e i suoi accoliti, nati nel cuore del cristianesimo, hanno fatto quello che hanno fatto ? Perché volevano ad ogni costo distruggere l’ultimo ebreo sul pianeta ? Oggi, riuniti per ricordare quel fatto, quell’avvenimento, che non ha precedenti nella storia, ci si potrebbe chiedere: ma perché la memoria ? Perché riaprire vecchie ferite ? Perché infliggere un tale dolore ai giovani ? Per i morti è troppo tardi. Sì, ciò che è stato fatto non può essere annullato, neanche Dio può annullare ciò che è stato fatto. Tanta paura, dolore e tormento non possono essere dimenticati. Ma possono essere veramente ricordati ? In che modo ? In che modo possiamo aprire i nostri cuori e le nostre anime al ricordo e, ancora, conoscere la speranza?

Oggi dovremmo dedicare la giornata non solo al ricordo, ma anche alla riflessione e alla presa di coscienza. In che modo la storia giudicherà il comportamento del mondo ? In che modo la storia giudicherà il comportamento dell’Italia ? Sì, ci sono state persone coraggiose e nobili in Italia e altrove che hanno cercato di aiutare gli ebrei. Alcuni ci sono riusciti e meritano la nostra profonda gratitudine. Mia moglie Marion e la sua famiglia sono state salvate da una giovane coppia italiana a Marsiglia: oggi è il compleanno di mia moglie e lei è qui con noi. Quindi, io devo lei e la mia felicità ad alcuni italiani a Marsiglia. Ma quanti hanno corso il rischio ? Quanti hanno aperto la propria casa ad un bambino ebreo, ad una famiglia ebrea, ad un ebreo che aveva di fronte la prigione e la deportazione ? A qualsiasi livello della politica e al più alto livello della spiritualità, il silenzio non aiuta mai la vittima: il silenzio aiuta sempre l’aggressore.

Per molti di noi Auschwitz resta un nodo spartiacque nella storia: c’è un prima e un dopo. Mai prima di allora tanti bambini e tante famiglie sono stati uccisi da tanti uomini, uomini spesso istruiti, colti, che continuavano a manifestare la loro ammirazione per Goethe, Schiller, Bach, Beethoven, Hegel e Dante. Ma che ne fu della loro umanità ? Erano disumani ? Forse sarebbe un’ipotesi troppo semplicistica. Cosa ha provocato quella metamorfosi ? Negli anni io ho letto ogni libro su quell’epoca, in ogni lingua che conosco, cercando di capire gli assassini. In che modo il male ha potuto raggiungere una tale profondità e una tale portata ?

Non sono in grado di spiegare neanche la passività di chi è rimasto a guardare a tutti i livelli. Non era così difficile salvare una vita umana. Non sarebbe stato così difficile, all’inizio del 1944, bombardare i binari che portavano ad Auschwitz, ma per motivi inspiegabili e ingiustificabili quei binari non sono stati bombardati. Perché ?
 
Ho rivolto questa domanda a diversi Presidenti americani: nessuno mi ha dato una risposta valida. Anzi, avevo paura della loro risposta. Forse perché allora le vittime che avrebbero potuto essere salvate erano ebrei, ebrei ungheresi ?

Non è facile neanche capire le vittime. Come mai tanti sono riusciti ad aggrapparsi alla loro fede nel buio del ghetto e nell’orrore dei campi ? Dove hanno trovato la forza di ricostruire la loro vita sulle rovine del loro passato ? Nelle sue memorie di Treblinka, un superstite, Yankel Wiernik ha scritto: sarò mai capace di ridere ancora ?

A Birkenau, Zalmen Gradowski, membro del Sonderkom-mando si chiede: sarò mai in grado di piangere ancora ?

Eppure i sopravvissuti in Italia, in Francia, in America, in Israele dopo la guerra sono riusciti ad elaborare il lutto e la rabbia e a creare uno Stato ebraico nella terra degli avi. Solo tre anni intercorrono tra Auschwitz e la rinascita di Gerusalemme e dello Stato sovrano ebraico.

In che modo le vittime di ieri sono riuscite a realizzare tutto ciò nel nome dell’umanità ? Forse qualcuno ha la risposta, io non ce l’ho. Ma forse, ricordando i morti, diamo un insegnamento di vitale importanza ai vivi, un insegnamento sulla vita e la morte, la luce e le tenebre, la crudeltà e la compassione. Insegniamo a chi vuole ascoltare che quello che accade ad una comunità riguarda tutti e che nessun essere umano è solo nel mondo di Dio, ma che solo Dio è solo. Non dobbiamo permettere che nessuna vittima del destino, o prigioniero della società – mai dobbiamo consentirlo – si senta solo, respinto, abbandonato, rifiutato.

La storia oggi vive grandi sconvolgimenti; la nostra gene-razione è segnata dal disorientamento e dalla sfiducia. I giovani abbracciano il fanatismo religioso che a volte porta anche a missioni suicide. Gli attentati suicidi sono assassinii, omicidi e debbono essere condannati come crimini contro l’umanità ed io rivolgo un appello a lei, Presidente Fini, e a lei, Primo Ministro Berlusconi, potreste essere i primi nel mondo ad introdurre un disegno di legge che designi l’attentato suicida come crimine contro l’umanità.

Questo non fermerebbe le mani degli assassini, ma po¬trebbe fermare i complici. Chi insegnerà ai giovani – che noi dobbiamo educare – il diritto di tutti i bambini a vivere una vita sicura se non noi che abbiamo visto la parte peggiore dell’uomo ?

Io so che alcuni sopravvissuti sono preoccupati: cosa succederà quando l’ultimo di noi non ci sarà più ? Io non sono tanto preoccupato. Non sono tanto preoccupato perché credo che chiunque ascolti un testimone diventa un testimone e quindi, parlamentari, diventate nostri testimoni, leader dell’Italia, diventate nostri testimoni.

Debbo confessare, però, che nutro anche una certa frustrazione. I testimoni hanno parlato e poco o niente è cambiato nel mondo. Il mondo si è rifiutato di sentire, di ascoltare, si è rifiutato di imparare, altrimenti come possiamo comprendere la Cambogia, il Ruanda, la Bosnia, il Darfur, come possiamo comprendere l’antisemitismo oggi ? Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall’antisemitismo, cosa potrà farlo ? Io parlo dell’antisemitismo.

Come si può trattare con il Presidente di una nazione, Ahmadinejad, che è il primo a negare l’Olocausto e che vuole distruggere uno Stato membro delle Nazioni Unite ? Come osa ? Io ho visitato tanti Paesi del mondo e ho un’idea, forse non realizzabile. Dovrebbe essere arrestato e tradotto di fronte alla Corte dell’Aia e accusato di incitamento a crimini contro l’umanità.

La paura esiste ancora, le guerre civili, la fame. Milioni di bambini muoiono di malattia, di fame e di violenza. Il Medio Oriente è in grande tumulto: la pace tra Israele ed i vicini palestinesi è ancora un sogno, ma un giorno arriverà, credetemi, amici; se Israele ha potuto stringere la pace con la Germania, senz’altro sarà in grado di farlo con i suoi vicini. Creiamo un’occasione e mandiamo un appello a coloro che tengono in prigione Shalit: voi avete la credibilità per farlo. Quest’uomo da tre anni vive imprigionato e però c’è la speranza, la speranza deve esserci.

Guardiamo l’Europa: l’Europa è diventata un simbolo della solidarietà internazionale. La Germania e la Francia erano da sempre nemici, si uccidevano per pochi chilometri di territorio, ma oggi sono convinto che tra questi due Paesi non ci sarà mai più la guerra, o tra l’Italia e la Francia non ci sarà mai più la guerra.

Cosa abbiamo quindi imparato dal passato ? Abbiamo imparato che il razzismo è stupido e che l’antisemitismo è un’infamia. Abbiamo imparato che la nostra umanità è definita dal nostro atteggiamento verso l’alterità dell’altro, che abbiamo una chiara scelta tra cadere nella provocazione del nemico e il nostro dovere morale nei confronti gli uni degli altri, la scelta tra il nichilismo e il senso, il significato, tra la paura e la speranza. Questa scelta appartiene a ciascuno di noi.

Per concludere, siamo profondamente grati a voi tutti e profondamente commossi – non sono neanche in grado di dirlo – per questa giornata. Io ho sempre creduto che la vita non è fatta di anni, ma di singoli momenti e questo momento conterà nelle nostre vite. Quindi noi non viviamo nel passato, ma il passato vive nel presente, ed il nostro dovere rimane quello di umanizzare il destino, il mio e il vostro destino. Ricordiamo: qualsiasi cosa noi facciamo, qualsiasi cosa noi diciamo, qualsiasi siano i nostri obiettivi, non dobbiamo consentire che il nostro passato diventi il futuro dei nostri figli.

La cerimonia termina alle 12,45 

Aula di Montecitorio
Mercoledì 27 gennaio 2010


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